I cavalieri di Francesco

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Commento a "La cucina della gioia" di Cicciuzza

Roma, anno del Signore 1223. Come è noto, per tre volte Francesco sentì il Crocifisso ingiungere: «Va’, e ripara la mia chiesa.» La voce non intendeva la chiesa fisica della Porziuncola di Assisi, dove l’ordine francescano aveva una misera dimora, ma quella universale di Roma. Era chiaro che il movimento di rinascita spirituale, se doveva esserci, doveva stare all’interno della Chiesa. Dopo che Francesco emanò la Regola (ciò a cui i frati francescani si dovevano rigidamente attenere per essere considerati tali), andò a Roma coi confratelli per chiedere a papa Onorio IIIl l’approvazione di essa con una bolla. Altrimenti, i frati minori rischiavano l’eresia.
Francesco sapeva che quella era una svolta decisiva della sua esistenza. Se anche Dio ti parla, hai sempre bisogno della conferma della realtà, per sapere che non sei pazzo. Per tre mesi stettero a Roma, mendicando e predicando, fino a quando il serafico padre non perse di fiducia e disse che desiderava tornare alla Porziuncola. Era sempre più acciaccato, quasi cieco, perdeva di fiducia nella sua missione e desiderava soltanto tornare alla sua Assisi.
Bernardo, il suo amico d’infanzia e consigliere più fidato, non era d’accordo. Ne parlarono sotto un portichetto, mentre altri due frati chiedevano del pane per loro e i confratelli, a un fornaio alquanto scostante.
«Il papa potrebbe pronunciarsi da un momento all’altro.»
«È tanto che aspettiamo» disse Francesco. «Torniamo a casa.»
«E se dovesse pubblicare la bolla? Come verremmo a saperlo?»
Ci pensò su.
«Ci sarebbero quei due ragazzi. Quei cavalieri…»
Durante la permanenza dell’ordine a Roma, a forza di mendicare e predicare le fila s’erano ingrossate di due ragazzi confusi, che non sapevano ancora se ascoltare il Vangelo o il mondo. Intanto, non avevano ancora rinunciato ai loro cavalli, che servivano per svolgere piccole mansioni con cui, dicevano, potevano guadagnare cifre da destinare ai fini dell’ordine. E poi, insistevano per indossare il loro abito secolare. Da un momento all’altro (dicevano) avrebbero messo lo scomodo saio, ma erano ancora incerti. Francesco era paziente. Aspettava la loro conversione definitiva, come aspettava che Onorio ascoltasse i suoi migliori angeli. O, almeno, i consiglieri dei papato che volevano venire a miti consigli. Però era stanco di stare a Roma. Era decadente, piena di tentazioni, e non gli piaceva. I cavalieri si chiamavano Sesto e Adriano.
«Diamo loro voce di venire ad Assisi, se Onorio si pronuncerà» disse Francesco, semplicemente.
«Potrebbero scordarsi di noi. Dimenticare la loro missione. Il loro spirito è ancora debole.»
«Le tentazioni fortificano lo spirito.»
«Altrimenti?»
Francesco non disse nulla. Si alzò. La decisione era presa.
«Anvedi quella…» disse Adriano, scorgendo una popolana particolarmente procace. Stava sbucciando una mela con un coltellino, seduto al sagrato di una chiesa che era diventata punto di riferimento per Francesco e il suo seguito. Sesto, che dei due era quello in teoria più addentro nelle cose dell’ordine, gli lanciò un’occhiataccia.
«Hai commesso peccato. Lascia stare quella sorella.»
Adriano sospirò.
«Ma secondo te è vero o sono tutte frescacce
«Cosa?»
«Che ora dovemo fa la fame per poi avere tutto sto popò di roba
«Francesco è ispirato da Dio. È chiaro» disse Sesto, sfogliando il suo volume di Tito Livio. Gli pareva che gli Antichi non avessero mai parlato di nulla di ciò. La predicazione di Francesco gli sembrava un fatto nuovo. Inaudito.
«Lo sai che ha detto il fraticello, vero?» disse Adriano, sempre ammiccante.
«Cosa?»
«Che quei libri profani sono come le sorelle per me. Non te li puoi portare, ora che andiamo ad Assisi.»
«Perciò tu sei convinto di andare?» mormorò Sesto.
Fra i due, era quello più incerto. Rinunciare alla compagnia di una popolana, o a portare un coltellino in saccoccia, alla fine era poca roba. Ma: Tacito, Sallustio, Seneca, Tito Livio… Virgilio stesso, che caspita. Per mettersi a leggere manoscritti sbrindellati scritti da asceti quasi del tutto privi di alfabetizzazione. Coglieva, intellettualmente, che Francesco aveva ragione. Ma, esattamente come il giovane ricco del Vangelo, non sapeva come rinunciare ai suoi beni.
Bernardo uscì dalla chiesa e li mise a parte della decisione di Francesco.
«Volete che andiamo dal papa?» chiese Adriano, titubante.
«Non parlerete col Santo padre, ma col suo segretario. Sesto, che sa le lettere, farà una copia della bolla.»
«Ne sono onorato» disse lui.
«Non esiste onore nell’ordine, solo servizio» rispose Bernardo, seccato. «Francesco confida in voi. Non lo deludete.»
«Non lo faremo» disse Adriano, convinto. 
Sesto deglutì. Se avesse dovuto copiare la bolla, per poi andare ad Assisi, avrebbe veremente dovuto rinunciare a tutto. Non solo ai libri, ma anche alla famiglia, che contribuiva a mantenere col suo lavoro di scrivano.
«Sesto, sembra che hai visto un fantasma» disse sua sorella (quella di sangue) aprendogli il cancelletto della loro piccola villa poco fuori le mura.
«Che fine avevi fatto?» chiese il padre, accovacciato sull’orto.
«Niente di che.»
«Hai lavorato?»
«Sì.»
«Fa’ vedere.»
Sesto lanciò per terra il sacchetto di cuoio. Rotolò qualche moneta di scarso pregio. Il padre le prese.
«Per queste ti abbiamo messo a studiare?»
«Il lavoro va e viene.»
«Per questo ti diamo il cavallo?»
«Non potrei lavorare senza.»
«Scommetto che hai perso tempo dietro a quei cenciosi.»
«Sono sant’uomini.»
«La mamma ti ha fritto i carciofi, ingrato. Va’ da lei e dalle un bacio.»
Sesto entrò in casa. L’odore era buono.
Poco dopo, arrivò Adriano. Era un ragazzo vigoroso, sempre di buon umore, a differenza di Sesto. In casa era bene accolto.
«Grosse novità.»
«Cosa?»
«La bolla. L’hanno appiccicata
«Pensavo che dovessimo andare dal segretario.»
«No, l’hanno messa fuori dal Laterano.»
«Come farò a copiarla, se non posso stenderla su un tavolo?»
«Fallo. Francesco conta su di noi.»
«Anche tu co ‘sti disgraziati» mormorò il padre di Sesto.
«Sono in gamba. È gente che vede lungo…» spiegò Adriano, migliorando un po’ la situazione di Sesto rispetto alla famiglia. Di lui si fidavano maggiormente. Spiegò loro la predicazione di Francesco a grandi lettere. Sesto pensò che l’aveva capito meglio di lui, anche se era privo d’istruzione.
La bolla, in effetti, era affissa fuori da un ingresso secondario della basilica di Laterano, pressoché ignorata da tutti. Il popolo romano, e la Chiesa stessa, ritenevano di avere altre gatte da pelare. Sesto si era portato il materiale da copista. Sedette per terra e cominciò il suo scomodo lavoro.
«Che fa?» chiese un uomo in abito cardinalizio.
«Porto notizia a Francesco.»
«Pensavo fosse in città.»
«È partito l’altro ieri.»
«Ma lei non è un frate.»
Sesto riflettè sulla risposta.
«Ci sto provando.»
«Faccia vedere» chiese il cardinale, prendendo la copia.  «Scrive bene. Neanche un errore. È sprecato per andare ad Assisi. Finisca il lavoro e vada dal mio segretario. Le do di meglio da fare.»
Sesto si sentì riempire di calore. La sua famiglia sarebbe stata fiera di lui. Avrebbe messo pane in tavola e regalato monili alla madre. Si rese conto che aspettava quel momento da tutta una vita.
Adriano arrivò di gran carriera, col suo bel cavallo.
«La bolla?»
«Eccola» disse, arrotolando la copia.
«Alzati e andiamo» disse. «Non ho mai visto Assisi, sono curioso.»
Sesto sospirò.
«Vedi, Adriano» disse, cominciando a sudare e a balbettare. Si giustificò così: «Se ci pensi, ognuno ha la sua chiamata…»
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Re: I cavalieri di Francesco

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Ciao @Domenico S.  ,
anche questo tuo racconto é scritto in modo scorrevole, però vorrei condividere con te un pensiero che mi ha accompagnato per tutto il tempo, e cioè: come mai é così piatto? Perché non c'é niente che emerge, che segna un ritmo, che rimane impresso, quasi il tuo intento sia quello di lasciare scorrere via la storia? Forse é una scelta dettata dall'umiltà del protagonista (che rimane anch'esso sullo sfondo, quasi a non voler disturbare)?
È un peccato perché qualche pennellata più marcata avrebbe aiutato ad imprimere nel lettore un simbolo, un'immagine, un'idea per quanto semplice...
Più avanti ti ho segnato un punto del racconto esemplare di quello che sto dicendo.
Domenico S. ha scritto: a forza di mendicare e predicare le fila s’erano ingrossate di due ragazzi confusi,
Un pò contorto, semplificherei.
Domenico S. ha scritto: O, almeno, i consiglieri dei papato che volevano venire a miti consigli. Però era stanco di stare a Roma. Era decadente, piena di tentazioni, e non gli piaceva. I cavalieri si chiamavano Sesto e Adriano.
Il tono generale del racconto verte più verso la saggistica che verso la narrativa, e qui l'indicazione dei nomi dei cavalieri é lasciata cadere con noncuranza, dopo un periodo in cui si parla di tutt'altro. Troppo piatto, secondo me...

«Anvedi quella…»
Il romanesco alla Asterix stona con il tono serio/saggistico generale.
Domenico S. ha scritto: avrebbe veremente dovuto rinunciare a tutto
Piccolo refuso.
Domenico S. ha scritto: «Sono in gamba. È gente che vede lungo…» spiegò Adriano, migliorando un po’ la situazione di Sesto rispetto alla famiglia. Di lui si fidavano maggiormente.
Hai ammazzato un effetto che poteva caratterizzare la scena: l'azione avrebbe potuto essere definita in modo tale che il lettore avrebbe capito da solo che Adriano gode di maggior reputazione, agli occhi degli ospiti, rispetto a Sesto. Senza didascalia.
Domenico S. ha scritto: un uomo in abito cardinalizio.
Andrei di "cardinale" direttamente :)

Vado che devo stringere l'apparecchio e mettere a letto mia figlia!

A rileggerti,

RC

Re: I cavalieri di Francesco

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@RicMan Ciao, ti ringrazio per l'utile commento! Provo a difendere il mio racconto: se ci pensi, la storia verte attorno a qualcosa di molto importante: il destino dell'anima del protagonista. Il fatto che sia scritto in "tono minore" penso sia dovuto alla mia volontà di risaltare come scelte decisive per noi a volte avvengono senza grandi svolte o colpi di scena, ma quasi senza che ce ne accorgiamo. Però sicuramente potrei fare qualcosa per rendere la storia più vivace o marcata, ti do ragione.
Adriano parla in (finto) romanesco perché volevo rimarcare come, a differenza di Sesto, sia una persona del popolo, che non ha studiato. Più che ad Asterix, mi sono ispirato ai film di Luigi Magni, ambientati nella Roma papalina. Però se hai avuto un "effetto Asterix" probabilmente ho sbagliato qualcosa.

Ti ringrazio per il passaggio! A rileggersi!
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Re: I cavalieri di Francesco

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@Domenico S. a me in generale il racconto è piaciuto! Immaginavo si parlasse di S. francesco, e questo mi ha spinto a leggerlo a maggior ragione. Non perchè io sia particolarmente devota al Santo, ma per coincidenza, da alcuni giorni sto riascoltando spesso L'infinitamente piccolo di Angelo Branduardi, che ha appunto messo in musica parte delle Fonti Francescane e il canto del Paradiso che ne parla (tra parentesi, consiglio l'ascolto a tutti). E' un disco che conosco bene e che mi rilassa molto, per cui mi ha fatto piacere ritrovare le stesse ambientazioni. I personaggi mi paiono tratteggiati in modo chiaro, anch'io sono rimasta un attimo perplessa di fronte alle espressioni in romanesco, ma ho capito l'intento (immagino non sia neanche facilissimo fare una ricerca sul linguaggio popolano dell'epoca, boh...). Il linguaggio è scorrevole, e la storia comunque coglie di sorpresa. Io all'inizio ero convinta che il protagonista fosse Francesco, che poi invece c'è solo nella prima metà, e viene colto nel suo aspetto più umano, con la stanchezza, l'incertezza e il decadimento fisico. Ho trovato interessanti anche alcuni elementi accennati, come il discorso delle letture considerate profane, e poi il sentimento di indecisione che permea un po' le varie storie, che aiuta a tenere alta l'aspettativa. Forse si potrebbe dire che anche l'indecisione sia protagonista a sua volta?
Tanto la notte capirà: http://www.argentovivoedizioni.it/scheda.aspx?k=capira
"Anna, non fare come quelle band che mi parlano del loro secondo disco quando devono ancora pubblicare il primo!" (cit.)

Re: I cavalieri di Francesco

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@pale star Ciao, sono contento che il racconto ti sia piaciuto! Io sono devoto francescano, in realtà, e mi piace molto anche l'opera di Branduardi. Volevo dare il senso di come potesse essere per un ragazzo di buona intelligenza e ottime letture sentirsi diviso fra il mondo e lo spirito. Il finale, con il cardinale che offre a Sesto un posto da scrivano, a cui lui non può resistere, voleva richiamare un episodio del bellissimo film "Un uomo per tutte le stagioni," su Tommaso Moro, un altro grande santo. Avrei potuto ambientare una storia del genere anche ai tempi nostri, ma ho scelto un episodio della storia francescana nella speranza d'incuriosire il lettore su questa grande vicenda. E poi Francesco è un santo tanto italiano, così legato alla nostra storia, forse non si dovrebbe "scherzare coi santi" ma scrivere su di lui a un certo punto mi è diventato irresistibile. Quanto al romanesco, ho usato un piccolo anacronismo per far sorridere e per sottolineare le differenze fra Adriano, un uomo del popolo, e Sesto, che ha studiato, ma forse questo intento non è stato colto. Penserò se togliere quelle frasi rivedendo il racconto. Grazie!
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Re: I cavalieri di Francesco

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Domenico S. ha scritto: per tre volte Francesco sentì il Crocifisso ingiungere: «Va’, e ripara la mia chiesa.»
ingiungergli
Domenico S. ha scritto: Dopo che Francesco emanò la Regola (ciò a cui i frati francescani si dovevano rigidamente attenere per essere considerati tali), andò a Roma coi confratelli per chiedere
ebbe emanato
Domenico S. ha scritto: Se anche Dio ti parla, hai sempre bisogno della conferma della realtà,
dalla realtà
Domenico S. ha scritto: fino a quando il serafico padre non perse di fiducia e disse che desiderava tornare alla Porziuncola. Era sempre più acciaccato, quasi cieco, perdeva di fiducia nella sua missione e desiderava soltanto tornare alla sua Assisi.
Bernardo, il suo amico d’infanzia e consigliere più fidato, non era d’accordo. Ne parlarono sotto un portichetto, mentre altri due frati c
Come mai dipingi Francesco come un vecchio nell'episodio della richiesta di ratifica della Regola dei frati? Dovrebbe essere di più giovane età, agli inizi  del suo apostato...
Domenico S. ha scritto: mentre altri due frati chiedevano del pane per loro e i confratelli, a un fornaio alquanto scostante.
«Il papa potrebbe pronunciarsi da un momento all’altro.»
ti consiglio di scrivere: gli altri due frati, se sono in tutto quattro. (Tanto per spiegare, nel contempo, l'entità della spedizione).
Domenico S. ha scritto: Durante la permanenza dell’ordine a Roma, a forza di mendicare e predicare le fila s’erano ingrossate di due ragazzi confusi, che non sapevano ancora se ascoltare il Vangelo o il mondo. Intanto, non avevano ancora rinunciato ai loro cavalli, che servivano per svolgere piccole mansioni con cui, dicevano, potevano guadagnare cifre da destinare ai fini dell’ordine. E poi, insistevano per indossare il loro abito secolare
Questi due ragazzi confusi, sono gli stessi membri della spedizione che hai messo a mendicare dianzi? Ma quelli di prima portavano il saio. Allora non erano loro e la spedizione contava più di quello che ho capito io? 
Domenico S. ha scritto: Poco dopo, arrivò Adriano. Era un ragazzo vigoroso, sempre di buon umore, a differenza di Sesto. In casa era bene accolto.
«Grosse novità.»
«Cosa?»
Come mai hai scelto di presentare ai lettori adesso, all'arrivo dalla casa di Sesto, l'aspetto di Adriano, e non prima?
Domenico S. ha scritto: Sono in gamba. È gente che vede lungo…» spiegò Adriano, migliorando un po’ la situazione di Sesto rispetto alla famiglia. Di lui si fidavano maggiormente.
Si capisce bene, ma ti consiglierei così:
- Sono in gamba. È gente che vede lungo - spiegò Adriano, facendo breccia nella comprensione dei parenti di Sesto. Di lui si fidavano maggiormente.
Domenico S. ha scritto: dom nov 14, 2021 10:47 am«La bolla?»
«Eccola» disse, arrotolando la copia.
«Alzati e andiamo» disse. «Non ho mai visto Assisi, sono curioso.»
Sesto sospirò.
«Vedi, Adriano» disse, cominciando a sudare e a balbettare. Si giustificò così: «Se ci pensi, ognuno ha la sua chiamata…»
Vero - semplice - naturale  - e di sicuro anche Francesco gli darà la sua benedizione.
In questo racconto, Domenico, hai saputo usare, in scrittura, lo stile semplice che il "poverello d'Assisi" usava nel quotidiano, stile che non era povertà ma essenzialità e profondità insieme. Bravo! @Domenico S.    :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: I cavalieri di Francesco

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Ciao @Domenico S. 

Mi piacciono le vite dei santi. Tra l’altro fin da piccolo mia madre mi mise sotto la protezione di un altro francescano, S. Antonio da Padova.
Anche io nel tuo testo ho notato il tono un  po’ a metà tra cronaca saggistica e romanzo, ma il tutto si fa leggere molto bene ed era un metodo usato anche in alcune cronache medievali alternare a racconti storici redatti in forma di cronaca anche episodi inframmezzati da dialoghi, per coinvolgere maggiormente i lettori.
Domenico S. ha scritto: per chiedere a papa Onorio IIIl l’approvazione di essa con una bolla. Altrimenti, i frati minori rischiavano l’eresia.
Qui sicuramente una piccola svista, in quanto si trattava di papa Onorio III che approvò la regola di San Francesco nel 1223.
Sei ben documentato circa la vita religiosa del tempo. È verissimo che all’epoca, anche per un sincero credente era molto facile essere incluso fra gli eretici se il suo pensiero non veniva confutato ufficialmente.
Domenico S. ha scritto: Se anche Dio ti parla, hai sempre bisogno della conferma della realtà, per sapere che non sei pazzo.
Io penso che San Francesco sapesse bene che era Dio a parlargl, non credo che cercasse conferme, nemmeno dal papa e tantomeno assicurazioni sulla sua salute mentale. Era molto ligio a Santa Romana Chiesa e come hai detto giustamente prima aveva bisogno che la sua regola fosse approvata altrimenti poteva subire sgradevoli conseguenze. Naturalmente San Francesco non si preoccupava tanto della sua persona ma dell’ordine che aveva fondato, dei suoi confratelli, della loro successiva affermazione e diffusione.
Molto bella la storia di Sesto e Adriano, i due aspiranti novizi ancora indecisi che continuano a indossare i loro abiti secolari  e usare i loro cavalli nel mentre che si erano avvicinati al gruppo di frati francescani.
Sulle battute che fanno in romanesco per far risaltare la loro provenienza popolare confesso che sono indeciso. Nel senso che le battute potrebbero anche starci bene, magari non in quel romanesco che è molto attuale, però mi danno l’impressione di spezzare l’armonia del testo.
Un mio parere personale: avrei descritto l’attitudine mondana dei due proseguendo nel linguaggio piano che stavi usando prima, dicendo e magari colorando anche di più se del caso gli stessi episodi. Mi piacciono Adriano e Sesto, Sesto in particolare, che descrivi nella sua casa, in quanto sapeva leggere e scrivere e conosceva i classici, aveva iniziato ad addentrarsi in un mestiere che lo avrebbe elevato rispetto alla maggioranza del popolo che  a quei tempi era analfabeta. Mi viene da pensare, perché con la cultura che aveva Sesto contava di elevarsi socialmente.
Domenico S. ha scritto: «Che fa?» chiese un uomo in abito cardinalizio.
Penso che all’epoca un cardinale, un principe della chiesa, quando andava in giro dovesse avere un suo pur piccolo seguito. Ho dei dubbi quando si rivolge a Sesto con il lei. Mi pare di ricordare, se non erro troppo, che all’epoca si usasse il voi. Avrei fatto chiedere al cardinale, che a quanto pare non conosceva Sesto, dove avesse imparato a scrivere così bene. All’epoca l’istruzione era prerogativa quasi totale della chiesa e il cardinale avrebbe dovuto accertarsi  dove Sesto, in qualità di laico, in quale scuola avesse imparato, chi erano stati i suoi maestri.
Il finale mi ha un po’ lasciato in aspettativa, come dire che avrei voluto sapere di più. Mettiamo che Sesto rispondeva in modo soddisfacente al cardinale circa la provenienza della sua istruzione, che il cardinale lo invitasse nel suo palazzo per un tirocinio molto ben promettente visti i presupposti, ecco, potevi costruire la prospettiva di un nuovo futuro più particolareggiato, mostrarlo con tutti i vantaggi che essere lo scrivano di un cardinale dell’epoca comportava.
Di conseguenza Sesto avrebbe illustrato il tutto ad Adriano, pur con l’imbarazzo al quale hai accennato e sarebbe stato interessante conoscere la reazione di Adriano.
Ma sono mie personali e opinabili considerazioni che non incidono sul tuo testo, sulla bontà della stesura. Solo questione di meri gusti personali circa l’andamento della storia.
Queste storie possiedono innumerevoli sbocchi insospettabili, tanto più che non sono molto comuni se non nella letteratura diciamo “specialistica”.
Ciao, a rileggerti.
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
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