I morti leggeri
Il signor Molini aprì la porta e si prese un istante per scoprire l’inganno che aveva davanti. Se l’aspettava diversa la Maga, più grigia e incurvata dagli anni. Invece lei se ne stava ritta sulle gambe, con le mani incrociate sul ventre, la testa rossa di un fiammifero e gli occhi brillanti come un mare verde sotto il sole di mezzogiorno.
«Sono la Maga, buongiorno», disse la vecchia con un sorriso.
Il signor Molini le fece un cenno di saluto con il capo e la invitò a entrare in casa. La Maga lo seguì per un corridoio buio che conduceva a una scala a chiocciola, e poi su fino a quello che doveva essere il soggiorno, dove una donna pallida e rigida aspettava seduta in poltrona.
«Ecco mia moglie», disse il signor Molini, e come rispondendo a un invito quella scattò in piedi.
La Maga sorrise ancora e strinse con delicatezza la mano insicura che le allungò la signora, poi si concentrò su quanto aveva intorno. I suoi occhi schizzavano ovunque come biglie verdi smeraldo, dovendosi fermare appena un istante sui molti indizi che già le offrivano l’ambiente.
Le persiane delle finestre sulla parete ovest erano serrate e solo una lampada a terra, alta e sottile al centro della stanza, illuminava debolmente il soggiorno. Anche le due porte che si aprivano su chissà quali altre stanze erano ben chiuse. Ovunque sul pavimento e sul grande tavolo accostato alla finestra si ergevano sparse pile di libri: qualcuno doveva aver alleggerito gli scaffali della libreria, che in più punti rivelava la vergogna di una muffa arrampicatasi sulla parete di dietro. Frammenti di piatti e bicchieri erano stati ammucchiati al centro del tavolo e cornici rotte poggiavano prive di foto su una cassettiera impolverata.
«Mia moglie è convinta che sia opera di Anna», spiegò l’uomo indicando con le braccia aperte il caos che lo circondava.
«Prima solo di notte», continuò la signora Molini, «ma ormai viene anche di giorno e abbiamo smesso di rimettere in ordine. È inutile».
«Certo», annuì la Maga, «È tipico dei morti leggeri. Non riescono a staccarsi dai luoghi che hanno abitato».
Il signor Molini guardò per un attimo sua moglie, si strofinò nervosamente le mani e fece un passo verso la Maga.
«Devo ammettere, signora…», tentò esitante, «devo dirle che io non sono affatto convinto che lei possa aiutarci. Non credo a tutta questa storia… non penso che lei possa mettersi in contatto con nostra figlia».
«Posso chiederle perché?» domandò con dolcezza la Maga.
«Perché Anna è morta».
«Questo è vero, sì», convenne lei.
«L’abbiamo sepolta».
«Avete sepolto il suo corpo. E senza quel corpo, Anna fatica a trovare il suo peso tra i morti. Ma sono qui per questo e farò del mio meglio. Le porte, laggiù, sono chiuse a chiave?»
«Sì, le porte dell’appartamento sono tutte chiuse a chiave», rispose la signora, «In questo modo Anna non può entrare e resta in questa stanza».
«Non è mai entrata in camera vostra, per esempio?», domandò la Maga.
«Mai. Viene come un vento molto forte che si origina qui in soggiorno. Fa cadere i libri, le sedie, le cornici… tutto ciò che trova».
La Maga si avvicinò alla cassettiera e prese tra le mani una delle cornici rotte. Nessuno degli spigoli presentava ammaccature, prova che la cornice doveva essere caduta come per errore e non scagliata in terra con violenza.
«Che foto c’erano qui?»
«Foto di famiglia», rispose il signor Molini, «Una di mia madre, che è morta l’anno scorso. Una del nostro matrimonio. Una di Anna nata da poco. Le abbiamo portate via per non farle acciaccare da… da questo vento che viene».
«Se vuole gliele porto», intervenne la signora Molini, «Sono tutte in camera nostra, in un cassetto».
«Non ce n’è bisogno», disse la Maga agitando una mano davanti a sé. Girò ancora per la stanza ed esaminò attentamente i libri caduti dagli scaffali, ma le fu impossibile trovare una connessione tra i titoli, i generi, le dimensioni dei volumi. Come per le cornici, non notò segni di accanimento: i libri erano ancora in perfetto stato.
«Credo che Anna stia cercando qualcosa», disse quando ebbe finito.
La signora Molini la fissava con due occhi rossi, carichi di sonno e speranza, mentre il marito se ne stava appoggiato al bracciolo della poltrona con le braccia incrociate e il capo chino, come chiuso in un bozzolo di perplessità.
«Se credete, io inizierei. Ho bisogno di un posto dove dormire, in questa stanza», concluse la Maga, e subito la fecero accomodare sulla poltrona.
La Maga chiuse gli occhi, poggiò le mani sulle ginocchia, rilassò le spalle. Poi respirò profondamente per tre volte. Marito e moglie la guardavano da un angolo della stanza, in silenzio. Il signor Molini non poteva credere che la disperazione l’avesse portato a fissare una vecchia, dai capelli rossi come il diavolo, che s’addormentava nel suo soggiorno. D’altro canto, la signora aspettava solo che arrivasse il momento giusto, quando il marito si fosse finalmente allontanato, per fare alla Maga la sua proposta segreta.
Fuori, due uccelli cinguettarono un poco e mossero le ali tra le fronde di un albero, come per rompere il silenzio della notte irreale che era calata in quella casa alle dieci del mattino.
Pochi minuti più tardi, la Maga vide senza aprire gli occhi che qualcosa si agitava nel buio. Da seduta lo rincorse, afferrò col pensiero l’estremità di una coda scivolosa simile a quella di un pesce e se l’annodò al polso. L’ombra si ribellava e cercava di scappare, ma la Maga prese a cantilenare una nenia dai suoni liquidi e la cullò, finché quella ormai calma non si aprì come un fiore che sboccia e avvolse la vecchia in un grande scialle vibrante. Lo scialle d’ombra strinse sempre più il corpo della Maga, finché la presa non fu tanto forte da darle le vertigini. La vecchia non si spaventò, conosceva bene tutte le fasi del processo. Fece un altro respiro profondo e un attimo dopo sentì che veniva inghiottita per intero. Ormai era immersa nell’ombra come in un mare di notte. Trattenne il fiato e, sospesa nel fluido nero, capì di calare sempre più in un abisso senza fondo. Così doveva essersi sentita la povera Anna prima di annegare.