Traccia di mezzanotte
Andare e tornare
La migliore amica di Mamma aveva due mamme.
Oggi sono morte entrambe e, a dirla tutta, qualche anno fa è mancata anche la migliore amica di Mamma. Che, dunque, farei meglio a definire “ex migliore amica di Mamma”. Non fosse che, da allora, Mamma non ha esattamente avuto vagonate di amiche, figurarsi di “migliori amiche”. È un po’ come se lo scettro fosse ancora saldamente nel pugno di Elsa. Che era il nome della donna morta qualche anno fa. Quella con due mamme. Entrambe defunte.
Ma questa non è una storia triste. Anche se c’è scappato il morto. Tutt’altro. È una storia simpatica, da pisciarsi addosso dal ridere, sebbene dalle premesse non si direbbe.
Ero a casa di Nonna. L’unica mamma di Mamma. Avevo l’età in cui potevo finalmente bere tutta l’aranciata del mondo, senza le assurde limitazioni a cui ero stato sottoposto fino ad allora (Nonna era stata solita dirmi cose come: «È già il secondo bicchiere! Non esagerare!», o: «L’aranciata ti farà venire il sangue di naso». Dall’enfasi che ci metteva, avreste detto che i TG fossero pieni di morti-da-aranciata. Che le strade fossero invase da tanti Fanta-Zombie).
Sedevamo a tavola. Nonna usava sempre queste terribili tovaglie bianche con fantasia floreale, chiazzate di vino. Il Nonno e la Nonna, a pranzo, si concedevano un bicchiere di rosso. Con l’aranciata (a pensarci, adesso, forse nonna era così fissata nel centellinare l’aranciata perché associava la bevanda al vino e credeva che, sdoganata la Fanta, avrei iniziato a pretendere la mia dose quotidiana di alcol. Aveva ragione). Le mani di Nonno, be’, non erano quel che si dice “mani da chirurgo”. Per di più Nonno riempiva i bicchieri fino all’orlo. Ho questi ricordi di Nonno e Nonna che avvicinano le labbra alla superficie tremolante del loro vino rosso staccando gli occhi dal liquido solo dopo aver aspirato il primo sorso. Che romantici. Ho questi ricordi delle goccioline di vino che dalle labbra di Nonno scivolavano fino al mento di Nonno e di lì il gran tuffo sulla Tovaglia. O dentro la minestra, se Nonna aveva già portato i piatti in tavola. Minestra di verdura al vino rosso, prelibatezza.
Ma il tempo è poco, veniamo al dunque.
Nonna era nel cucinino. Nonno sedeva sul divano. Io pure sedevo sul divano. Stavo lottando contro la forza di gravità (Nonno doveva pesare cento chili; aveva la corporatura che ti aspetteresti da un domatore di leoni in pensione), quando entrò Zia Roberta.
Zia Roberta non è mai stata quel che si dice “un fulmine di guerra”. Riformulo. Zia ha sempre posseduto il genere di furbizia tipico dei secondogeniti, ma anche la faciloneria della figlia prediletta. Se in questa storia ci fosse una spia russa, quella non sarebbe Zia. Zia, in questa storia, è l’eroina che ha sconfitto la morte.
Zia Roberta entrò in scena spalancando la pesante porta in legno antico, che emise il suo consueto cigolio. Zia chiese dove fosse Mamma. In verità iniziò a urlare: «Babi? Babi? Dove sei? Babi! Devo parlarti» (Sì, Mamma per Zia era Babi). Mamma era di sopra, a rifare i letti (Ho questi ricordi di lenzuola di flanella e di borse dell’acqua calda e di nasi ghiacciati: Nonna non era esattamente quella che si dice “una spendacciona”, in materia di riscaldamento).
Nonna uscì dalla cucina e disse che Mamma era impegnata. In verità disse: «Tra mezz’ora si mangia, vieni a dare una mano».
Nonno smise di guardare la Tv e di voltò verso Zia. Nonno, in questa storia, è lui la spia russa.
Zia, rivolgendosi alla spia russa, strillò: «Ma non gli hai detto niente?».
Nonno si strinse nelle spalle. Ricordo Zia, una donna con il fisico da Grillo Parlante (o da Rita Pavone), saltare e sbattere i piedi.
«Ioi, ma papà, ma come non hai detto niente», disse l’eroina.
Nonno fece un piccolo sorriso, sembrava volesse dire qualcosa, ma poi si limitò a un piccolo sospiro. Una vera spia russa sa quando è il momento di tacere. Ci pensò Nonna a parlare. Nonna, in questa storia, è l’aiutante. Con il polso della levatrice di giovenche, disse: «Cosa avrebbe dovuto dire Nonno? Cosa c’è tanto da urlare?»
Nonna l’aiutante, la levatrice di notizie.
Zia fulminò Nonno, poi prese fiato. Tutto quel trambusto aveva richiamato Mamma, che, a giudicare dal rumore di tonfi pesanti e ravvicinati, si era lanciata giù per le scale con la furia di un Pastore Tedesco in calore. Se in questa storia ci fosse un’innocente da salvare, quella sarebbe Mamma. Non la Bella Addormentata, però, il ruolo è già preso.
Mamma disse: «Ciao Bubi, mi cercavi?» (Bubi e Babi. Sì, lo so…).
Zia disse: «Ti cercavo eccome, sì. È successa una cosa. Pensavo che Nonno vi avesse avvisati!» Fulminò Nonno, che aveva ripreso a guardare la Tv con aria beata.
Venne fuori che la spia russa, nel suo errare mattutino per le vie del paese, aveva sentito che una delle mamme di Elsa era morta, quella notte.
«Povera donna», disse Nonna.
Mamma disse: «Oddio, oddio, Dio mio, oddio». Mamma, lei non è mai stata quella che si definisce “una persona dal sangue freddo”.
«Morta, sì. Infarto», continuò Zia. «Morta di colpo, non c’è stato niente da fare».
Mamma si mise a piangere. Zia la abbracciò. Iniziò a tamburellare la mano sulla schiena di mamma. «Dobbiamo andare subito a portare le nostre condoglianze a Elsa e famiglia».
Io non capivo cosa stesse succedendo. Soprattutto, non capivo perché Nonno se ne stesse tranquillo sul divano. Doveva essersi dimenticato di avvisarci, o di attivare l’Amplifon. Mi alzai, andai a abbracciare Mamma, poi mi versai un bicchiere di aranciata. Mamma mi abbracciò forte da dietro, facendomi spandere la Fanta.
«Io e Zia andiamo a casa di Elsa», disse Mamma. Mi sembrava più che giusto, ma non riuscii a rispondere, stavo letteralmente soffocando.
L’eroina e Mamma uscirono di scena.
Nei miei ricordi, i fatti successivi si susseguono in un vortice di recriminazioni («Come hai potuto non dirci niente!» = Nonna al Nonno), di labbra tremolanti («Ma di cosa, mo?» = Nonno alla Nonna), di nuove macchie di vino («Ma che è morta la [NOME CHE NON RAMMENTO] = Nonna al Nonno), di spiegazioni confuse («Ioi, ma io che ne so, mo?» = Nonno), di notizie tragiche («… Infine se n’è andato, nella notte, Christian Mortensen, l’uomo più vecchio del mondo» = Tg), di bevute solitarie («Nonna, la bottiglia di Fanta è finita, posso prenderne un’altra?» = Io).
Il flusso dei ricordi riprende a scorrere con maggiore chiarezza poco dopo, quando Mamma e Zia tornarono a casa. Solito cigolio introduttivo all’aprirsi del portone in legno antico.
Criiiick. Suono spettrale.
Le due donne entrarono, Zia si lanciò contro la spia russa e iniziò a agitare il pugno davanti al suo bavero (se nella storia ci fosse una scena Dostoevskjiana, è questa) e disse che lei e Mamma erano entrate a casa della mamma (n°1) di Elsa e avevano trovato Elsa e la sua mamma (n° 2) e il marito di Elsa seduti a tavola, stavano mangiando una pasta al sugo, mentre l’altra mamma di Elsa, o meglio, la salma, era adagiata sul divano, in soggiorno, gli occhi chiusi, le mani intrecciate sul petto. Zia si era avvicinata a Elsa («Va bene tutto, ma questi mangiavano con un morto in sala!» = Zia), e aveva iniziato a stringere le mani dei presenti. Che erano rimasti letteralmente con il boccone a mezz’aria («Come se i fantasmi, lì, fossimo noi!» = Mamma). Poi, mentre Zia si era chinata su Elsa per abbracciarla, la salma aveva spalancato gli occhi e aveva detto: «Ioi, che piacere vedervi, mo’. Sedetevi, mo’, che vi preparo un caffè». Mamma aveva urlato («Sono morta di vergogna!» = Mamma, poverina). Zia era scattata su come se avesse visto un vero defunto. «Ma sei viva!»
La salma aveva risposto: «Ci mancherebbe altro», e aveva fatto il gesto delle corna. Si era messa in piedi ed era sparita in cucina.
L’eroina, insomma, aveva, se vogliamo, riportato indietro da una falsa morte la Bella Addormentata. Che è un modo carino per dire che si era trattato di un malinteso. Nonno e il suo udito. Nonno e il suo vino.
Poi c’è Christian Mortensen. Il ruolo del morto, nella storia, è tutto suo.
Oggi sono morte entrambe e, a dirla tutta, qualche anno fa è mancata anche la migliore amica di Mamma. Che, dunque, farei meglio a definire “ex migliore amica di Mamma”. Non fosse che, da allora, Mamma non ha esattamente avuto vagonate di amiche, figurarsi di “migliori amiche”. È un po’ come se lo scettro fosse ancora saldamente nel pugno di Elsa. Che era il nome della donna morta qualche anno fa. Quella con due mamme. Entrambe defunte.
Ma questa non è una storia triste. Anche se c’è scappato il morto. Tutt’altro. È una storia simpatica, da pisciarsi addosso dal ridere, sebbene dalle premesse non si direbbe.
Ero a casa di Nonna. L’unica mamma di Mamma. Avevo l’età in cui potevo finalmente bere tutta l’aranciata del mondo, senza le assurde limitazioni a cui ero stato sottoposto fino ad allora (Nonna era stata solita dirmi cose come: «È già il secondo bicchiere! Non esagerare!», o: «L’aranciata ti farà venire il sangue di naso». Dall’enfasi che ci metteva, avreste detto che i TG fossero pieni di morti-da-aranciata. Che le strade fossero invase da tanti Fanta-Zombie).
Sedevamo a tavola. Nonna usava sempre queste terribili tovaglie bianche con fantasia floreale, chiazzate di vino. Il Nonno e la Nonna, a pranzo, si concedevano un bicchiere di rosso. Con l’aranciata (a pensarci, adesso, forse nonna era così fissata nel centellinare l’aranciata perché associava la bevanda al vino e credeva che, sdoganata la Fanta, avrei iniziato a pretendere la mia dose quotidiana di alcol. Aveva ragione). Le mani di Nonno, be’, non erano quel che si dice “mani da chirurgo”. Per di più Nonno riempiva i bicchieri fino all’orlo. Ho questi ricordi di Nonno e Nonna che avvicinano le labbra alla superficie tremolante del loro vino rosso staccando gli occhi dal liquido solo dopo aver aspirato il primo sorso. Che romantici. Ho questi ricordi delle goccioline di vino che dalle labbra di Nonno scivolavano fino al mento di Nonno e di lì il gran tuffo sulla Tovaglia. O dentro la minestra, se Nonna aveva già portato i piatti in tavola. Minestra di verdura al vino rosso, prelibatezza.
Ma il tempo è poco, veniamo al dunque.
Nonna era nel cucinino. Nonno sedeva sul divano. Io pure sedevo sul divano. Stavo lottando contro la forza di gravità (Nonno doveva pesare cento chili; aveva la corporatura che ti aspetteresti da un domatore di leoni in pensione), quando entrò Zia Roberta.
Zia Roberta non è mai stata quel che si dice “un fulmine di guerra”. Riformulo. Zia ha sempre posseduto il genere di furbizia tipico dei secondogeniti, ma anche la faciloneria della figlia prediletta. Se in questa storia ci fosse una spia russa, quella non sarebbe Zia. Zia, in questa storia, è l’eroina che ha sconfitto la morte.
Zia Roberta entrò in scena spalancando la pesante porta in legno antico, che emise il suo consueto cigolio. Zia chiese dove fosse Mamma. In verità iniziò a urlare: «Babi? Babi? Dove sei? Babi! Devo parlarti» (Sì, Mamma per Zia era Babi). Mamma era di sopra, a rifare i letti (Ho questi ricordi di lenzuola di flanella e di borse dell’acqua calda e di nasi ghiacciati: Nonna non era esattamente quella che si dice “una spendacciona”, in materia di riscaldamento).
Nonna uscì dalla cucina e disse che Mamma era impegnata. In verità disse: «Tra mezz’ora si mangia, vieni a dare una mano».
Nonno smise di guardare la Tv e di voltò verso Zia. Nonno, in questa storia, è lui la spia russa.
Zia, rivolgendosi alla spia russa, strillò: «Ma non gli hai detto niente?».
Nonno si strinse nelle spalle. Ricordo Zia, una donna con il fisico da Grillo Parlante (o da Rita Pavone), saltare e sbattere i piedi.
«Ioi, ma papà, ma come non hai detto niente», disse l’eroina.
Nonno fece un piccolo sorriso, sembrava volesse dire qualcosa, ma poi si limitò a un piccolo sospiro. Una vera spia russa sa quando è il momento di tacere. Ci pensò Nonna a parlare. Nonna, in questa storia, è l’aiutante. Con il polso della levatrice di giovenche, disse: «Cosa avrebbe dovuto dire Nonno? Cosa c’è tanto da urlare?»
Nonna l’aiutante, la levatrice di notizie.
Zia fulminò Nonno, poi prese fiato. Tutto quel trambusto aveva richiamato Mamma, che, a giudicare dal rumore di tonfi pesanti e ravvicinati, si era lanciata giù per le scale con la furia di un Pastore Tedesco in calore. Se in questa storia ci fosse un’innocente da salvare, quella sarebbe Mamma. Non la Bella Addormentata, però, il ruolo è già preso.
Mamma disse: «Ciao Bubi, mi cercavi?» (Bubi e Babi. Sì, lo so…).
Zia disse: «Ti cercavo eccome, sì. È successa una cosa. Pensavo che Nonno vi avesse avvisati!» Fulminò Nonno, che aveva ripreso a guardare la Tv con aria beata.
Venne fuori che la spia russa, nel suo errare mattutino per le vie del paese, aveva sentito che una delle mamme di Elsa era morta, quella notte.
«Povera donna», disse Nonna.
Mamma disse: «Oddio, oddio, Dio mio, oddio». Mamma, lei non è mai stata quella che si definisce “una persona dal sangue freddo”.
«Morta, sì. Infarto», continuò Zia. «Morta di colpo, non c’è stato niente da fare».
Mamma si mise a piangere. Zia la abbracciò. Iniziò a tamburellare la mano sulla schiena di mamma. «Dobbiamo andare subito a portare le nostre condoglianze a Elsa e famiglia».
Io non capivo cosa stesse succedendo. Soprattutto, non capivo perché Nonno se ne stesse tranquillo sul divano. Doveva essersi dimenticato di avvisarci, o di attivare l’Amplifon. Mi alzai, andai a abbracciare Mamma, poi mi versai un bicchiere di aranciata. Mamma mi abbracciò forte da dietro, facendomi spandere la Fanta.
«Io e Zia andiamo a casa di Elsa», disse Mamma. Mi sembrava più che giusto, ma non riuscii a rispondere, stavo letteralmente soffocando.
L’eroina e Mamma uscirono di scena.
Nei miei ricordi, i fatti successivi si susseguono in un vortice di recriminazioni («Come hai potuto non dirci niente!» = Nonna al Nonno), di labbra tremolanti («Ma di cosa, mo?» = Nonno alla Nonna), di nuove macchie di vino («Ma che è morta la [NOME CHE NON RAMMENTO] = Nonna al Nonno), di spiegazioni confuse («Ioi, ma io che ne so, mo?» = Nonno), di notizie tragiche («… Infine se n’è andato, nella notte, Christian Mortensen, l’uomo più vecchio del mondo» = Tg), di bevute solitarie («Nonna, la bottiglia di Fanta è finita, posso prenderne un’altra?» = Io).
Il flusso dei ricordi riprende a scorrere con maggiore chiarezza poco dopo, quando Mamma e Zia tornarono a casa. Solito cigolio introduttivo all’aprirsi del portone in legno antico.
Criiiick. Suono spettrale.
Le due donne entrarono, Zia si lanciò contro la spia russa e iniziò a agitare il pugno davanti al suo bavero (se nella storia ci fosse una scena Dostoevskjiana, è questa) e disse che lei e Mamma erano entrate a casa della mamma (n°1) di Elsa e avevano trovato Elsa e la sua mamma (n° 2) e il marito di Elsa seduti a tavola, stavano mangiando una pasta al sugo, mentre l’altra mamma di Elsa, o meglio, la salma, era adagiata sul divano, in soggiorno, gli occhi chiusi, le mani intrecciate sul petto. Zia si era avvicinata a Elsa («Va bene tutto, ma questi mangiavano con un morto in sala!» = Zia), e aveva iniziato a stringere le mani dei presenti. Che erano rimasti letteralmente con il boccone a mezz’aria («Come se i fantasmi, lì, fossimo noi!» = Mamma). Poi, mentre Zia si era chinata su Elsa per abbracciarla, la salma aveva spalancato gli occhi e aveva detto: «Ioi, che piacere vedervi, mo’. Sedetevi, mo’, che vi preparo un caffè». Mamma aveva urlato («Sono morta di vergogna!» = Mamma, poverina). Zia era scattata su come se avesse visto un vero defunto. «Ma sei viva!»
La salma aveva risposto: «Ci mancherebbe altro», e aveva fatto il gesto delle corna. Si era messa in piedi ed era sparita in cucina.
L’eroina, insomma, aveva, se vogliamo, riportato indietro da una falsa morte la Bella Addormentata. Che è un modo carino per dire che si era trattato di un malinteso. Nonno e il suo udito. Nonno e il suo vino.
Poi c’è Christian Mortensen. Il ruolo del morto, nella storia, è tutto suo.