[Lab 15] Stelle cadenti

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L'incipit - traccia: La danza

Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
Dove diamine sono?
Ho la lingua impastata. Ma cosa è questo torpore? Cavolo, non riesco a mettere bene a fuoco, troppa luce. Dio che ansia, sembra che il corpo continui a dormire. Che fatica non soccombere a palpebre pachidermiche. Ero andata a ballare per l’addio al nubilato di Ludo…
“Pamela, ti sei svegliata? Come ti senti? Ce la fai? Dimmi se senti troppo dolore, posso aumentarti la morfina senza rimetterti a dormire.”
Guardo questa ragazza dal sorriso sincero, chiaramente sono in ospedale. Ho la bocca secchissima e la lingua gonfia, pessima accoppiata per risponderle. Lei capisce, perché mi bagna le labbra, ma è una tortura, perché capisco di avere un’insostenibile urgenza di bere. Acquisto lentamente lucidità.
“Mi hanno aggredita.” Riesco a malapena a mormorare
La ragazza mi stringe la mano con una dolcezza che mi scioglie, sento gli occhi bruciare ma le lacrime non scendono, mi sento prosciugata in ogni senso.
“Cara, chiamo il dottore, se ci dà il permesso ti porto nella tua stanza a reparto e potrai vedere i tuoi cari. Stai tranquilla. Torno in una manciata di secondi.”
Annuisco, sento che parlare mi costerebbe fatica. Il mio letto ha le sbarre, ho diversi fili collegati e un ago in vena. L’ambiente è asettico. Vedo altri letti, c’è un silenzio assordante. Eccola che torna col dottore, lui non sorride, ma sembra una brava persona.
“Allora Pamela, l’operazione è andata benissimo, valuteremo nei prossimi giorni la fisioterapia.”
Operazione? Quale operazione? Mi accorgo di averlo solo pensato, eppure volevo assolutamente chiederlo a voce alta. Mi lascio distrarre dalla lenta connessione mente-corpo. Il dottore mi scruta mentre continua a parlare.
“Prima di spostarti dalla rianimazione vediamo come segui con gli occhi questa luce… brava, così. Ora senza luce, guarda in alto… destra, sinistra… perfetto. Dimmi quanti anni hai, il nome della tua migliore amica delle elementari e dove ti trovavi quando sei stata aggredita.”
Deve leggermi sul volto lo stupore misto a scetticismo su una situazione così surreale, per questo mi tranquillizza:
“Un test veloce su memoria e capacità cognitive. Ricordi le domande in fila?”
Mi sento percorrere da un brivido di malessere, cado brutalmente nel presente. “Ho ventisei anni, la mia amica si chiamava Miriam ed ero nel parcheggio della discoteca Dark Note…Sono stata stuprata?”
Vedo il dottore corrugare la fronte, sento le viscere contorcersi, non riesco ad interpretare il suo sguardo, finalmente si decide a parlare, lo fa lentamente, scandisce le parole:
“Nulla fa pensare che si sia consumata violenza sessuale, sei stata operata in testa per una lesione cerebrale emorragica, non posso darti altri dettagli perché la polizia vuole interrogarti e potrei condizionare i tuoi ricordi. Valeria ti accompagnerà a reparto.”
D’istinto provo a muovere ogni muscolo, temo il peggio, mi rendo conto di avere gli arti intorpiditi, specialmente le gambe. Immagino di avere uno sguardo supplichevole, la ragazza dolce, con il suo potere calmante, mi dice che risolveremo tutto con la fisioterapia. Mentre mi sistemano sulla sedia a rotelle provo a ricordare. Ho confusione sui dettagli, cerco di mettere a fuoco. Mi aiutano con domande calzanti i poliziotti che trovo nella mia nuova camera, sono arrivati immediatamente. Laura, mi ha detto di chiamarsi così la mia infermiera, tiene d’occhio l’interrogatorio e si impegna perché mi lascino i giusti tempi di risposta, si assicura che non mi stanchi troppo. Mi sento stupida, ma sento di volerle bene come a una sorella. Le domande mi aiutano.
“Perché è uscita dalla discoteca signorina?”
“Dovevo rispondere al telefono.”
“Per quale motivo è uscita da sola, poteva farsi accompagnare da un’amica.”
La domanda mi stupisce, la mia titubanza suscita un mezzo sorrisetto nella poliziotta, il collega maschio mi incalza. Lo accontento con una risposta che mi sembra ovvia.
“Non potevo prevedere che sarei stata aggredita, dovevo rispondere al mio fidanzato, non c’era bisogno di fare uscire un’ altra persona.”
“Aveva seguito fuori il signor Fabio Ardeni?”
Ho il dubbio che non abbiano capito chi sia, forse hanno confuso due casi. La mia pausa mentre cerco di capire chi sia il tizio che ha nominato il poliziotto infastidisce i due agenti. La poliziotta mi incalza con forza, Laura interviene minacciando di fare smettere l’interrogatorio perché mi stanno stressando.
Chiedo se questo Fabio sia l’uomo che mi ha aggredito. Questa volta è il poliziotto maschio a fare lo smargiasso. Mi rivela che ad assentarmi una sbarra di ferro trovata vicino al secchione sulla testa è stata la fidanzata di questo Fabio e a quanto pare considerano scontato che io stessi flirtando con lui.
Mi agito al punto di fare suonare l’allarme della pressione. Laura vuole mandarli via, mentre io urlo che quel tizio enorme voleva violentarmi, stavamo lottando, avevo sentito una voce femminile insultare un’altra donna, non avevo fatto in tempo a chiedere aiuto che sono sprofondata nel buio ed ho visto lampi finché non ho perso i sensi.
I poliziotti sembrano scettici. A quanto pare è ora di visite, entrano i miei genitori con il mio fidanzato e i poliziotti se ne vanno.
Mia madre mi abbraccia, ma sembra un imbarazzo. Si sbriga a dirmi che era una sfortuna che Damiano mi avesse chiamata proprio in quel momento, che le voci si fanno grosse cambiando il significato peggio che col telefono senza fili, ma l’importante è che io stia bene. Parla come se avesse preso lei la botta in testa. Capisco che si rivolge a me per fare arrivare il messaggio a Damiano, il mio fidanzato.
Cerco con lo sguardo Laura, ma è andata via. Questa volta le lacrime escono, cerco conforto, mi rivolgo a Damiano:
“Quando abbiamo chiuso la telefonata un tizio che era lì fuori mi ha aggredita, voleva violentarmi…” Damiano rimane distaccato, non vorrei, ma la mia voce si alza di tono e piega verso lo stridulo. “Mi sono opposta con tutte le mie forze, poi sono svenuta, ma i medici escludono che ci sia riuscito!”
Interviene mia madre, a quanto pare il tizio era in discoteca con la fidanzata, questa è uscita per cercarlo e la donna che stava insultando evidentemente ero io, nonostante debba necessariamente avermi vista mentre mi difendevo dalla presa brutale del suo compagno.
“È andata bene, pensavano che fossi morta e sono scappati, ma quando i poliziotti sono arrivati da quel tipo, ha scaricato la fidanzata dicendo che lei ti ha colpito perché vi ha visti flirtare.” La vedo mentre abbassa gli occhi facendo un cenno verso Damiano mentre pronuncia l’ultima parola.
Sento di impazzire, è assurdo. Vorrei urlare a tutti di andarsene, invece, piangendo, ripeto ancora di essere stata aggredita da quell’uomo, che voleva violentarmi, di avere sentito una voce femminile e subito dopo un colpo fortissimo alla testa. Dovrebbero abbracciarmi, consolarmi, invece sento Damiano chiedermi se posso dire che mi voleva violentare perché mi ha messo le mani addosso.
Rimango in silenzio, questo balletto di ipocrisia intorno a me è insopportabile, fa scopa col balletto di luoghi comuni che mi hanno accompagnata prima di svenire, le lacrime mi rigano il volto. Mio padre sentenzia un “Adesso basta! Lasciatela in pace. Mi dice che mi vuole bene e li porta via sul suono della campana di fine visite.”
Torna Laura, è persuasiva quando afferma che anche dal male si può ricavare il bene, che magari senza questo triste episodio finivo pure per sposarlo quel mentecatto. Sorrido amaramente, stavamo effettivamente pensando di sposarci. Laura dice che posso rinascere non solo fisicamente, che una seconda occasione va vissuta al massimo. Sento il cuore più leggero. L’anima danza sulle note di nuove prospettive, ma gli arti sono ancora intorpiditi.
Voglio danzare anima e corpo. Ci riuscirò.
<3

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Modea72 wrote: Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Bell'incipit, brava!
Occhio a quel reppresentasse
Modea72 wrote: “Mi hanno aggredita.” Riesco a malapena a mormorare
Riesco va scritto minuscolo. Puoi togliere il punto finale nel discorso diretto.
Così:
"Mi hanno aggredita" riesco a malapena a mormorare.
(mettendo il punto di fine frase dopo "mormorare")

Modea72 wrote: Rimango in silenzio, questo balletto di ipocrisia intorno a me è insopportabile, fa il paio scopa col balletto di luoghi comuni che mi hanno accompagnata prima di svenire, (qui meglio i due punti) le lacrime mi rigano il volto. 
Suggerimenti, quelli sopra, che spero tu ritenga utili.

Ho letto con attenzione il tuo racconto. Ci mostri la sfortunata protagonista, il suo dolore, che ha però acuito la sua sensibilità dal momento della violenza subita. Sa "leggere" le parole e quello che vuol dire davvero chi le pronuncia: l'infermiera, il dottore, la madre, il padre, il fidanzato, la poliziotta ecc. Come se, insieme al trauma, che sente benissimo nelle sue conseguenze, le si fosse acuita una nuova facoltà: quella di sapere riconoscere chi le è davvero vicino e chi lo è di facciata, sotto un velo di ipocrisia.

E lo hai "mostrato" con abilità ed efficacia. Brava!  :)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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@Modea72 bel racconto! Un ottimo ritmo, e una bella capacità di tenere il lettore incollato alla pagina. Tematica attuale, gestita in modo “fresco” e credibile. Unico neo il “silenzio assordante” . Proverei a cercare un’espressione più personale e meno abusata.
Modea72 wrote: Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
L’incipit… ni. Riesce molto bene a introdurre il lettore nel tipo di storia, si capisce che leggeremo perché il o la protagonista sia stata malmenato/ta. Dal linguaggio si comprendee che deve trattarsi di una persona giovane. Quindi, da questo punto di vista, bene. 
Tuttavia non mi pare troppo scorrevole e anche la punteggiatura non aiuta. Per esempio, quando scrivi “Lingua di poeti l’italiano, perché ecc”  sento il bisogno di mettere “litaliano” in in un inciso “Lingua di poeti, l’italiano, ecc.”
Forse, come incipit, avrei lasciato solo questa frase: 
Modea72 wrote: Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Questa introduce bene il racconto e incuriosisce. Quindi taglierei tutta la parte delle stelle… 

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Grazie Monica per i complimenti e le annotazioni.
Ha dato anche a me un enorme fastidio quel 'silenzio assordante', ma finché non imparerò a gestire il tempo per la scrittura, mi scontrerò con scelte frettolose.
Tengo conto del tuo punto di vista sull'incipit, anche se a me continua a non dispiacere, sicuramente dovrò rivedere, come al solito, la punteggiatura.  :bash:
Grazie ancora 
<3

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Davvero un bel pezzo @Modea72 
Comincio subito da quello che ritengo l'unico vero difetto della storia: la divagazione iniziale sui luoghi comuni. Funziona bene se pensi che deve disorientare il lettore, dandogli il tempo di incuriosirsi alla storia per poterla seguire fino in fondo. Tuttavia così proposta confonde, senza incuriosire. Mi riferisco principalmente a questo:
Modea72 wrote: Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata. [...] Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così…
Francamente, non ho capito la battuta sulle civette sul comò :asd:
In sintesi: rivedrei proprio l'incipit per tenere sì la sospensione, come avevi giustamente ideato tu, ma scegliendo un registro linguistico un po' meno burlesco.

Come premesso, questo è l'unico vero difetto del tuo racconto, secondo me. Per il resto, sia come tempi narrativi, sia come vicenda fulcro, hai fatto un'ottima scelta. Non è semplicemente la piccola storia meschina che viene raccontata, dell'uomo-bestia che tenta la violenza su di una donna, ma la fitta rete di ipocrisie e di pregiudizi che colpisce duramente la protagonista. Come scrivevo nei commenti ad Areeanna, che fra l'altro ha scritto un altro bellissimo pezzo, simile per impegno sociale al tuo, hai scelto la politica delle 'mazzata psicologiche' contro i lettori. E questo, secondo me, è un bene.
Viviamo in un tempo di neo primitivi, di barbarie incombenti: davanti alla violenza non è possibile sentirsi indifferenti, voltandosi strategicamente dall'altro lato. L'opinione pubblica di chi legge va "presa a sberle" morali, anche solo per farla sentire coinvolta nel problema. Perciò sì: è giusto scegliere questa tematica ed è giusto trattarla con il dovuto trasporto emotivo, senza filtri.
Credo che questo racconto lavori bene con i temi, manipolando attentamente le emozioni più cupe, per trasmetterci il messaggio più importante: se non siamo dalla parte delle vittime, siamo noi stessi aguzzini.

Una lettura piacevole e interessante, di gran valore. Peccato per l'incipit, che a mio avviso poteva funzionare meglio con qualcosa di meno ironico.
Complimenti.

A rileggerci presto!

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Grazie @Nerio per questo utilissimo commento.
Ho un problema: sia tu sia Monica mi avete fatto osservazioni puntuali sull'incipit, che continua a piacermi, ma è evidente che non venga percepito allo stesso modo dal lettore, quindi dovrò lavorarci con mooolta accuratezza.
Nei miei intenti doveva chiudersi un cerchio: i modi di dire, i luoghi comuni dell' incipit, con i sottintesi, agghiaccianti, luoghi comuni, che in fondo "la donna un po' se la va a cercare."
Dovendo prestare particolare attenzione all'incipit, mi sembrava intrigante la mescolanza del momento tragico con una scena ironica, inoltre volevo sottendere un altro luogo comune, che quando si sta o si pensa che si stia per morire, passi tutta la vita davanti. L'idea che le potesse venire da ridere, mi sembrava  azzeccata.
A quanto pare funzionava solo nella mia testa!  :facepalm:
Nerio wrote: Francamente, non ho capito la battuta sulle civette sul comò :asd:
E qui si capisce quanto io sia vecchia  :perchè:

"Anghingó tre civette sul comò che facevano l'amore con la figlia del dottore, il dottore si ammalò ambarabaccicicoccò".
Questa era una filastrocca utilizzata per fare la conta. Ce la insegnavano così, anche genitori e nonni, sorvolando allegramente sul fatto che tre civette potessero fare l'amore con la figlia del dottore.
Negli ultimi anni sono circolati diversi post che hanno rimesso ordine su modi di dire totalmente male interpretati dal popolo, vedi "un due tre, stella!" che invece correttamente era "un due tre, stai là!".
Allo stesso modo, a quanto pare, "le tre civette facevano terrore alla figlia del dottore", che ha molto più senso.

Grazie ancora per l'accurato commento e per i complimenti.
<3

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Ciao, @Modea72 
Ho trovato un massaggio potente nel tuo racconto e questo mi piace.

Dall'esperienza traumatica e la confusione che ne deriva, rappresenti la difficoltà di affrontare e comprendere ricostruire i propri ricordi in un contesto di dolore fisico e psicologico.
La protagonista si trova a dover fare i conti con il giudizio degli altri e la propria vulnerabilità. 
Ha bisogno di sostegno, sta vivendo un momento di crisi e la freddezza di Damiano e lo scetticismo dei poliziotti aggiungono un ulteriore strato di difficoltà.
Te la sei cercata! Com'eri vestita? Pure tu vai da sola in certi posti! Avevi bevuto?
Non aggiungo altro, ci siamo capite.

E veniamo al tuo incipit, che mia ha lasciato poco soddisfatta.
Modea72 wrote: Mon Nov 25, 2024 12:06 amNon pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
 I luoghi comuni, proprio questi mi hanno fatto pensare che non funziona. La ragazza si sveglia in ospedale dopo un aggressione e un'operazione  e comincia a fare battute fra sé e sé. 
Quindi non sappiamo niente, cosa è accaduto, dove si trova, che cosa c'è intorno a lei…
Sarebbe stato meglio se avesse parlato di dolore, di sofferenza psicologica, di odori, di freddo, di luci abbaglianti o basse, di rumori poco familiari e poi di lampi di ricordi spezzettati, prima dell'arrivo di Laura.
Le battute, quelle non ci stavano, almeno secondo me.

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Ciao @Albascura, grazie per il commento.
Decisamente questo mio incipit, che tanto mi piace, non va, peccato!
I pensieri a cui fai riferimento le si affacciano dopo essere stata colpita dalla ragazza del tipo che l'ha aggredita.
La ragazza dell'aggressore, se la prende con la vittima, che cerca di difendersi da una violenza sessuale.

Sono gli ultimi pensieri quando perde i sensi, fuori dalla discoteca; pensieri assurdi mentre sente un dolore lancinante che non ha idea da dove sia arrivato.
Nessuna ironia sull'accaduto, ma su frasi che si affacciano senza senso, banali modi di dire, luoghi comuni che invece alla fine del racconto ho sottinteso con una pesantezza totalmente diversa e che tu mi hai correttamente elencato.
Non pensavo si capisse così poco, dovrò fortemente rivederlo.
Grazie ancora.
<3

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Ciao, @Modea72. Molto bello il tuo racconto. Apprezzo particolarmente la scelta tematica, tra l'altro in linea con la recente giornata del 25 novembre, e più che mai necessaria a mio parere.

Ironicamente, il punto un po' debole è proprio l'incipit.
Modea72 wrote: Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
Tutta questa prima parte fa un effetto un po' strano. Sembra slegata dal resto del racconto ed è una sorta di "patchwork" di stili diversi e contenuti diversi, con il risultato che nessuno ne esce valorizzato e la tematica, poi importante nel resto del racconto, dei luoghi comuni, finisce in questo mix di stimoli e non è facilmente individuabile. 
Lo chiamo un mix perché vi vedo diversi elementi molto difficili da districare per chi legge. C'è il dolore fisico della protagonista, segnalato con frasi brevi e dirette che vogliono veicolare le sensazioni (il richiamo all'espressione "vedere le stelle"; "dolore lancinante"). Poi ci sono le sue divagazioni, i pensieri in cui si perde, che riguardano i luoghi comuni (e anche la filastrocca delle civette sul comò, l'elemento che forse stona più di tutti). Lo stile delle frasi diventa più "rilassato" e non rende l'idea della gravità di ciò che la protagonista, scopriremo, ha appena vissuto: una vera e propria aggressione! Per quanto sia vero che a volte abbiamo i pensieri più strani nelle situazioni più strane, la sensazione qui è di vedere due elementi (uno più fisico, uno più introspettivo) che cozzano. Infine c'è l'introduzione della tematica dei "luoghi comuni", che prelude alla violenta ipocrisia che la protagonista dovrà affrontare. Ma la frase con cui ce la presenti sembra essa stessa un po' un luogo comune.
Credo che per migliorare questo incipit questi elementi andrebbero uniformati nello stile e resi coerenti per quanto riguarda il realismo degli eventi. Io, personalmente, lo farei lavorando sulle "divagazioni di pensiero" della protagonista, rendendole più essenziali e caricate emotivamente. E toglierei il riferimento alla filastrocca e anche la voglia di ridere della protagonista (dopo essere stata attaccata, in modo tanto grave da finire in ospedale poi, è davvero possibile che pensi ai modi di dire e le venga da ridere?). Anche la frase finale sui luoghi comuni mi sembra un po' superflua: lascerei che la tematica venga fuori da sè nel resto del racconto, ben costruito, senza forzarla nelle prime righe. In questo modo, il lettore potrebbe immergersi fino in fondo nella scena ed essere decisamente incuriosito. Proporrei qualcosa come:

Non pensavo che l'espressione "vedere le stelle" potesse essere reale. Ma dopo il dolore lancinante, sono sprofondata in questo buio violaceo e vedo solo lampi di luce accecante. 
Strano pensare alle stelle proprio adesso. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti?
Modea72 wrote: Dove diamine sono?
Ho la lingua impastata.
Penso che qualcosa di questo tipo, ridotto all'essenziale, si colleghi molto meglio a queste due righe successive, in cui ritroviamo la protagonista in ospedale. Queste, a differenza della parte iniziale, svolgono benissimo il ruolo di catapultarci nel mezzo della scena e calarci nelle sensazioni della protagonista.

Per il resto, non ho molto da dire. La storia che ci racconti è tristemente realistica, uno spaccato fin troppo comune di dolore sempre sminuito e circondato di vergogna, grazie al "balletto di ipocrisia" di chi fa soffrire le vittime una seconda volta. 
Il finale è bello e pieno di speranza, anche se la morale, portata avanti dall'infermiera Laura, del "ricavare il bene dal male" rischia di essere un po' banalizzante, a mio parere. Tuttavia lungo tutto il racconto il suo personaggio è, dopo la protagonista, quello più importante: è colei che da subito si prende cura di Pamela e le crede, senza toni inquisitori, senza se e senza ma. Ciò di cui le survivor hanno bisogno: il senso de "sorella io ti credo".
Modea72 wrote: L’anima danza sulle note di nuove prospettive, ma gli arti sono ancora intorpiditi.
Voglio danzare anima e corpo. Ci riuscirò.
Da millenni le donne (e non solo loro, ma tutti gli oppressi) ci riescono, e riusciranno ancora.

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Grazie @Areeanna, mi è estremamente utile la tua analisi. So per certo che nei momenti di fortissimo stress, sia psicologico, sia fisico, con facilità balzino alla mente i pensieri più assurdi e incoerenti, ma tutti mi state facendo notare che ai fini del racconto, questi inserimenti stonano, quindi dovrò rimodulare la parte iniziale e apprezzo molto la tua disamina.
Grazie anche per i complimenti.
A presto.
<3

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Ciao @Modea72


Non pensavo che l’espressione ‘ho visto le stelle’ reppresentasse un’esperienza reale. Lingua di poeti l’italiano, perché secondo me le stelle sono ben altra cosa. Sono accecanti i lampi di luce che saettano nel nero violaceo in cui sono sprofondata.
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Anch'io non conosco la nascita di questo detto, il senso. Però posso dire, che quando uno prende una botta in testa, o ha anche stanchezza mentale o altri problemi, vede i classici punti luminosi nel visus. Quindi, lei che prende la botta ha un buon motivo per dire ciò.
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Dolore lancinante. Cosa cavolo sto a pensare ai modi di dire… però… che rivelazione che le civette sul comò non facevano all’ amore con la figlia del dottore… ma come potevano cantarcela così… cazzo… non posso ridere, fa malissimo. Ma non dovrebbe passarmi tutta la vita davanti? Forse veniamo semplicemente seppelliti dai luoghi comuni.
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Posso dire che una sorta di tentativo di tornare alla normalità può anche farti pensare a cose stupide? Quello che non mi sembra coerente che lei abbia questo grande senso di cognizione, dopo quello che è successo.
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Dove diamine sono?
Ho la lingua impastata. Ma cosa è questo torpore? Cavolo, non riesco a mettere bene a fuoco, troppa luce. Dio che ansia, sembra che il corpo continui a dormire. Che fatica non soccombere a palpebre pachidermiche. Ero andata a ballare per l’addio al nubilato di Ludo…
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Ricordi e sensazioni confuse, la mente cerca di mettere in ordine i fatti
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“Pamela, ti sei svegliata? Come ti senti? Ce la fai? Dimmi se senti troppo dolore, posso aumentarti la morfina senza rimetterti a dormire.”
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Ultimamente la morfina viene data in rari casi, costa tanto al SSN. Ai giovani neanche una goccia: possono sopportare il dolore. :D
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Guardo questa ragazza dal sorriso sincero, chiaramente sono in ospedale. Ho la bocca secchissima e la lingua gonfia, pessima accoppiata per risponderle. Lei capisce, perché mi bagna le labbra, ma è una tortura, perché capisco di avere un’insostenibile urgenza di bere. Acquisto lentamente lucidità.
“Mi hanno aggredita.” Riesco a malapena a mormorare
La ragazza mi stringe la mano con una dolcezza che mi scioglie, sento gli occhi bruciare ma le lacrime non scendono, mi sento prosciugata in ogni senso.
“Cara, chiamo il dottore, se ci dà il permesso ti porto nella tua stanza a reparto e potrai vedere i tuoi cari. Stai tranquilla. Torno in una manciata di secondi.”
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Lei si ricorda di essere stata aggredita? Mi sembra strano con la lesione per cui è stata operata.
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Operazione? Quale operazione? Mi accorgo di averlo solo pensato, eppure volevo assolutamente chiederlo a voce alta. Mi lascio distrarre dalla lenta connessione mente-corpo. Il dottore mi scruta mentre continua a parlare.
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penso che la prima cosa che doveva avvertire era la ferita sulla testa: questa non viene segnalata..(Devi aggiungerla)
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“Un test veloce su memoria e capacità cognitive. Ricordi le domande in fila?”
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Mi sembra sia la prassi per assicurarsi dell'esito dell'operazione e se ci sono stati danni neurologici.
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“Ho confusione sui dettagli, cerco di mettere a fuoco. Mi aiutano con domande calzanti i poliziotti che trovo nella mia nuova camera, sono arrivati immediatamente. Laura, mi ha detto di chiamarsi così la mia infermiera, tiene d’occhio l’interrogatorio e si impegna perché mi lascino i giusti tempi di risposta, si assicura che non mi stanchi troppo. Mi sento stupida, ma sento di volerle bene come a una sorella. Le domande mi aiutano.
“Perché è uscita dalla discoteca signorina?”
“Dovevo rispondere al telefono.”
“Per quale motivo è uscita da sola, poteva farsi accompagnare da un’amica.”
La domanda mi stupisce, la mia titubanza suscita un mezzo sorrisetto nella poliziotta, il collega maschio mi incalza. Lo accontento con una risposta che mi sembra ovvia.
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Questo atteggiamento delle forze dell'ordine non mi pare verosimile appena che una persona si sveglia da un simile fatto. Succede in verità, e pre spesso, in fase di giudizio, quando gli avvocati di parte rea mettono in atto quel percorso di discredito della lesa.
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“Non potevo prevedere che sarei stata aggredita, dovevo rispondere al mio fidanzato, non c’era bisogno di fare uscire un’ altra persona.”
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Questa domanda non si può fare a chi dovrebbe stare in stato di trauma grave...
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Chiedo se questo Fabio sia l’uomo che mi ha aggredito. Questa volta è il poliziotto maschio a fare lo smargiasso. Mi rivela che ad assentarmi una sbarra di ferro trovata vicino al secchione sulla testa è stata la fidanzata
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Forse volevi dire "assestarmi"?
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Mi agito al punto di fare suonare l’allarme della pressione. 
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Inverosimile. Con quelle lesioni, un seppur minimo sbalzo di pressione, rifinisci in sala chirurgica.. :D
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Rimango in silenzio, questo balletto di ipocrisia intorno a me è insopportabile, fa scopa col balletto di luoghi comuni che mi hanno accompagnata prima di svenire, le lacrime mi rigano il volto. Mio padre sentenzia un “Adesso basta! Lasciatela in pace. Mi dice che mi vuole bene e li porta via sul suono della campana di fine visite.”
Torna Laura, è persuasiva quando afferma che anche dal male si può ricavare il bene, che magari senza questo triste episodio finivo pure per sposarlo quel mentecatto. Sorrido amaramente, stavamo effettivamente pensando di sposarci. Laura dice che posso rinascere non solo fisicamente, che una seconda occasione va vissuta al massimo. Sento il cuore più leggero. L’anima danza sulle note di nuove prospettive, ma gli arti sono ancora intorpiditi.
Voglio danzare anima e corpo. Ci riuscirò.
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Secondo me, l'unica crepa che ho notato è questo interrogatorio al risveglio da parte della polizia, che instaura questo anticipato giudizio, a mio parere inverosimile. Forse dovevi dilatare nel tempo, dare a lei la possibilità di far elaborare il trauma e far venire a galla i ricordi. Il giudizio sommario avviene sempre, in questi casi, ma ripeto, solo nelle aule di tribunale. Certo che a livello parentale questo avviene subito, questo sì! 
Ciao a presto. <3
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [Lab 15] Stelle cadenti

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Grazie @bestseller2020 per il commento circostanziato.
Potrei obiettare sulla veridicità di alcuni punti che mi segnali, ma trovo sempre interessante il punto di vista del lettore 
Grazie per il passaggio e il tempo dedicato.
<3

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