Le scarpette rosse

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La luce del mattino filtra dalle tapparelle proiettando figure sinistre sul muro. Ne individua subito un nasino, una bocca, delle manine. Angela chiude gli occhi e si gira dall'altra parte. Fra poco suonerà la sveglia. Non ha voglia di alzarsi, tantomeno di vestirsi. A malapena è riuscita a stirare la camicia la sera prima.
Angela non esce di casa dal giorno dell'incidente. Lo chiamano così per non urtare la sua sensibilità, ma lei sa che è stato un tentato omicidio. Il colpevole ha un nome, un indirizzo. A lui però nessuno cerca. Non è obbligato a mettere a nudo la propria anima. Angela ce l'ha un'anima? Una volta lo credeva, ora non più. Il bastardo ha ucciso in lei ogni voglia di vivere.
Non vuole parlare di lui, soprattutto non con un'estranea. Ma ormai non ha alcuna voce in capitolo, le hanno già fissato il primo appuntamento. La trattano come se fosse malata: telefonano di continuo, bussano alla porta, portano da mangiare. Angela vuole solo essere lasciata in pace. Perché la gente non si fa gli affari suoi?
Anche a distanza il bastardo continua a dominare i suoi pensieri. Insinuatosi nella mente, si aggira indisturbato tra i ricordi come un serpente, pronto ad avvelenare un ultimo briciolo di vita. Il mondo una volta a colori si tinge di oscurità e inghiotte Angela. Il corpo senza peso, sfregiato e umiliato, fluttua oscillante tra ieri e oggi.

Di fronte allo specchio una figura fasciata in un vestito candido si muove sinuosa, le mani incrociate davanti al busto. Una risata fragorosa si leva dal petto. L'amore dentro di lei pulsa al massimo, impaziente di sprigionarsi nell'aria.
Bussano alla porta. Angela si gira, le labbra incurvate quanto basta per far vedere denti splendenti ma irregolari. Il volto di sua madre fa capolino. È giunta l'ora. Angela annuisce e dopo aver dato un ultimo sguardo all'acconciatura e al vestito da lei disegnato per l'occasione segue la donna fuori. Sorridenti, salgono in macchina abbellita a festa.
Suona la marcia nuziale. Sottobraccio al padre, Angela entra in chiesa, le labbra secche, lo sguardo umido. Non vede che Stefano, così bello in quell'abito scuro che mette in evidenza il suo corpo vigoroso. Gli va incontro con le gambe che sembrano squagliarsi sotto una lava di emozioni indescrivibili. Arrivata a pochi passi da lui, il compagno abbozza un sorriso smagliante e la prende per mano. Si scambiano delle occhiate d'intesa e d'impazienza.

Era iniziata così, con un gesto semplice, quella vita a due sognata a occhi aperti per tanti, troppi anni: un piccolo appartamento, comprato con l'aiuto dei genitori di entrambi; una macchina scassata di seconda mano, acquistata con non pochi sacrifici; un gatto trovatello che le faceva compagnia nelle giornate in cui il marito si allontanava per fare il venditore porta a porta; un desiderio di maternità così forte da corrodere l'anima.
Ogni volta però che provava ad accennare all'argomento, Stefano diventava sfuggente, cupo. Per lui non era mai il momento giusto. Al lavoro non ingranava come sperava; per mantenere una famiglia ci voleva un conto corrente a diversi zeri e quello in comune a malapena bastava per sopperire alle esigenze basilari. Piuttosto di irritarlo, Angela taceva e in sua assenza si sfogava con una statuetta di Madonnina, l'unica vera alleata in quella casa. Nelle preghiere trovava il conforto, la forza di alzarsi ogni mattina per compiere a malincuore i doveri di moglie: preparare il caffè e la colazione, cucinare, stirare le camicie, pulire su pulito pur di non pensare.
Per un lungo periodo aveva ingannato se stessa e i suoi familiari, cieca e sorda davanti al naufragio di una relazione in cui il significato della parola amore veniva distorto in continuazione. La dolcezza dei primi tempi fu presto sostituita con le carezze dal sapore amaro del sangue in bocca. Bastava un nonnulla per far scatenare l'ira di Stefano. Per quanto si fosse sforzata a parole e gesti, Angela non riusciva a sedare il suo animo inquieto. Quell'uomo crudele e sadico non l'aveva mai amata, ma ormai era tardi per tornare indietro.

Angela riapre gli occhi cercando di venire fuori dal vortice dei ricordi, ancora vividi nonostante siano passati diversi anni bui in cui l'unica cosa a tenerla in vita era la speranza.
Stupida, si dice mordendosi la lingua. Il bastardo non era cambiato nemmeno per l'amore di quella creaturella innocente che cresceva nella pancia, frutto di una notte di botte, lacrime e urla soffocate con la mano nell'atto della sacra unione. Così la chiamava lui, per Angela era l'ennesima violazione: dopo averle fottuto la mente a lungo, il corpo era l'ultima frontiera da abbattere prima di annientarla per sempre.
Non volevi diventare madre? Allora perché stai frignando ora? Le parole del bastardo mentre chiudeva il zip dei pantaloni e le girava le spalle risuonano ancora negli angoli remoti del cervello. Angela non ha dimenticato, come potrebbe? Quella voce malvagia l'aveva accompagnata non solo durante la gravidanza, ma anche prima di aver scoperto di essere incinta. Il bastardo godeva nel vederla in ginocchio, umiliata e buttata via dopo come un vecchio straccio.
Di questo e tanto altro dovrebbe ora parlare con quella sconosciuta, se solo ne avesse forze e voglia. Ma non serve. Non cancellerà le tracce delle mani del bastardo durante la spinta, né i suoi calci nel ventre, tantomeno la furia negli occhi mentre si allontanava con il bicchiere semivuoto scaraventato poi contro il muro. Perché vogliono costringerla a rivelare i dettagli di quell'orribile notte? Già ammettere a se stessa è una tortura, figurarsi ripetere le stesse parole a un'estranea.
Angela sa bene come sono andate le cose. È inutile che il bastardo ora neghi l'evidenza e dica le bugie. L'ha dipinta come una moglie instabile, pericolosa per se stessa e gli altri. Ha fatto tutto da sola, così ha dichiarato. L'ha descritta come se fosse lei il mostro e non viceversa. Aveva così tanto desiderato di diventare mamma che la sua ossessione era sfociata in una pazzia tale da far male al proprio corpo e al feto. Non soddisfatta del tutto, la sua mente diabolica aveva dato la colpa dell'accaduto a lui: un marito e futuro padre di tutto rispetto.
Angela scuote la testa. In poco tempo, grazie al bastardo, è passata da vittima a carnefice e tutto per colpa di una prova inconfutabile: le scarpette rosse di lana, fatte con le sue stesse mani nei primi mesi di gravidanza. Fino al giorno della scoperta, Angela era convinta di portare nel grembo una feminuccia. Le aveva dato persino un nome: Serena. Per lei aveva dipinto la cameretta in rosa, comprato bambole e peluche. Il cuore ormai aveva la certezza.
Angela sorride appena a evocare le immagini dell'ecografia. Nonostante l'iniziale dispiacere, non avrebbe mai e poi mai nuociuto al suo figlio. Dipingerla ora come una criminale che aveva deciso di interrompere una gestazione avanzata per rancore non ha senso. Le scarpette rosse erano soltanto un ricordo, messo via in attesa che arrivasse una femminuccia. Nutrire la speranza che Stefano potesse cambiare solo perché era diventato di colpo meno aggressivo, quello sì che era una pazzia. I mostri non cambiano.
Angela sbuffa e intreccia le mani con uno schiocco. È ancora in pigiama. Se non vuole casini, sarà meglio che cominci a vestirsi. Va al cassetto e mentre cerca qualcosa in fondo si osserva sullo specchio del mobile. Le guance si colorano di rosso, uguale gli occhi. Angela sospira tirando fuori un involucro e lo apre. La lana è ancora morbida al tocco e profuma di detersivo. Accosta le scarpette alle labbra e le bacia come se fossero i piedini del suo bebè. La mancanza è ancora forte e lo sarà sempre, finché vivrà.
Piccoli Grandi Sognatori

 Without faith, without hope, there can be no peace of mind. [cit.]
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