A volte

1
(Racconto in migrazione da WD per Caronte)

Torno in albergo con gli occhi rossi di pianto, come di rientro da un incontro sentimentale finito male.
È quello che è accaduto.
La storia “d’amore” tra me è mio padre è finita.
Ero venuta a riprenderlo. Credevo che un anno di riflessione fosse stato più che sufficiente per lui e per mia madre.
Non ne potevo più di vedere lei gettata sul divano incapace di riprendere la sua vita in mano.
In questi lunghi mesi non ho mai capito se del suo uomo le mancasse più il lato pratico o quello sentimentale: mio padre che l’aiutava con i sacchetti della spesa e i pagamenti online, o le chiacchiere a letto prima di dormire.
Li vedevo, li sentivo e mi dicevo “questo è amore”, poi sono cominciate le discussioni nella loro camera e ancora mi dicevo “si confrontano”, ma a queste seguirono i silenzi, “finalmente hanno fatto pace” mi dissi.
Invece quel silenzio aveva diviso in due il letto matrimoniale trasformandolo in due lettini singoli.
Mia madre da allora non ha più avuto capacità di reagire, si è lasciata schiacciare da un’apatia che le sta togliendo la vita. Ha perso perfino il colore degli occhi, sì, quella luce che li rendeva brillanti ed entusiasti.

Ho trovato mio padre con un bambino, di circa due anni, avvinghiato alle sue gambe e al fianco una donna.
Lei è una sorta di Rambo in gonnella, non che sia mascolina, tutt’altro, ma è una di quelle donne che gestiscono tutto, anche la vita degli altri, soprattutto quella dei maschi.
Lo ha capito anche suo figlio, ecco perché sta avvinghiato alle gambe di nostro padre piuttosto che a quelle di sua madre.
Il mio genitore l’ho perso per sempre, non mi guarda più con gli stessi occhi di un tempo, questi sembrano velati da una foschia, e a lui, mio padre, la realtà sfugge.
L’ho trovato smagrito, nonostante indossi un giubbotto di pelle con il bavero rialzato alla Fonzie, ha le spalle cascanti.
Mio padre non lo sa, ma ha già indossato i panni di mia madre, per quanto cerchi di spiegarmi che adesso ha un’altra vita, non sa che lui una vita non ce l’ha più.

Il portiere di notte mi porge le chiavi e mi chiede: «Tutto bene?»
Domanda retorica alla quale rispondo con un’altra domanda: «Lei è sposato?»
«Sì»
«Lo ha fatto per amore?»
Strabuzza gli occhi e afferma: «Certo che sì.»
«Ha figli?»
«Due ancora piccoli.»
«Allora stia attento, non si lasci coinvolgere in un’altra storia. Non faccia male alle persone che ama o che avrà amato. Nessuno ne guadagnerebbe molto, lei meno che gli altri.»
Ci resta male. O è già coinvolto oppure deve difendere la categoria degli infedeli perché mi risponde: «A volte si trova la persona giusta solo troppo tardi.»
Prendo le chiavi dal banco e mi allontano: «A volte – rispondo – solo a volte.»

Re: A volte

2
Ciao, @Adel J. Pellitteri , il racconto mi è piaciuto, ma parto subito con una piccola critica:

"Lei è una sorta di Rambo in gonnella, non che sia mascolina, tutt’altro, ma è una di quelle donne che gestiscono tutto, anche la vita degli altri, soprattutto quella dei maschi."

Questo pezzo non mi suona tanto bene, per due motivi. Intanto, per la persona che vuoi descrivere, secondo me puoi trovare un paragone più appropriato di Rambo, anche più letterario, perché no. Inoltre, mi lascia un'impressione del narratore come di una persona superficiale, che si fa un'idea di una persona a prima vista. Magari eri quello che volevi comunicare, ma il racconto penso debba dare l'idea del narratore come di una persona dotata di saggezza. Però (ho pensato) magari il narratore sapeva già altre informazioni sulla nuova compagna del padre, e perciò questo giudizio non è affrettato, ed è giustificato. Però rivedrei un attimo il pezzo, fossi in te.

Questa, sostanzialmente, è l'unica critica che mi sento di fare, e non sono nemmeno sicuro sia giustificata. Ho trovato il racconto molto incisivo, improntato a un amaro realismo. Inoltre, sei riuscita con grande abilità a descrivere una situazione di una certa complessità nel giro di pochissimi paragrafi. C'è tutto. La depressione della madre, l'amarezza (la disillusione) del narratore, il giudizio sul comportamento spesso poco coerente di alcune persone. Mi è piaciuto come tu abbia fatto emergere, tramite le parole del custode, quello che tanti pensano e dicono, in situazioni del genere. Il giudizio del narratore è lapidario. Non si possono rovinare due vite per inseguire un sogno. Materiale su cui riflettere.
Ho trovato molto forte l'incipit. Il rapporto incrinato col padre descritto come la fine di una storia d'amore.
Lo stile è scarno ed efficace, adatto alla storia raccontata. La storia mi è sembrata chiara e ben strutturata e non riesce assolutamente ad annoiare il lettore, anzi. Spero il mio commento ti sia risultato utile. Leggo che il racconto era già presente su Writer's Dream. Mi scuso se ho scritto cose a te già note. Buon lavoro!
https://domenicosantoro.art.blog/

Re: A volte

4
Il racconto è scritto bene. non c'è dubbio. E' evidente il punto di vista della protagonista, assolutamente partigiano, che si concretizza nella critica alla nuova compagna del padre, che lei non conosce ma giudica, nonché nel compiangere sua madre, abbandonata e dolente. Capita spesso nella realtà, che la fine di un matrimonio sia imputata, tanto più dai figli rimasti a vivere con uno degli ex coniugi, all'altro, mentre spesso le colpe - se tali si possono definire - sono da distribuirsi equamente tra i due. Per questo motivo ritengo il racconto paradossalmente obiettivo.
Un saluto.
Mario Izzi
Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni (trilogia)
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: A volte

5
@Cheguevara scusa se rispondo in ritardo ma non mi hai taggata quindi non mi è arrivata la notifica. Ti ringrazio per l'apprezzamento. Raccontando dal punto di vista della figlia, è chiaro che la critica nei confronti della donna le venisse spontanea. C'è tutta una forte delusione per via della scoperta: Il padre è andato via da casa da un anno, mentre il bambino che ha sulle gambe ne ha già due. Se si aggiunge anche un minimo di tempo di corteggiamento tra i due, il tradimento scava una ferita profonda. In un tempo successivo si può andare avanti e provare a ritrovarsi, ma io ho cercato di descrivere l'impatto del momento, una scoperta insospettabile che stravolge e fa male. Grazie per avere commentato.

Re: A volte

6
Ciao carissima Adel J. Pellitteri

Ho molto gradito questo tuo racconto, oltre alla consueta qualità della tua prosa, sulla quale, soffermandomi, non potrei che rinnovare i complimenti
che già, nei tuoi racconti letti e commentati in passato, ho apiamente espresso.
In questo tuo nuovo lavoro ho trovato assai riuscito il taglio essenziale, quasi di documentazione fotografica, con cui riassumi in poche, significative, istantanee il racconto di un dramma famigliare visto attraverso gli occhi di una figlia.

Abbiamo qui una figlia unica, innamorata della figura paterna, ma
direi più estesamente dei suoi genitori intesi come un nucleo affettivo
unicellulare.
Forse è più consueto nei figli unici di considerare come sacro e indivisible
il rapporto matrimoniale dei propri genitori.
Non solo per quanto concerne l’aspetto strutturale di vederli come
unità integra, famiglia, focolare domestico, ma anche come comunione spirituale, di conservazione affettiva, di amore reciproco e ininterrotto nel tempo.
L’armonia matrimoniale, nonché l’amore tra i propri genitori, rappresenta per loro una sorta di garanzia sui fondamenti e le solidità delle proprie certezze esistenziali. Un archetipo di porto sicuro, di faro a cui guardare per regolare o rafforzare la qualità delle proprie esperienze sentimentali e di vita.
Nel racconto rappresenti la difficoltà di una figlia a comprendere e accettare che la divisione di questo nucleo di affetti primario, possa a un certo punto verificarsi, attraverso azioni e meccanismi in apparenza incomprensibili.
Il padre che abbandona la famiglia oltre che gettare nell’angoscia la moglie, viene vissuto come un traditore non solo verso di essa, ma anche e soprattutto un traditore dell’amore verso la propria figlia.
“La storia “d’amore” tra me è mio padre è finita.”
E’ indicativa anche l’intenzione della figlia, nell’incontrarlo, di sperare di ricondurlo a casa, alla famiglia che ha abbandonato.
Poco importa quali siano state le ragioni che hanno generato quella scelta estrema nell’uomo, lei nutre evidentemente la speranza che l’amore paterno per lei possa essere un richiamo tanto forte da indurlo a tornare sui suoi passi, cancellare la nuova vita e la nuova famiglia che ora possiede.
Ma questo non avviene, poiché il padre è evidentemente ormai organico alla sua nuova situazione sentimentale, padre di un bimbo piccolo e succube della donna che lo ha sottratto alla sua famiglia iniziale.
E’ una delusione cocente, perché questa figlia vede crollare, a fronte dell’evidenza, ogni sua velleitaria speranza di recuperere il proprio genitore.
Qui la percezione di amore tradito diventa evidente, l’altra donna appare in tutto come la “nemica”, l’antagonista vincente con tutte le peculiarità anche fisiche dell’usurpatrice, della bieca ladra di uomini.
C’è anche un moto di pena verso quel padre traditore, ma evidentemente circuito e plagiato dalla virago, che paga, con lo sfiorare il ridicolo nell’abbigliarsi, il sogno puerile di un uomo maturo che cerca un ultimo bagliore di giovinezza, nell’accompagnarsi a una donna che ha forse la
metà dei suoi anni.
Questa pena, più che un disprezzo per il fedifrago, è nel rimprovero amaro che trapela nel dialogo finale col Portiere dell’albergo, dove la domanda che resta è quel chiedersi se la distruzione del rapporto di una vita, visto quanto ha prodotto nel suo risultato finale, sia realmente pagante, se ne sia valsa la pena.

Personalmente, dalla sommità dei miei quasi cinquant’anni di matrimonio, potrei
rispondere di no. Benché non mi possa portare a esempio di eterna fedeltà. Ma reputo che nella bilancia tra una passione più o meno momentanea e la storia di un’intera esistenza, non ci siano dubbi sulla
scelta finale.

Complimenti per il racconto e a presto rileggerti.
Un abbraccio, amica mia.

Re: A volte

7
ciao @Adel J. Pellitteri . Sarò onesto, il racconto non mi convince del tutto.
Adel J. Pellitteri ha scritto: Torno in albergo con gli occhi rossi di pianto, come di rientro da un incontro sentimentale finito male.
È quello che è accaduto.
Parti con una similitudine "come di rientro", poi spieghi che in verità è "quello che è accaduto". La cosa l'ho trovata stonata, quel "come" non mi convince. E' una cosa che è accaduta, non è "come" se fosse accaduta.
Adel J. Pellitteri ha scritto:La storia “d’amore”
Premesso che non amo le virgolette nei racconti, credo che in questo caso debba rientrare anche storia nel virgolettato: "storia d'amore".
Adel J. Pellitteri ha scritto: Li vedevo, li sentivo e mi dicevo “questo è amore”, poi sono cominciate le discussioni nella loro camera e ancora mi dicevo “si confrontano”, ma a queste seguirono i silenzi, “finalmente hanno fatto pace” mi dissi.
In questo periodo usi le virgolette per riportare pensieri, all'inizio del racconto li hai utilizzati per virgolettare un concetto. Forse sarebbe stato meglio cercare un segno grafico diverso, ma non sono un esperto di impaginazione.
Adel J. Pellitteri ha scritto: Invece quel silenzio aveva diviso in due il letto matrimoniale trasformandolo in due lettini singoli.
lascerei solo:
"Quel silenzio aveva diviso in due il letto"
Adel J. Pellitteri ha scritto: Lei è una sorta di Rambo in gonnella, non che sia mascolina, tutt’altro, ma è una di quelle donne che gestiscono tutto, anche la vita degli altri, soprattutto quella dei maschi.
Potrebbe sembrare strano che da una prima occhiata si possano carpire tutti questi aspetti di una persona, ma mi rendo conto che a volte è proprio così, anche in considerazione del fatto che la protagonista è evidentemente coinvolta emotivamente.
Adel J. Pellitteri ha scritto: Lo ha capito anche suo figlio, ecco perché sta avvinghiato alle gambe di nostro padre piuttosto che a quelle di sua madre.
Questo non mi è chiarissimo, cosa ha capito anche suo figlio? che la madre gestisce tutto? non vedo il nesso al fatto che si sia avvinghiato alle gambe del padre della protagonista. Perché hai usato "nostro", suo e di chi? del bambino? è il padre naturale del bambino o già lo considera come padre adottivo?
Adel J. Pellitteri ha scritto: Mio padre non lo sa, ma ha già indossato i panni di mia madre, per quanto cerchi di spiegarmi che adesso ha un’altra vita, non sa che lui una vita non ce l’ha più.
Da questa frase quella che ne esce peggio è la madre...
Adel J. Pellitteri ha scritto: «Allora stia attento, non si lasci coinvolgere in un’altra storia. Non faccia male alle persone che ama o che avrà amato. Nessuno ne guadagnerebbe molto, lei meno che gli altri.»
Allora. torna in albergo, il portiere gli chiede come va, e la donna gli risponde che non deve tradire la moglie, mi pare un discorso un po' forzato, ma magari è una forzatura narrativa che ci può stare. Potresti provare ad allungare un po' il discorso facendo in modo che si vada a parare sul tradimento in maniera più graduale.

Un racconto che si muove seguendo due rotte: la narrazione pura, in cui la donna vive la situazione familiare e va alla ricerca del padre e una narrazione emotiva, in cui vengono riportati gli stati d'animo della protagonista, il suo viaggio interiore e una sorta di elaborazione del lutto per aver perso l'affetto del padre. Il testo ha molti spunti, dovrebbe avere più spazio e svilupparsi in più caratteri, credo che ampliandolo possa migliorare sensibilmente.
Ho notato qualche incertezza formale, il flusso di coscienza della protagonista deve essere limato per essere più efficace.

Scusa se sono risultato antipatico.
A rileggerti.

Re: A volte

8
@Nightafter non avrei saputo spiegarlo meglio di così. Hai colto ogni sentimento, ogni minima sfumatura, ogni immagine, ogni mia intenzione. Sei il lettore che ogni autore sogna e io non ho parole per ringraziarti. Il tuo apprezzamento è la ricompensa al dolore alla schiena (per la troppa immobilità) e agli occhi stanchi (assetati sempre di lettura).
Grazie a te, amico mio.

Re: A volte

9
Scusa se sono risultato antipatico.

Non sei stato affatto antipatico. Qui siamo tenuti a esprimere liberamente il nostro giudizio su un testo, il modo in cui lo abbiamo percepito e recepito e questo è ciò che hai fatto. Comprendo perfettamente il tuo punto di vista, e per spiegarti il mio ti rimando al commento di @Nightafter, poco sopra, che risponde punto per punto alle tue osservazioni. Puoi non condividerle, e lo capisco, ma queste erano le mie intenzioni nel tracciare un dramma famigliare raccontato dal punto di vista di una figlia.

@ITG ciao, grazie infinite per avere commentato, ti leggerò con piacere.

Re: A volte

10
Adel J. Pellitteri ha scritto: mar feb 16, 2021 6:20 am @Nightafter non avrei saputo spiegarlo meglio di così. Hai colto ogni sentimento, ogni minima sfumatura, ogni immagine, ogni mia intenzione. Sei il lettore che ogni autore sogna e io non ho parole per ringraziarti. Il tuo apprezzamento è la ricompensa al dolore alla schiena (per la troppa immobilità) e agli occhi stanchi (assetati sempre di lettura).
Grazie a te, amico mio.
Mia dolce amica.
Le tue parole rafforzano ancor più la convinzione che sto maturando da tempo.
Devo smettere di tentare di scrivere e concentrarmi, invece, nella promettente attività di lettore professionale :)

Un abbraccio.
Rispondi

Torna a “Racconti”