Traccia di mezzanotte. 1, Giorno di pioggia
Sono passati cinque anni da quando vivo isolato sulle montagne. Mantengo un minimo di lavoro in smart, che porto a termine di giorno o di notte, non fa differenza.
L'unico umano che conosco è Guido. A vederlo sembra che abbia più di ottant'anni. Vive a mezzo chilometro da me. La sua è una presenza familiare. Lo vedo passare tutti i giorni alla stessa ora: all'alba e al tramonto. Mi dà sicurezza e sento in lui come una sorta di profonda amicizia anche se ci siamo incrociati più volte senza mai parlarci. Vorrei essere come lui, seguire i ritmi della natura con la sua pacatezza.
E invece ora non so se è giorno o notte. Dormo sia alle sette che alle diciassette. Steso con la luna e il sole.
Decido di alzarmi, esco un po', è buio, fa freddo, mi viene voglia di tornare dentro.
Un rumore improvviso dietro una siepe mi fa sobbalzare. Ci deve essere qualcuno. Chi può essere? Un ladro? Difficile da queste parti. Forse un animale.
Accendo la torcia, la luce taglia l'oscurità. Si ferma in un punto dove spesso butto scarti di verdura. Potrebbe essere un tasso, o un cinghiale, li ho già visti aggirarsi qui di notte.
Scruto meglio. Tra le foglie spunta una testa, o almeno sembra una testa.
Due occhi cerchiati di piume mi fissano. Sotto, un becco, o qualcosa che gli somiglia. Sembra una protuberanza ossea. Come un osso che si apre nel mezzo. Che razza di uccello è? Mi ricorda un volatile preistorico.
Sento una voce o un verso.
“Ciiiiiiiiiiiiiiiiip!”
Mi immobilizzo.
“Cos'è? Uno scherzo?”
“Sì, è uno scherzo.” mi risponde.
La testa sparisce tra la siepe. Mi avvicino, illuminando con la torcia, curioso e teso. Faccio il giro. Non c'è nessuno.
Allucinazione? Forse. Eppure mi sembrava proprio di averlo sentito.
Torno a letto. Sudo, mi rigiro. Non mi era mai successo. Mi sale la tensione.
Uno scherzo, dico a me stesso. E se non lo fosse?
Ritorno fuori. Fa freddo, sono a piedi nudi, schiaccio qualcosa di molle: un lumacone senza guscio. Fosse stato col guscio mi sarebbe venuto un colpo. È ancora buio, il cielo è uno spettacolo di stelle. La vista si abitua al chiarore notturno e alla luce del quarto di luna crescente.
Dopo un po' sembra quasi che tutto intorno sia illuminato da un grosso lampione. Faccio un giro. I miei quattro gatti mi seguono. È come avere un allarme: al minimo rumore drizzano le orecchie o il pelo, le pupille dilatate nell'oscurità.
Eppure continuo a sentire la presenza. Quella specie di becco che parla mi sembra di averlo davanti agli occhi. Non ho amici che possano organizzare uno scherzo del genere anche perché non ho amici. Da queste parti c'è solo Guido. Uno di altri tempi: spacca ancora la legna con un'ascia e mangia radici.
Sento un altro verso strano provenire dall'alto di un albero, illumino con la torcia e vedo due occhietti: un ghiro. Rifaccio due passi con i gatti, anzi sono loro che fanno due passi con me. Mi rilassa vederli: giocano, si arrampicano, un senso di quiete e serenità ritorna in me. Rimango fuori fino all'alba.
Torno a letto. Ma non ho più sonno.
“Ciiiiiiiiiiiiiip!”
Ancora!
Entra dalla finestra aperta, lo stesso verso, forse più acuto.
Ritorno fuori, sempre buio, ma se poco fa era l'alba, come è possibile?
Eclissi di sole totale, la aspettavamo, tutti ne parlavano da tempo. “Il giorno sarà come la notte” dicevano. E la notte sarà ancora più buia?
Il cip, anzi macro cip, sembra di nuovo dissolto nel nulla.
Ammiro l'eclissi totale. La sento anche dentro di me. Che giorno è? Non ricordo nulla. Fa freddo, dev'essere inverno, o autunno, o forse primavera? Nonostante il gelo sento un desiderio di togliermi i vestiti. Nel farlo ho delle vampate, più mi spoglio più mi accaldo.
Vorrei inoltrarmi nel bosco ma è buio pesto, non trovo più la casa. Sono immobile. Aspetto che passi l'eclissi. Mentre lo penso è già passata, torna la luce ma dentro di me resta il buio.
Il sole cede il posto alla luna o viceversa? Sono confuso e non posso fare a meno di pensare a lei.
Mi piacerebbe risentire quello strano verso, un boato nel silenzio. Mi dava un senso di sicurezza, un motivo per rimanere attaccato a qualcosa.
“Ciiiiiiiiiiiip! Ciooooooooop!”
Mi viene quasi da ridere se non fosse per il fatto che ora le teste erano due.
Mi viene voglia di un whisky ma non ne ho.
Ricordo la vecchia credenza in soffitta, bottiglie di liquore dimenticate da almeno cinquant'anni. Ne trovo una di brandy, ancora sigillata. Decido di andare a trovare Guido.
Aspetto l'alba per non disturbarlo. Mi siedo su una roccia, osservo l'orizzonte. Il sole, rapido. Avevo dimenticato di quanto fosse immediato il miracolo dell'alba. In pochi istanti mi acceca.
Si apre la robusta porta di legno. Guido esce con la solita camicia rattoppata, pantaloni bucati sulle ginocchia e vecchie scarpe da montagna consunte. Non sono vestiti: è il suo habitat. Non ricordo di averlo visto vestito in altro modo.
“Ciao, vecchio mio, cosa ci fai da queste parti a quest'ora?”
Mi dà del vecchio e ha ragione, lo sono molto più di lui anche se ho trent'anni di meno.
“Sono agitato, mi sembra di avere le allucinazioni. Sento voci, versi, non riesco a dormire. Non che dorma bene di solito. Ma stanotte gli incubi mi hanno perseguitato.”
“Andiamo, una giornata nel bosco aiuta a mettere in pace i sensi.”
“Hai visto l'eclissi?”
Non mi risponde, il suo sguardo è altrove, dentro qualcosa.
Mi sembra di entrare in un'altra dimensione, una frescura mi avvolge, odore di funghi e di legno umido.
“Dove vai a fare legna?” gli chiedo dopo ore di cammino, spinto dalla curiosità.”
“Dove la natura si è ribellata.”
Rimango spiazzato. Ripenso alle piume e al grande becco. Forse intende quello? Una specie di Jurassic Park?
Camminiamo ancora. L'orizzonte si apre e un vuoto si apre davanti a noi. Siamo su un crinale. Mi chiedo come possa portare legna da lì.
Ci fermiamo. Il tempo si dilata: secondi, minuti, forse ore. Guido si rialza, prosegue.
Davanti a noi si apre un canyon, una voragine di terra e pietre che la natura si è ripresa nel tempo. Arbusti e cespugli a macchia coprono i fianchi più dolci.
In fondo: una catasta di tronchi: una montagna di legna depositata dalla furia del vento e dell'acqua.
“Ecco la mia scorta” mi dice “La natura me l'ha servita senza dover abbattere un solo albero.”
Resto senza parole. Guido, come diavolo fa a scendere laggiù e tornare con la legna?
“So a cosa pensi” sorride. “ Se porti un pezzo al giorno ne avrai 365 in un anno. E se ne porti due, il doppio.”
La grandezza delle piccole cose.
Scendiamo da un sentiero tracciato a zig zag lungo il fianco del pendio. Taglia due tronchetti con una sega lasciata lì, me ne porge uno.
Riprendiamo la via del ritorno.
Non faccio domande. Capisco che il senso della sua vita è tutto lì.
A un certo punto si ferma, posa il tronco e si siede su una roccia ai piedi di un albero. Lo imito.
Guarda in alto, tra le chiome. Io seguo il suo sguardo. Ritagli di cielo tremano tra le foglie. Mi sdraio, la schiena dolente. La vista si annebbia. Mi addormento al dolce suono del bosco.
Dopo un tempo indefinito, sento una mano sulla spalla. Mi sveglio, lo sguardo stralunato. La luce è blu, densa. Gli alberi si stagliano neri contro l'arancione intenso del tramonto.
Guido è accanto a me, nella stessa posizione di prima.
“Perché ci siamo fermati qui?” chiedo.
“Guarda.”
Alzo lo sguardo: “Non vedo nulla, solo le chiome.”
“Concentrati, c'è un universo intorno a noi.”
Provo a seguirlo. Sfioro la corteccia dell'albero: al minino tocco si stacca a scaglie, rivelando un formicaio brulicante. Due millepiedi si riparano sotto la luce.
Farfalle nere con le ali a macchie bianche e corpo striato d'arancio mi girano intorno, alcune accoppiate, unite per l'estremità.
Una si posa sul mio dito e inizia a tastare la pelle con la sua proboscide. Tra i rami scorgo un bozzolo di bruchi pelosi: processionarie. Se le lasci in pace non fanno del male a nessuno.
Poi il terrore.
Mi sembra di percepire il pennuto preistorico, dietro un tronco, pronto a sbucare.
Guido nota il mio sguardo.
“Ehi, che succede?”
“Ho l'impressione che quella specie di mostro sia qua vicino.”
“Che mostro?”
“Quello che mi perseguita da ieri notte. O forse non era notte.”
“Tutti abbiano dei mostri che ci perseguitano.”
“Cosa intendi?”
“Quello che ho detto. Nel nostro passato. Pensiamo di non aver fatto abbastanza per qualcuno che amavamo. E allora tornano, nei sogni, nei suoni, negli animali. Ci chiedono il conto.”
“Non ricordo di aver fatto male a qualcuno” mento.
“I tuoi occhi nascondono qualcosa.”
Continua a fissare il cielo.
“Cos'è che attira così tanto la tua attenzione?” chiedo.
“Luisella.”
“Chi è Luisella?”
“Il mio amore, ci diamo appuntamento ogni giorno, qui.”
Inizio a pensare che non è il solo pervaso da follia. Poi un battito forte di ali. Un gufo cala dall'alto e si posa sulla sua spalla. Ora capisco a cosa serve quella toppa di pelle.
“Eccola.”
Resto a bocca aperta. Non tanto per il gesto dell'animale, quanto per la naturalezza con cui Guido lo accoglie.
Luisella si lascia accarezzare dalla sua mano segnata dal tempo, mentre lei con l'affilato becco ricurvo mordicchia delicatamente il lobo dell'orecchio. Un gesto d'intimità.
“Da quanto tempo la conosci?”
“Da quando è nata: ottantaquattro anni e due mesi.”
“O è il gufo più longevo del mondo o mi sfugge qualcosa.”
“Il gufo è solo il corpo che ospita la sua anima.”
“E come lo sai?”
“Perché fa ciò che faceva Luisella: le piaceva toccare il punto più morbido dell'orecchio. Lo accarezzava con il pollice e l'indice con la stessa espressione beata.”
Avevo il timore di chiedere che fine avesse fatto, ma considerata la situazione surreale la tentazione era forte. Una cosa era certa: impossibile che un gufo possa vivere molti anni, per cui lo spirito della sua cara Luisella doveva aver fatto visita in qualche altro corpo? Mi feci coraggio.
“Prima del gufo?”
“Un cervo volante, per poche settimane, il suo ciclo vitale. Poi un pipistrello.”
“Cervo volante? Pipistrello?”
“Già, anche il coleottero mi pizzicava delicatamente l'orecchio e il pipistrello si attaccava a testa in giù al mio lobo con le sue zampette. Prima ancora una farfalla, una coccinella, un pettirosso e, ricordo, un'upupa.”
“Affascinante. Tutti animali che volano.”
“Luisella volava.”
Riprendiamo il cammino, ciascuno con il suo tronchetto sulla spalla.
Penso a chi paga per sollevare pesi in cubi di vetro appannati, tra odori di sudore e luci artificiali.
Guido, invece, solleva la vita.
Arriviamo a casa.
“Hai fame?” chiede.
“Molta.”
Apre la porta senza dire altro.
Ci sediamo a tavola. Dà fuoco a un mazzetto di rami secchi già preparato sul piano del camino. In pochi secondi si alza una vivida fiamma.
Tira fuori una brocca e versa un liquido ambrato in due bicchieri. Taglia due fette di una specie di polenta fredda, pronta per essere scaldata sulla brace.
Bevo un sorso.
Un misto di sapori speziati mi solletica le papille gustative. Mi ridesto dal torpore e dalla stanchezza.
“Che cos'è?”
“Succo di prugne selvatiche, semi di sambuco, melissa, salvia e bacche di ginepro fermentate. Più un'altra quindicina di erbe in proporzione variabile.”
“Ecco il segreto della tua forza.”
Poi mi fermo a guardarlo, in silenzio. Sa già cosa gli vorrei chiedere.
Lui abbassa lo sguardo, parla piano.
“Ci conoscevamo da bambini, eravamo inseparabili. Condividevamo tutto, anche i primi turbamenti. Un giorno mi confessò che non mi avrebbe lasciato mai, che la sua vita non avrebbe avuto senso senza di me. E io le dissi lo stesso.
Poi, un giorno qualunque, feci qualcosa senza pensarci troppo. Andai a trovare un cugino in città, rimasi via settimane, senza avvisarla.
Iniziò a piovere, incessantemente, per giorni. Il quarto giorno il cielo si aprì, e con lui la mia mente. Decisi di tornare da lei. Ma il paesaggio era cambiato. La sua casa non c’era più. Al suo posto, una distesa di fango. Un fiume improvviso aveva travolto tutto: casa, famiglia, ricordi. Trovarono i corpi dei suoi genitori, dei fratelli. Non il suo.”
Resto in silenzio, la gola chiusa.
“Da allora la cerco” continua. “Ogni giorno raccolgo un tronco in fondo a quella scarpata. È come se ogni pezzo di legna fosse una parte di lei. E Luisella mi manda segni della sua presenza. Aspetta che ritorni da lei, o che sia lei a tornare da me.”
Non aggiungo nulla. Solo silenzio.
Torno a casa e mi addormento. Mi sveglio sotto una pioggia battente. Penso a Guido, alla sua storia. Metto mantella e stivali ed esco. La sua porta è socchiusa.
“Guido?”
Silenzio. Dentro, nessuno. Sul tavolo, un biglietto.
Mio caro
Stamattina mi ha bussato un angelo
per condurmi da lei
Buffo. Non gli avevo mai detto il mio nome, mentre il suo era noto in tutta la vallata.
Mi sveglio all'alba, c'è uno splendido sole, vado a prendere un tronco, come faceva lui.
Una parte di Guido sarà sempre con me.
Rientro, mi stendo. Sento bussare la porta. Vado ad aprire.
“Ciao, da quanto non ci vediamo?”
“Non so, forse cinque anni.”
“È abbastanza. Mi porti a fare una passeggiata?”
Attraversiamo un bosco in una zona che frequento poco. Arriviamo a una radura. Sento voci di ragazzi, tende sparse, costruzioni improvvisate con tronchi. Bandiere ammainate. Resti di focolari.
Un campo scout.
Da dietro un albero sbucano due ragazzi abbigliati con piume, davanti alla faccia hanno una grossa protuberanza.
Sorrido.
Eva mi guarda.
“Sono anni che non vedevo questa espressione.”
“Anch'io.”
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