[MI179] La nostra cara Amelia

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Terza traccia: "il proverbio"

Pietrabianca è una ridente cittadina adagiata nel verde delle colline laziali. Gente operosa e timorata di Dio che ha sempre vissuto onestamente. Certo, con alti e bassi, ma chi non ne ha? L’importante è non perdersi d’animo e cercare soluzioni e questo, alla gente di Pietrabianca, è sempre stato insegnato, fin dalla più tenera età.
Sulla collina più alta, la villa degli Alberichi domina la valle e posa il suo sguardo amorevole su tutta quella brava gente, come ha sempre fatto la nobile casata, che arrivò a cedere le terre ai mezzadri, forse non tanto per generosità, quanto per sanare gravi dissesti finanziari.
Dunque ad Amelia, ultima della dinastia, vedova e senza figli, era rimasta soltanto la villa di famiglia, ma se la fece bastare. Dopotutto era una Alberichi di Pietrabianca e la regola che guidava le vite di tutti, il principio che imponeva di non soccombere all’avverso destino, ma ingegnarsi per trovare soluzioni, campeggiava pure nello stemma di famiglia: Numquam pusillo animo, mai con un cuore pavido.
 
Alle 7.30 di una mattina di ottobre, Maria Panichella, di anni diciassette, in servizio con mansioni di cameriera, entrò con il vassoio della colazione in camera della signora Amelia e, non trovandola, la cercò nello studio dove la vide, ancora seduta alla scrivania, ma ormai deceduta.
Restò a guardarla con la testa piegata da una parte. Era bella la signora, lo era sempre stata e lo era pure adesso da morta. Guardò la schiena appena curvata dal peso dei suoi ottant’anni, la penna dorata tra le dita sottili, il mento sul petto e i capelli d’argento azzurrino. Pareva proprio la suocera della Bella Addormentata.
 
Gran bel funerale. La chiesetta di Santa Reparata era stipata di gente venuta anche dai paesi vicini e tutti, nonostante piovesse che Dio la mandava, con gli occhiali da sole, come si vede nelle riviste quando muore la gente importante. E poi fiori, fiori dappertutto che ti facevano scordare il maltempo e parlavano di primavera.
La maestra Paolina si sbracciava a dirigere il coro dei bambini che volava sull’onda angelica delle note di don Fortunato, vice parroco a tempo pieno e organista per l’occasione.
A far breccia nei cuori le parole di don Fabiano, ma più ancora quelle del notaio Lanzetta che ricordò chi fosse quella donna straordinaria e il bene fatto a quanti l’avevano incontrata. Li nominò uno ad uno, guardandoli dritto negli occhi, occhi che presto si abbassavano a celare lo sconforto.
Bernardo Gentili, della premiata ditta GentiliPane&Dolciumi, salvato dalla bancarotta; Ida e Antonino Paolucci, che volevano per Aldino un futuro migliore, ma non potevano pagare la retta del college; Vittoria, moglie dell’ingegner Cremonini, romantica, ingenua, messa incinta da un amante balordo; il dottor Gaetano Malerba, scampato alla radiazione dall’albo per certi decessi nella sua clinica Beata Sanatrix ; Benito Piazzolla, costruttore, ormai del tutto pacificato con la famiglia di Hassam Fakhoury, precipitato dall’impalcatura di uno dei suoi cantieri. E tanti, tantissimi altri, una folla assiepata tra i banchi e sotto le navate, fino al sagrato e alla piazzetta antistante.
Amelia Alberichi li aveva accolti tutti, ascoltati e consolati. Per tutti aveva avuto una tazza di tè e una fetta di torta, per tutti aveva trovato una soluzione e adesso erano lì, a salutare per l’ultima volta la donna che aveva cambiato le loro vite per sempre.
L’organo di don Fortunato, le braccia remiganti della maestra Paolina e le voci degli angeli in tunica rossa e cotta ricamata: «Quando busserò alla Tua Porta, avrò frutti da portare, avrò ceste di dolore, avrò grappoli d'amore…»  Due minuti e quarantatré secondi di poesia, poi il notaio Lanzetta si schiarì la voce come per scacciare un residuo di commozione: «Cari amici, mai come oggi so che posso chiamarvi così perché abbiamo nel cuore gli stessi sentimenti: affetto e gratitudine. Al termine della funzione, chi vuole, può accompagnare la nostra cara Amelia fino all’ultima dimora, là dove potrà finalmente riposare dopo una vita spesa per il bene altrui. Subito dopo, vi attende un rinfresco in villa e, a seguire, la lettura del testamento. Sono le sue volontà, che ho avuto il privilegio di riportare così come le ha dettate. Ascoltandole capirete come e quanto lei continuerà ad essere presente nelle vite di tutti, esattamente come è stato quando era in vita. Perché è solo il corpo che muore, ma lo spirito resta, resta negli obiettivi e nelle azioni di chi continuerà l’opera di questa donna meravigliosa». E nel dirlo, il braccio del notaio tracciò un semicerchio che si fermò in corrispondenza di Kalima Vasile, bionda, statuaria, fasciata di raso nero e di Pietro Nisticò, molto meno biondo, ma altrettanto statuario, in doppiopetto Armani. Questi si alzarono e cominciarono a ruotare a destra e a sinistra perché vedessero che sì, erano proprio loro, loro e nessun altro.
Si fece uno strano silenzio. Li conoscevano tutti, per anni erano stati accanto ad Amelia come ombre fedeli, dall’oscuro passato si diceva, ma da lei sanati e riportati a nuova vita.
Gli addetti alle onoranze sollevarono la cassa e si avviarono con passo solenne, seguiti da tutti gli altri, mentre l’organo di don Fortunato vibrava intrecciato a un’eco che non voleva dissolversi : «Capirete come e quanto lei continuerà ad essere presente nelle vite di tutti, esattamente come è stato quando era in vita». Un’eco che seguì il corteo per tutto Corso Magellano, piegò verso piazza Santi Apostoli, con loro varcò il cancello del cimitero, raggiunse la cappella Alberichi, con loro attese che la bara fosse sistemata a dovere e, sempre fluttuando, seguì i condoglianti fino alla villa. Entrò nel salone dove campeggiava un ritratto di Amelia, maestosamente assisa, si avvicinò al tavolo del buffet e piluccò svogliatamente qualche tartina al salmone, una cucchiaiatina di caviale, Buono però, si sente che è del Volga, appena un paio di olive ascolane, due fiori di zucca, prosciutto crudo di Parma, mortadella Bologna, pancetta piacentina, salame Felino, Ma quello è sushi, adoro il sushi, e poi Robiola, Asiago, scaglie di Grana, Fiore Sardo e… flute. Di Chardonnay, Cabernet Sauvignon, Barbaresco, Pinot nero, Amarone.
Mandibole laboriose, le teste che ogni tanto si chinavano per un saluto, accenni di sorriso, ma piccoli che di più non era il caso, brusio sommesso, qualche parola. E l’eco. Che era sempre lì, che non li aveva mollati nemmeno per un attimo: «Esattamente come è stato quando era in vita».
 
«La nostra cara Amelia…» disse ad un certo punto l’avvocato Venturini.
Il dottor Malerba lo guardò e cominciò ad annuire, ben sapendo che, nonostante le apparenze, la frase era finita lì. Si girò, continuando ad annuire, e fece spazio a Benito Piazzolla che, avvicinatosi con il suo calice di Barbaresco, pure lui annuiva. Di lì a poco, arrivò Bernardo Gentili, poi Antonino Paolucci , tutti che annuivano guardandosi ora le scarpe, ora quello che gli stava a destra, ora quello a sinistra.
«Già» disse il Paolucci e tirò su il mento, così che il dondolio della testa assunse un ritmo assai più eloquente.
«La nostra cara Amelia» ripeté il Piazzolla e stavolta tutti avvertirono che aveva caricato la voce su quel cara, tanto che si fermarono e presero a fissarlo, mentre l’eco adesso pareva sovrastarli come il ronzio dello sciame di mille api «Continuerà ad essere presente nelle vite di tutti noi, esattamente come è stato quando era in vita».
Fu allora che le teste si girarono, tutte insieme, dalla stessa parte, proprio là dove sedevano il notaio Lanzetta, Kalima Vasile e Pietro Nisticò, e allora pure questi, quasi che tutti quegli sguardi avessero fatto rumore, si voltarono a guardarli. Lo fecero senza nemmeno l’ombra di un sorriso, di un saluto, un cenno, niente. Li fissarono per un lungo, interminabile momento, poi tornarono a parlare tra loro fitto fitto, con il busto reclinato uno verso l’altro, come fosse una gabbia per teneva dentro tutto quello che si dicevano.
 
«Eppure ogni cosa dovrebbe andare per il suo verso, non credete?» disse l’avvocato Venturini.
«Certamente» fece il dottor Malerba «Così come ogni cosa deve giungere al suo compimento».
«E quando questo non accade…» disse il Piazzolla.
«Questo accade sempre, mi creda. Deve accadere» dichiarò Bernardo Gentili e calcò su quel deve con tanta decisione che tutti gli altri, fissandosi l’un l’altro, ripresero ad annuire.
Fu a questo punto che Benito Piazzolla gettò un’occhiata fuori «Ho degli ottimi sigari. Me li ha portati un cugino di ritorno dall’Avana, che ne dite?» e indicò il finestrone aperto sul giardino.
«Ha smesso di piovere» disse l’avvocato Venturini e tutto il crocchio degli annuenti si diresse verso la terrazza, subito seguito dagli altri uomini, a coppie, a piccoli gruppi, finché in sala restarono soltanto le signore e una congrua parte dell’eco che continuava a fluttuare sulle loro teste: «Esattamente come è stato quando era in vita».

«Quanto amore, sarebbe un peccato che venisse lordato dalle maldicenze» disse Vittoria Cremonini.
«Già, ci vuole così poco a vedere il male dove non c’è mai stato».
«Mai stato».
«Mai».
«Solo il bene. Senza secondi fini».
«E senza mai chiedere nulla in cambio»
«Nulla».
Va detto che questo discorso, così tagliato e cucito, veniva da bocche diverse, ma dallo stesso cuore e dunque poco importa chi avesse pronunciato questa o quella frase.
Importa invece che, alla fine, come una sola testa, si voltarono verso il fondo della sala, dove il notaio Lanzetta, Kalima Vasile e Pietro Nisticò continuavano a parlottare senza curarsi d’altro, tra sussurri e gesti delle mani che tracciavano porzioni d’aria e le spartivano ora da un lato ora dall’altro.
«La nostra cara Amelia» disse Ida Paolucci e guardò il ritratto che, dalla parete, sovrastava il buffet «Se n’è andata per sempre».
«E tutto quello che ha fatto è finito» fece Vittoria Cremonini «Per sempre» e con le mani tracciò un piano orizzontale, come a seppellire definitivamente il concetto.
La Paolucci alzò gli occhi al soffitto «Quanti bagni ci sono qui?»
«Uno per piano» rispose la Cremonini «Sono due piani quindi tre. Sì, direi tre bagni».
«Dunque, se qualcuno avesse, diciamo un’urgenza e se tutti i bagni fossero occupati, tranne quello del secondo piano, dovrebbe salire fino lì, dico bene?»
«Ma in questo caso sarebbe opportuno farsi accompagnare» fece la Cremonini e guardò Kalima Vasile «Per discrezione, intendo».
«Oh certo, fino al secondo piano sarebbe decisamente opportuno».
Annuirono tutte con aria grave e poi si avviarono, chi verso la toilette del piano terra, chi su per l’ampia scala che conduceva agli altri piani. Restò solo Vittoria Cremonini che attese un momento, poi si avvicinò sorridente a Kalima Vasile e le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Questa corrugò la fronte, si alzò con aria seccata e la condusse su per la scala. Verso il secondo piano.
 
Quasi nello stesso momento rientrarono gli uomini che erano andati a fumare in terrazza.
«Proporrei un brindisi» disse l’avvocato Venturini «alla memoria della nostra benefattrice».
Si avvicinarono tutti al tavolo del buffet e ognuno prese un calice.
«Ma le bottiglie sono praticamente vuote» fece il dottor Malerba «Penso che Amelia meriti qualcosa di meglio che un avanzo di vino» guardò Pietro Nisticò e questo, con un sospiro infastidito, si alzò.
«Vi accompagno» disse Benito Piazzolla.
«Non ce n’è bisogno» fece brusco il Nisticò.
«Oh si che ce n’è. Siamo tanti e una bottiglia sola non basterà» e si avviarono verso la porta della cantina, seguiti da tutti gli altri. Pietro Nisticò avvertì quelle presenze e si girò «Per aiutare» gli dissero e allungarono il passo, in modo che quello, così pressato, non si fermasse.
 
Non accadde tutto in fretta, al contrario. Accadde in uno spazio e in un tempo dilatato, come nelle scene di certi film. O almeno questo è quanto sembrò al notaio Lanzetta quando vide, oltre la vetrata, il corpo di Kalima precipitare e schiantarsi sul pavimento del terrazzo; quando vide gli uomini tornare dalla cantina senza bottiglie, senza Pietro Nisticò, ma con gli abiti bagnati di vino e pieni di vetri rotti. E solo allora nella sua mente prese corpo il pensiero del rumore a cui prima non aveva dato peso, sordo, potente, come di qualcosa che cade a terra, come uno scaffale pieno di bottiglie che si abbatte e schiaccia un corpo. Il corpo di Pietro Nisticò.
Il notaio Lanzetta si guardò intorno. Gli uomini lo fissavano immobili, schierati a bloccare ogni via di scampo. Tutte meno una: la vetrata sulla terrazza. Novanta centimetri di balaustra e sotto il parco. Saltare e poi correre. Poteva farcela.
Scattò digrignando i denti e, inspiegabilmente, con la coda dell’occhio vide gli uomini che, invece di inseguirlo, si precipitavano su per le scale.  
Corse a perdi fiato, all'impazzata, a rotta di collo e a tutti quei sinonimi che urlavano una cosa sola: Scappa!               
Dalla torretta ovest echeggiarono un paio di fucilate a vuoto, non è facile prendere un bersaglio mobile. La terza lo colpì in pieno.
Uscirono a prenderlo, lo trascinarono dentro e lo depositarono accanto al corpo di Kalima che le signore avevano messo al centro della sala, sopra il ritratto di Amelia, strappato e fatto a pezzi, Lurida strozzina ricattatrice!
Attimi di silenzio. Tutti gli occhi puntati sull’unico che, in tutto quel trambusto non si era mosso: il maresciallo Spinelli.
Seduto su un poltroncina di velluto, masticava una delle minimo venti tartine, ammonticchiate nel piattino che teneva in bilico sulle ginocchia.
Il primo a parlare fu l’avvocato Venturini «Che intende fare, maresciallo?»
Invece di rispondere, quello prese un sorso di Cabernet dal calice sul tavolino e si nettò le labbra col tovagliolino di bisso.
«Dunque?» chiese il dottor Malerba.
L’altro vuotò il bicchiere e finalmente si decise: «Sapete cos’è la ludopatia?» disse e quando li vide annuire continuò «È un vizio costoso. Molto costoso».
Si sentì chiaramente il suono di un sospiro di sollievo.
«Quindi lei non intende…» fece il Paolucci.
«È stato incidente. Anzi due» disse il maresciallo addentando un’altra tartina.
«Tre» precisò il Paolucci.
«Certo, tre» disse quello nettandosi la maionese dai baffi.
«Però adesso c’è un problema, lo capisce?»
«Tre problemi» disse l’altro masticando.
«Non possiamo lasciarli così» fece il Venturini.
«Potremmo seppellirli» azzardò il dottor Malerba.  
A quel punto parlò quello che aveva taciuto tutto il tempo, che era sempre rimasto addossato alla parete, pallidissimo, gli occhi sgranati e le labbra serrate, non aveva mangiato né bevuto niente: don Fabiano.
«Il fuoco!» gridò con voce acuta «Il fuoco purifica! Il fuoco cancella e monda ogni peccato!»
Ida Paolucci gli lanciò un’occhiataccia. Stava pensando al suo Aldino sbattuto in quel collegio, per un futuro migliore s’era detto, ma pure per salvargli il culo, prete schifoso! Stava per avventarglisi contro quando il marito la bloccò, un attimo prima che gli spiegasse dove poteva ficcarselo il suo fuoco purificatore.
«Ma arriveranno i pompieri» piagnucolò la Cremonini «Vedranno tutto il fumo, le fiamme!».
«Certo che arriveranno» fece il maresciallo «ma la strada è piena di tornanti e ci vuole tempo, giusto quello che serve per mettervi in salvo. Siamo scampati per miracolo, sapete?»
«Un miracolo, sì!» fece con aria ispirata don Fabiano e aprì le braccia «Fosti assunto in un turbine di fuoco su un carro di cavalli di fuoco».
A quel punto Ida Paolucci sfuggì alla presa del marito e si avventò su don Fabiano. Lo riempì di schiaffoni, calci, pugni e sicuramente pure di qualche ginocchiata alle palle ma, si sa, dagli incendi, così come dai miracoli, si può uscire un po’ malconci.
 
Pietrabianca è una ridente cittadina adagiata nel verde delle colline laziali. Gente operosa e timorata di Dio che ha sempre vissuto onestamente. Certo, con alti e bassi, ma chi non ne ha? L’importante è non perdersi d’animo e cercare soluzioni. Questo, alla gente di Pietrabianca, è sempre stato insegnato, fin dalla più tenera età. Questo hanno imparato. E questo fanno.
 
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Re: [MI148] [MI179] La nostra cara Amelia

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aladicorvo ha scritto: che imponeva di non soccombere all’avverso destino, ma ingegnarsi
Se non vado errato questo è uno dei pochi casi dove prima del "ma" non occorre la virgola. Come quande si dice: non era alto ma basso. 
aladicorvo ha scritto: pure questi, quasi che tutti quegli sguardi avessero fatto rumore,
bello!

Racconto impeccabile, lettura scorrevole, trama semplice e ben articolata. Una congiura contro il male mascherato di bene. Belle descrizioni, mi piaccioni i brusii, gli sguardi, gli atteggiamenti impalbabili che lasciano il segno, che incidono nel testo quanto sulle persone/personaggi. Mi è sembrato di vedere un film. 
Complimenti, testo ben riuscito. Mi è piaciuto anche il finale: la ripetizione dell'incipit suggerisce l'idea della chiusura del cerchio. 
Chapeau 

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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Pezzo quasi perfetto. Un racconto che è l'incontro tra Buzzati e Rushdie.

L'unica pecca? Partecipare al MI e dover inserire la traccia. :)
Lo spoiler mi ha un po' rovinato l'effetto sorpresa perché mi aspettavo un colpo di scena da qualche parte.

Non fosse stato per quello, la tensione accumulata all'inizio e l'esplosione quasi liberatoria nel finale avrebbero avuto un impatto ancora maggiore.

 Complimenti e chapeau.

A rileggerti. :)

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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@aladicorvo  Brava!  (y)

Nessuno è come sembra. Tutti i protagonisti e le comparse di questo racconto hanno un'apparenza lontana dal loro reale io:

la generosa nobildonna e i suoi accoliti, la brava gente di Pietrabianca, il suo maresciallo, l'impresario, il dottore, il notaio e il prete.

Traccia rispettata in toto, con tanto di vendetta collettiva. Complimenti!
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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aladicorvo ha scritto: uno ad uno
colloquiale e bruttino: la forma corretta è "a uno a uno".

Avevo trovato un'altra sciocchezzuola del genere da segnalarti, ma me la sono persa strada facendo, a testimonianza che doveva trattarsi davvero di una cosa di poco conto. 

Mi soffermo un attimo sulla punteggiatura nei dialoghi, fonte di dibattiti sempre aperti.
aladicorvo ha scritto: mer ott 18, 2023 9:20 pm«Nulla».
Mi sento di consigliarti la punteggiatura interna, preferita da gran parte degli editori: «Nulla.» e di lasciare quella esterna solo nel caso in cui la battuta di dialogo sia introdotta da un indiretto (con i due punti). 
Così per intenderci:
Fu allora che Paolo disse: «Nulla».

In un caso, tuttavia, il consiglio si fa precetto: quello della punteggiatura nelle frasi di appoggio che spezzano il dialogo, come qui per esempio
aladicorvo ha scritto: mer ott 18, 2023 9:20 pm«Certamente» fece il dottor Malerba «Così come ogni cosa deve giungere al suo compimento».
qui dopo Malerba ci va un punto per giustificare la lettera maiuscola di "Così"; oppure una virgola, e in quel caso riprenderemo con "così".
La regola è che il segno d'interpunzione alla fine della battuta d'appoggio va messo nel caso in cui la frase del dialogo conterrebbe quel segno d'interpunzione. Mi spiego anche qui con un esempio:
«Mario» disse la moglie, «devi passare dalla lavanderia.» 
perché se non ci fosse la battuta di indiretto scriveremmo: «Mario, devi passare dalla lavanderia.»
Qui invece:
«Mario» disse la moglie «è passato dalla lavanderia.»
perché se non ci fosse la battuta di indiretto scriveremmo: «Mario è passato dalla lavanderia.»

Esaurite le pignolerie, ti dico che il racconto mi è piaciuto tantissimo.
È pervaso da una fine ironia, che a tratti si fa dissacrante, come qui:
aladicorvo ha scritto: mer ott 18, 2023 9:20 pmLa chiesetta di Santa Reparata era stipata di gente venuta anche dai paesi vicini e tutti, nonostante piovesse che Dio la mandava, 
e che qui per me tocca l'apice:
aladicorvo ha scritto: mer ott 18, 2023 9:20 pmGuardò la schiena appena curvata dal peso dei suoi ottant’anni, la penna dorata tra le dita sottili, il mento sul petto e i capelli d’argento azzurrino. Pareva proprio la suocera della Bella Addormentata.
Dopo la penna dorata e i capelli d'argento azzurrino, che ci fanno pensare alla delicatezza di una fiaba, la suocera della Bella Addormentata è geniale.
Una scrittura misurata, mai fuori registro, e scene che spesso sembrano una ripresa cinematografica, tanto sono vive e immediate.
Sei riuscita nell'impresa di dare dignità letteraria a due participi presenti, che di solito sono la morte della narrativa: "condoglianti" e "annuenti" hanno una vis comica eccezionale.
La traccia è rispettata in pieno e il racconto ha un ritmo uniforme, che arriva al climax in maniera naturale.
Davvero brava. 
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Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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@Mid, @Edu , @Poeta Zaza, @L'illusoillusore , @Marcello grazie! 
Un supplemento di gratitudine a @Marcello per i consigli sulla punteggiatura (che brutta bestia, manco a frustate riesco a farmi ubbidire) mi sono appuntata tutto, speriamo di raccapezzarmicisivi... Argh!  :bash:
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Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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@Ciao aladicorvo ! Non mi dilungherò troppo a ripetere quello che è già stato detto, ma ci tengo a dire la mia.
Bel racconto, mi è piaciuto molto. Il twist del massacro è arrivato inaspettato ed è ben inserito nel racconto. Non sono un gran fan delle crime stories, ma questa mi ha accattivato, forse perché mi ricorda un po' Antologia di Spoon River di Masters, che ci ricorda come anche nei luoghi più bucolici possa nascondersi il marcio di una comunità. 

Bravə davvero! 

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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Mi trovo in difficoltà a commentare qualcosa che mi è piaciuto, è come voler spiegare perché ti piace il cioccolato, perde fascino. Quindi vado sul buono, tanto buono che c'è. Prima di tutto la capacità di creare un'atmosfera con poche, giuste parole. Un'atmosfera che poi viene stravolta, ma questo è il bello dei racconti che hanno le gambe per camminare. Poi i personaggi, letti in inquadrature prima benevole, poi crudamente reali. Il tuo racconto mi ha ricordato il film: In nome del popolo italiano, di Dino Risi. Uno spaccato della provincia italiana, con le sue piccole e grandi schifezze nascoste, le omertà, le complicità, l'immagine pubblica e privata in netto contrasto tra loro. Veramente un buon lavoro.

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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@aladicorvo notevole, complimenti.
Mi è sembrato di vedere tutto il testo, ho visualizzato i locali, captato gli sguardi e percepito il malessere che serpeggiava.

Complimenti, davvero.

Unica cosa che mi incuriosisce: quale proverbio ti ha ispirata esattamente?
Ho letto già nei commenti che la traccia è stata perfettamente rispettata e che addirittura, la traccia avrebbe spoilerato il finale.
Mi sento abbastanza idiota.
Puoi farmi sapere?
<3

Re: [MI179] La nostra cara Amelia

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Grazie dei complimenti @Modea72  <3
Per quanto riguarda il proverbio della consegna, il Topic Ufficiale spiega qual é: l'abito non fa il monaco.
Concetto allegramente campato per aria, come la maggior parte della saggezza popolare (vedasi l'unione fa la forza  e il chi fa da sé fa per tre) e contraddetto dal dilagare dei famigerati dress code. Ma che ci vuoi fare? Viviamo sul pianeta Apparenza, ci estingueremo e qualcuno dall'Olimpo alieno scolpirà sulle rovine: Chi semina vento raccoglie tempesta  :diavolo2:
Ciao!
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