Due

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DUE.
“Vado a stendere i panni sul balcone”. Lo dice con la bacinella stracolma di biancheria appoggiata alla pancia e si incammina, dal bagno alla sala, dirigendo lo sguardo alla portafinestra socchiusa. La apre con il gesto deciso del piede e sparisce dalla vista mia e di mia sorella, uniche spettatrici di una delle sue più riuscite perfomances di donna di casa modello.
La rivedo, in un clic, come l’avrei voluta.
Lei che donna di casa non ha mai potuto essere per via di quel vezzo, così l’ha sempre chiamato a sproposito, di sentirsi fuori posto in qualunque casa.
Con le parole non ci azzeccava; ne conosceva di strane senza saperle usare. Ne metteva qualcuna in mezzo al discorso, a caso, per far colpo e dare all’interlocutore del momento l’idea di essere persona che sapesse bene il fatto suo.
A quale fatto suo si riferisse noi, sinceramente, non lo capivamo. Così come, bambine prima e ragazzine poi, non ci era chiaro quale spirito la abitasse quando il sabato da dietro il banco della frutta e verdura riusciva a vendere sino all’ultima cassetta di pere o di pomodori. Gesticolava e si muoveva: mirabolante saltimbanco, artista di strada che attirava avventori come chiodi una calamita.
Insalate, mele, arance, carciofi o prezzemolo a mazzetti diventavano protagonisti di storie strampalate, di aneddoti sulla grama quotidiana vita, la sua, di madre vedova con due gemelle da tirar su.
Propinava ai clienti ricette mai sperimentate visto che a casa cucinava nonna, suggerendo miscugli di ingredienti a dir poco azzardati. Loro, lo so adesso, tornavano a comprare fedelmente ogni settimana non per la buona qualità di peperoni o melanzane, ma per ragioni di utilità legate al sesso. Gli uomini erano attratti dal suo aspetto procace; le donne dai consigli che recitava come rosari, su come conquistare e trattenersi, parole sue, il maschio.
Guidava allora un furgoncino che era stato di suo padre; un mezzo color giallo limone sul quale non ci faceva mai salire. “Non si può e basta” rispondeva tagliando corto alle nostre richieste di dare solo un’occhiatina nel retro cabinato chiuso da un pesante lucchetto.
Intorno ai dieci anni, un mattino d’estate, riuscimmo a scassinarne la serratura. La scoperta di una improvvisata camera da letto su ruote non ci stupì poi molto; noi, che ci aspettavamo di trovare una sorta di antro della strega colmo di chissà quali oggetti proibiti, ne restammo deluse.
L’argomento fu chiuso sino a quando, adolescenti, la nebbia con la quale ci avvolgeva l’innocenza cominciò a diradarsi.
Il primo fatto che inquadrammo dalla giusta prospettiva fu quello della nostra venuta al mondo.
Nate nel cinquantasette non poteva darsi, per una elementare questione matematica, che nostro padre fosse, come ci aveva fatto credere lei, morto in guerra poco prima che nascessimo. C’era poi anche la faccenda del cognome. “No, dico, come fate a non capirlo? C’è pieno di cognomi da poveracci come il nostro. Anzi, mi son detta quando l’ho conosciuto vostro padre: stesso cognome, segno del destino…”
Un pomeriggio di inverno, al secondo anno di liceo, ricalcavo una cartina geografica col foglio appoggiato al vetro della finestra mentre mia sorella studiava a voce alta letteratura latina. Ad un certo punto mi venne in mente di chiederle “Secondo te, papà non ci ha volute o mamma, semplicemente, non aveva idea di chi fossimo figlie?” Mia sorella non rispose.
Da quel preciso momento cadde, come lenzuolo sopra il monumento da inaugurare, il velo posato sui nostri occhi ingenui e ci fu chiaro che chi ti vuol bene spesso crede di aiutarti a vivere meglio tenendoti all’oscuro della verità.
In un botto ebbero senso gli sguardi che si lanciavano gli insegnanti quando raccontavo della sfortuna toccata a mio padre saltato in aria su una bomba inesplosa in trincea; trovarono spiegazione i risolini degli amici più grandi quando mia sorella si era lasciata scappare che mamma aveva attrezzato il retro del furgone per farsi un riposino quando si sentiva troppo stanca.
Fu da quel pomeriggio che uscimmo fuori da quell’area ristretta di affettata complicità nella quale nostra madre ci aveva imprigionate.
Diventammo due.         
***
Mi chiamo Donatella e sono nata a quindici anni, un pomeriggio di inverno.
Finalmente ho compreso che il tempo può diventare solo mio. Tutto il silenzio si paga in un unico, improvviso, momento che arriva e lo pagai tutto quando scoprii che mia madre aveva tenuto per sé la versione dei fatti per amore, solo per amore.
Costruzione della mia mente vuole che non ci sia spazio di là dal ponte che possa essere occupato dalla mia persona; quindi non ci andrò. Il vuoto, di sotto, non ha interesse verso di me; è evidente. Quell’altrove mi ignora. Un’ ossessione la voce di mia sorella che mi obbliga ogni tanto a provarci invitandomi a compiere il salto verso l’indifferenza. L’ho assecondata sinora in questa tenace e morbosa mania solo per debolezza, per una innata predisposizione all’obbedienza, ma stasera mia madre mi ha fornito una motivazione più che convincente per rimanere di qua. Affidabile e decisamente dalla mia parte, è diventata da qualche tempo una preziosa alleata dalla quale mi sento compresa, che mi anticipa nelle scelte.
La voce di mia sorella è sparita. Se ne starà zitta per un po’, ma tornerà presto alla carica. Io però, da adesso, sono pronta ad affrontarla.
 

Re: Due

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@confusa eccomi, torno con piacere a leggerti. Scritto molto bene, storia intrigante. Sono tante le bugie degli adulti propinate ai bambini. L'unico punto che non ho ben capito è la parte finale
confusa ha scritto:
mia madre mi ha fornito una motivazione più che convincente per rimanere di qua. Affidabile e decisamente dalla mia parte, è diventata da qualche tempo una preziosa alleata dalla quale mi sento compresa, che mi anticipa nelle scelte.
La voce di mia sorella è sparita. Se ne starà zitta per un po’, ma tornerà presto alla carica. Io però, da adesso, sono pronta ad affrontarla.
 
Donatella quindi segue le orme della madre? 

Re: Due

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Ciao @confusa.

Parto dalla storia.

Narrata dal punto di vista di Donatella, il racconto dipinge la figura della madre, in un primo tempo osservata con gli occhi dell'infanzia, poi dall'adolescente che non può più ignorare le incongruenze e le inevitabili conclusioni.
Alla visione di Donatella si aggiunge quella della sorella che si intuisce più intollerante, con la quale comunque Donatella dovrà confrontarsi, essendo riuscita a elaborare una sua personale accettazione della realtà. Questo è quello che mi sembra di aver capito.

La scrittura.
Si nota senza dubbio che sei alla ricerca di uno stile molto personale, e questo è di per sé un pregio. Un altro elemento positivo l'ho già menzionato quando ho utilizzato il termine "dipinge" al posto di "racconta".
L'unica nota critica si riferisce a una certa sensazione di disordine nell'avvicendarsi delle immagini che proponi.
confusa ha scritto: La rivedo, in un clic, come l’avrei voluta.
Forse volevi intendere che Donatella avrebbe preferito mantenere inalterato il ricordo d'infanzia, quando la madre le poteva apparire come una persona singolare, ricordo non ancora inquinato dalla scoperta della verità.
Purtroppo però il lettore si imbatte troppo presto in questa frase che, lasciata così, sembra incongruente con ciò che segue. Solo rileggendo il racconto si può capirne il senso, ma dover rileggere rischia di diventare fastidioso.
confusa ha scritto: Mi chiamo Donatella e sono nata a quindici anni, un pomeriggio di inverno.
Solo a questo punto del racconto si inizia a intuirne il senso globale. Un paragrafo diviso che rischia di avere il sapore dello spiegone. Hai condensato in queste righe tutta Donatella (prima non si poteva sapere nemmeno il suo nome).
A mio modo di vedere, ma si tratta scelte soggettive, avrei fatto trasparire i sentimenti di Donatella gradualmente durante tutto il dipanarsi del racconto, tanto più che la narrazione in prima persona lo consente.
confusa ha scritto: Lo dice con la bacinella stracolma
Nell'incipit usi il presente: vuol dire che in quel momento Donatella è lì e vede sua madre. Poi sprofonda nel ricordo e tutto diventa al passato.
Torni al presente solo nel paragrafo finale, ma a quel punto il lettore si è allontanato troppo dal presente dell'incipit.
Presente e passato sembrano due piani molto staccati tra loro e forse il punto debole è proprio la mancanza di qualcosa che li possa unire senza dover ricorrere a enunciati di principio come:
confusa ha scritto: Finalmente ho compreso che il tempo può diventare solo mio. Tutto il silenzio si paga in un unico, improvviso, momento che arriva e lo pagai tutto quando scoprii che mia madre aveva tenuto per sé la versione dei fatti per amore, solo per amore.
Quello che voglio dire è che avrei preferito vedere in che modo Donatella abbia potuto comprendere tutto questo. In altre parole; hai dipinto molto bene la madre ma Donatella è rimasta nell'ombra e di sé ha potuto solo raccontare.
A rileggerti.

Re: Due

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@Poldo 
Non so come ringraziarti, per lettura e suggerimenti. La tua interpretazione è corretta. Hai dimostrato di saper leggere negli animi, oltre che nelle parole. Avere un tuo giudizio o impressione è, in generale, molto proficuo. Sto ancora cercando la mia cifra e non smetto mai di approfondire con risultati che non mi soddisfano. Pubblicare non mi interessa - la volpe e l'uva. Ho la passione dell'esprimermi e lo faccio attraverso un foglio bianco da riempire di parole. La gratitudine fa parte del mio carattere. Grazie! Hai scelto il modo migliore di darmi il benvenuta. Continuerò a postare e il contributo di ogni, singolo, partecipante è fondamentale, secondo me. 

Re: Due

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@confusa
ho letto il tuo racconto inizialmente per commentarlo poiché vorrei partecipare ad un contest, ma ne sono rimasta incantata.
Mi è piaciuto proprio tanto tanto e non sono in grado di suggerirti nulla, né di apportare correzioni in quanto mi è piaciuto tutto. Ne sono rimasta invasa. Moto, molto brava.
In effetti non mi sembri tanto confusa, forse lo sono di più io ;-)
Buon proseguimento.
Nessun timore, nessun favore, nessun rancore.

Re: Due

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Ciao @confusa
mi sono “bevuta” la prima parte del racconto, mi è piaciuto molto come hai fatto emergere dal foglio l’immagine e la personalità della madre vista dagli occhi della figlia. Un ologramma! I piccoli gesti quotidiani, la fiducia che fino a una certa età si nutre verso i propri genitori fino al disincanto dell’adolescenza  quando si realizza che si o esseri umani difettosi e gli eroi della nostra fanciullezza cadono miseramente. Qui c’è anche un passaggio in più, una maturità nel riconoscere e accettare. Nel trattare con compassione la madre che, in fondo, ha fatto tutto per amore.
Nella prima lettura ho avuto difficoltà a entrare appieno in sintonia con la parte finale del racconto, dopo lo stacco. Ho dovuto rileggerlo per comprendere tutto l’insieme. 
Piaciuto molto :sss:

Re: Due

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Ciao @confusa 

Le bugie volano alte, solo per bruciarsi al sole.
Il Grigio guarda il giallo senza vederlo. Ma il Giallo replica: sei solo il frutto non ancora maturo.
E lo fa a voce alta.
Recita, sperimenta, vivi. Con le parole.
Abbi cura di trasformare i tuoi sentimenti in splendide ali. Disciplinate. 
Così il Sole ti illuminerà senza bruciarti.

Alle prossime vele spiegate
Atlab

Re: Due

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Ciao Confusa, è stata una piacevole lettura, ho notato che hai uno stile molto personale.
Ora ti segnalo quello, che secondo me, stona.
confusa ha scritto: Con le parole non ci azzeccava
confusa ha scritto: Propinava ai clienti ricette mai sperimentate
La prima sembra che sia una analfabeta, la seconda invece è esettamente il contrario perchè attirava i clienti con parole e gesti. È un pochi spiazzante. O una oppure l'altra. Oppure ammorbidisci la prima.
confusa ha scritto: Guidava allora un furgoncino
Perfetto aveva un furgone, ovvio doveva trasportare la merce e il resto. Invece è un motel viaggiante. MA allora il banco non era il suo, dovresti mettere due parole che non lo era.
confusa ha scritto: stesso cognome, segno del destino
L'argomento del cognome dovrebbe essere svelato. Rimane in sospeso. idem con il medesimo destino. bastano due parole. Trova un cognome importante e il gioco è fatto.

Il resto lo hanno già segnalato.
Alla prossima.

Re: Due

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Ehilà @confusa  !

Ho letto il tuo racconto con piacere, ma ci trovo anche degli scricchiolii. Riguardo la trama, ad alto livello mi sembra tutto abbastanza chiaro: due sorelle gemelle sviluppano opinioni divergenti sulla madre, quando si rendono conto che lei ha sempre tenuto nascosta una parte importante, ma socialmente inaccettabile, della propria vita.

Sui dettagli, però, ho un po' di confusione. Il mio problema maggiore sono i salti di contesto. Mi sembra di capire che ci siano tre piani narrativi. L'incipit è al presente, ed è una memoria breve che Donatella ha in un momento preciso (un "clic" addirittura). Il corpo principale è un passato che sembra piuttosto remoto, come se Donatella ormai fosse adulta (infatti è scritto in un registro piuttosto evoluto). La conclusione sembra essere un passato piuttosto vicino - ma non immediato, perché Donatella ha avuto come minimo abbastanza tempo da maturare una divergenza con la sorella.

Quindi resto confuso sul "clic". E' il momento in cui Donatella quindicenne realizza la verità? Ma allora perché parla della madre al passato remoto, e come mai nel finale sembra avere già discusso, compreso e metabolizzato la divergenza dalla sorella? Oppure è un altro momento, in età adulta? Ma se è un momento importante e preciso (e "clic" suggerisce un momento molto preciso) allora dovrebbe essere narrato esplicitamente.

Riguardo i personaggi, quello che mi piace di più è di certo la madre, perché è chiaramente una donna che ha avuto una vita davvero difficile, ma ha trovato un modo di cavarsela, di cavarsela con un sorriso, di cavarsela con un sorriso e due figlie, e di cavarsela con un sorriso e due figlie che tutto sommato sembrano perlopiù a posto. Congratulazioni, mamma di Donatella, forse non avrai vinto la vita, ma te la sei giocata bene.

Le due figlie, invece, ci sono ma si differenziano solamente nel finale, che purtroppo mi risulta un po' ostico, tant'è che all'inizio non avevo ben chiaro esattamente in che modo le loro opinioni sulla madre si scontrino, e ho dovuto leggere un paio di commenti per esserne certo. Forse è perché, mentre nel corpo principale racconti delle scene concrete che fanno capire il personaggio, nel finale, invece, abbiamo solo i pensieri astratti di Donatella. Forse avrei investito qualche riga in più per creare invece una scena conclusiva tra Donatella e la sorella.

Riguardo la forma, metterei qualche virgola in più (e qualche caporiga, ma sospetto che l'editor della message board abbia delle colpe qui). Per esempio: "Un’ossessione la voce di mia sorella, che mi obbliga ogni tanto a provarci, invitandomi a compiere il salto verso l’indifferenza." A me suona meglio, ma potrebbe anche essere una mia preferenza.

Adoro "sono nata a quindici anni". Sarà che ho un debole per il paradosso lapidario, ma per me quelle cinque parole valgono il racconto.

Re: Due

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Scusa, vedo solo adesso. @Zappo . Scioglierò i nodi che,  con questo racconto, ho creato. Chiarirò la confusione. Anzitutto grazie di lettura e commento. La rivedo in un clic come a me sarebbe piaciuto ma la madre non era una casalinga... Le gemelle per il loro vissuto, ai tempi della scuola sono state messe in ridicolo. Quelli che tu chiami salti temporali mi sono serviti a rendere il profilo della madre più vivido in poco spazio. Donatella "nasce" a quindici anni, cioè quando si libera o viene liberata dalla condizione di gemella in cui si è o l'hanno imprigionata. Non leggo prima di aver commentato le opinioni altrui perchè, sbagliando, mi diverto a farmi un'impressione personale su quanto leggo.
Più di un concetto resta nella mia testa e fatico ad esprimerlo. Forse il bello sta proprio nell'immaginare, rendendo tuo lo scritto di un altro.
Strano per le virgole che,mi dicono, siano sempre troppe. 
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