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Per la serata avevi scelto un abbigliamento informale: pantaloni leggeri di cotone color corda, una polo bianca, scarpe di tela. Semplice ma di classe.
Franco ed Elena ci hanno accolti con il medesimo sorriso stampato sulle facce e un prosecco di buona qualità.
Ero stata dalla parrucchiera tutto il pomeriggio con quel caldo micidiale. Il culo incollato alla seggiola, le chiacchiere di circostanza. Dopo venti anni lei conosce a menadito i miei capelli e io tutti i pettegolezzi del quartiere. Sono stata un’ottima ascoltatrice e poi non mi andava di darle in pasto i fatti miei; ho preferito lasciarla parlare. Tre ore buttate nel cesso, tanto mica te ne sei accorto che ho cambiato pettinatura.
«Avete sentito della funivia? Un incubo...» ha esordito Elena con una faccina di circostanza degna della peggiore presentatrice della domenica.
«Per questo non voglio mai montare in quelle trappole» ha risposto Franco con la solita schiettezza. Di certo non gli è mai interessato apparire come un supereroe.
«Sia a Nord che a Sud è tutto un magna magna. È tutta una questione di soldi.»
Tu, invece, sei sempre stato il re del qualunquismo, quando ti ci metti.
«Vittoria, te che ne pensi?» Elena ha voluto tirarmi dentro alla conversazione a ogni costo.
Era tanto che non bevevo. Difficile tenere la lingua a freno. Me la sono cavata con una tossetta di circostanza e la prima cazzata che mi è saltata in mente.
«Queste bollicine mi fanno pizzicare la gola. Scusate.»
Come immaginavo, l’argomento tragedia è stato archiviato all’istante e la conversazione ha virato sulla qualità dei vini, cosa in cui hai potuto sfoggiare una certa competenza. Hai tenuto banco per tutta la sera, così mi sono potuta rilassare un po’. Franco ti ha inondato di domande, Elena non ha perso occasione di sottolineare la tua preparazione con gridolini di approvazione.
«Elena, se ti fa piacere, vengo a darti una mano con gli antipasti» mi sono proposta per affrettare i tempi. Non potevo sopportare a lungo tutte quelle smancerie.
«Non importa, grazie, è già tutto pronto. Ma se vieni ti faccio vedere cosa mi ha regalato Franco» mi ha risposto con la voce affettata che detesto.
L’ho seguita in cucina di malavoglia. Non mi ero accorta prima di quanto fosse attillato l’abito che indossava. Un bel vestito che esaltava il fisico, ma in modo discreto. Di sicuro un regalo, perché non ho mai pensato che avesse tanto buon gusto.
Devo ammettere che è una bella donna. Non l’avevo mai notato prima di stasera. Mi era sempre sembrata scialba.
Entrata in cucina, l’ho vista sul banco; avvolta dal un bel nastro colorato, faceva bella mostra di sé una planetaria di ultima generazione.
«Era da tanto che la desideravo!» Le brillavano gli occhi. Sarà stato per il trucco glitterato.
«Fantastica! È davvero un bel regalo. Chissà quanti bei piatti per il tuo maritino…» le ho detto quando mi sono resa conto che attendeva la mia reazione.
L’ho aiutata a prendere i vassoi con crostini, prosciutto e melone.
Ci siamo seduti. La tavola era apparecchiata con cura. Elena aveva messo dei segnaposto a forma di fiore, molto carini. Io, la margherita, mi sono seduta di fronte a Franco, il tulipano; lei, l’orchidea, davanti a te, l’amaranto.
Franco ha le mani tozze, il sorriso aperto e i pensieri medi di un tipo medio. Un uomo rilassante che puoi tenere a bada con un buon piatto di cibo e una conversazione non troppo impegnata. Le solite cose: calcio, politica, pettegolezzi sui colleghi di lavoro. Mi sono sempre chiesta come fa a essere tuo amico. Siete così diversi tu e lui.
«Elena ti ha portata in cucina?» mi ha chiesto con una punta di orgoglio nella voce.
Ho deciso di fargli un massaggino all’ego: «Sì! Ma quella non è una planetaria... è un’astronave!»
«Era da un po’ che la puntava. Meno male che Riccardo mi ha ricordato qual era il modello che voleva altrimenti... addio sorpresa!»
Mi sono accorta che hai cercato di evitare il mio sguardo. Sono stata io, quella sorpresa. Non sapevo che ti intendessi anche di piccoli elettrodomestici. Ho mandato giù il rospo e reagito come meglio ho potuto:
«Eh già, Riccardo è un vero esperto in materia.»
Sei arrossito. Non ti capita mai.
Elena si è alzata e tu le hai porto il piatto vuoto con un sorriso educato mentre Franco si è occupato del barbecue. Io ho deciso di andare in bagno.
Lo specchio rimandava l’immagine di una donna sfiorita. Avrei avuto voglia di curiosare nei cassetti, ma mi sono trattenuta. Ho improvvisato un piccolo massaggio circolare sulle tempie per scacciare un mal di testa furibondo.
Sul lavabo c’era un rossetto aperto. Si vede che Elena era venuta a farsi un ritocco al maquillage e non lo aveva rimesso a posto.
Io avevo il viso pallido e neppure un filo di trucco. Mi sono lavata le mani e sono uscita.
Stavo per sedermi quando l’ho notato. Elena aveva arrotolato un tovagliolo e lo aveva messo sotto al tuo piatto: ti piace far scivolare il sugo tutto in un lato per fare la scarpetta. A casa ci metti sotto le posate, un’abitudine che ho sempre trovato divertente. Un vezzo intimo, una cosa nostra.
Ti sei accorto del mio sguardo. Hai preso il tovagliolo e lo hai rimesso accanto al piatto.
Non dire di no. Non dire che mi sono sbagliata.
È stato come montare su quella maledetta funivia. Dall’alto, ho visto il mondo da un’altra angolazione. Un dettaglio che mi ha aperto gli occhi: Elena e te. La consapevolezza solo un attimo prima dello schianto.
Quando il fulmine violento avvampa,
il tronco delle certezze incenerisce
e nuda la realtà si mostra.
Ora che è più chiara la visione
e più faticoso il procedere
non posso coltivare illusioni.
E nel silenzio cresce
la mia forza ribelle.