Traccia di mezzogiorno: La fobia
- Sei pronta?
- Sì
- Ti sei messa le scarpe da pioggia?
- Sììì.
- Hai fatto tutti i compiti?
- Uffaaaaa.
- Non sbuffare. Dai, che siamo in ritardo.
Amelia di solito è una bambina tranquilla, ma quando si impunta, non c'è verso. Testarda come poche. Guarda lì, le previsioni dicono che pioverà, ma niente, si è messa le ballerine rosa. Poi si bagna i piedi, le viene mal di gola, e siamo di nuovo da capo. Ormai è tardi, se non usciamo adesso arriverà a scuola in ritardo. Speriamo bene.
- Dammi la mano.
- Sì. Mi racconti una storia?
- Va bene.
E adesso, cosa le racconto? I miti greci ormai li conosce tutti. I Promessi Sposi? No, troppo complicato. Tra un paio d'anni, magari. Già a farle sfogliare i libri d'arte, ha iniziato a riempire i disegni di San Sebastiano. Se inizio a parlarle dei Bravi, le maestre mi chiamano a rapporto.
Forse la sto educando in modo troppo anticonformista. Le dovrei raccontare La Sirenetta, altro che la nascita di Atena.
Ecco, il primo semaforo. Tanto per cambiare è rosso.
- Oh, oh. Mamma, non guardare.
- Che cosa?
- Ho detto, non guardare.
Troppo tardi. Lui è davanti a noi, fermo sul marciapiede opposto. Quando scatterà il verde, verrà verso di noi. Non posso impedirlo.
Stringo la mano di Amelia più forte, il palmo della mano inizia a sudare. Lei è tranquilla, per fortuna, non si rende conto del pericolo. Devo proporre una deviazione dal percorso abituale e sperare che lui non se ne accorga.
- Cambiamo strada.
- Perché?
- Perché sì. Andiamo a destra.
- Ma la scuola è davanti a noi.
- Non importa.
Quella cosa a cui non so dare un nome inizia dalla punta dei piedi e sale su per le gambe. Cerco di fermarla, ma è troppo tardi. Mi prende lo stomaco e stringe fortissimo, dappertutto. È come se fossi agganciata a un blocco di pietra, e come se questo mi volesse spingere verso il basso, sempre di più, ancorare a terra. Sale ancora, prende il sentiero della schiena e arriva al collo. Non riesco a muovermi. Non posso parlare. Soprattutto, non posso difendere Amelia.
Lui si alzerà presto. Scatterà verso di noi e le farà del male, e sarà tutta colpa mia, perché non sarò riuscita a difenderla.
Amelia sbuffa, seccata.
-Mamma, dai, è Ruber, lo vediamo tutti i giorni.
La sento a malapena. Sono immobile e fisso quegli occhiacci gialli socchiusi. Lui si nutre della mia paura, e io non posso farci niente.
Il semaforo diventa verde. Amelia lascia la mia mano e attraversa la strada, come facciamo tutte le mattine. Dritta nelle fauci del mostro. Vorrei fare qualcosa, qualsiasi cosa, ma non riesco.
Ho dimenticato come si pensa. Ho dimenticato che per pranzo le volevo fare le frittelle di fiori di zucca, che sabato è il compleanno di Alessia e non abbiamo ancora preso il regalo. Tutto perde importanza. Siamo solo io, lui e il macigno che mi imprigiona, mi tiene incollata al marciapiede, e mi impedisce di proteggerla.
-Ciao, Ruber.
Amelia gli si inginocchia di fianco e lo sfiora. Lui socchiude gli occhiacci e piega la testa da un lato. Sembra innocuo, ma io conosco la verità. Fa finta, lo so. È questione di attimi e la attaccherà. Il peggio è che nessuno si rende conto di cosa stia succedendo. Il mondo intorno continua a scorrere come se niente fosse. Vorrei urlare a tutti di fare attenzione, di stare lontani, ma non riesco. Di nuovo, quella cosa a cui non so dare un nome mi soffoca i pensieri.
Lui alza la testa. Sta per attaccare. Cerco di avvertirla, prima che sia troppo tardi, ma...
- Mamma? Mamma?
Apro gli occhi.
- Scusami, sono le sette e un quarto.
- Oddio, è tardissimo!
Amelia parla a voce bassa, è vestita e pronta per uscire, in mano ha una fetta biscottata.
- Hai fatto bene a chiamarmi, mi alzo subito.
- Ho già preparato tutto, devi solo farti il caffè.
- Meno male che mi hai svegliata, ho fatto un sogno...
- Sì? Cosa hai sognato?
- C'eri tu...
- Aspetta, quanti anni avevo?
- Sei, credo, perché andavi già a scuola.
Amelia ride.
- E' un record, complimenti. Di solito mi sogni che ho due o tre anni. E cosa facevo?
- Ti stavo portando a scuola, quando davanti a noi sulla strada vedevamo un gatto.
- Ti stavo portando a scuola, quando davanti a noi sulla strada vedevamo un gatto.
- Rosso, magari.
- Sì, sì, rosso, enorme, terribile.
- E cosa faceva, questo mostro terribile?
- Niente, come fanno quelle bestiacce, era sdraiato sul marciapiede e mi fissava. Tu andavi ad accarezzarlo, ma io avevo così paura che non riuscivo a muovermi, credevo che ti avrebbe attaccata, ma in realtà avevo più paura per me che per te.
- E poi?
- E poi per fortuna mi hai svegliata.
Amelia ride di nuovo.
- Scampato pericolo, allora, e meno male che ti ho svegliata. Chissà cosa sarebbe potuto succedere, con un mostro simile per la strada. Vado, che perdo l'autobus e oggi ho il compito di latino. Ciao.
- Ciao.
Metto le gambe fuori dal letto. Respiro normalmente, anche la sensazione di blocco allo stomaco, con il risveglio, è sparita. È tutto come al solito. Alzo le tapparelle e vado in cucina. Ho mezz'ora di tempo prima di uscire per andare ad aprire il negozio. Bene, fuori sembra una bella giornata.
Mi affaccio sul balcone e controllo che la signora Missori, che abita di fronte, abbia aperto la finestra. Vive da sola, poveretta, un controllo ogni tanto ci vuole.
Sì, la finestra è aperta.
E quel mostro con il pelo grigio a strisce è sul suo davanzale.
È sveglio.
Mi fissa.
Anche lui sa di me.