Partenogenesi di Britney (in Blu)
La mancanza di sonno stagnava nei miei occhi. Tale che lo sciabordio dei ricordi era attenuato, ma non del tutto: il caschetto di capelli blu; a esaltarne le forme abbondanti, e dannatamente sexy; un tatoo inguinale dalle sembianze di cuore nero; la fissa per i meme di Britney Spears e tutto ciò che non era. Nel profluvio di luce che batteva sul cemento, inondando la strada, l’immagine di Lisa persisteva (ricomponendosi) nei miei pensieri. Esitai nei pressi del frigorifero delle bevande, scelsi una lattina di mango; il gelo dell’alluminio in antitesi con l’odore campestre delle spezie. Abed, il paffuto uomo del mini market, mi fissava comprensivo e quieto, “Hai visto una ragazza dai capelli blu?”, raccolse le monetine, digitò sulla cassa, “tu fai sempre la stessa domanda; non hai bisogno di me, ma di certa gente che conosco e di ciò che ti possono offrire”, “, ma l’hai vista?”, fece spallucce e mi indicò certi vicoli.
Era ieri notte, e forse l’altra ancora quando ogni cosa è iniziata o meglio è ricominciata: l’indeterminatezza del risveglio s’infrangeva nella specificità del presente; Lisa non era ancora tornata, e di lei persistevano, come fuliggine negli occhi, le pieghe sulle lenzuola: a ricordo della sua recente fuga, non prima di dirmi che, “devo andare, altrimenti faccio tardi, amore”. La Lisa che conoscevo io, non lo avrebbe mai detto (amore), ma c’era un prima, senza olanzapina (in compresse da 5 mg) e un dopo, quando il suo doppione irragionevole, era stato stato narcotizzato, in favore di lei nella piena facoltà di essere (irragionevole):
...in un pomeriggio autunnale Lisa poltriva sul divano con lo sguardo rivolto allo schermo del telefono e ridacchiava a quelli che pensavo fossero i soliti meme: le piacevano in particolare quelli in cui una Britney Spears photoshoppata seviziava docili unicorni sovrappeso in differenti pose (quelle foto meritavano anche solo per il suo sguardo spiritato, e per la scritta allusiva: oops i did it again!), invece mi fece vedere altro: un video in cui un tizio disegnava voragini con un pennarello sul pavimento sulla strada e grazie all’illusione prospettica del suo tratto dava al malcapitato di turno l’impressione che fossero reali, creando così smarrimento, paura, vertigine a seconda; “Funziona a questo modo più o meno la mia controparte malata: ci sono degli accadimenti che ovviamente esistono solo nella mia mente, e la cosa che però più spaventosa è una parte di me si rende conto dell’illusione, ma non riesce a prevalere”, le risposi che a dire il vero preferivo i meme di Britney Spears, e Lisa sorrise maliziosa, come se citare la bionda principessa del pop avesse risvegliato in lei istinti ferali tali che non potei fare altro di ritrovarmi appiccicato nel suo sguardo, ai suoi capelli blu, mentre mi obliavo nel suo profumo n°5, quando, infine, con un pennarello, cancellammo lo suoneria del telefono.
Ricordo il battito cardiaco che correva frettoloso lungo certi vicoli, l’attimo in cui quelle sagome mi diedero qualcosa in cambio di altro. Ricordo sopra ogni cosa i flutti d’acqua bluastra cingermi il corpo, mentre il cielo blu sfumava in oro liquefetto e io mi sollevavo dal bordo piscina per lasciarmi ammirare; esattamente come in quella pubblicità di profumo di Tom Ford che infestava le fermate dei bus e voleva essere rappresentazione di un dio impostore e seducente, essenza stessa della sublimazione placida del prodotto luxury. Le nubi furono spazzate da correnti d’aria generate dallo sciamare delle auto, lì a pochi passi passi della fermata dell’autobus, c’era una ragazza dai capelli blu, dallo sguardo languido e luxury, e quando provai ad avvicinarmi a lei con lo sguardo della mente, si allontanò sorridente, non prima di dirmi qualcosa che fu cancellato dal tempestare del traffico. Quelle immagini si dispersero ben presto nel buio del vicolo, nel mio passo incerto, lasciando imperversare altro; figure mutevoli e inafferrabili che lampeggiavano tumultuose e inafferrabili.
Dentro di noi ristagnava rumore transgenico e multiforme: techno, trance, hardgrove, noise giù fino ai recessi di una sorta di funk metamorfico; Dj Cappa. sciamava tra levette e bottoni, quando invece sollevava la mano a sfiorare la cuffia pareva sconfinare verso l’orlo di galassie psichiche.
Mi disse che il Margarita lo trovava più appropriato per serate trance davanti a un barbecue a Juàrez, magari in spiaggia, sempre che da quelle parti ci fosse qualcosa che assomigliasse al mare. La folla gorgogliava, ribolliva, in un fracasso pseudo cosciente. Dj Cappa osservava l’orizzonte sincopato e danzante del Lobo, ma per lo più schiaffeggiava musica. Mentre sotto di noi fluttuavano ricorsive figure lascive, ombre di marionette cangianti. “Ricordi il caschetto blu, i meme, il profumo n°5…sono qui per lei, ricordi?”
“Non posso”, il tepore di un pezzo trance, il caleidoscopio paranoico di fasci di luci , una distesa serica brulicava nello sguardo stralunato di DJ Cappa., “Non posso dedicarle una canzone, Lisa, amico, mio... devi fartene una ragione”, rivolsi un cenno d’intesa e quello tornò a schiacciare bottoni, muovere levette, tessendo trame neuronali.
Da giorni non dormivo, da giorni non facevo altro che mettere in scena fantasmi psichici a cui facevo indossare un parrucchino blu, un tatuaggio lavabile e in quel teatro kabuki ci usavamo fino a che il tempo non scadeva... Presi un vinile bianco tra quelli; non recava copertine ed era oltre modo usurato, “nei sei certo?”, gli feci un cenno di cenno d’intesa. La sala dapprima fu attraversata da un crepitio primordiale, quindi una luce lunare cementificò quella danza frenetica: non più esseri senzienti, ma statue saline, e imitando il processo di mimesi delle rane della sabbia misero la testa fuori solo quando la musica si manifestò per poi lanciarsi in una danza scomposta, e allo stesso tempo fluidissima, mentre la musica pulsava come il battito di un cuore gargantuesco; tale che alcuni risalivano lungo le pareti, altri danzavano sul soffitto, per poi crollare armoniosi al suolo.
Scesi tra loro, urlai il nome di lei, come cieco tra zombie, presi ad abbracciare le ragazze, a toccarle sembrandomi che le più assomigliassero a Lisa, per poi esserne deluso, per non dire mortificato, allora urlavo, talvolta anche per il dolore inflittomi dagli schiaffi, dagli spintoni, quando infine finivo disteso al suolo. Come un lemming suicida: persistevo implacabile nella mia conta alla rovescia, 3,2,1, nel rituale osceno e ineluttabile della rievocazione, quando infine i titoli di coda in caratteri neri iniziarono a scorre su uno sfondo nero.
In primo piano, e in una negazione della stesso:
persistono nella mia mente, rimasugli chimici sotto forma di immagini, sogni, allucinazioni,
come riflessi di una memoria ad accesso casuale; il canto di clacson silenziosi, lo sguardo imperscrutabile di un uomo ritto e immobile nella mezzana della carreggiata, che sfida il traffico, e pare volersi prendere una rivincita sul destino. Le auto lo schivano, ma hanno sempre meno margine di errore. In un frame sovrapposto, appare lei; il caschetto blu, uno sguardo sadico che sfida quell’uomo, la scritta in dissolvenza: oops I did it again!
Un fiotto di luce prende la scena come rigurgito del dolore alle vertebre.
In un campo medio:
la porta del cesso. Mi alzo, la spingo, quando una fitta mi costringe a serrare le mascelle. Cerco di scoprire nello specchio quanto di me è rimasto dopo quella notte al Lobo.
Non sono più l’io di poche ore fa, non sono nemmeno dj Cappa., ma una sottrazione di quegli artefatti. Non mi rimane che prendere dalla tasca un pennarello e disegnare Lisa sullo specchio in forme geometriche concatenate tali da generare sommandosi una formula alchemica.
In campo e controcampo:
un caschetto blu, rotondità sexy, un tatoo dalle sembianze di cuore nero. Finalmente sono lei e la rivedo con i miei occhi, scavando nella sua memoria; il mio primo appuntamento, quando mi disse che intendeva saltare la parte melensa del corteggiamento, quella sorta di “cuori alati e palpitanti che battono festosi all’unisono”, per strisciare da subito nel fango reciproco dell’incertezza; per un istante mi pare di comprendere lei e la sua malattia, come elementi simbiotici e parassitari dei suoi io, per un attimo intravedo, come un bagliore estemporaneo, la genesi della sua scomparsa o qualunque cosa sia accaduto a Lisa. Pur avendo le sue sembianze mi sento solo, come fossi l’intruso di un’anima che ha tutte le ragioni di essere lasciata in pace. Prendo il pennarello e provo a tornare indietro, ma ciò che viene generato da un immaginazione voluttuosa non può essere cancellato per semplice censura o capriccio.