[H2022R] Gli affiliati

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Commento: premio Labocontest n. 2

Carta n. 8: Rosso: Il sangue, la ferita, il patto

Gli affiliati

Sprazzi di luce rapidi bucano il buio. Vedo qualcosa. La manica di una maglia o di una giacca. Un cono giallo che mi abbaglia un istante e sparisce. Movimenti neri sullo sfondo.
E rumori di cui non indovino l'origine. Passi strascicati, direi, come di pantofole sul pavimento, respiri affannati e un suono strano, indecifrabile. Se non fosse assurdo direi un frullio di ali.
Dopo sento altri rumori inequivocabili: una porta che si chiude e un giro di chiavi nella toppa. A questo punto sprofondo in un buio denso, viscoso. La porta, anche se c'è, pare sigillata e non filtra alcuna luce. Finestre non ce ne sono. Altrimenti anche un minimo barlume entrerebbe.
Le persone che mi hanno presa hanno lasciato accanto a me una coperta. Una forma di gentilezza, mi viene da pensare, nonostante tutto. La uso per stendermi su qualcosa di più morbido delle mattonelle del suolo. Se mi verrà freddo, vedrò che fare. Oltre alla coperta c'è anche un catino vuoto, per i miei bisogni, intuisco. Per ora non ho intenzione di esplorare la stanza, sento il corpo pesante, che si adagia a terra senza interpellarmi. Ho sonno, ho solo sonno e chiudo gli occhi. 

Mi sveglio senza alcuna ragione. Di solito c'è un suono o una luce che ci distoglie dal sonno, ma qui mi ritrovo esattamente nella stessa situazione in cui mi sono addormentata: silenzio e buio. Ricordo solo due persone, un uomo e una donna, che si sono avvicinate a me nel vicolo in cui dormivo. Poi ricordo il sonno pesante, una calamita da cui era impossibile staccarsi. Devono avermi drogata con qualcosa. Infine questa stanza dal buio impassibile.
Quello che più mi dà fastidio è non sapere come scorre il tempo. Se è giorno o notte, se ho dormito per minuti o ore. 
Sono avvolta nella coperta, devo aver sentito freddo mentre dormivo. Me la tolgo di dosso e inizio a tastare il suolo accanto a me con le mani. Non c'è niente, tranne le mattonelle fredde del pavimento, ne seguo i solchi squadrati con le dita. Dopo aver esaurito lo spazio immediatamente vicino a me, mi metto carponi e proseguo nella ricerca. Trovo una parete. Mi metto in piedi per toccarla meglio. È un muro liscio, polveroso. Decido di continuare a esplorare il perimetro della stanza. Le mie mani sfiorano la parete, ne studiano le irregolarità e i rilievi, ma ciò che capisco è che si tratta di un muro spoglio, probabilmente di una stanza vuota.
Proseguo fino a toccare una superficie diversa: il legno dello stipite di una porta. Tasto il telaio, poi la porta vera e propria, sento il freddo della maniglia, il disegno della toppa, infine lo stipite del lato opposto. La supero e tocco di nuovo il muro. Poi proseguo fino all'angolo.
Rallento. Un sudore freddo mi cola dalla fronte, sul collo, sulla schiena, man mano che procedo e mi rendo conto che la stanza è davvero vuota. Che io non abbia appigli e non trovi qualcosa, un mobile, un oggetto, mi getta nello sgomento, in un inizio di panico. Dove sono? Perché quelle due persone mi hanno portata qui? Tocco il muro e davanti agli occhi, aperti o chiusi che siano, mi ballano davanti quelle macchie informi dai colori cangianti che ingannano i sensi in mancanza di luce, residui di fotogrammi impressi nella retina, prodotti inconsulti del nervo ottico. Il mio intero corpo è un fascio di nervi pronto a captare un suono o un odore. Mi pare di sentire ancora i passi strascicati di prima, il frullio d'ali. L'odore che sento è quello dell'intonaco, lo stesso che mi impregna i palmi delle mani. In sottofondo sento anche un odore pungente, di guano e piume.
Ho completato il giro della stanza: sto toccando di nuovo la porta. Mi inginocchio e striscio verso la coperta. Mi ci avvolgo, come in un bozzolo, a proteggermi dalla domanda che finora non ho usato formulare nemmeno a me stessa: quei due, quella coppia dall'età indefinita, sono due affiliati?

La porta si socchiude. Un trapezio di luce artificiale mi assale. Sono costretta a chiudere gli occhi ormai abituati al buio, anche se non voglio. Li riapro e vedo una sagoma nera di donna che si staglia in controluce; sullo sfondo, a pochi passi, un'altra figura la segue.
La donna si avvicina. Non oso parlare, la lingua ricacciata in gola. Lei appoggia qualcosa accanto a me. Poi indietreggia e, senza dire nulla, richiude la porta. 
Ripiombo nel buio a cui mi pare di essermi abituata. Con le mani vado a cercare accanto a me. Sento la superficie liscia di una tazza e quella più ruvida di un tovagliolo di carta. Porto la tazza vicino al viso. L'odore è quello del latte. Ne bevo un sorso. Il liquido fresco che mi scende in gola è come una potente pozione magica. Mi fa bene, mi sento rinascere, e vuoto la tazza. Scarto quindi il tovagliolo: dentro c'è del pane raffermo. Lo mangio.
Gli affiliati nutrono le loro prede?
Non ne ho idea. Non si sa molto su di loro.

La porta si apre di nuovo, possono essere passate ore come giorni. Questa volta le parti sono invertite; la figura che si staglia nel cono di luce è quella dell'uomo e più indietro c'è lei.
Si avvicinano senza fretta. Ho il tempo di abituarmi alla luce e riesco a osservarne l'aspetto. Lui è sulla quarantina, non tanto alto e dal fisico appesantito. Anche lei.
— Spogliati — mi ordina l'uomo.
Rimango impietrita, riesco solo a scrutargli il viso, a cercare tra le pieghe del volto un qualche indizio sulle sue intenzioni.
— Spogliati! — ripete più forte.
— No! — la voce esce indipendente da me. 
Arretro verso il buio. Adesso mi sono entrambi vicini. Lei mi illumina con una torcia.
Lui mi toglie la coperta di dosso. Mi dimeno. Nella concitazione vedo che lei ha in mano un coltello e che dentro la stanza c'è una gabbia appesa a un trespolo che ondeggia. Un uccello sbatte le ali in un tentativo scomposto di volo.
Non mi ero accorta di avere un compagno di stanza. 
— Stai tranquilla, — mi dicono, a turno — non vogliamo farti del male. Però devi spogliarti.
Sento le loro parole ma non le ascolto. Mi dimeno finché lei non mi punta il coltello in faccia. L'uccello continua a sbattere contro le grate della gabbia, impaurito quanto me.
Mi rassegno a spogliarmi. Sfilo la maglia, i pantaloni, le calze. Man mano mi illuminano la pelle nuda, mi scrutano le gambe e le braccia, rigirandomele in cerca di qualcosa.
— Togliti tutto — dice lui.
Mi tolgo il reggiseno. I miei seni penzolano penosamente davanti ai due sconosciuti. Un brivido di freddo mi fa rizzare i peli sulle braccia. Per un momento la vergogna è più forte della paura.
— Anche le mutande — aggiunge lei.
Me le sfilo. 
— Allarga le gambe.
Un singhiozzo, forte e rauco, mi esce dalla gola, sento il naso che cola. 
I due continuano a osservarmi, dappertutto. So cosa cercano. Una ferita.
— Sembra a posto — dice allora lei.
In un attimo sono fuori dalla stanza. E io di nuovo al buio.
Raccatto i miei vestiti e mi rivesto con la stessa pena con cui mi sono spogliata.
Anche loro credevano che io fossi un'affiliata. Ecco perché mi hanno catturata. Pensavano di usarmi come ostaggio? Come merce di scambio?

Sono in piedi accanto alla gabbia. Ho imparato a muovermi nella stanza, ora so orientarmi al buio. Con le mani cerco lo sportellino e lo apro. Introduco un braccio. La mano tocca un piumaggio morbido e caldo. L'uccello al buio dorme ed è il mio tocco a svegliarlo. Non ho ancora capito che tipo di volatile sia, dai versi che fa potrebbe essere un pappagallo. È grigio, mi pare, e di taglia media, per quel che posso aver visto nei rapidi sprazzi di luce che la coppia mi concede quando viene a darci da mangiare.
Vorrei fare amicizia con lui, prenderlo in mano, accarezzarlo. È la mia unica compagnia qua dentro. Quei due mi rivolgono la parola di rado, solo quando serve.
Ho trovato il modo per capire come scorre il tempo. Secondo i miei calcoli, o meglio, i miei ritmi corporei, la coppia apre la porta una volta al giorno, quando porta dentro il latte e il pane per me e il mangime per l'uccello e ritira il catino pieno.
La puzza, qui dentro, deve essere insopportabile perché lo scambio avviene molto rapidamente. Io devo esserci abituata.
Per fortuna il corpo ha un suo orologio biologico, un ciclo che faccio coincidere con le 24 ore del movimento terrestre. Mi chiedo se esista ancora il giorno e la notte o tutto quanto, anche il mondo al di fuori di questa stanza e di questa casa, sia immerso in un buio perenne, in un tempo che si srotola solo in virtù di un cibo essenziale e sempre uguale che si ingoia, si digerisce, si assimila e infine si espelle sotto forma di urina ed escrementi.
Lascio aperto lo sportellino della gabbia, sorta di stanza dentro la stanza, matrioska o specchio della mia situazione, nella speranza che il volatile esca fuori, che si faccia un giro, che si venga a posare su di me.
Penso al genere umano. La coppia dei miei carcerieri non vi appartiene. Affiliati o no che siano. O affiliata o no che sia io. Cosa importa esserlo? Non so nemmeno più se esistano altri esseri umani al di fuori di qui o se l'unico barlume di vita in Terra sia un pappagallo grigio, muto e addormentato in una gabbia.

La donna appoggia un coltello accanto alla tazza e al pane. Prima di uscire dalla stanza cerca il mio sguardo. Non dice niente ma indugia nel contatto visivo con me. La porta resta socchiusa più a lungo del solito e la luce ci ravviva. Il pappagallo, ora sono certa che lo sia, si alza in volo e percorre in ampi cerchi lo spazio a disposizione. Poi torna a posarsi sulla mia spalla. Lei ci guarda. Apre la bocca, come per dire qualcosa, ma non parla. Getta uno sguardo sul coltello, quasi a sottolinearne l'esistenza. Quindi esce.

Un fascio di luce mi fa aprire gli occhi. È una luce diversa dal solito, è morbida, avvolgente. Se non l'avessi dimenticata, direi che è la luce naturale del giorno a entrare nella stanza. Mi metto a sedere e prendo la tazza con il latte. Questa volta non ho sentito nessuno entrare. Il coltello giace lì dove è stato messo, inerte. Il pappagallo si sveglia e inizia a becchettare la graniglia dalle mie mani. Lo accarezzo sulla testa, sul dorso. Intanto vedo la donna avvicinarsi. Per la prima volta, da quando sono qui, si siede accanto a me. Il coltello tra noi a segnare un confine.
— Non l'hai usato? — mi domanda.
— Per cosa? — le rispondo.
La donna tocca la lama con le dita. La mano ha un tremito.
— Affiliarsi è forse l'unico modo per uscire di qui. Puoi incidere la tua carne e stringere il patto di sangue. 
La sua mano si allunga ad accarezzare il pappagallo, ma lui non si lascia toccare e vola verso la gabbia.
— Per strada ormai non c'è più nessuno, — continua la donna — probabilmente gli unici che non si sono ancora affiliati siamo noi. Ma non possiamo rimanere nascosti al buio per sempre. Le scorte di cibo stanno finendo.
La guardo con sospetto: perché devo affiliarmi io per prima? Chi mi garantisce che loro non siano già affiliati e non sia una trappola?
— E il pappagallo? — chiedo, senza alcuna logica.
— Il pappagallo cosa? — risponde lei a sua volta.
— Perché tenete quel pappagallo rinchiuso qui?
— È abituato così, alla cattività. Se lo liberassimo morirebbe.
— Già. Proprio come me.
La donna mi mette il coltello in mano.
— Coraggio, — dice — e poi sarai libera di andartene.
— E voi cosa farete?
— Ci affilieremo.

Sulla mano destra ho il coltello. Lo soppeso. Poi lo appoggio a terra. Pochi grammi di metallo affilato hanno il potere di recidere il confine tra chi è affiliato e chi no. Tra ciò che è dentro e ciò che è fuori. Tra vita e morte. Il potere di liberare il sangue che scorre nascosto nel buio di vene, arterie, capillari. Se il sangue travalica il confine, il legame con il tempo si spezza, straborda. La porta si apre e si può uscire fuori, liberi, svincolati dalla prigione del corpo. Dalla schiavitù della cattività: la gabbia per il pappagallo, la stanza per me, la casa per la coppia, la Terra per il genere umano. Gli affiliati l'hanno capito prima di me.
Ora comprendo: una ferita, un'arteria recisa, in cambio della libertà.
Sul mio polso sinistro è appollaiato il pappagallo. Il prigioniero si fida della sua carceriera.
— Se ci fosse una finestra, ti farei volare via. Se solo ci fosse una speranza... — dico mentre lo blocco con la mano e il volatile sbatte le ali inutili e gracchia. Una vita misera, muta e oscura sembra anche a lui meglio di niente. Ma ora so che è un'illusione.
— Non preoccuparti, amico mio, ora ti libero lo stesso.
Con il coltello gli incido il ventre. Il sangue cola copioso sulle mie mani. Il dentro è fuori.
Poi tocca a me.

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Re: [H2022R] Gli affiliati

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Ciao @ivalibri

Ho trovato il racconto coinvolgente, scritto con maestria, e molto ben gestita la rappresentazione dei suoni e delle luci nel buio. Non è affatto cosa semplice, secondo me, quindi ti faccio i miei complimenti. 
Solo in alcuni punti in cui ho trovato delle sbavature, cose su cui riflettere, più che altro, sensazioni che ho avuto leggendo, e quindi ignorale se non ti sono utili. 
ivalibri wrote: Poi ricordo il sonno pesante, una calamita da cui era impossibile staccarsi. Devono avermi drogata con qualcosa. Infine questa stanza dal buio impassibile.
Quello che più mi dà fastidio è non sapere come scorre il tempo. Se è giorno o notte, se ho dormito per minuti o ore. 
Troverei un aggettivo diverso per descrivere il buio.
Trovo "fastidio" un termine un po' blando di paragone, rispetto alle sensazioni di paura che una situazione di questo genere dovrebbe provocare. 
Questo pensiero mi ha distratta nella lettura finché il progressivo dipanarsi della storia non mi ha fatto capire il motivo per il quale hai scritto esattamente la frase com'è: "quello che mi dà più fastidio". Forse, basterebbe non metterla all'inizio, oppure rendere ancora più sfuggente, in questa parte del racconto, ciò che verrà rivelato in seguito.  
Per il resto, nient'altro da dire. Molto scorrevole, l'ho letto con piacere. Una storia non banale, ben ritagliata sulla traccia. 
Complimenti e a rileggerti 
Già.

Re: [H2022R] Gli affiliati

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ivalibri wrote: Mi tolgo il reggiseno. I miei seni penzolano penosamente davanti ai due sconosciuti.
Cia Ivalibri! 
Inizio col citare questo passaggio. Sei riuscita bene a farmi percepire il disagio e la vergogna nel mostrarsi a seno scoperto a due sconosciuti. Questo secondo me è uno dei passaggi più azzeccati del racconto. 
ivalibri wrote: — Anche le mutande — aggiunge lei.
Me le sfilo. 
— Allarga le gambe.
Un singhiozzo, forte e rauco, mi esce dalla gola, sento il naso che cola. 
Anche qui, molto efficace nel descrivere il disagio della nudità. Brava!
ivalibri wrote: Mi chiedo se esista ancora il giorno e la notte o tutto quanto, anche il mondo al di fuori di questa stanza e di questa casa, sia immerso in un buio perenne, in un tempo che si srotola solo in virtù di un cibo essenziale e sempre uguale 
Quando una persona viene imprigionata o messa in isolamento perde la cognizione del tempo e dei ritmo notte/giorno con conseguenze molto nocive per la psiche e la salute mentale. Sei riuscita a spiegarlo benissimo in poche righe, ottimo!
ivalibri wrote: — Affiliarsi è forse l'unico modo per uscire di qui. Puoi incidere la tua carne e stringere il patto di sangue. 
Ecco. Qui cominciano i problemi. Se mi parli di affiliazione io subito penso a una setta o a una società segreta di qualche tipo. Ma tu purtroppo nel tuo racconto non spieghi nulla e il lettore rimane con il dubbio. Io ho pensato a una setta religiosa in cui stia avvenendo un suicidio di massa. Ma è un "viaggio mentale" mio. Purtroppo secondo me la trama del tuo racconto è un po' debole e non pienamente risolta. E questo lo penalizza.
ivalibri wrote: E il pappagallo? — chiedo, senza alcuna logica.
— Il pappagallo cosa? — risponde lei a sua volta.
— Perché tenete quel pappagallo rinchiuso qui?
— È abituato così, alla cattività. Se lo liberassimo morirebbe.
— Già. Proprio come me.
Perché la protagonista morirebbe se venisse liberata? Chi la ucciderebbe? Non lo spieghi... Oltretutto il pappagallo non pare avere un vero e proprio ruolo all'interno del racconto, se non come "metafora" della prigionia.
ivalibri wrote: Se il sangue travalica il confine, il legame con il tempo si spezza, straborda. La porta si apre e si può uscire fuori, liberi, svincolati dalla prigione del corpo
Ecco. Questo passaggio in particolare mi ha fatto pensare a un suicidio di massa in stile Jonestown. Ma mi sa che ho troppa fantasia.
ivalibri wrote: Con il coltello gli incido il ventre. Il sangue cola copioso sulle mie mani. Il dentro è fuori.
Poi tocca a me.
E qui sembri confermare la tesi della setta e del suicidio di massa. Chissà se alla fine ci dirai se ho ragione.
Comunque, in generale il tuo racconto ha un grande pregio: il ritmo narrativo. Serrato e angosciante quanto basta, l'ho molto apprezzato.
Il grande difetto, come ho già detto, sono i troppi punti interrogativi che rimangono irrisolti .
Un racconto con luci e ombre, ma comunque una lettura gradevole. 

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Il racconto mi ha coinvolto fin dalle prime battute, il ritmo della narrazione porta a un crescendo della tensione.
Mi chiedo come mai nel primo giro di ispezione non si sia accorta della gabbia. Era appesa cosí in alto?
Parola dopo parola vengono anche definiti bene i personaggi, ma si rimane sull'apice della trama senza capire perché é necessario affiliarsi. Infine quando si intuisce che affiliarsi vuol dire suicidarsi, é una delusione che apre mille domande irrisolte.
Dove vanno i due se "fuori" non c'è nulla?
Per quale motivo hanno voluto rapire la barbona che "fuori" inqualche modo aveva una sua vita?

Insomma catturi il lettore e poi lo lasci lí un po' cosí.

Re: [H2022R] Gli affiliati

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ivalibri wrote: Mi chiedo se esista ancora il giorno e la notte o tutto quanto, anche il mondo al di fuori di questa stanza e di questa casa, sia immerso in un buio perenne, in un tempo che si srotola solo in virtù di un cibo essenziale e sempre uguale che si ingoia, si digerisce, si assimila e infine si espelle sotto forma di urina ed escrementi.
Mi chiedo se esista ancora il giorno e la notte o tutto quanto, anche il mondo al di fuori di questa stanza e di questa casa, mi chiedo se sia immerso in un buio perenne, in un tempo che si srotola solo in virtù di un cibo essenziale e sempre uguale che si ingoia, si digerisce, si assimila e infine si espelle sotto forma di urina ed escrementi.

Comunque hai scritto un testo angoscioso, rosso e in linea con le tre tracce.

Rimangono domande senza risposta sul perché è stata scelta la barbona, sul perché i carcerieri non siano loro gli affiliati e facciano morire coloro che scelgono di fare prigionieri per affiliarli. Se cercavano su di lei una ferita, allora ci sono affiliati viventi, no? 
ivalibri wrote: Sun Nov 06, 2022 5:15 pm— Per strada ormai non c'è più nessuno, — continua la donna — probabilmente gli unici che non si sono ancora affiliati siamo noi. Ma non possiamo rimanere nascosti al buio per sempre. Le scorte di cibo stanno finendo.
ivalibri wrote: Sun Nov 06, 2022 5:15 pmLa guardo con sospetto: perché devo affiliarmi io per prima? Chi mi garantisce che loro non siano già affiliati e non sia una trappola?
Ecco, secondo me, il lettore mediocre non riesce a collegare i fili della storia, a darle un senso chiaro. Perché la protagonista si uccide. Tocca a lei essere libera?

Comunque, complimenti per la costruzione di questo horror, e grazie per la lettura, cara @ivalibri   :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Ciao Iva,
angoscioso è angoscioso, nessun dubbio, probabilmente il più angosciante di tutti i racconti letti (e me ne mancano solo due). Il fatto che ci siano tanti aspetti misteriosi contribuisce all'atmosfera ansiogena, ma d'altra parte forse sono così tanti i non detti che alla fine sono rimasta un po' perplessa.
Forse un minimo di comprensione in più avrebbe mantenuto la mia partecipazione alla vicenda più intensa fino alla fine, perché, se all'inizio stavo con lei in quella prigionia a interrogarmi, alla fine mi ha un po' persa. Magari è colpa mia, eh, che son troppo rigida e razionaleggiante.
Un dubbio però me lo devi togliere: okay, il pappagallo può stare solo in gabbia perché conosce solo la cattività, ma perché non lo tengono con sé, i due rapitori? Perché lo rinchiudono al buio?
Ho anche un miliardo di altre domande: perché se già avevano poche risorse, hanno preso quest'estranea? in cosa la sua sorte li interessava? Se poi avevano il dubbio che fosse affiliata, perché mettersi in pericolo (gli affiliati mettono in pericolo i  non-a.?) Perché tenerla al buio? Perché tutto sto daffare per poi dirle "affiliati"? Ma mi limito alla domanda sul pappagallo, giuro :))

Una postilla che non c'entra nulla: l'inizio mi ha fatto sorridere assai, prima di tutto perché c'è il passaggio sul non so se sia notte o giorno e come misurare il tempo: nei 2 incipit che avevo scritto prima di trovare l'idea che ho usato, c'era un personaggio rinchiuso al buio che faceva esattamente la stessa riflessione. In secondo luogo, perché tempo fa partecipai alla scrittura di un racconto a puntate, a più mani, e nell'incipit un tizio si risvegliava in una stanza sconosciuta e cominciava a perlustrarla esattamente come qui, tastando le pareti eccetera... e niente, le coincidenze mi fanno sempre sorridere.
I intend to live forever, or die trying.
(Groucho Marx)

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Ciao @Ilaris
Grazie per il commento e il suggerimento. Hai ragione su quanto mi hai fatto notare! Grazie!

Ciao @ScimmiaRossa,  @Almissima@Poeta Zaza e  @Bef,
Vi taggo insieme perché mi fare notare in sostanza lo stesso problema del racconto. 
Poeta Zaza wrote: secondo me, il lettore mediocre non riesce a collegare i fili della storia, a darle un senso chiaro. Perché la protagonista si uccide. Tocca a lei essere libera?
Cito Poeta Zaza: probabilmente non è il lettore ad essere mediocre ma la scrittrice! Si ripresenta il mio solito vizio, ossia pensare che nonostante il mio approccio criptico chi legge capirà. Il povero lettore invece non riesce a leggermi il pensiero...
A fine contest ripasserò a spiegare cosa volevo dire. Aspetto ancora qualche altro commento per vedere se qualcuno intravede qualcosa di diverso nella trama. 
Grazie infinite per i vostri commenti!

Re: [H2022R] Gli affiliati

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@ivalibri 

Io ho capito che è rimasta l'unica a non essersi affiliata. L'uomo e la donna lo sono già, e cercano di convincerla con il bastone e la carota, per così dire. 
Forse perché bisogna che gli affiliati facciano la scelta di aggregarsi volontariamente, un po' come Keanu Reeves in L'avvocato del diavolo. Alla fine, anche il tuo personaggio decide di uccidersi, pur di non cedere e restare libera per sempre. Saprò se ci ho preso alla fine del contest :) 
Già.

Re: [H2022R] Gli affiliati

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ivalibri wrote: Tra vita e morte. Il potere di liberare il sangue che scorre nascosto nel buio di vene, arterie, capillari. Se il sangue travalica il confine, il legame con il tempo si spezza, straborda. La porta si apre e si può uscire fuori, liberi, svincolati dalla prigione del corpo. Dalla schiavitù della cattività:
In questo passaggio ci vedo una simbologia. Il sangue è dentro la ferita lo farà uscire. Lei è dentro una ferita gli darà la libertà-

Bene. Ma se per le strade non c'è più nessuno significa che sono tutti dentro, nascosti come loro? gli affiliati sono pochi, quindi.
ivalibri wrote: — Per strada ormai non c'è più nessuno, — continua la donna — probabilmente gli unici che non si sono ancora affiliati siamo noi. Ma non possiamo rimanere nascosti al buio per sempre. Le scorte di cibo stanno finendo.
poi però,  la donna dice che loro che sono nascosti, compresa la protagonista, forse sono gli unici a non essere affiliati, allora le strade dovrebbero essere piene di affiliati. Non capisco.

Il racconto potrebbe essere un sogno psicologico, non sappiamo nulla del prima, degli affiliati, di cosa fanno, soprattutto perchè lei accenna al fatto che l'umanità potrebbe essere estinta, oppure trasformata in una società di morti viventi? non lo so...
il pezzo che hi scrtitto è molto intrigante, genera angoscia, invoglia la lettura, che rimane però incompleta.
Il racconto che c'è intorno rimane inespresso, il lettore non può farsi da solo il resto della trama.
Mi sono piaciute le immagini, la bella scrittura, la rotondità dei pensieri della protagonista,  e anche il pappagallo, che ha diversi significati simbolici.
Significati tutti da interpretare come il resto del racconto. Aspetterò anch'io la fine del contest, @ivalibri 

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Viene da chiedersi se questo racconto, dove prevale la fumosità, non sia stato concepito nel tentativo di far coesistere i tre spunti presenti sulla carta. Lo stile è improntato sulla paratassi con lo scopo di sostenere la tensione, una scelta sensata nel caso ci fosse una qualche tensione da raccontare.
È lampante di quale paura si sia voluto parlare: la paura che il lettore riesca a capire qualcosa.
Scongiurata in modo magistrale, bisogna riconoscerlo.

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Cara @ivalibri complimenti!
Il tuo racconto mi è piaciuto davvero molto.
Le tracce della carta e il genere per me le hai decisamente rispettate.
Il racconto è ben scritto, è fluido, l'angoscia è palpabile e condivisibile, anche se il finale per me non è all'altezza dell'intero racconto, troppo repentino lo stravolgimento della carceriera, non ben capibile come possa affiliarsi da sola, il coltello poteva diventare un'arma contro i carcerieri.

Un'altra cosa:
ivalibri wrote: sento il freddo della maniglia, il disegno della toppa, infine lo stipite del lato opposto. La supero
Anche se avevi anticipato che aveva sentito girare la chiave nella toppa, secondo me non è credibile che non provi ad abbassare la maniglia.

Comunque, ribadisco che mi è piaciuto molto, mi piacerebbe leggerlo con un ampliamento sull'antefatto, che spieghi chi siano gli affiliati e cosa sia accaduto.

Immaginavo che affiliarsi significasse liberarsi dal corpo mortale, quindi suicidandosi, ma la coppia cercava una ferita per capire se lei fosse affiliata. Lo capiscono dopo? 
Non mi è chiaro
<3

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Il racconto mi ha subito colpita per il ritmo rapido e ansiogeno, ma anche per la bravura nelle descrizioni fisiche e la verosimiglianza nei dettagli piscologici di una persona che è stata rinchiusa senza sapere il motivo. Risulta molto claustrofobico e angosciante, rientrando a pieno titolo nel genere horror.
Mi sono immaginata una realtà post-apocalittica dove i pochi umani rimasti si nascondono e diffidano gli uni degli altri, e dove le regole morali sono ormai svanite. La scrittura è ottima, evocativa e ben curata. Ti segnalo solo questa frase:
  wrote:Sul mio polso sinistro è appollaiato il pappagallo. Il prigioniero si fida della sua carceriera.
Più che una carceriera, è una compagna di prigionia

Molto bello e inquietante il finale! Mi è rimasto un po' il dubbio se lei finisca per affiliarsi o per uccidersi (credo quest'ultima). In ogni caso anche la doppia lettura ci starebbe benissimo, in un racconto tutto giocato sul mistero e la suspense. 
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: [H2022R] Gli affiliati

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ciao @ivalibri . Non capisco perché è la rapita che parla  di affiliazione, prima che a farlo siano i suoi rapitori!  Mi incuriosisce quello che hai detto: vedo se qualcuno intravvede altro! Cosa vedo io? Un racconto appena cominciato: alle prime battute. Tutto ancora da svelarsi. Come se la rapita avesse già vissuto una esperienza con gli affiliati e che lei li avesse rinnegati: da qui il rapimento. Se avevi un messaggio recondito da lanciare, questo non l'ho colto. Ciao Ivana.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [H2022R] Gli affiliati

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Eccomi qui...
Non che ci sia molto da svelare, volevo che rimanesse misteriosa l'identità degli affiliati e che sia la protagonista che la coppia vivessero nel sospetto di chi fosse affiliato.
Ho immaginato qualcosa del genere:
Silverwillow wrote: una realtà post-apocalittica dove i pochi umani rimasti si nascondono e diffidano gli uni degli altri, e dove le regole morali sono ormai svanite.
Ma soprattutto l'idea era di farne una metafora della condizione umana, come in parte ha intuito Alba:
Alba359 wrote: In questo passaggio ci vedo una simbologia. Il sangue è dentro la ferita lo farà uscire. Lei è dentro una ferita gli darà la libertà-
La gabbia con il pappagallo è una metafora dentro la metafora. La prigionia del pappagallo è la stessa della donna, così come quella di tutto il genere umano, prigione del corpo e dei suoi limiti. In questo senso si può interpretare il confine tra vita e morte che attraverso l'affiliazione si può rompere.
Attraverso i vostri commenti mi è chiaro che così com'è il racconto non va bene perché non si coglie il significato simbolico che volevo dare e che quindi devo dare qualche coordinata in più. Ci lavorerò.
Grazie ancora a tutte e tutti!

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