[CP 18] Turno in fabbrica

1
Ciàula scopre la luna. (Luigi Pirandello)
I picconieri, quella sera, volevano smettere di lavorare senz’aver finito d’estrarre le tante casse di zolfo che bisognavano il giorno appresso a caricar la calcara. Cacciagallina, il soprastante, s’affierò contr’essi, con la rivoltella in pugno, davanti alla buca della Cace, per impedire che ne uscissero.
– Corpo di… sangue di… indietro tutti, giù tutti di nuovo alle cave, a buttar sangue fino all’alba, o faccio fuoco!
– Bum! – fece uno dal fondo della buca. – Bum! – echeggiarono parecchi altri; e con risa e bestemmie e urli di scherno fecero impeto, e chi dando una gomitata, chi una spallata, passarono tutti, meno uno. Chi? Zi’ Scarda, si sa, quel povero cieco d’un occhio, sul quale Cacciagallina poteva far bene il gradasso. Gesù, che spavento! Gli si scagliò addosso, che neanche un leone; lo agguantò per il petto e, quasi avesse in pugno anche gli altri, gli urlò in faccia, scrollandolo furiosamente:
– Indietro tutti, vi dico, canaglia! Giù tutti alle cave, o faccio un macello!
Zi’ Scarda si lasciò scrollare pacificamente. Doveva pur prendersi uno sfogo, quel povero galantuomo, ed era naturale se lo prendesse su lui che, vecchio com’era, poteva offrirglielo senza ribellarsi. Del resto, aveva anche lui, a sua volta, sotto di sé qualcuno più debole, sul quale rifarsi più tardi: Ciàula, il suo caruso.
Quegli altri… eccoli là, s’allontanavano giù per la stradetta che conduceva a Comitini; ridevano e gridavano:
– Ecco, sì! tieniti forte codesto, Cacciagallì! Te lo riempirà lui il calcherone
– Gioventù! – sospirò con uno squallido sorriso d’indulgenza zi’ Scarda a Cacciagallina.
E, ancora agguantato per il petto, piegò la testa da un lato, stiracchiò verso il lato opposto il labbro inferiore, e rimase così per un pezzo, come in attesa.
Era una smorfia a Cacciagallina? o si burlava della gioventù di quei compagni là?
Veramente, tra gli aspetti di quei luoghi, strideva quella loro allegria, quella velleità di baldanza giovanile. Nelle dure facce quasi spente dal bujo crudo delle cave sotterranee, nel corpo sfiancato dalla fatica quotidiana, nelle vesti strappate, avevano il livido squallore di quelle terre senza un filo d’erba, sforacchiate dalle zolfare, come da tanti enormi formicaj.
Ma no: zi’ Scarda, fisso in quel suo strano atteggiamento, non si burlava di loro, né faceva una smorfia a Cacciagallina. Quello era il versacelo solito, con cui, non senza stento, si deduceva pian piano in bocca la grossa lagrima, che di tratto in tratto gli colava dall’altro occhio, da quello buono.
Aveva preso gusto a quel saporino di sale, e non se ne lasciava scappar via neppur una.
Poco: una goccia, di tanto in tanto; ma buttato dalla mattina alla sera laggiù, duecento e più metri sottoterra, col piccone in mano, che a ogni colpo gli strappava come un ruglio di rabbia dal petto, zi’ Scarda aveva sempre la bocca arsa: e quella lagrima, per la sua bocca, era quel che per il naso sarebbe stato un pizzico di rapè.
Un gusto e un riposo.
Quando si sentiva l’occhio pieno, posava per un poco il piccone e, guardando la rossa fiammella fumosa della lanterna confitta nella roccia, che alluciava nella tenebra dell’antro infernale qualche scaglietta di zolfo qua e là, o l’acciajo del palo o della piccozza, piegava la testa da un lato, stiracchiava il labbro inferiore e stava ad aspettar che la lagrima gli colasse giù, lenta, per il solco scavato dalle precedenti.
Gli altri, chi il vizio del fumo, chi quello del vino; lui aveva il vizio della sua lagrima.
Era del sacco lacrimale malato e non di pianto, quella lagrima; ma si era bevute anche quelle del pianto, zi’ Scarda, quando, quattr’anni addietro, gli era morto l’unico figliuolo, per lo scoppio d’una mina, lasciandogli sette orfanelli e la nuora da mantenere. Tuttora gliene veniva giù qualcuna più salata delle altre; ed egli la riconosceva subito: scoteva il capo, allora, e mormorava un nome:
– Calicchio…
In considerazione di Calicchio morto, e anche dell’occhio perduto per lo scoppio della stessa mina, lo tenevano ancora lì a lavorare. Lavorava più e meglio di un giovane; ma ogni sabato sera, la paga gli era data, e per dir la verità lui stesso se la prendeva, come una carità che gli facessero: tanto che, intascandola, diceva sottovoce, quasi con vergogna:
– Dio gliene renda merito.
Commento: viewtopic.php?f=37&t=4822&p=74166#p74166
Blackout Poetry
Ciàula scopre la luna. (Luigi Pirandello)

Titolo: Turno in fabbrica

Quella sera,
lavorare senz'aver finito,
a buttar sangue
e bestemmie.

Tra quei luoghi
strideva quella baldanza giovanile,
nel corpo sfiancato
dalla fatica quotidiana.

Occhio pieno,
lagrima,
a lavorare;
la paga,
come una carità.
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

2
ciao bwv
da perfetto ignorante in materia ti dico che a me la tua poesia è piaciuta
mi è piaciuta la facilità di comprensione: la si legge una volta ed è subito chiara, a differenza di tutte le altre che anche dopo venti letture lasciano più dubbi che certezze... ora attendiamo i commenti di chi è davvero bravo nelle analisi, però secondo me estrapolare un concetto preciso, fluido, in maniera chiara e (anche grazie al titolo) riuscire a comunicare uno stato d'animo, una critica al mondo del lavoro, non è semplice
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

3
@bwv582 lo sapevo, ci avrei giurato! Lavoro eccellente. Il testo arriva con una sorprendente immediatezza, per essere realizzato con la tecnica del blackout poetry. Ci si trova davanti al  lavoro estenuante e mal retribuito di un operaio di fabbrica. La prima strofa ci risucchia in quel lavoro senza fine, senza tregua, nella seconda c'è l'incongruenza tra la baldanza giovanile e il corpo sfiancato, nella terza, che chiude il testo, troviamo l'umiliazione, la paga che sembra una carità. Chi legge i tuoi versi non può che rimanere preso dalla voce reale, si percepisce in modo inequivocabile il vissuto sotto il giogo di un lavoro che logora corpo e speranze. Il ritmo ha le giuste sonorità. 

Anche a te: Bravo, bravo, bravo.

 

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

4
@NanoVetricida concordo pienamente con il tuo commento. La poesia di @bwv582  è ssolutamente chiara e godibile.  (y)

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

5
@bwv582 sono contenta che hai partecipato anche tu, mi piace leggerti e vederti sperimentare i temi dei contest!

Concordo assolutamente con i commenti di @NanoVetricida e @Adel J. Pellitteri: la tua poesia è chiara, propone un racconto preciso e con cui tutti possiamo relazionarci. E decisamente non è facile con questo stile di componimento.

Personalmente, l'ho anche trovata godibile a livello musicale, perciò ti faccio tutti i miei complimenti.

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

6
Vi ringrazio molto, @NanoVetricida, @Adel J. Pellitteri, @Claire1987 per il commento e l'apprezzamento.
Però sul serio: è la fortuna del principiante, però è un piacere mettermi alla prova quando riesco (anche con qualcosa di lontano da me come in questo caso). :sss: 
https://www.facebook.com/curiosamate

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

7
Turno in fabbrica

Quella sera,
lavorare senz'aver finito,
a buttar sangue
e bestemmie.

Tra quei luoghi
strideva quella baldanza giovanile,
nel corpo sfiancato
dalla fatica quotidiana.

Occhio pieno,
lagrima,
a lavorare;
la paga,
come una carità.

@bwv582, complimenti! Non dire più che la poesia non fa per te. Sei riuscito a dare forma e sostanza a un componimento saturo di significato attraverso un minuzioso lavoro sulle strutture sintattiche e sul lessico scelto. Bravissimo. 
https://www.amazon.it/rosa-spinoZa-gust ... B09HP1S45C

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

8
@bwv582  (y)

Complimenti! Hai "estratto" uno spaccato poetico su un turno di fabbrica del novecento, o comunque di un periodo e di
un luogo dove gli operai non avevano tutele sindacali di sorta.
Un bel lavoro!
Spero tu intervenga ancora nei contest, anche di prosa. Nel prossimo contest di poesia, non guidata come questa, sono convinta tu possa fare altrettanto bene, perché hai la sensibilità e il ritmo per riuscirci.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

9
@bwv582

Direi quasi una poesia “sociale”, in una ambientazione moderna ma che potrebbe essere anche in un'altra epoca.
Un lavoro che ti fa bestemmiare è una doppia condanna: come uomo in mezzo agli altri uomini e come uomo nel suo rapporto con Dio, nella presunzione o speranza che anche il più ateo degli uomini abbia in fondo la segreta speranza di risolvere l’enigma di Dio.
Sembra di vederli nell’ambiente squallido di una fabbrica quel gruppo di uomini ancora giovani, baldi pieni di aspettativa di vita, di gioia, di speranze, come appaiono sfiancati, avviliti, delusi e arresi davanti a quella ripetitiva fatica quotidiana, come una condanna.
Qualcuno piange, una lacrima di sfuggita, non un pianto copioso, forse per vergogna verso se stessi e nei confronti degli altri. Ma talvolta anche una sola lacrima a solcare il volto di un uomo, di un giovane, è ancora più dolorosa. Significa l’offesa, il dolore di non essere stati considerati nella propria umanità, nella propria dignità. Significa essere stati calpestati e tutto questo a norma di legge, accettato, ignorato da chi ha il potere di porvi rimedio, cambiare le cose. E invece no.
È una lacrima di dolore e di rabbia, per quanto non espressa con enfasi o con rabbia.
La paga poi, data come una carità, una degnazione del padrone, forse un fastidio di cui vorrebbe anche poterne fare a meno, se ne avesse la sia pur minima possibilità.
Una poesia sociale, per come la vedo io, ben riuscita.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [CP 18] Turno in fabbrica

10
ciao @bwv582

Quella sera,
lavorare senz'aver finito,
-----------------------------------------------------------------------
Bella battuta. In effetti, a ogni fine turno, corrisponde l'inizio di un altro turno. La ruota del criceto :D
a buttar sangue
e bestemmie.
--------------------------------------------------------------------------------------

Tra quei luoghi
strideva quella baldanza giovanile,
nel corpo sfiancato
dalla fatica quotidiana.
--------------------------------------------------------------
Questo pezzo lo potevi evitare, anche perché...

Occhio pieno,
lagrima,
a lavorare;
la paga,
come una carità.
---------------------------------------------------------------------------
L'urlo di rabbia del lavoratore si materializza in in questo finale.. Roba da mandare alla festa dell'Unità.  (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Return to “Contest di poesia”