[MI148] [MI188] Il cuore altrove

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Traccia di mezzogiorno: "Perchè?"
Titolo: IL CUORE ALTROVE 
 
– Perché?
Lo specchio le rispose con il germoglio di un sorriso.
Perché sentirsi stupida per un sorso di felicità?
Una felicità scivolosa, unta della sugna incrostata di ricordi bruciati, vividi e vicini nei giorni che ne sentiva ancora l’odore addosso, sbiaditi e lontani in un tempo remoto che non le apparteneva più.
Assolta per non aver commesso il fatto.
Dalla finestra uno scorcio d’alba incendiava il profilo del mare, e per Mari era come se il cielo si stesse innamorando insieme a lei, madida di gioia per la prima volta dopo così tanto tempo da non ricordare più quanto.
Che male c’era a sentirsi fragile e impaziente come una liceale? Si concesse benevola un ultimo sguardo al telefono, ed espiò la sua pena canticchiando “Buona domenica”.
Chissà se a Davide piaceva Venditti…
O forse anche per la musica era più sofisticato, più ricercato, più impegnato.
Un tipo da… ecco, sì, Vinicio Capossela.
Prese l’iPod blu malinconia, si infilò le cuffie nelle orecchie e si stese con la sua vita sul letto, con tutti i profumi della notte ancora tra le dita. Scrollò le cartelle del lettore, fermò il dito su “Vinicio”, chiuse gli occhi e pigiò “random”, restando in attesa di scoprire che tipo poteva essere Davide.
Forse un tipo da ultimo amore.
“Fresca era l'aria di giugno e la notte sentiva l'estate arrivar
Tequila, Mariachi e Sangria, la fiesta invitava a bere e a ballar…”
 
– Oh! Ma il fenomeno che ci ha invitate ce l’ha una playstation, un dvd? Qualsiasi cosa! Non ne posso più di questa festa artificiale piena di replicanti, lo sapevo che dovevo restare in albergo!
– Dai, Mari, è la festa d’inizio estate, non potevamo mancare. Hai visto quanti ragazzi? Perché non ti fai un giro? Sei una favola con quel vestito!
Mari si portò il Mojito tintinnante nei pressi del cuore.
– Perché, come vedi, questa sera sono già impegnata.
ؘ– Oh Signore! Forse hai ragione, meglio che vai a guardarti un film. La camera di Fabio è al piano di sopra, la prima porta alla destra delle scale. Ci trovi tv, lettore dvd e una valanga di film tra cui scegliere.
– Come mai così informata? – domandò Mari scrutandola maliziosa.
– Guardo Discovery Channel – svicolò la sorella, chiudendo le labbra a bocciolo per schioccarle un bacio a distanza. – Vado a farmi sedurre da Fabio…
Afferrò il Cuba libre dal bancone e virò verso la musica.
Mari buttò giù il suo bicchiere, un’altra clessidra rovesciata sulle domande senza risposta rimaste a farle compagnia sugli sgabelli vuoti.
 
Salì le scale al passo del ghiaccio nel bicchiere di nuovo colmo, attenta come un’equilibrista per non lasciarne cadere neppure una goccia, concentrandosi sul liquido basculante neanche trasportasse una miscela esplosiva di nitrati. Ma per lei avrebbe fatto poca differenza, era solo un modo come un altro per evadere dalla prigione di quei pensieri complicati che le ondeggiavano in testa come foglioline di menta nel rum, annacquati da una speranza senza sapore che si ostinava a non voler cedere il passo alla realtà dei fatti. Per una mente analitica come la sua, impostata per natura e formazione ad affrontare ogni problema con formule e teoremi, era quasi un’eresia doversi affidare a un elemento inconsistente come la speranza. E così annaspava nella giostra riciclata dei perché, ma le domande restavano mute, sospese come nebbia sul mare agitato, e la lampara della speranza era solo un tenue bagliore in lontananza tenuto vivo dall’affetto della sorella.
Scambiò uno sguardo di traverso con Brandon Lee che l’aspettava appollaiato sulla locandina de “Il corvo”, e aprì la porta che la sosteneva. Dietro, però, non trovò una scenografia cupa e malinconica, ma un tipo confusamente carino che armeggiava tra mensole traboccanti dvd e videocassette.
Distolta l’attenzione dalla rassegna dei film il ragazzo si voltò e sorrise, riprendendo subito dopo la scorsa della filmografia a disposizione. Mari restò imbambolata sulla soglia con il Mojito che le raffreddava mani e intenzioni.
– Fabio? – chiese timidamente.
– Di sotto – rispose quello, cortese ma sbrigativo, impegnato nella ricerca certosina.
Mari avanzò incuriosita, poggiò il bicchiere e l’impaccio sul primo mobiletto capitato a tiro e gli si avvicinò, guardinga come un pugile che affronta un mancino.
– E tu saresti? – s’informò, appoggiandosi sullo schienale di una sedia e fissandolo come fosse l’attore di una candid camera.
– Davide, uno che preferisce un buon film a questa festa di plastica – le comunicò con artefatta afflizione, estraendo un dvd tra i tanti. Lo studiò soddisfatto e tornò a rivolgersi all’intrusa. – E ciao anche a te, comunque…
– Marilena, lieta di conoscerti – si presentò porgendogli la mano.
- Lo trovo giusto – rispose pronto ricambiando il gesto, – anch’io sarei lieto di conoscermi!
– L’hai trovato un film o devo pensare a come farti tacere?
– Frena gli ardori, donna, vengo in pace. Che ne dici?
L’orso goloso le mostrò cosa aveva scovato nel barattolo del miele.
– Il cuore altrove, Pupi Avati – lesse dubbiosa Mari, la cui preferenza in quel momento avrebbe propeso per un qualcosa di più allegro. – Non sarà palloso?
– Dipende… – rugliò l’orso con un brontolio di simpatica diffidenza.
– Da cosa?
– Da quanto è arido l’animo di chi lo guarda – sentenziò sicuro, ammiccando gigione con un occhiolino e battendosi due volte la custodia del dvd sul petto.
– Touché! – concesse Mari, buttandosi sul divano – Dai, aggiudicato, mettilo su. Spegni la luce per favore?
– Soltanto se prometti di tenere le mani a posto…
Un cuscino lanciato sulla testa sancì l’accordo alla reciproca confidenza.
 
– Candida me capiet, capiet me flava puella.
Mari ripeté sussurrandola l’ultima battuta del film, e una lacrimuccia partigiana la sorprese sulla trincea delle ciglia. Rivolse lo sguardo a Davide, spiaggiato sul divano con l’atteggiamento sornione di chi sapeva il fatto suo. La luce tenue dei titoli di coda giocava di chiaroscuro sul suo viso riflettendosi negli occhi neri che la fissavano intrigati, come se la sceneggiatura del film proseguisse in una scrittura decisa sul momento. Mari recitò a braccio la prima cosa che le venne in mente.
– Conosci il significato di questa frase?
– Spiacente, non parlo il bolognese…
– È latino, cretino… – mugolò allegra in rima, ricacciando la lacrima nella palpebra – Allora: candida significa bianco splendente… capiet viene dal verbo capio e significa…
– La donna dal bianco incarnato mi conquisterà, mi conquisterà quella con la pelle dorata.
Mari lo fissò come gli avesse appena rivelato il terzo segreto di Fatima. Il silenzio scaturito dalla marea crescente della sua sorpresa fu interrotto da un coro reggae di ubriachi, che gozzovigliavano nella festa in giardino facendo giustizia sommaria di “No woman, no cry”. Un monsone di Marijuana li rapì al retrogusto del film.
Davide ne approfittò per togliere entrambi dall’imbarazzo.
– Mh, roba buona! Qui andiamo a finire tutti in galera… – commentò con fare complice.
Mari si lasciò irretire volentieri, superando definitivamente lo steccato della diffidenza.
– E allora che ne dici di rimediare una canna e andare a fumarcela sulla spiaggia?
– Dico che io e te possiamo avere un futuro insieme! – esclamò l’altro aprendo le mani come per una benedizione.
 
“Cause I remember when we used to sit…”
Le potenti casse dello stereo, che qualche anima pia aveva provveduto ad alzare a palla sovrastando il chiasso dei bagordi, irradiavano la voce di Bob Marley fin sulla spiaggia, mentre Davide celebrava uno dei suoi sacramenti con una rullata liturgica. Accese la canna, aspirò un paio di corpose boccate per assicurarsi che tirasse a dovere, e con la solennità di un cavalier cortese gliela porse.
Mari scostò una ciocca di capelli solfeggiata dalla brezza di terra, sciogliendo le parole nel fumo.
– Allora, che ci fa uno che parla latino e guarda i film di Pupi Avati a una festa del genere?
– Aspetto che il destino cinico e baro si beffi di me, facendomi imbattere in maniera casuale in una splendida fanciulla capitata qui per chissà quale motivo.
– Semplicemente per accompagnare la sorella, che ha una tresca in corso con Fabio. Vedi, a volte, il caso…
– Borges sosteneva che noi chiamiamo caso la nostra incapacità di comprendere il meccanismo che regola la casualità. Magari era scritto da qualche parte che noi dovessimo incontrarci.
La guardava con lo sberleffo malizioso di un bambino, con un’aria da commedia americana che Mari trovava irresistibile, stregandola di un piacere latente che la inebriava. Profumava di buono, sapeva di vita.
Aspirò avidamente tutta la fragranza di quell’erba che odorava di ricordi, interrogando una stella per chiederle se gli avrebbero fatto più male questi della canna. Ripassò la giaculatoria del dottore: nonberenonfumarenonmangiarequestonon…
“Non ricordare” se l’era dimenticato.
Gli ripassò la canna incastrandogliela direttamente tra le dita, indugiando con la propria mano sulla sua. Le unghie affilate, rosse come il peccato, iniziarono a disegnargli ghirigori sul braccio. Davide non si fece pregare e la baciò come se fosse un kiwi sbucciato a metà, e con altrettanta passione Marilena si lasciò mangiare ricambiandolo con intensità felina.
Un fiato prima di ansimare la tigre ritrasse gli artigli.
Abiurò sul nascere un gemito che le risaliva per la gola, barattandolo con un respiro profondo intriso di coraggio. Aprì la mano sulla faccia del ragazzo, come la vetrina di un negozio incrinata da una sassata.
– Aspetta…
Mari chiuse gli occhi. Come da bambina, quando a Natale recitava la poesia davanti alla tavolata con tutti i parenti riuniti; non è che si vergognasse, era solo la paura di non ricordare.
Anche se questa poesia era molto corta, semplice da tenere a mente, tipo “M’illumino d’immenso”.
Marilena chiuse gli occhi. Come da bambina.
Non è che si vergognasse, era solo la paura di ricordare.
– Sono sieropositiva.
Davide non parlò.
Mari avvertì distintamente il crepitio dell’erba che ardeva nella cartina, il rumore del corpo che si alzava, lo stropiccìo delle mani che scrollavano la sabbia dai pantaloni, i passi che affondavano nella sabbia.
Rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare il canto del mare, un po' delusa, un po' sconfitta, un po' contenta. In fondo, almeno per una notte era passata un po' di vita.
Un secondo, un minuto, un’ora. Non percepì lo scorrere del tempo, ibernato nel buio delle pupille serrate. Ma quando si accorse che Davide si adagiò alle sue spalle, avvolgendola in un abbraccio rassicurante, il tempo riprese a fluire, scongelato dal suo respiro caldo sul collo.
Riaprì gli occhi, come se si svegliasse all’improvviso da un crudele sortilegio.
– Ma sei ancora qui?
Per la prima volta da quando si erano incontrati Davide non rispose. Si limitò a sorridere, e con quel sorriso Marilena riannodò i pezzi di vita sfrangiati sull’orlo della notte.
La rabbia, lo sconforto, l’apatia, incistatesi sottopelle con una tale virulenza da renderle oramai endemiche, sdilinquirono al calore emanato dal contatto fisico dei corpi. Il cuore di quel ragazzo, ruvido e sensibile come la lingua di un gatto, solleticò ogni suo più recondito senso in dormiveglia, frantumando il tempo in un estuario di racconti condivisi, di allegre battute, di sagge citazioni, in una vendemmia di emozioni che li condusse fino alle soglie del giorno.
– Toglimi una curiosità: perché non sei scappato? In fondo mi conosci a malapena.
- Perché vivo d’istinto, mordo la vita con la stessa passione con la quale prima ti mordevo le labbra. Amare e morire, amare da morire.
– Bella! A chi l’hai rubata, a Marzullo?
– Oh! Guarda che sono io quello che deve prendere per il culo, tu dovresti limitarti a ridere!
– Beh, visto che vuoi amare da morire, potremmo riprovare a baciarci. Magari senza mangiarci…
– Il rischio è il mio mestiere, baby – le disse con quell’aria da commedia americana, sollevandole il mento dolcemente con pollice e indice, impegnandosi nel gesto più soffice e morbido che potesse concepire.
Mari si ricordò del suo primo bacio, perché la domanda che timidamente gli bisbigliò quando le labbra si staccarono fu la stessa di allora.
– Com’è stato?
– La verità? Diverso. Però mi è piaciuto, sarà il gusto del proibito… ma per esserne certo dovrei rifarlo.
Le diede il secondo bacio come se fosse stato il primo di sempre, come se fosse stato l’ultimo per sempre, e poi un altro, e un altro ancora, finché l’orizzonte iniziò a screziarsi d’arancio stemperando la notte e l’anima in tumulto di Mari.
La prima luce del crepuscolo ricondusse Davide alla realtà.
– Io devo andare, ho un bar da aprire…
– Aspetta! Perché volevo dirti che se…
Davide le posò due dita sulla bocca, fissandola con la forza di un giuramento.
– Domani. Anzi, questa sera.
Mari rinfoderò la spada dei perché, gli spostò le dita stringendole in un pugno e le sostituì con le labbra.
Si alzarono, e mano nella mano andarono incontro al nuovo giorno.
 
Nella cornice della finestra l’alba si colorava di sole.
Stesa nel letto tra profumi e ricordi, Mari si addormentò col germoglio di un sorriso che provava a fiorire, e i suoi sogni da liceale non ascoltarono il finale della canzone di Vinicio che si spegneva nell’i-pod blu malinconia.
“… per quel breve suo amore che mai dimenticò…”

Re: [MI188]

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Ciao @Jack Cupo, è davvero bello questo racconto. Hai tratteggiato molto bene i personaggi e devo dire che quello di Davide, atteggiamenti e verve, ti è uscito alla grande. Le ambientazioni sono ben descritte, i dialoghi godibilissimi, il tema centrale della seconda possibilità parte un po' in sordina, come se fosse l'ennesima storia d'amore, e poi sfreccia come un treno. 
Quella sulla spiaggia potrebbe essere la tipica scena d'amore alla Stefano Accorsi, ma così non è. La rivelazione arriva dura e spietata proprio nel momento clou:
Jack Cupo wrote: – Sono sieropositiva.
La bravura dell'autore si vede nel seguente passaggio, che a mio modesto e personale parere è forse il meglio riuscito:
Jack Cupo wrote:
Davide non parlò.
Mari avvertì distintamente il crepitio dell’erba che ardeva nella cartina, il rumore del corpo che si alzava, lo stropiccìo delle mani che scrollavano la sabbia dai pantaloni, i passi che affondavano nella sabbia.
Rimase con gli occhi chiusi ad ascoltare il canto del mare, un po' delusa, un po' sconfitta, un po' contenta. In fondo, almeno per una notte era passata un po' di vita.
Un secondo, un minuto, un’ora. Non percepì lo scorrere del tempo, ibernato nel buio delle pupille serrate. Ma quando si accorse che Davide si adagiò alle sue spalle, avvolgendola in un abbraccio rassicurante, il tempo riprese a fluire, scongelato dal suo respiro caldo sul collo.
Riaprì gli occhi, come se si svegliasse all’improvviso da un crudele sortilegio.
– Ma sei ancora qui?
Qualcuno che si scrolla via la sabbia dai pantaloni è qualcuno che sta per andarsene. Ma non qui, non ora.
Ottimo lavoro.
A rileggerci.
"Scrivo per autodifesa"

Re: [MI188]

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Luquandus wrote: Ciao @Jack Cupo, è davvero bello questo racconto. Hai tratteggiato molto bene i personaggi e devo dire che quello di Davide, atteggiamenti e verve, ti è uscito alla grande. Le ambientazioni sono ben descritte, i dialoghi godibilissimi, il tema centrale della seconda possibilità parte un po' in sordina, come se fosse l'ennesima storia d'amore, e poi sfreccia come un treno. 
Quella sulla spiaggia potrebbe essere la tipica scena d'amore alla Stefano Accorsi, ma così non è. La rivelazione arriva dura e spietata proprio nel momento clou: La bravura dell'autore si vede nel seguente passaggio, che a mio modesto e personale parere è forse il meglio riuscito: Qualcuno che si scrolla via la sabbia dai pantaloni è qualcuno che sta per andarsene. Ma non qui, non ora.
Ottimo lavoro.
A rileggerci.
Ciao Luquandus, piacere di conoscerti.
Grazie per la bella recensione, per un modesto scribacchino dilettante quale sono è una grande soddisfazione constatare che qualcuno gradisca quello che scrivo. Se poi è un utente di questo forum popolato da molti scrittori dotati, la soddisfazione è doppia.
Alla prossima!

Re: [MI148] [MI188] Il cuore altrove

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Ciao @Jack Cupo, è stata una bella lettura. Parto subito dicendoti che mi è piaciuto molto il personaggio di Davide e ancor di più il modo molto delicato con cui hai tratteggiato le paure e le speranze della protagonista. Senza spiattellarcele in faccia, si percepisce il suo amore per la vita, il suo senso di colpa e la sua ricerca di riscatto. Veramente due personaggi ben fatti e una tematica affrontata con il giusto tatto. Complimenti.

Per quanto riguarda la forma, pur piacendomi autori dal lessico ricco e dalle costruzioni convolute, in questo racconto sono la cosa che mi è piaciuta meno. Per esempio in questo passaggio:
Jack Cupo wrote: La rabbia, lo sconforto, l’apatia, incistatesi sottopelle con una tale virulenza da renderle oramai endemiche, sdilinquirono al calore emanato dal contatto fisico dei corpi.
non ho gradito l'enumerazione e nemmeno lo sfoggio di vocabolario che, secondo me, nascondono la forza del sentimento provato in quel momento da Marilena, che sarebbe stato reso in modo più potente adottando una formulazione più trasparente.
In altri casi, invece, l'uso di un lessico più ricercato mi è piaciuto molto, come nello scambio di battute tra Marilena e Davide ("rugliare", "gigione"), che rendono anche narrativamente il modo di porsi un po' vanaglorioso di Davide. 
Chiudo segnalando due metafore, una che mi è piaciuta molto e l'altra che non l'ho compresa. La prima è:
Jack Cupo wrote: evadere dalla prigione di quei pensieri complicati che le ondeggiavano in testa come foglioline di menta nel rum, annacquati da una speranza senza sapore che si ostinava a non voler cedere il passo alla realtà dei fatti.
dove trovo perfetta la metafora alcolica vista l'ambientazione durante una festa. Invece in questo caso:
Jack Cupo wrote:
Un fiato prima di ansimare la tigre ritrasse gli artigli.
Abiurò sul nascere un gemito che le risaliva per la gola, barattandolo con un profondo intriso di coraggio. Aprì la mano sulla faccia del ragazzo, come la vetrina di un negozio incrinata da una sassata.
Credo che manchi qualcosa nella prima frase e che sia stata saltata una parola tra "profondo" e "intriso" (o forse è un errore di battitura e doveva essere "barattandolo con uno profondo e intriso di coraggio"?). Per quanto riguarda invece la metafora con la vetrina, non ho capito se si riferisce alla mano o alla faccia, e non riesco a vedere l'immagine che volevi darmi.
In ogni caso questo è l'unico passaggio in cui ho avuto problemi a capire cosa stesse accadendo, mentre per il resto del racconto ho apprezzato la prosa che avrei solamente bilanciato di più nelle scelte lessicali. Nel complesso mi è piaciuto molto specialmente per il ritratto che hai dato dei due personaggi e concordo con l'altro commento che segnalava i passaggi meglio riusciti. Veramente molto belli. 
Bel racconto, al prossimo!

Re: [MI148] [MI188] Il cuore altrove

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Ciao @Ryk
grazie per la lettura e per il commento.
Sorvolo sugli elogi, che fanno sempre piacere, ma per preferisco concentrarmi sulle critiche, sono qui per "pesarmi" e migliorare grazie alle critiche.
Per quanto riguarda l'eccessivo uso di parole forbite, probabilmente hai ragione, è un vizietto che mi trascino dietro sin dalle scuole medie, per via di un giochetto sui vocaboli con cui la prof di italiano era solita coinvolgerci e che col passare degli anni è rimasta come abitudine. E' una cosa che mi diverte, ma non lo faccio per dare sfoggio di chissà quale cultura (che tra l'altro non ho).
Sono invece meno d'accordo su quella che tu chiami "enumerazione". In fin dei conti, sono "solo" tre stati d'animo, diversi ma affini, che credo siano compatibili con quello che avrebbe provato una giovane donna sieropositiva una ventina d'anni fa, quando essere sieropositivi comportava un stravolgimento drammatico dell'esistenza, diversamente da oggi.
Riguardo alla frase poco comprensibile, si tratta chiaramente di un refuso, manca la parola "respiro". Me ne sono accorto fuori tempo massimo per editarlo, ho chiesto la cortesia a @Sira di correggerlo, ma evidentemente deve essere contro il regolamento. La frase corretta sarebbe la seguente:

barattandolo con un respiro profondo intriso di coraggio

[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]La metafora della vetrina, invece, pensavo fosse più immediata. In genere, quando una vetrina viene colpita da un sasso, dal punto d'impatto si apre una raggiera di crepe; così ho immaginato il palmo della mano come il punto d'impatto, e le dita come le crepe. Mi sembrava intrigante descrivere quell'intenso momento interrotto così bruscamente con un'immagine di un vetro che si incrinava.[/font]

Ciao, a rileggerci!

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