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L’ANACORETA
Sono nato e cresciuto in una nobile famiglia romana, all’interno della quale, si è sempre tramandata la leggenda di una nostra millenaria discendenza patrizia risalente all’età repubblicana. Ancora oggi, nell’anno del Signore 1894, mio nonno giura che questo nostro retaggio sia certo, che la nostra eredità abbia di bocca in bocca attraversato i secoli. Devo ammettere di amare l’idea che sia vero, sarà per questo che ho maturato l’ossessione per le radici e per la memoria, ossessione che da anni mi spinge a dedicare la vita alla lettura e all’esplorazione.
Sebbene ancora giovane giro il mondo alla ricerca dei testi più antichi, desidero e spero in tutti i modi di poter apprendere tutta la vera e dimenticata storia dell’essere umano per divulgarla in maniera scientifica. Immagino che tutto ciò che fu raccontato in ogni luogo e in ogni tempo da ogni uomo, fino al primo che abbia proferito parola, abbia lasciato degli indizi e viva ancora da qualche parte, c’è solo bisogno che qualcuno rimetta insieme i pezzi di quanto è disperso ai quattro angoli della terra. Ambizione non banale la mia, voglio in un certo senso ricostruire la Torre di Babele. Dai papiri egizi alle tavole sumere, dai racconti dei nativi americani ai testi sacri e apocrifi delle principali religioni monoteiste, dai minori culti locali indiani alle saghe norrene, mi abbevero di tutto ovunque, biblioteche pubbliche, accademie e collezioni private, ma ancora non mi posso ritenere soddisfatto. Qualcuno crede che stia dilapidando il patrimonio di famiglia, o almeno la parte che mi è stata concessa in dote, io tengo saldo il timone delle mie intenzioni e vado avanti così, errando, sempre più assetato.
Il destino mi ha condotto in una bettola di Montevideo, gioco una partita a scacchi con un settantenne canuto poeta di Buenos Aires, una partita lenta, durante la quale tra un bicchiere e l’altro racconto dei miei viaggi, della mia ricerca, dello spirito che mi anima. Questo antagonista appare sinceramente interessato ai miei studi e alla mia storia, parliamo di libri e di filosofi, di scienza, filologia e superstizioni. Perdo la partita con il bianco in un finale di torri nonostante la mia rinomata bravura alla scacchiera. Rimango sorpreso ma ricevo una confidenza, o forse meglio definirlo un regalo, che a detta del poeta potrebbe giovare al mio lavoro e lenire l’amarezza della sconfitta. Tra l’odore di tabacco da pipa misto ad acqua di colonia sento le sue parole risuonarmi nella testa.
A quanto pare su una spiaggia della penisola anatolica, precisamente ad Alanya, vive un misterioso anacoreta giunto sul posto dopo aver vissuto solitario nel deserto. Alcuni raccontano che un tempo fosse stato l’adepto di una setta di mistici sufi, altri che fosse sposato a una benestante donna di Siviglia. Magari entrambe le cose sono vere, o magari entrambe false, nessuno ne ha la certezza. L’anacoreta non parla con anima viva, è un uomo molto vecchio che da decenni trascorre in riva al mare tutto il tempo delle sue giornate, tranne quello nel quale si ritira per dormire all’interno di una tenda, poco in verità, o per mangiare il cibo che alcuni locali non gli fanno mancare. La sua presenza è ben tollerata, non infastidisce nessuno, non predica di certo, né apparentemente prega, insomma sarebbe potuto essere addirittura un sordomuto o un pazzo qualsiasi. Ciò che ha destato curiosità, fin dalla sua comparsa su quei lidi, è proprio la peculiare attività che senza sosta compie in corrispondenza della riva marina. Infatti egli non fa che scrivere nelle più disparate lingue del mondo, alcune delle quali dimenticate, parole e frasi comprensibili e non, parole e frasi forse non casuali. È ormai nota la diceria secondo cui per taluni stia scrivendo un riassunto della storia dell’universo, per altri semplicemente la sua biografia, per altri ancora la più bella opera che chiunque abbia mai scritto. Tutte queste ipotesi potrebbero essere vere oppure false, alcune o persino tutte coincidere, rimangono però non verificabili, poiché tutto ciò che scrive con dei consumati bastoni di legno sulla battigia viene istantaneamente cancellato dalle onde del mare. Instancabile scrive dando le spalle all’acqua, ma non sempre, ogni tanto scrive guardando il mare, non di rado invece scrive addirittura la notte alla sola luce della luna. In tanti hanno provato a distoglierlo dalla sua opera, a interagirci e intervistarlo in qualche maniera, nessuno ha mai avuto successo.
È una storia che mi affascina, vale la pena indagarla. Senza nessuna certezza di utilità ai fini della mia ricerca non esito a mettermi in viaggio per raggiungerlo. Devo assolutamente leggere cosa scrive e, seppur ancora senza ragionevoli motivi, già rimpiango di non aver potuto leggere tutto ciò che ha già scritto fin dal primo giorno, sebbene abbia cominciato a operare prima che io nascessi. Inutile dire che una trascrizione non esiste.
A quanto pare su una spiaggia della penisola anatolica, precisamente ad Alanya, vive un misterioso anacoreta giunto sul posto dopo aver vissuto solitario nel deserto. Alcuni raccontano che un tempo fosse stato l’adepto di una setta di mistici sufi, altri che fosse sposato a una benestante donna di Siviglia. Magari entrambe le cose sono vere, o magari entrambe false, nessuno ne ha la certezza. L’anacoreta non parla con anima viva, è un uomo molto vecchio che da decenni trascorre in riva al mare tutto il tempo delle sue giornate, tranne quello nel quale si ritira per dormire all’interno di una tenda, poco in verità, o per mangiare il cibo che alcuni locali non gli fanno mancare. La sua presenza è ben tollerata, non infastidisce nessuno, non predica di certo, né apparentemente prega, insomma sarebbe potuto essere addirittura un sordomuto o un pazzo qualsiasi. Ciò che ha destato curiosità, fin dalla sua comparsa su quei lidi, è proprio la peculiare attività che senza sosta compie in corrispondenza della riva marina. Infatti egli non fa che scrivere nelle più disparate lingue del mondo, alcune delle quali dimenticate, parole e frasi comprensibili e non, parole e frasi forse non casuali. È ormai nota la diceria secondo cui per taluni stia scrivendo un riassunto della storia dell’universo, per altri semplicemente la sua biografia, per altri ancora la più bella opera che chiunque abbia mai scritto. Tutte queste ipotesi potrebbero essere vere oppure false, alcune o persino tutte coincidere, rimangono però non verificabili, poiché tutto ciò che scrive con dei consumati bastoni di legno sulla battigia viene istantaneamente cancellato dalle onde del mare. Instancabile scrive dando le spalle all’acqua, ma non sempre, ogni tanto scrive guardando il mare, non di rado invece scrive addirittura la notte alla sola luce della luna. In tanti hanno provato a distoglierlo dalla sua opera, a interagirci e intervistarlo in qualche maniera, nessuno ha mai avuto successo.
È una storia che mi affascina, vale la pena indagarla. Senza nessuna certezza di utilità ai fini della mia ricerca non esito a mettermi in viaggio per raggiungerlo. Devo assolutamente leggere cosa scrive e, seppur ancora senza ragionevoli motivi, già rimpiango di non aver potuto leggere tutto ciò che ha già scritto fin dal primo giorno, sebbene abbia cominciato a operare prima che io nascessi. Inutile dire che una trascrizione non esiste.
Durante il mio pellegrinare attraverso i continenti per raggiungere l’anacoreta, non incontro mai nessuno che confermi le parole del poeta circa la sua esistenza, e Dio solo sa se di eruditi, marinai, ambasciatori e vagabondi io ne incontri. Giunto in Portogallo potrei addirittura credere di essere stato giocato, come le donne sanno bene: mai fidarsi dei poeti.
Sono passato per Roma a salutare la famiglia, parlo dell’anacoreta e tutti ridono di me, indago in ambienti gesuiti e anche lì nessuna conferma. Sembra proprio che nessuno ad Alanya e in nessun’altra spiaggia stia scrivendo la storia dell’universo. Ho scritto una lettera a un amico pittore che vive a Parigi, un grandissimo giocatore di scacchi con conoscenze in tutto il Sudamerica per chiedergli almeno qualche notizia sul poeta argentino, pare che nessuno lo conosca.
In terra ellenica ho perso ogni speranza, pur continuando a proseguire verso la mia meta decido di fermarmi qualche giorno più del previsto a Delfi. Conosco una prosperosa donna mora che profuma di talco con la quale passo una notte di fuoco dopo un lauto pasto a base di polpo arrostito e una deliziosa tzatziki. Lei è la prima a non dubitare della faccenda dell’anacoreta da un pò di tempo a questa parte, è convinta di aver già sentito da qualcuno, in qualche luogo, questa storia dello scrittore dai piedi perennemente bagnati. Mi esorta a non arrendermi, sicura del mio successo mi dona la sua benedizione. Riacquisto la speranza. Gli dei dell’Olimpo loro sì, sono con me.
Ad Alanya decido di battere l’intero litorale, parlo come posso con pastori e pescatori, dicono che nessuno stia scrivendo sulla spiaggia, non sono sicuramente loquaci e rifiutano le mie offerte di denaro.
All’improvviso, come in un sogno, davanti ai miei occhi questa tenda da perfetto anacoreta. Quelli che furono rami di ulivo ora consumati dal vento e incrostati di sale reggono teli di un ingiallito lino ripiegati in molteplici strati. Un misero giaciglio di frasche, una coperta di lana e una brocca d’acqua fanno capolino all’interno. Niente vestiti, nessun libro. Nell’aria frizzante di spuma marina e salsedine trasportate dal vento si confonde tutto il profumo della macchia mediterranea, mi affretto e corro sulla spiaggia mentre il sole sta già scomparendo.
Eccolo che scrive, mentre l’acqua si tinge delle note del rosa, del viola e dell’arancio. Non è come me l’ero immaginato, l’anacoreta è vecchio sì, ma non ha troppe rughe sul volto, è altissimo e imponente, il suo fisico è fin troppo robusto per l’età e per come vive, i capelli sono bianchi ma stranamente curati, tagliati di recente. Nonostante io senta freddo lui non trema seppur fradicio e svestito. Con la mano destra regge un bastone e inesorabile solca la sabbia, non mi degna di uno sguardo. Non sono arrivato fin qui per essere d’intralcio, voglio solo leggere come uomo di scienza, come curioso o come immagino al posto mio farebbe un mistico cercatore di verità sepolte, un archeologo del verbo. Mi domando se sia una lingua arcaica quella nella quale scrive proprio ora. Parole brevi, mi concentro. Le onde sono troppo veloci, la fugacità di questi tratti è scoraggiante per quelle che sono le mie ingenue intenzioni accompagnate da scarsa dimestichezza con tale palese bizzarria. Sono lettere alternate a numeri quelle poche cose che riesco a decifrare, non si tratta di parole. Sono codici alfanumerici. Ancora troppo svelto. Venti minuti, tutto si ripete, mi sembra di scorgere qualche regolarità, sto diventando più bravo e il mio occhio più attento, o forse sono lui e il mare a rallentare per pietà di me. Non riesco a crederci, è una partita di scacchi quella che l’anacoreta traccia. È la mia partita di Montevideo, quella con il poeta, mossa dopo mossa, posizione dopo posizione. Il cuore in gola, si prende gioco di me, nessuna spiegazione su come possa conoscerla, o forse sì: quel poeta maledetto.
Mi sono risvegliato su questo giaciglio dentro la tenda, non ricordo neppure quando mi sono addormentato. È mattino e l’anacoreta ha ripreso il suo bastone, sta già scrivendo. Con mio stupore ora leggo. Riesco a leggere e capire tutto, non si è mai trattato di uno scherzo. Rimetto insieme i pezzi, scorgo cause ed effetti di tutto ciò che è stato. L’anacoreta indugia nello scolpire lo spazio di un tempo che rimane indelebile nel dileguarsi, la caducità di un simulacro di un’eterna Babele. L’anacoreta porta il verbo senza pronunciarlo, è la forza del linguaggio detto e non detto, della volontà che crea, di tutto ciò che è stato ovunque, che non è stato in nessun luogo e che potrebbe essere. Ha trovato la storia, tutta la storia dal primo uomo fino all’ultimo, tutta la storia dentro una parola e fuori di essa.
L’anacoreta con il fiato corto si specchia nell’acqua e guarda il suo proprio volto. Ha generato se stesso, in se stesso e per se stesso, un microcosmo indivisibile ed eterno. Tutte le storie potrebbero essere vere oppure false, alcune o persino tutte coincidere. L’anacoreta ha scritto un riassunto della storia dell’universo, ha scritto la sua biografia, ha scritto questa storia, ha scritto la più bella opera che chiunque abbia mai scritto.
Sono passato per Roma a salutare la famiglia, parlo dell’anacoreta e tutti ridono di me, indago in ambienti gesuiti e anche lì nessuna conferma. Sembra proprio che nessuno ad Alanya e in nessun’altra spiaggia stia scrivendo la storia dell’universo. Ho scritto una lettera a un amico pittore che vive a Parigi, un grandissimo giocatore di scacchi con conoscenze in tutto il Sudamerica per chiedergli almeno qualche notizia sul poeta argentino, pare che nessuno lo conosca.
In terra ellenica ho perso ogni speranza, pur continuando a proseguire verso la mia meta decido di fermarmi qualche giorno più del previsto a Delfi. Conosco una prosperosa donna mora che profuma di talco con la quale passo una notte di fuoco dopo un lauto pasto a base di polpo arrostito e una deliziosa tzatziki. Lei è la prima a non dubitare della faccenda dell’anacoreta da un pò di tempo a questa parte, è convinta di aver già sentito da qualcuno, in qualche luogo, questa storia dello scrittore dai piedi perennemente bagnati. Mi esorta a non arrendermi, sicura del mio successo mi dona la sua benedizione. Riacquisto la speranza. Gli dei dell’Olimpo loro sì, sono con me.
Ad Alanya decido di battere l’intero litorale, parlo come posso con pastori e pescatori, dicono che nessuno stia scrivendo sulla spiaggia, non sono sicuramente loquaci e rifiutano le mie offerte di denaro.
All’improvviso, come in un sogno, davanti ai miei occhi questa tenda da perfetto anacoreta. Quelli che furono rami di ulivo ora consumati dal vento e incrostati di sale reggono teli di un ingiallito lino ripiegati in molteplici strati. Un misero giaciglio di frasche, una coperta di lana e una brocca d’acqua fanno capolino all’interno. Niente vestiti, nessun libro. Nell’aria frizzante di spuma marina e salsedine trasportate dal vento si confonde tutto il profumo della macchia mediterranea, mi affretto e corro sulla spiaggia mentre il sole sta già scomparendo.
Eccolo che scrive, mentre l’acqua si tinge delle note del rosa, del viola e dell’arancio. Non è come me l’ero immaginato, l’anacoreta è vecchio sì, ma non ha troppe rughe sul volto, è altissimo e imponente, il suo fisico è fin troppo robusto per l’età e per come vive, i capelli sono bianchi ma stranamente curati, tagliati di recente. Nonostante io senta freddo lui non trema seppur fradicio e svestito. Con la mano destra regge un bastone e inesorabile solca la sabbia, non mi degna di uno sguardo. Non sono arrivato fin qui per essere d’intralcio, voglio solo leggere come uomo di scienza, come curioso o come immagino al posto mio farebbe un mistico cercatore di verità sepolte, un archeologo del verbo. Mi domando se sia una lingua arcaica quella nella quale scrive proprio ora. Parole brevi, mi concentro. Le onde sono troppo veloci, la fugacità di questi tratti è scoraggiante per quelle che sono le mie ingenue intenzioni accompagnate da scarsa dimestichezza con tale palese bizzarria. Sono lettere alternate a numeri quelle poche cose che riesco a decifrare, non si tratta di parole. Sono codici alfanumerici. Ancora troppo svelto. Venti minuti, tutto si ripete, mi sembra di scorgere qualche regolarità, sto diventando più bravo e il mio occhio più attento, o forse sono lui e il mare a rallentare per pietà di me. Non riesco a crederci, è una partita di scacchi quella che l’anacoreta traccia. È la mia partita di Montevideo, quella con il poeta, mossa dopo mossa, posizione dopo posizione. Il cuore in gola, si prende gioco di me, nessuna spiegazione su come possa conoscerla, o forse sì: quel poeta maledetto.
Mi sono risvegliato su questo giaciglio dentro la tenda, non ricordo neppure quando mi sono addormentato. È mattino e l’anacoreta ha ripreso il suo bastone, sta già scrivendo. Con mio stupore ora leggo. Riesco a leggere e capire tutto, non si è mai trattato di uno scherzo. Rimetto insieme i pezzi, scorgo cause ed effetti di tutto ciò che è stato. L’anacoreta indugia nello scolpire lo spazio di un tempo che rimane indelebile nel dileguarsi, la caducità di un simulacro di un’eterna Babele. L’anacoreta porta il verbo senza pronunciarlo, è la forza del linguaggio detto e non detto, della volontà che crea, di tutto ciò che è stato ovunque, che non è stato in nessun luogo e che potrebbe essere. Ha trovato la storia, tutta la storia dal primo uomo fino all’ultimo, tutta la storia dentro una parola e fuori di essa.
L’anacoreta con il fiato corto si specchia nell’acqua e guarda il suo proprio volto. Ha generato se stesso, in se stesso e per se stesso, un microcosmo indivisibile ed eterno. Tutte le storie potrebbero essere vere oppure false, alcune o persino tutte coincidere. L’anacoreta ha scritto un riassunto della storia dell’universo, ha scritto la sua biografia, ha scritto questa storia, ha scritto la più bella opera che chiunque abbia mai scritto.