[MI184] 54°

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Traccia 2. "Quel timido raggio".

Freddo, aveva sempre freddo, una sensazione pungente che arrivava dritta alle ossa. Un freddo bagnato, viscoso, perenne.

Era giugno inoltrato, vestita a cipolla come d’abitudine, ma inutilmente; da anni rimuoveva l’ultimo strato solo per andare a letto, senza però salvarsi dagli occhi arrossati, liquidi, brucianti.

Lory non piangeva più, nonostante spesso le lacrime irrompessero nella gola, spingeva le pareti della trachea, che rispondeva con spasmi dolorosi, stringendosi a non far passare nemmeno l’aria. Lei annaspava composta, poteva sembrare l’aborto di uno starnuto, o di un ruttino, ricacciava indietro il pianto, immaginava il liquido annidarsi tra le ossa, solo una minima parte era riservata agli occhi costantemente gonfi.
Da tempo nessuno le chiedeva più nulla, non un gesto di conforto, erano finiti anche gli sguardi indagatori e quelli compassionevoli.
Decisamente meglio per Lory.

Era arrivata in quell’ufficio da meno di un anno, dopo quattro di riabilitazione psicologica ed uno chiuso in una clinica psichiatrica. Era tornata al mondo del lavoro grazie ad un percorso di inserimento che tutelava le persone fragili, il riconoscimento di un’invalidità che dava maggior peso al sopravvenuto morbo di Crohn, rispetto all’irrefrenabile autolesionismo e al dolore cronico dell’anima: nell’insieme assicurava un bel risparmio di contributi al suo nuovo datore di lavoro, che l’aveva collocata all’ufficio  protocollo.

Lory era ancora piacente alla soglia dei quarant’anni, pur non curandosi affatto: i capelli chiari sempre legati con un elastico, diverse striature bianche che non avrebbero più visto una tinta, sempre struccata, con le occhiaia e un accenno di borse sotto gli occhi di un celeste spento. Labbra carnose, ma tirate.

Non nascondeva le bruciature che dalla mano sinistra solcavano la pelle risalendo fino alla spalla, lambendo il collo fino al lobo dell’orecchio. Magrissima, ma con un bel seno.
Gli abiti che indossava erano di ottima fattura, però le cadevano addosso e cominciavano a mostrare i segni del tempo. A nessuno era passato per la testa che le fossero stati regalati. Sapevano che fino a sei maledetti anni prima era una donna in carriera, gestiva i contratti milionari per le pubblicità delle maggiori emittenti televisive e radiofoniche nella sua agenzia, in città.

Al suo ritorno al paesello anche i più invidiosi avevano abbassato lo sguardo incontrandola, con lo stomaco in subbuglio che gridava vergogna per le volte che avevano immaginato di vederla in disgrazia quando era all’apice del successo.

Lory era tornata al paese senza marito. Sua madre, vedova da un decennio, con i parenti in Venezuela e gli altri due figli a Parigi, si era ritrovata con una figlia adulta di cui prendersi cura, una figlia nei cui occhi specchiava la sua disperazione, ma nella voragine che un tempo era stato sguardo fiero, insinuava tacite accuse e non trovava motivazione per quel rapporto ormai forzato.
Quando una leucemia fulminante se l’era portata via in quattro giorni, Lory aveva avuto una parvenza di sollievo, che credeva non avrebbe mai più fatto capolino nella sua routine.

La routine di Lory. Il corrimano della sua vita. La routine aveva originato la fine; così dicevano, una tragica fatalità, frutto della meccanicità dei gesti, dell’alienazione dei tempi moderni. Non voleva essere difesa da nessuno, ma all’epoca aveva perso l’uso della parola, la capacità di reagire. Era un fantoccio dallo sguardo vacuo. Il mondo attorno a lei si agitava, alzava la voce, mentre lei si sgretolova, i ricordi scivolavano tra le dita come sabbia, lei stessa era sabbia asciutta, incapace di sostenere nulla, nemmeno i pensieri.

Aveva lasciato Cassandra al nido, ne era certissima, sganciata dal seggiolino e affidata alla maestra Daniela, come tutte le mattine, tutte, sempre, di corsa. Come sempre.

A questo si erano appigliati. Alla confusione mentale dettata dai gesti che si ripetono uguali tutti i giorni, alla frenesia imposta dai tempi moderni, allo stress.
Sentiva lacerarle il petto l’urlo della sua verità. Aveva lasciato Cassandra a scuola. Ma le urla silenziose venivano sotterrate dalle immagini di chi, tornando dalla pausa pranzo, aveva notato la bimba sul seggiolino nella macchina sotto al sole.
Le urla gridate per davvero. I suoi dipendenti che la chiamavano disperati, mentre sfondavano i finestrini. L’ambulanza, inutile. Cassandra.

Non poteva averla lasciata in macchina. Non era possibile. Cinquantaquattro gradi. Due anni compiuti da poco.

Perché qualcuno doveva difenderla? Doveva pagare, soffrire, essere torturata ogni minuto della sua misera vita. Questa era la muta richiesta di Lory.
Il marito, supportato da un’equipe di psicologi, per un paio di settimane aveva provato a galleggiare e a farsi tronco nel mare della disperazione. Troppo dolore. Il legno era marcito appena informato della notizia. Lui non riusciva a guardare Lory e Lory lo avrebbe voluto accanto solo per sentirsi addosso il suo disprezzo. Lo ha liberato lei. Era un’ulteriore fardello che quel buon padre non meritava.

Presa coscienza dell’accaduto e delle sue responsabilità, Lory aveva tentato il suicidio in una sauna regolata alla massima potenza, stordita dall’alcol per non cedere alla tentazione di uscire, ma era stata salvata dagli addetti, avvisati di una porta che non si riusciva ad aprire dall’esterno. 
Tornata a casa dopo due notti in ospedale, si era avvolta con una tenda acrilica ed aveva dato fuoco al tessuto sintetico. L’istinto di sopravvivenza e il dolore insopportabile le avevano permesso di salvarsi.
Una salvezza a forma di macigno impastato coi vetri, che la schiacciava ripetutamente, conducendo la sua mente alle sofferenze che aveva patito la figlia, mentre lei, vigliaccamente, aveva raggiunto la doccia e posto fine al martirio.

Il ricovero coatto in clinica psichiatrica non era stato naturale conseguenza dello stato di Lory, ma una durissima battaglia del suo avvocato, nonché carissima amica di infanzia, preoccupatissima per un imminente gesto definitivo.

Dimessa pochi giorni prima del suo trentaquattresimo compleanno, Lory veniva valutata all’inizio di un percorso di accettazione che poteva percorrere con sedute settimanali di psicanalisi al di fuori dell’istituto.
Il giorno che uscì aveva un golfino leggero adatto alla temperatura, ma venne avvolta da un freddo inaspettato che non l’avrebbe più abbandonata. Il cielo grigio, l’aria scura e ovattata pensò che l’avrebbero accompagnata per il resto dei suoi giorni, esattamente settemilatrecentosei.
Non si sarebbe permessa di morire prima del suo cinquantaquattresimo compleanno.
Troppo facile morire.
Nei prossimi venti anni il 9 e il 21 di ogni mese, giorno di nascita e di morte di Cassandra, la sua punizione doveva farsi carne. Si sarebbe inflitta ulteriori punizioni corporali ogni primo giorno d’inizio del nido frequentato dalla piccola, ogni Natale e ogni martedì grasso. Cinquecentoquaranta torture per i cinquantaquattro gradi, prima di andare definitivamente all’inferno.

Tagli, segni sul collo, lividi, svenimenti, non furono mai degni di attenzioni per nessuno in paese. Aveva pur diritto di soffrire come meglio credeva la sciagurata. La sua unica cara amica rimasta, aveva i suoi problemi di salute improvvisi e gravi, oltre ad abitare in città. Nessun ostacolo al piano che procedeva ormai da cinque anni.

Era difficilissimo limitare le punizioni corporali alle date prefissate, faticava ad ammettere di provare un sollievo quando si auto torturava, minando il suo obiettivo. L’attesa dei giorni consacrati era diventata una punizione addirittura peggiore, che subiva coscienziosamente ma con tensione, soprattutto il fine settimana, quando non aveva un lavoro per impiegare diversamente il tempo.

Erano le 11 di una domenica di maggio quando, seduta al tavolo della cucina, fissando un giornale senza leggerlo, sobbalzò vedendo cadere l’asta a molla con attaccata una delle due tendine a vetro. Dalla finestra appena accostata per fare uscire la puzza di un pentolino lasciato oltremisura sul fuoco, era entrato un gattino arruffato, che giocava con la tenda sul piano della cucina, facendo buffe giravolte, coprendosi e facendo capolino a ripetizione. Decisa ad interrompere subito questa novità inspiegabilmente consolatoria allo sguardo, si avvicinò alla finestra dietro al lavello. Nonostante lo scorrere delle stagioni, Lory non aveva memoria di pelle scaldata dal sole, spesso non accendeva la luce elettrica perché riteneva sufficiente quella naturale, ma non ricordava giornate che non fossero state plumbee. Da tempo non vedeva la luce e quel timido raggio giunse inatteso. C’era un prima, con il sole dentro casa, e un dopo, sprofondato nel grigio con tutti i sensi. Immobile, sconcertata, non era certa di avere avuto una visione a colori negli ultimi anni. Lasciando da parte le incertezze, voleva fare uscire il micetto che continuava a giocare con attacchi a prede immaginarie e saltelli scomposti. Il piccolo non vide nessun pericolo in Lory, le andò incontro curioso, zampettando sul bordo del lavello, alzando la schiena con la peluria corta che sembrava avesse preso la scossa, finendo per strusciarsi sul ventre di Lory, che rimase scioccata dal calore che quell’esserino le trasmetteva.

Con la naturalezza involontaria di un battito cardiaco, le dita erano scivolate tra il morbido pelo del micio, che aveva chiuso gli occhi e sollevato il mento, indicando le sue preferenze. Lory si ritrasse non appena vide il gesto che non pensava di aver compiuto. Pensò che era scomodo farlo uscire dalla finestra e non era sua intenzione fargli male, inoltre aveva deciso di allontanarlo dal suo cortiletto, sperando che non si ripresentasse. Uscendo dalla porta ebbe la visuale completa della piccola corte antistante il cieloterra dove era cresciuta e ormai definitivamente tornata. Quasi a ridosso del cancello di entrata, si era trascinata mamma gatta, evidentemente investita, seguita dai suoi piccoli. Uno le si accoccolava accanto spingendole la pancia con la testina sporca del sangue materno, altri due si rincorrevano nelle vicinanze e il piccolo che aveva in braccio scalpitò per raggiungerli.

Lory fu attraversata da un’inaspettata e scandalosa tenerezza. Indietreggiò per allontanarsi da sentimenti seppelliti con la sua creatura, si rimproverò, ricordando a se stessa che erano solo gatti, ma il corpo non ubbidiva, non riusciva a distogliere lo sguardo dalla scena straziante del piccolo, che tentava di avere le attenzioni della madre. Un flusso di emozioni e sentimenti sopiti la bloccavano. Non poteva lasciare quella situazione nel suo cortile. Per scrupolo andò ad accertarsi che la mamma fosse effettivamente morta e mentre era chinata, il piccolino era balzato all’interno dell’ampia tasca centrale della felpa, in cerca di un rifugio.
Lory sentiva repulsione per quell’istinto protettivo che stava prendendo il sopravvento, per la dolcezza calda che pareva sciogliere il ghiaccio nelle ossa, per l’istinto di sorridere, pur nella tragicità dell’evento, vedendo i giochi buffi degli altri tre cuccioli, che ora le gironzolavano intorno, certi che sarebbe arrivato del cibo.
Dovette ripetersi che erano solo gatti, si umiliò ricordandosi che non poteva salvare nessuno, che era incapace di fare bene, che non aveva rispetto per sua figlia nemmeno da morta: l’irrimediabile l’aveva condannata senza appello.
Non doveva nemmeno pensare di poter sorridere.
Lory prese i quattro cuccioli e li infilò nel secchio bucarellato del giardino, alto più di un metro, con un robusto coperchio, avvolse mamma gatta nella tela che copriva le sedie in plastica e con lei in braccio si incamminò per oltre un’ora nella campagna circostante, per lasciarla, avvolta e sistemata con cura, ai piedi di un grande ulivo.

Durante il percorso di ritorno si domandò con apprensione se i cuccioli potessero essere abbastanza forti da fare cadere il secchio, se potevano scappare, finire in strada. Si rispose che era improbabile, che anche se fosse accaduto i gatti sanno badare a sé stessi e vicino casa sua passavano ben poche macchine, ma intanto aveva accelerato il passo, raggiungendo i ritmi di una corsetta leggera.
Tornata a casa utilizzò dei sottovasi per offrire acqua e una scatoletta di carne che aveva in dispensa, avendo rinunciato da tempo ai cibi freschi e all’arte della cucina.
Lory si vergognava per l’attenzione dedicata ai gattini, non avendo saputo proteggere sua figlia un forte senso di colpa le opprimeva il petto, si chiese cosa poteva pensare la gente, quanto fosse inopportuno che si dedicasse ad un’attività non doverosa o punitiva e improvvisamente si trovò a chiedersi, nauseata, come si permettesse di preoccuparsi del giudizio degli altri, sentiva che stava mettendo sé stessa davanti Cassandra.
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Spazzolata la ciotola in pochi minuti, i piccoli riprendono a giocare rumorosamente, attirando una donna che poteva avere qualche anno più di Lory.
“I piccoletti hanno invaso la tua proprietà a quanto vedo! Per caso hai visto la mamma? In genere quando riempio la ciotola arriva in pochi minuti.”

Lory reagisce come se fosse stata colta in flagranza di reato, incava il collo nelle spalle, la voce di sua madre che le chiede -ma come hai fatto?- le gambe cedono, appoggia le mani al muro per non cadere. La donna con difficoltà scavalca il cancello e corre a sorreggerla.
Lory annaspa in un abisso di disperazione, le lacrime hanno travolto la diga, le ossa sembrano cedere, si divincola dall’abbraccio di sostegno, sguardo a terra.
“Non sono stata io. Deve essersi trascinata qui moribonda, io l’ho trovata già morta, con i piccoli intorno.”  Si siede a terra, abbracciando le ginocchia e dondolando.
La donna ha un’aria devastata e preoccupata.
“Puoi dirmi dov’è?”
Lory ha rotto gli argini, piange scomposta e piagnucola “so solo spargere dolore. Dolore e morte.”
La donna la cinge con un braccio.
“Se Meg si è trascinata qui con i piccoli, ha sentito di potersi fidare, se ne è andata con la tranquillità di averli messi al sicuro. I gatti leggono l’anima.”
Lory non riesce a guardarla, mormora in continuazione che le dispiace.  La donna continua, forzando la presa sull’avambraccio.
“Alcune persone hanno una vita che sembra volerle annientare ad ogni passo con sofferenze che fanno male solo ad immaginarle. Sono le destinatarie di grandi messaggi per l’umanità, trovano la forza dedicandosi ad altri e seminano nuova consapevolezza.”
Lory è rabbiosa, si stacca dalla sconosciuta e le risponde a denti stretti “mia figlia non aveva fatto nulla, mia figlia era solo gioia, mia figlia… non esiste… non si può, i bambini non dovrebbero soffrire… io dovevo pensare a lei.”
La donna piange con lei, le si avvicina nuovamente
“scusami, ti prego. Non c’è consolazione, non ci sono parole, ma veramente questa società ci uccide. Tu hai salvato la mia famiglia. Mi sono trasferita dopo poco la tua tragedia. Due giorni prima della terribile notizia, stavo andando al lavoro. Ho inchiodato a meno di un chilometro da scuola di mia figlia, ho dovuto guardare il seggiolino. Non avevo memoria di averla lasciata alla materna, vuoto assoluto. Ero sconvolta, sono tornata indietro a verificare, con il terrore di averla lasciata sola a casa. Ho capito perfettamente le parole della tua avvocatessa, parlava anche per me, anche io mi sentivo indifendibile.”

Con fatica la donna intercetta lo sguardo di Lory, che sembra persa in pensieri lontani. La donna non aveva mai avuto il coraggio di parlarle. Ma ora sente che deve continuare, a costo di farsi odiare.
“Ho mollato il lavoro, sono venuta qui, non ti nego che ho delle difficoltà perché l’improvvisata struttura ricettiva va poco, ma mi sento salva. Ho capito che poteva essere successo a me, che può capitare ad ognuna di noi. Mi dispiace tantissimo.”
Due micetti decisero che era un buon momento per farsi coccolare. Lory affonda le dita nel loro soffice pelo, il rumore delle fusa la conforta. Le lacrime le stanno solcando il viso, togliendo un po’ di peso dal cuore.
<3

Re: [MI184] 54°

2
@Modea72 il tuo racconto ci mette davanti a una realtà dolorosissima e purtoppo attuale. Quanti di noi non si sono chiesti che vita abbiano avuto quei genitori dopo la tragedia? Tu racconti del dolore e del senso di colpa di questa donna in modo davvero onesto e crudo. Lo sviluppo di patologie come l'autolesionismo sono processi plausibili dopo eventi tanto traumatici. Hai introdotto l'elemento del gattino come un piccolo spiraglio, e lo hai fatto con delicatezza, ma ho apprezzato che tu non ti sia fermata solo a questa "soluzione" e abbia invece proseguito con l'inserimento di un altro personaggio; una donna in grado di capire ciò che era accaduto a Lory
Modea72 wrote: Non c’è consolazione, non ci sono parole, ma veramente questa società ci uccide. Tu hai salvato la mia famiglia. Mi sono trasferita dopo poco la tua tragedia. Due giorni prima della terribile notizia, stavo andando al lavoro. Ho inchiodato a meno di un chilometro da scuola di mia figlia, ho dovuto guardare il seggiolino. Non avevo memoria di averla lasciata alla materna, vuoto assoluto. Ero sconvolta, sono tornata indietro a verificare, con il terrore di averla lasciata sola a casa. Ho capito perfettamente le parole della tua avvocatessa, parlava anche per me, anche io mi sentivo indifendibile.”
Se posso permettermi di farti un piccolo appunto, ho avuto un attimo di perplessità sull'incipit: 
Modea72 wrote: Freddo, aveva sempre freddo, una sensazione pungente che arrivava dritta alle ossa. Un freddo bagnato, viscoso, perenne.

Era giugno inoltrato, vestita a cipolla come d’abitudine, ma inutilmente; da anni rimuoveva l’ultimo strato solo per andare a letto, senza però salvarsi dagli occhi arrossati, liquidi, brucianti.

Lory non piangeva più, nonostante spesso le lacrime irrompessero nella gola, spingeva le pareti della trachea, che rispondeva con spasmi dolorosi, stringendosi a non far passare nemmeno l’aria. Lei annaspava composta, poteva sembrare l’aborto di uno starnuto, o di un ruttino, ricacciava indietro il pianto, immaginava il liquido annidarsi tra le ossa, solo una minima parte era riservata agli occhi costantemente gonfi.
Da tempo nessuno le chiedeva più nulla, non un gesto di conforto, erano finiti anche gli sguardi indagatori e quelli compassionevoli.
Decisamente meglio per Lory.
Nelle prime due frasi è già chiaro lo stato d'animo in cui versa Lory, mentre il paragrafo a seguire, sembra un di più, scritto per  convincere il lettore di una cosa che ha già capito perfettamente. Si ha l'impressione che l'autore abbia lavorato per mostrare le sue capacità descrittive, senza finalizzarle al racconto stesso; risultano ridondanti e rallentano la lettura.  Anche l'uso dei tre aggettivi consecutivi sa di eccesso. Superato questo "scoglio" il testo scorre e si apprezza pienamente.  (y)
Complimenti

Re: [MI184] 54°

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Grazie @Adel J. Pellitteri per il passaggio e le osservazioni.
Capisco cosa intendi. Ti confesso che non mi sembrava mai abbastanza la descrizione di un dolore indescrivibile, sicuramente posso sistemarlo meglio.
Grazie ancora.
<3

Re: [MI184] 54°

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Modea72 wrote: Era un’ulteriore fardello che quel buon padre non meritava.
senza l'apostrofo
Modea72 wrote: pensò che l’avrebbero accompagnata per il resto dei suoi giorni, (meglio i due punti) esattamente settemilatrecentosei.
Non si sarebbe permessa di morire prima del suo cinquantaquattresimo compleanno.
Modea72 wrote: Nei prossimi venti anni virgola il 9 e il 21 di ogni mese, 
Modea72 wrote: La sua unica cara amica rimasta, aveva i suoi problemi di salute improvvisi e gravi, oltre ad abitare in città. Nessun ostacolo al piano che procedeva ormai da cinque anni.
Quella virgola dopo "rimasta" stacca il soggetto dal verbo: è da togliere
Modea72 wrote: faticava ad ammettere di provare un sollievo quando si auto torturava, minando il suo obiettivo. 
Minando?
Modea72 wrote: Nonostante lo scorrere delle stagioni, Lory non aveva memoria di pelle scaldata dal sole, spesso non accendeva la luce elettrica perché riteneva sufficiente quella naturale, ma non ricordava giornate che non fossero state plumbee. Da tempo non vedeva la luce e quel timido raggio giunse inatteso. 
Ti consiglio di evidenziare la frase della traccia in corsivo.
Modea72 wrote: Dovette ripetersi che erano solo gatti, si umiliò ricordandosi che non poteva salvare nessuno, che era incapace di fare del bene, che non aveva rispetto per sua figlia nemmeno da morta: l’irrimediabile l’aveva condannata senza appello.
Non doveva nemmeno pensare di poter sorridere.
Questo periodo lo trovo di una sensibilità e intuito speciali per descrivere la disperata condizione di questa povera infelice.
Modea72 wrote: Lory prese i quattro cuccioli e li infilò nel secchio bucarellato del giardino, alto più di un metro, con un robusto coperchio,(qui meglio un punto) avvolse mamma gatta nella tela che
Siccome lascia i micetti nel secchio e dopo se ne va con la gatta in grembo, conviene separare le frasi riguardanti due fasi diverse.
Modea72 wrote: Tornata a casa utilizzò dei sottovasi per offrire acqua e una scatoletta di carne che aveva in dispensa, avendo rinunciato da tempo ai cibi freschi e all’arte della cucina.
Modea72 wrote: Lory si vergognava per l’attenzione dedicata ai gattini, non avendo saputo proteggere sua figlia un forte senso di colpa le opprimeva il petto, si chiese cosa poteva pensare la gente, quanto fosse inopportuno che si dedicasse ad un’attività non doverosa o punitiva e improvvisamente si tr
Ti ho evidenziato una frase ininterrotta che abbisogna di una punteggiatura di sostegno.
Modea72 wrote: come si permettesse di preoccuparsi del giudizio degli altri, sentiva che stava mettendo sé stessa davanti a Cassandra.
Modea72 wrote: Spazzolata la ciotola in pochi minuti, i piccoli riprendono a giocare rumorosamente, attirando una donna che poteva avere qualche anno più di Lory.
Qui, improvvisamente, passi dal tempo passato al tempo presente. 
Modea72 wrote: Lory reagisce come se fosse sia  stata colta in flagranza di reato, (meglio i due punti) incava il collo nelle spalle, 
Modea72 wrote: Lory ha rotto gli argini, piange scomposta e piagnucola “so solo spargere dolore. Dolore e morte.”
Dopo "piagnucola", per aprire il discorso diretto, servono i due punti e l'iniziale maiuscola della prima parola tra le virgolette. 
Modea72 wrote: “Alcune persone hanno una vita che sembra volerle annientare ad ogni passo con sofferenze che fanno male solo ad immaginarle. Sono le destinatarie di grandi messaggi per l’umanità, trovano la forza dedicandosi ad altri e seminano nuova consapevolezza.”
Sei stata brava a mettere in bocca alla vicina queste parole che vogliono essere di consolazione.
Modea72 wrote: e le risponde a denti stretti “mia figlia non aveva fatto nulla, mia
Anche qui, vale quanto ti ho detto sul discorso diretto.
Modea72 wrote: La donna piange con lei, le si avvicina nuovamente
“scusami, ti prego.
Anche qui
Modea72 wrote: Mi sono trasferita dopo poco la tua tragedia. Due giorni prima della terribile notizia, stavo andando al lavoro. Ho inchiodato a meno di un chilometro da scuola di mia
Modea72 wrote: perché l’improvvisata struttura ricettiva non va tanto bene va poco,
Modea72 wrote: Due micetti decisero decidono che è che era un buon momento per farsi coccolare.
Stai usando il presente da un po'.
Modea72 wrote: Lory affonda le dita nel loro soffice pelo, il rumore delle fusa la conforta. Le lacrime le stanno solcando il viso, togliendo un po’ di peso dal cuore.
@Modea72  Complimenti, perché un racconto sulla peggiore disgrazia che possa capitare a un genitore, e sul come riuscire a sopravviverle, è tra i temi più difficili in cui cimentarsi. Ho pianto leggendoti e ho apprezzato diversi punti del tuo lavoro. Brava brava.
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI184] 54°

5
Grazie @Poeta Zaza, sei sempre attentissima e preziosa con i tuoi commenti/editing  :love3:
Giuro che l'apostrofo segnalato è colpa del correttore!!!

Il passaggio al presente era voluto, ho inserito anche una linea per segnalarlo.
Ti ringrazio per tutti gli appunti fatti, ne farò tesoro.
Grazie anche per l' apprezzamento, ne sono davvero felice.
<3

Re: [MI184] 54°

6
Ciao @Modea72 . Dici:
Modea72 wrote: confesso che non mi sembrava mai abbastanza la descrizione di un dolore indescrivibile,
Non sono d'accordo e provo a spiegarlo.
Descrizione eccellente, ma crudissima dell’inferno interiore. Leggerlo fa star male.
Se era questo l’intento , chapeau.
Se invece tanta intensità serviva a creare un contrasto vivido tra luce e ombra, si avverte uno sbilanciamento sulla seconda che, a parer mio, nuoce alla storia.
Troppo insistito il resoconto dell’orrore, che certo è funzionale all’allestimento di un contesto di sofferenza e angoscia, ma che dilaga, sommerge la sua controparte (l’apparizione della tribù di cuccioli e dell’interessante personaggio della donna affacciata sull’abisso) e non le concede altro che il ruolo di una debole allusione.
Non si risale dall’inferno fischiettando, lo so, ma è un aspetto, a parer mio, ricco di spunti narrativi che meritavano di essere utilizzati. Non per buonismo da mercatino solidale, ma per articolare di più e meglio le potenzialità del racconto.
A rileggerti.
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Re: [MI184] 54°

7
Ciao @aladicorvo, prendo nota del tuo appunto ma lo classifico nella varietà interpretativa e lo colloco nel momento del vissuto diverso per ognuno di noi.
Nella mia visione un simile accadimento non verrà mai superato, si è affacciato un timido raggio di sole in un buio che sembrava impenetrabile.
Credimi, ho temuto fosse già troppo concludere con un cuore che si alleggeriva.
Ti ringrazio per il passaggio e il parere, sempre spunto di riflessione.
<3

Re: [MI184] 54°

9
Un racconto in cui si materializza uno dei peggiori incubi @Modea72. La scelta di un argomento tanto doloroso è un atto di coraggio: potrebbe capitare anche a te, lettore - dici tra le righe. E questo fa riflettere sull’ingiustizia di una condanna troppo facile,ma anche sulla necessità di rallentare e dare il giusto tempo e peso alle cose che davvero contano. Le descrizioni sono piuttosto crude, come voler “girare il dito nella piaga” e provocano reazioni quasi contrastanti alla fine. Orrore per l’accaduto, compassione per la donna e una piccola luce di speranza.

Re: [MI184] 54°

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Volevo commentarti subito @Modea72 
Ma io sono una di quelle persone che somatizzano pure le barzellette.
Le notizie così forti, sentite al telegiornale, mi fanno stare male per settimane.
Quando avevo le mie bambine piccole, il mio incubo era quello di impazzire da un momento all'altro e fargli del male, che scema che ero. Per fortuna scacciavo l'immagine e vinceva la razionalità.
Il tormento della tua protagonista mi sembra molto realistico, non riesco a immaginare diversamente la situazione di quei poveri genitori a cui è accaduta questa disgrazia terrible.
Io ho uno zio e una zia a cui sono mancati due figlioletti, e già così, loro sono distrutti dai due incidenti, penso che si, avrebbero cercato la morte se avessero avuto anche una marginale responsabilità.

Anche se forse in certi punti il tuo racconto è ridondante, con troppi aggettivi... La prima parte rende lo spessore reale della tragedia, questa tragedia è qualcosa di indicibile. Le tue parole ricercate, ripetute, forzate, servono, servono tutte.

La parte che riguarda i gattini, invece, non so, non mi sembra così realistica, i gattini gli uccellini, i coniglietti...nella realtà accadono cose che portano luce senza scomodare questi animaletti, stereotipi di dolcezza e magia. Mi hanno fatto l'effetto Disney.
Lo dico perché ho vissuto la tragedia del primo cuginetto che abbiamo perso. Ma non sto a dire di più sulla realtà che ho vissuto io. Dico solo che è il mio metro di misura riguardo alla tua storia. Purtroppo.
Sei stata coraggiosa a scrivere su questo tema, Come si fa a entrare nella mente di una donna che ha causato la morte del suo bene più caro?
Brava, mi è piaciuto molto, poco i micetti, che amo in tutti gli altri contesti ma... Comunque complimenti per l'interpretazione della traccia.
  

Re: [MI184] 54°

11
Ciao @Modea72


Questi e altri incidenti possono capitare, quello di dimenticare i bambini dentro le macchine parcheggiate al sole stanno però capitando troppo spesso, come i sedicenni annoiati che sterminano la famiglia. C’è qualcosa che non funziona in questa società. Quando io ero ragazzo cose del genere erano impensabili, non ne ho mai sentito parlare, forse perché le macchine si chiudevano ancora a mano con le chiavi e un’occhiata dentro veniva di darla, non come oggi che si chiudono con un click a distanza senza nemmeno voltarsi, magari mentre si sta parlando al cellulare. E ai sedicenni annoiati si potevano rifilare un paio di scapaccioni senza finire in tribunale per violenza.
Qualcosa è saltato nella società, ma esito sempre a parlarne, sono digressioni, ma la lettura di testi può portare a ragionamenti che vanno anche oltre, salgono fin sull’impalcatura che li ha consentiti. La penso così.
Un’esperienza del genere è chiaramente distruttiva e l’aiuto che può dare la società, come le cure nel caso della tua povera protagonista, una vittima, non servono a migliorare la situazione, servirebbe ben altro.
Parlarne? Ma in un epoca dove hanno distrutto tutti i paradigmi, i valori del passato, compresa la fede religiosa in chi ce l’aveva,  dove hanno distrutto anche la speranza, i valori morali, i punti di riferimento eccetera, parlarne non ha ormai più senso, anche perché ci sono accaniti difensori di questa odierna società, la migliore che ci sia seguendo il pensiero  di Voltaire e compagni. Preferibile non averci a che fare, sinceramente.
Ci vorrebbe la giustizia verso chi ha permesso che dalla mente umana fossero cancellati e alterati gli istinti primordiali, il senso di maternità e paternità.
Lo so: esagero. Ma questo mi viene da dire quando leggo di casi del genere, che hanno un senso non visti isolatamente ma nell’alveo di un insieme fortemente direzionato verso il caos.
Modea72 wrote: La donna piange con lei, le si avvicina nuovamente
“scusami, ti prego. Non c’è consolazione, non ci sono parole, ma veramente questa società ci uccide. Tu hai salvato la mia famiglia. Mi sono trasferita dopo poco la tua tragedia. Due giorni prima della terribile notizia, stavo andando al lavoro. Ho inchiodato a meno di un chilometro da scuola di mia figlia, ho dovuto guardare il seggiolino. Non avevo memoria di averla lasciata alla materna, vuoto assoluto. Ero sconvolta, sono tornata indietro a verificare, con il terrore di averla lasciata sola a casa. Ho capito perfettamente le parole della tua avvocatessa, parlava anche per me, anche io mi sentivo indifendibile.”
Quando si ha un bambino in macchina non è ammissibile che ci si possa dimenticare di averlo. Perché questo vuoto assoluto? Perché passa momentaneamente, un sospiro di sollievo, sentendo una tragedia altrui? Qualunque problema si abbia in testa la presenza di un figlio piccolo in macchina li supera tutti.
Modea72 wrote: Ho capito che poteva essere successo a me, che può capitare ad ognuna di noi.
Può capitare un'incidente. Una distrazione bisognerebbe evitarla, riuscendo a superare i vari condizionamenti della vita odierna, le varie preoccupazioni giornaliere. Un figlio è parte di noi e noi non vorremmo mai farci del male. Non è come sbucciarsi un dito pelando una patata.

Un testo forte il tuo.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI184] 54°

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Grazie @@Monica@Albascura@Alberto Tosciri per avermi dedicato del tempo.
@Monica wrote: Un racconto in cui si materializza uno dei peggiori incubi @Modea72. La scelta di un argomento tanto doloroso è un atto di coraggio: potrebbe capitare anche a te, lettore - dici tra le righe. E questo fa riflettere sull’ingiustizia di una condanna troppo facile,ma anche sulla necessità di rallentare e dare il giusto tempo e peso alle cose che davvero contano. Le descrizioni sono piuttosto crude, come voler “girare il dito nella piaga” e provocano reazioni quasi contrastanti alla fine. Orrore per l’accaduto, compassione per la donna e una piccola luce di speranza.
Hai letto esattamente quel che desideravo trasmettere. Ne sono felice. Non è mai facile. Ti ringrazio.
Albascura wrote: La parte che riguarda i gattini, invece, non so, non mi sembra così realistica, i gattini gli uccellini, i coniglietti...nella realtà accadono cose che portano luce senza scomodare questi animaletti, stereotipi di dolcezza e magia. Mi hanno fatto l'effetto Disney.
Lo dico perché ho vissuto la tragedia del primo cuginetto che abbiamo perso. Ma non sto a dire di più sulla realtà che ho vissuto io
Grazie per avere condiviso una esperienza così personale e dolorosa. Mi spiace molto. È assolutamente innaturale la morte di un bambino. Muore il futuro. Capisco la tua visione Disney, ma io che ho un cane e un gatto, sento che riescono a suscitare reazioni e sentimenti anche inaspettati. Lontanissimi dall' essere un rimedio, hanno appena scorticato la parte più esterna di un' armatura impenetrabile. Alcuni cuccioli di animali sono puri come i neonati. Almeno nel mio caso, è immediato il senso di protezione e tenerezza. Mi serviva un timido raggio di sole.
Alberto Tosciri wrote: Quando si ha un bambino in macchina non è ammissibile che ci si possa dimenticare di averlo
Vivo per la mia famiglia, considero il tempo il bene più prezioso e lo pretendo sia in quantità, sia in qualità, e amo dedicarlo alla mia famiglia. Nonostante questo, 
Modea72 wrote: Ho inchiodato a meno di un chilometro da scuola di mia figlia, ho dovuto guardare il seggiolino. Non avevo memoria di averla lasciata alla materna, vuoto assoluto
è capitato a me. Il seggiolino era vuoto. L'avevo lasciata alla maestra neanche cinque minuti prima, stavo andando al lavoro.
Un atto ripetuto tutte le mattine, gesti che si ripetono, meccanici e di fretta.
Non ho potuto spiegarmelo diversamente e ne sono rimasta sconvolta. 

Vi ringrazio tutti anche per gli apprezzamenti, è un testo che ho sentito moltissimo e mi sono impegnata particolarmente.
<3

Re: [MI184] 54°

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Un dolore insormontabile, totalizzante, e la possibilità di ricominciare, di tornare a guardare il mondo con occhi diversi, nonostante tutto. Bellissimo. Hai trasmesso benissimo l'abisso di dolore nella prima parte, e il raggio di speranza nella seconda. Discesa e risalita. Il racconto mi lascia davvero senza parole, meraviglioso. Ammetto di averlo letto molto, molto lentamente, assaporando ogni emozione trasmessa, condividendo il dolore della protagonista, la sorpresa per il calore riscoperto, il ghiaccio che incomincia a sciogliersi, percependo ogni singola sensazione. E ammetto di aver dovuto interrompere la lettura perché sono scoppiato in lacrime, qui:
Modea72 wrote: Se Meg si è trascinata qui con i piccoli, ha sentito di potersi fidare, se ne è andata con la tranquillità di averli messi al sicuro. I gatti leggono l’anima.
Sarà la gattara che è in me, non so

A livello di forma, c'è qualche virgola fuori posto qua e là, ma il consiglio maggiore che mi sento di darti è il cuore della tecnica: show, don't tell. Qui c'è moltissimo di raccontato, mentre penso che la narrazione ne gioverebbe se fosse notevolmente allungata per soffermarsi sulla descrizione delle singole scene. Mi riferisco alla prima parte, soprattutto. Penso che il racconto potrebbe iniziare con la descrizione della tragedia, in cui il momento viene mostrato. Dopodiché, una parte di sommario, come è adesso, ma collocata all'interno di riflessioni in un momento preciso della giornata. Ad esempio: Lory sta lavorando, e incomincia a dissociare seguendo un flusso di pensieri. Magari proprio prima di una delle punizioni che vuole infliggersi, pregustando di doverlo fare quel giorno stesso, rientrata dal lavoro. Credo che questo contribuirebbe a rendere meno impersonale e "giornalistica" questa parte della storia: fornisci una miriade di dettagli che contribuiscono a calare nella narrazione, e penso che siano necessari, ma potrebbero essere veicolati diversamente. Infine, l'incontro coi gattini potrebbe avvenire proprio prima di uno di questi gesti di autolesionismo, a rafforzare il simbolismo della rottura che questi gatti portano nella sua vita. Ho apprezzato come il racconto non chiarifichi se Lory smetterà di compiere questi atti - in fondo, non sono sufficienti quattro gatti per spazzare via tutto quel dolore - e penso che sia giusto che la storia rimanga così.

Il racconto mi tocca particolarmente anche per la denuncia della fretta che affligge parti della nostra società. È qualcosa contro cui combatto quotidianamente: abito in Brianza e lavoro a Milano, quindi puoi immaginare. Sono sempre stata una persona lenta, e quando mi viene fatto notare lo prendo come motivo di orgoglio, perché pongo estrema cura in ogni piccolo gesto che compio. E per quanto possa sentirmi diverso, non mi piego alla fretta del capitalismo, che manipola persone come Lory e poi le butta via come rifiuti nel momento in cui si rompono.
Modea72 wrote: Wed Oct 16, 2024 1:55 pmSono le destinatarie di grandi messaggi per l’umanità
Mi piace pensare che sia anche questo il messaggio. Avere cura, attenzione, testa e cuore. Anche se capisco la reazione di Lory, venire a dire qualcosa del genere a chi ha subito una tragedia è un po' indelicato...
Chissà se il messaggio proferito di Cassandra resterà inascoltato.
In ogni caso il tuo racconto è un raggio di speranza :) 

Re: [MI184] 54°

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Grazie @Mina
i tuoi apprezzamenti gonfiano il cuore, non ti nascondo che mi hai emozionata.
Grazie anche per gli utili suggerimenti.
<3

Re: [MI184] 54°

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Che dire? Io immagino (non è vero: un dolore così non si può nemmeno lontanamente immaginare) che la mente di chi ha addosso una colpa del genere sia completamente svuotata, e che gli atti autopunitivi assumano carattere puramente meccanico (si arriva, probabilmente, a non aver più bisogno di razionalizzare così come tu hai rappresentato). 
Ma quel nulla che io credo di immaginare, quello svuotamento di pensieri, dissanguamento di calore e di voglia di vivere, lo si può rappresentare (che paradosso!) proprio come hai fatto tu: con l'ostinato ripetersi delle frasi, delle motivazioni, delle ragioni del dolore. Non c'è (più) nient'altro che quello. Quindi, sì: tutto molto pesante, a tratti ripetitivo, ma credo sia l'unico modo per creare, narrativamente (e far pesare anche sul lettore), quella cappa di disperazione che immagino (non è vero, come prima) debba vivere, in ogni secondo della propria esistenza, la tua protagonista.

A rileggerti.

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