Traccia n.1 "L'attesa"
«Sulla mia Vespa carica di bagagli, arrivai a Torre Marina nel luglio del 1966.
Diplomato da poche settimane, ero partito dalla pianura per cercare un lavoro estivo e di certo non immaginavo che quel villaggio a strapiombo sul mare sarebbe diventato il luogo della mia vita.
Anche se, in verità, appena svoltata l’ultima curva, la visuale mi folgorò a tal punto da obbligarmi ad accostare.
Pieno di meraviglia, rimasi a osservare dal ciglio a mezza costa le minuscole case colorate.
Sembravano tenersi abbracciate strette, come per aiutarsi a non cadere giù dalla scogliera che scendeva ripida fino a un pugno di altre case. Visibilmente più nuove, sempre di diversi colori, s’affacciavano su una spiaggia di scogli, lunga e stretta.
Il mare schiumava di azzurro, con le onde scure che correvano prigioniere tra la costa e il riflesso di una lama rossa di tramonto.
Allora non sapevo che avrei trascorso la mia vita lì, ma m’innamorai subito di quel luogo e con una insolita gioia nel cuore, montai nuovamente in sella. Scoppiettando, percorsi gli ultimi chilometri.
Trovai lavoro nell’unico ristorante di Porto di Torre Marina, come pomposamente chiamavano le poche case ai piedi della scogliera: il Rifugio del Coffiere.
Il salone da pranzo dal pavimento a grandi piastrelle bianche e grigie, i tavolini di legno quadrati e le tovaglie rosse. Le ampie finestre affacciate sulla baia e il poderoso vociare di Alfredo, cuoco e padrone, che risuonava in ogni anfratto. L’energica tenacia di sua moglie, Caterina, l’allegria spensierata del piccolo Roberto e la litigiosa amicizia con Mirco e Ludovico, gli altri aiutanti: ancora oggi, quasi sessant’anni dopo, nulla dimentico del luogo e delle persone che mi accolsero.
E anche se adesso il ristorante è mio, differente da allora così come il villaggio, ormai ingigantito e caotico, per me rimane sempre il vecchio Rifugio, il luogo da cui vidi per la prima volta Pietro attendere qualcosa, seduto in riva al mare:
"Chi è quell’uomo laggiù? È da una settimana che arriva prima del tramonto, si siede sullo scoglio, aspetta un’ora almeno e se ne va…"
La risposta di Ludovico fu la ramazza che mi rifilò contro lo stomaco e l’incitamento a pulire prima che iniziasse il servizio serale. Mirco invece mi affiancò per guardare anche lui. Era un ragazzo alto e robusto con un volto dallo sguardo infantile e una voce profonda:
"È uno di fuori. Arrivato da un paio d’anni e tutti i santi giorni se ne sta lì, ad aspettare."
"Cosa?"
"Non si sa. ̶ " e con una scrollata di spalle si allontanò.
Il lavoro al ristorante è una fatica continua, senza veri orari e con sempre qualcosa da fare. Soprattutto in locali come il Ristoro che, scoprii, attirava frotte di vacanzieri.
Vissi in apnea quell’estate, senza conoscere praticamente nessuno, totalmente immerso nei miei doveri: il lavoro era l’unica realtà per me. Il lavoro, e l’uomo che attendeva al tramonto.
Lo osservavo ogni sera per alcuni minuti, starsene lì sullo scoglio con qualsiasi tempo ci fosse. Imperturbabile e metodico.
Cercai di raccogliere informazioni su di lui, ma ben poco si sapeva.
Il più preparato fu Alfredo, che mi raccontò di avergli parlato alcune volte, i primi tempi.
Scoprii che a chi gli chiedeva chi fosse, del suo passato, di una famiglia, l’uomo rispondeva con un sorriso innocente e nulla più. A chi gli domandava cosa facesse lì ogni sera, diceva solamente che aspettava; cosa, non si sapeva.
Fu una sera di metà settembre che trovai il tempo di avvicinarlo.
No, se devo essere sincero, avrei potuto farlo ben prima, ma avevo tergiversato fino all’ultimo per uno strano senso di soggezione.
Adesso, però, il mio contratto stagionale scadeva e non avrei più avuto modo di conoscerlo; quindi mi decisi e, sigaretta in bocca, lo raggiunsi.
La serata era frizzante, piacevole. Le stelle si accendevano poco alla volta sopra la distesa del mare; la risacca si muoveva placida.
"Buonasera, la disturbo?" lo approcciai senza saper bene che dire, "La vedo ogni sera e mi chiedevo…"
"Curioso?"
Il suo tono era caldo, confortevole.
"Bé, sì, in effetti. Mi chiedevo cosa fa qui tutti i giorni."
"Quello che fai anche tu."
"Non capisco."
Sorrise:
"Aspetto."
"Cosa?"
"Sei arrivato tu, probabilmente oggi aspettavo te."
Rise nuovamente, vedendomi perplesso:
"Io sono Pietro. ̶ e mi tese la mano."
Gliela strinsi convinto, gli dissi il mio nome e, dopo attimi d’esitazione, mi sedetti accanto a lui.
Fumammo in silenzio, con il vento che consumava le sigarette più rapido di noi e la salsedine che profumava ben più del tabacco.
Approfittando della sera calante, lo osservai di sbieco. Aveva un profilo d’altri tempi, con il naso importante e il mento che sfuggiva via. La fronte ampia, e capelli neri impomatati indietro.
Era magro, un fascio di nervi. Pensai che fosse sulla quarantina e, come scoprii in seguito, non sbagliai di molto.
"Tra un paio di giorni dovrò andarmene." dissi quando venne l’ora di rincasare, "Temo che non avremo più occasione di vederci."
Questa volta fu lui a guardarmi perplesso:
"Non mi hai chiesto chi sono, la mia storia, da dove vengo, come fanno tutti: sono sorpreso."
"Me lo avrebbe detto?"
"No, non lo avrei fatto."
"Quindi, perché chiedere?"
Annuì convinto:
"C’è speranza per te, ragazzo. C’è speranza…"
La sera dopo ero di nuovo da lui.
"Mi hanno offerto un contratto lungo, non parto per un po’."
"Sei contento?"
Gli dissi di sì e Pietro parve davvero soddisfatto:
"È valsa l’attesa, allora."
Non seppi cosa rispondergli, non capivo cosa intendesse. Cavai una sigaretta dal pacchetto e un’altra la porsi a lui; l’aria sapeva di umido e una coltre di nubi copriva le stelle. Non mi sedetti sullo scoglio:
"Viene a piovere, Pietro."
Lui scrutò il cielo per lungo tempo, tanto a lungo che pensai non mi avrebbe più risposto. Invece si limitò a un laconico:
"Allora stasera aspetto la pioggia."
Gettai il mozzicone; disegnò un rapido arco rosso e poi svanì nell’oscurità delle acque. Quello di Pietro lo seguì quasi subito e io me ne andai.
Da allora divenne una consuetudine.
Non tutti i giorni, ma ogni volta che il lavoro me lo permetteva, lo raggiungevo sullo scoglio e fumavo con lui. Spesso non scambiavamo nemmeno una parola e non era affatto necessario: stargli accanto mi faceva star bene, era rilassante. Bastava quello.
Così venne l’autunno, con la sua aria d’improvviso pungente e gli alberi affacciati dalla scogliera ormai rossi. Passò anche l’inverno di rada neve e la primavera lasciò il posto a una nuova estate.
Pietro non mancò nemmeno una sera. Poteva piovere a dirotto o gelare fino al midollo, ma lui era lì, nella sua misteriosa e costante attesa.
Nello spazio tra i nostri silenzi, i mesi portarono anche parole; così potei conoscere qualcosa di lui.
Il giorno in cui gli chiesi come potesse vivere senza lavoro, mi spiegò che aveva una piccola rendita che si faceva bastare e che, d’altronde, non aveva esigenze particolari, lui. Non mi parlò mai di una famiglia né di alcun parente, ma di un amore perduto sì.
Soffriva ancora d’esser stato lasciato, e quando a fine giugno mi presentai allo scoglio mano nella mano con una ragazzina del villaggio, ci squadrò sorridente e mi domandò se l’attesa fosse valsa la pensa.
Fu soddisfatto del mio sì.
Non lasciai più Porto di Torre Marina e Pietro.
Invecchiai dietro a lui, anche se negli anni le mie serate sullo scoglio si fecero più rade.
In tutta onestà non so dire se fu solo per l’impegno del lavoro o perché mi annoiai della sua apatica indifferenza, sta di fatto che le serate in riva al mare si rarefecero.
Però lo osservavo invecchiare dalla finestra del ristorante che nel frattempo avevo rilevato da Caterina, rimasta vedova. Il cuore aveva tradito Alfredo in una calda notte d’estate, addormentato nel letto, e lei raccontava d’averlo trovato sorridente e beato la mattina dopo. Eravamo tutti certi che il suo vocione adesso rombasse tra le nuvole del paradiso.
Passavo poche serate con Pietro, ma questo non spense la nostra strana amicizia.
Andai da lui la sera in cui accesi un mutuo a vita nell’acquisto del ristorante. Condivisi con lui gioia e paura, e ,come sempre, mi chiese se l’attesa fosse valsa la pena.
Annuì felice al mio sì.
Gli presentai tua nonna, la tua mamma. Gli portai te appena nata e i tuoi fratelli. Gli dissi della morte dei miei genitori e ogni altro evento bello o brutto che mi capitò negli anni.
La sua domanda fu sempre la stessa:
"L’attesa è valsa la pena?"
Gli anni sono trascorsi rapidi come una serpe.
Io oggi ho settantasei anni e me ne sto qui sullo scoglio di Pietro ad aspettare al posto suo.
Il mare non è cambiato, con la sua immota mobilità. Il tramonto taglia ancora in due le acque come in quella lontana estate del ’66, ma decine di barche ondeggiano in un porticciolo che allora non esisteva e alle mie spalle, le case colorate sono svanite dietro a un’infinità di nuovi edifici, negozi, ristoranti.
Non mi interessa.
È quasi il tramonto e io aspetto, anche se Pietro non verrà.
Non viene più.
Per decenni non è mai stato assente al suo momento d’attesa, sempre più magro, sempre più curvo. Sempre più lento nei movimenti.
Lo osservavo ancora dai vetri, lui era la mia malinconica garanzia di normalità; il mio unico amico rimasto da allora. Poi, un lunedì di giugno dell’anno scorso, nessuno si è seduto sullo scoglio.
Sono andato al suo minuscolo alloggio, incastrato in un vicolo senza luce, umido e stantio, ma l’ho trovato vuoto. Nessuno sapeva dove fosse andato.
E da allora non ho più avuto sue notizie.»
«Almeno fino ad ora, nonno.», Emilia mi porge il pacchetto che ha portato con se.
Non lo prendo. È ancora chiuso, viene da una casa di ricovero a nome di Pietro e non voglio aprirlo.
Emilia non sa nascondere il suo disappunto, non ne è capace:
«Ma se non lo apriamo non sapremo mai cos’ha atteso tutta la vita il tuo amico, magari ti ha scritto qualche spiegazione prima di morire, no?»
Le sorrido. È bella com’era mia moglie, con i suoi occhi verdi e il viso affilato. Nei suoi diciannove anni per me lei è il passato e il futuro allo stesso tempo. Ha diritto di conoscere:
«Oh, ma io so cosa attendeva Pietro.» le dico.
Stupita, chiede cosa.
«La vita.»
Rimane senza parole, pensierosa, con le sopracciglia aggrottate, io aspetto.
«Wow» esclama infine, ammirata, «Com’era profondo il tuo amico, un vero filosofo empirico! Ha vissuto la sua filosofia…»
Abbasso gli occhi sulla risacca. Nella schiuma galleggia una bottiglietta di plastica. Mi fanno male tutte le ossa. Maledetta età.
«Aiutami ad alzarmi, Emi, voglio andare a casa.»
Facciamo due passi, poi mi fermo. La brezza ci accarezza dolce:
«Non era un filosofo,»
«Nonno?»
«Non lo era. Era un coglione.»
«Un coglione? Ma perc…»
La interrompo:
«Un coglione, sì. Perché la vita è una, Emilia. È un dono inestimabile e va vissuta e non attesa. Va vissuta. Tutta»
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
2L ha scritto:
ha scritto:E da allora non ho più avuto sue notizie.»Refuso, manca l'accento sé
«Almeno fino ad ora, nonno.», Emilia mi porge il pacchetto che ha portato con se.
Non lo prendo. È ancora chiuso, viene da una casa di ricovero a nome di Pietro e non voglio aprirlo.
Emilia non sa nascondere il suo disappunto, non ne è capace:
Sinceramente mi pare un po' brusco l'arrivo di questo pacchetto. Dal racconto che hai fatto fin qui sembra stessi narrando una storia che l'interlocutore non conosce, e mi crolla tutto. A questo punto avresto dovuto (o potuto) cominciare il racconto con: Nonno mi racconti di nuovo la storia di Pietro?
In questo modo avremmo potuto intuire che la ragazza, conoscendo già l'affetto del nonno per Pietro, si sia data da fare per rintracciare l'amico perduto.
Piazzata coì la dinamica degli eventi non mi torna.
L ha scritto: Un coglione? Ma perc…»Un nonno che dopo un racconto dai tonti nostalgici e mesti, rivela la sua vera opinione su Pietro che ritiene un coglione.
La interrompo:
«Un coglione, sì. Perché la vita è una, Emilia. È un dono inestimabile e va vissuta e non attesa. Va vissuta. Tutta»
Refuso, manca il punto dopo Tutta.
L ha scritto: «Almeno fino ad ora, nonno.», Emiliaqui credo vada tolto il . dopo nonno
L ha scritto: Emilia mi porge il pacchetto che ha portato con se.Il perchè non voglia aprire il pacchetto sta proprio nella chiusa, in quel giudizio implacabile.
Non lo prendo. È ancora chiuso, viene da una casa di ricovero a nome di Pietro e non voglio aprirlo.
Emilia non sa nascondere il suo disappunto, non ne è capace:
Al netto di qualche perplessità, scritto molto bene.
Complimenti
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
3L ha scritto: ma m’innamorai subito di quel luogo e virgola con una insolita gioia nel cuore, montai nuovamente in sella.per iniziare l'inciso
L ha scritto: Il lavoro, e l’uomo che attendeva al tramonto.quella virgola non ci va
L ha scritto: Lo osservavo ogni sera virgola per alcuni minuti, starsene lì sullo scoglio con qualsiasi tempo ci fosse.
L ha scritto: facesse lì ogni sera, diceva solamente che aspettava; due punti cosa, non si sapeva.meglio i due punti che il punto e virgola, perché aprono a una spiegazione
L ha scritto: Fumammo in silenzio, con il vento che consumava le sigarette più rapido di noi e la salsedine che profumava ben più del tabacco.Bellissima questa immagine. Bravo.
L ha scritto: Gli anni sono trascorsi rapidi come una serpe.Ecco: hai avuto la possibilità di chiudere qui il racconto. A me non sarebbe dispiaciuto questo finale, e l'avrei trovato calzante alla trama sin qui elaborata.
Io oggi ho settantasei anni e me ne sto qui sullo scoglio di Pietro ad aspettare al posto suo.
Il mare non è cambiato, con la sua immota mobilità. Il tramonto taglia ancora in due le acque come in quella lontana estate del ’66, ma decine di barche ondeggiano in un porticciolo che allora non esisteva e alle mie spalle, le case colorate sono svanite dietro a un’infinità di nuovi edifici, negozi, ristoranti.
Non mi interessa.
È quasi il tramonto e io aspetto, anche se Pietro non verrà.
Non viene più.
Ma tu hai scelto il colpo di scena di un finale cinico, che ci sta anch'esso, anche se al lettore medio credo lasci, come a me, l'amaro in bocca.
L ha scritto: Facciamo due passi, poi mi fermo. La brezza ci accarezza dolce:Perché l'amaro in bocca? Perché ci leggo un giudizio, uno spiegone sulla vita e su come deve essere vissuta che, parlando in generale, mi trova d'accordo sul principio, ma, applicata a una persona precisa, quel Pietro, mi sa di supponenza (non tua, ma della voce narrante e coprotagonista cui, combinazione, non dai un'identità), Nessuno può entrare così giudicante sulla vita degli altri, basandosi per di più su un'apparenza.
«Non era un filosofo,»
«Nonno?»
«Non lo era. Era un coglione.»
«Un coglione? Ma perc…»
La interrompo:
«Un coglione, sì. Perché la vita è una, Emilia. È un dono inestimabile e va vissuta e non attesa. Va vissuta. Tutta»
Così mi hai sorpreso e un po' deluso sul finale. Ma è pur sempre un'ottima penna la tua! @L'illusoillusore
E scusa la mia penna da maestrina con le virgole!
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
4L ha scritto: Diplomato da poche settimane, ero partito dalla pianura per cercare un lavoro estivo e di certo non immaginavo che quel villaggio a strapiombo sul mare sarebbe diventato il luogo della mia vita.Mi verrebbe da sostituire con: mai mi sarei immaginato.
L ha scritto: Sembravano tenersi abbracciate strette, come per aiutarsi a non cadere giù dalla scogliera che scendeva ripida fino a un pugno di altre case. Visibilmente più nuove, sempre di diversi colori, s’affacciavano su una spiaggia di scogli, lunga e stretta.C'è qualcosa di fiabesco in questo inizio. Un ragazzo che prova un'attrazione smisurata per un luogo affascinante e ne viene rapito. Una situazione d'altri tempi. Infatti siamo nel 1966.
Il mare schiumava di azzurro, con le onde scure che correvano prigioniere tra la costa e il riflesso di una lama rossa di tramonto.
Allora non sapevo che avrei trascorso la mia vita lì, ma m’innamorai subito di quel luogo e con una insolita gioia nel cuore, montai nuovamente in sella. Scoppiettando, percorsi gli ultimi chilometri.
L ha scritto: Trovai lavoro nell’unico ristorante di Porto di Torre Marina, come pomposamente chiamavano le poche case ai piedi della scogliera: il Rifugio del Coffiere.Impensabile oggi! Mi sfugge il significato di Coffiere.
L ha scritto: Nello spazio tra i nostri silenzi, i mesi portarono anche parole;Bella questa frase.
L ha scritto: Passavo poche serate con Pietro, ma questo non spense la nostra strana amicizia.Questo passaggio è come una coltellata che fa perdere l'atmosfera fiabesca e senza tempo. L'assurda realtà odierna.
Andai da lui la sera in cui accesi un mutuo a vita nell’acquisto del ristorante. Condivisi con lui gioia e paura, e ,come sempre, mi chiese se l’attesa fosse valsa la pena.
L ha scritto: Gli presentai tua nonna, la tua mamma. Gli portai te appena nata e i tuoi fratelli. Gli dissi della morte dei miei genitori e ogni altro evento bello o brutto che mi capitò negli anni.Questo è un vero colpo di scena. La storia è un ricordo rivolto alla nipote. Mi ha disorientato. Improvvisamente si scopre tutto il trascorso del protagonista. Ma non si sa nulla dei fratelli, della mamma, della nonna, che fine abbiano fatto. Mi chiedo se c'è un motivo a tutto questo.
La sua domanda fu sempre la stessa:
"L’attesa è valsa la pena?"
L ha scritto: Gli anni sono trascorsi rapidi come una serpe.Originale e rende bene.
L ha scritto: Per decenni non è mai stato assente al suo momento d’attesa, sempre più magro, sempre più curvo. Sempre più lento nei movimenti.Questo legame sembra molto più profondo di tutte le relazioni familiari succedute al protagonista, delle quali non si fa menzione.
Lo osservavo ancora dai vetri, lui era la mia malinconica garanzia di normalità; il mio unico amico rimasto da allora. Poi, un lunedì di giugno dell’anno scorso, nessuno si è seduto sullo scoglio.
L ha scritto: Abbasso gli occhi sulla risacca. Nella schiuma galleggia una bottiglietta di plastica. Mi fanno male tutte le ossa. Maledetta età.Potente questa immagine.
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Ciao @L'illusoillusore piacere di ritrovarti. Sai sempre creare dei racconti ricchi di riflessioni e stimolanti per il lettore. Si scopre verso la fine che la storia è raccontata alla nipote sull'onda dei ricordi di questa misteriosa figura di Pietro. Non sappiamo il nome del protagonista ma si intuisce che ha molte cose in comune con l'uomo che attende. L'essere umano è travolto dall'immensità della natura e non sa darsi altre spiegazioni. Anche i legami familiari svaniscono di fronte all'immensità del mare.[/font]
[font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Il protagonista è fortemente attratto dalla figura di Pietro, si identifica. C'è qualcosa di profondo che li lega e attendono tutti e due. La domanda che si ripete è sempre quella: ne è valsa la pena? E' la loro ragione di vita, che scorre inesorabile. Non sappiamo niente di Pietro, se non di un amore perduto. Ma anche del protagonista, che deve aver perso anche lui l'amore. C'è solo un accenno alla nipote, sulla bellezza della nonna.
Un racconto malinconico che mi ha lasciato belle sensazioni.
Alla prossima.[/font]
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
5L ha scritto: in locali come il RistoroPresumo sia un refuso per "Rifugio", probabilmente gli hai cambiato nome strada facendo
Avevo il ricordo di aver letto alcuni tuoi racconti in passato e di averli sempre apprezzati. Anche qui la cifra stilistica è alta, in particolar modo nell'incipit, potente e suggestivo: la descrizione del paese abbarbicato sulla scogliera "fotografato" dall'ultima curva è splendida, chapeau.
Devo confessarti però che procedendo nella lettura quella sensazione iniziale si è un po' annacquata; non tanto per la qualità della scrittura, che rimane alta, quanto per lo sviluppo della trama che mi ha lasciato insoddisfatto.
Innanzitutto ho trovato strano che un diciannovenne (dici che è neodiplomato), per quanto stanco per il lavoro, dedichi le sue ore di libertà a cercare di conversare con un personaggio quantomeno strano, che non regala grandi soddisfazioni. Avrei capito se l'uomo avesse animato i dialoghi con il racconto di storie della sua infanzia, leggende metropolitane, divagazioni filosofiche... Se insomma, magari con discorsi sconclusionati o privi di logica, avesse potuto suscitare nel protagonista il desiderio di starlo ad ascoltare, rinunciando per quello a una birra con i colleghi o a una passeggiata per le stradine del centro, dove si affollano comunque "frotte di vacanzieri". Ma quello non fa altro che aspettare non si sa cosa... Solo dopo anni il protagonista inizia a stancarsi della sua "apatica indifferenza"... Un po' eccessivo, a parer mio.
Poi passano gli anni e il protagonista prende il posto di Pietro. Lui però ha avuto una vita piena: ha acquistato il ristorante, lo ha gestito per tutto quel tempo, ha avuto una bella moglie, almeno una figlia e tre nipoti (di cui non si sa nulla, a parte Emilia) e in tutti quegli anni ha diviso gran parte delle serate con uno che non ha fatto altro che chiedergli se "ne è valsa la pena". Boh...
Infine spuntano la nipote (ok, mi sta bene che sia tutto un racconto) e il misterioso pacchetto, che però lui si rifiuta di aprire: non ne ha bisogno, perché dopo sessant'anni ha capito che l'altro era un coglione...
Ho l'impressione che tu abbia deciso all'ultimo di partecipare e tu abbia iniziato a scrivere con in mente soltanto l'immagine dell'incipit e senza una vera e propria trama; che tu insomma ti sia un po' incartato strada facendo. La reputo un'occasione sprecata, perché le premesse erano eccellenti; forse potresti riprenderlo in mano in futuro e dargli uno sviluppo più logico e consequenziale.
In ogni caso, l'incipit da solo mi farebbe dire che "ne è valsa pena", nel caso qualcuno me lo volesse domandare.
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
6L ha scritto: Allora non sapevo che avrei trascorso la mia vita lì, ma m’innamorai subito di quel luogo e con una insolita gioia nel cuoreQuesto lo hai già detto. Taglierei.
L ha scritto: divenne una consuetudine.Zack. Taglia e ricongiungi
Non tutti i giorni, ma
L ha scritto: lasciai più Porto di Torre Marina e Pietro.Eviterei di utilizzare questo concetto due volte così ravvicinatamente
Invecchiai dietro a lui, anche se negli anni le mie serate sullo scoglio si fecero più rade.
In tutta onestà non so dire se fu solo per l’impegno del lavoro o perché mi annoiai della sua apatica indifferenza, sta di fatto che le serate in riva al mare si rarefecero.
Però lo osservavo invecchiare dalla finestra del ristorante che
Il tuo racconto mi è piaciuto molto, @L . Innanzitutto nella scrittura, che trovo perfetta. Ma anche nella morale, che però non spiattellerei così per esplicito nelle poche righe finali.
Ad ogni modo hai il mio pollice in su
Scrittore maledetto due volte
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
8Adel J. Pellitteri ha scritto: Sinceramente mi pare un po' brusco l'arrivo di questo pacchetto. Dal racconto che hai fatto fin qui sembra stessi narrando una storia che l'interlocutore non conosce, e mi crolla tutto. A questo punto avresto dovuto (o potuto) cominciare il racconto con: Nonno mi racconti di nuovo la storia di Pietro?Ciao @Adel J. Pellitteri , grazie dei commenti preziosi.
In questo modo avremmo potuto intuire che la ragazza, conoscendo già l'affetto del nonno per Pietro, si sia data da fare per rintracciare l'amico perduto.
Piazzata coì la dinamica degli eventi non mi torna.
Non sono d'accordo di cominciare il racconto con: Nonno mi racconti di nuovo la storia di Pietro?. Lo trovo troppo semplicistico. Temo che avrai visto che cerco sempre di portare chi legge fuori dalla zona di comfort. Probabilmente è un difetto, ma ho l'illusaillusione che possa portare una scintilla di pensiero in più.
Ciao!!
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
9Poeta Zaza ha scritto: Perché ci leggo un giudizio, uno spiegone sulla vita e su come deve essere vissuta che, parlando in generale, mi trova d'accordo sul principio, ma, applicata a una persona precisa, quel Pietro, mi sa di supponenza (non tua, ma della voce narrante e coprotagonista cui, combinazione, non dai un'identità), Nessuno può entrare così giudicante sulla vita degli altri, basandosi per di più su un'apparenza.Ciao @Poeta Zaza !
Capisco il tuo commento, davvero, ma non credo che il protagonista si riferisse al solo Pietro, piuttosto a chi in generale spreca la sua esistenza ad "aspettare altro". Il suo non è un giudizio su una persona specifica. Giusto? Sbagliato? è uno dei possibili punti di vista: forse è lui un coglione a pensarla così.
Ciao!
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
10Ciao,
bello il tuo racconto, hai davvero uno stile piacevole, ben scritto.
A me non è dispiaciuto affatto nemmeno il finale, anche se un po' stride con la.parte precedente.
Forse avrei fatto percepire che anche il narratore sentiva di avere perso del tempo dietro quel vecchio, così l'ultima considerazione sarebbe stata anche per sé stesso.
Complimenti
bello il tuo racconto, hai davvero uno stile piacevole, ben scritto.
A me non è dispiaciuto affatto nemmeno il finale, anche se un po' stride con la.parte precedente.
Forse avrei fatto percepire che anche il narratore sentiva di avere perso del tempo dietro quel vecchio, così l'ultima considerazione sarebbe stata anche per sé stesso.
Complimenti
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
11L ha scritto: Nonno mi racconti di nuovo la storia di Pietro?. Lo trovo troppo semplicistico.Concordo, dovresti trovare qualcosa di più originale. Nel testo manca "la famossa aringa rossa" che mette il lettore nelle condizioni di dire: " Ah, ecco come si spiega tutto, lui me lo aveva suggerito! Io, invece, non avevo capito.
Re: [MI148] [MI178] L'attesa
12Adel J. Pellitteri ha scritto: Concordo, dovresti trovare qualcosa di più originale. Nel testo manca "la famossa aringa rossa" che mette il lettore nelle condizioni di dire: " Ah, ecco come si spiega tutto, lui me lo aveva suggerito! Io, invece, non avevo capito.@Adel J. Pellitteri : scusa se ho usato il termine semplicistico, è stato... semplicistico! Grazie davvero per gli spunti!
Re: [MI178] L'attesa
13L ha scritto: Trovai lavoro nell’unico ristorante di Porto di Torre Marina, come pomposamente chiamavano le poche case ai piedi della scogliera: il Rifugio del Coffiere.Questa frase non mi torna particolarmente per la punteggiatura. Forse direi più una cosa come:
Trovai lavoro nell’unico ristorante di Porto di Torre Marina, o, come pomposamente chiamavano le poche case ai piedi della scogliera, il Rifugio del Coffiere.
L ha scritto: Il salone da pranzo dal pavimento a grandi piastrelle bianche e grigie, i tavolini di legno quadrati e le tovaglie rosse. Le ampie finestre affacciate sulla baia e il poderoso vociare di Alfredo, cuoco e padrone, che risuonava in ogni anfratto. L’energica tenacia di sua moglie, Caterina, l’allegria spensierata del piccolo Roberto e la litigiosa amicizia con Mirco e Ludovico, gli altri aiutanti: ancora oggi, quasi sessant’anni dopo, nulla dimentico del luogo e delle persone che mi accolsero.Qui stai facendo un elenco e secondo me l'unico punto fermo ci starebbe alla fine del periodo, al posto degli altri metterei dei punti e virgola
L ha scritto: Il lavoro al ristorante è una fatica continua, senza veri orari e con sempre qualcosa da fare. Soprattutto in locali come il Ristoro che, scoprii, attirava frotte di vacanzieri.Non mi tornano i tempi verbali. Okay che ha ancora il ristorante ("è una fatica"), okay che ha scoperto all'epoca il turismo ("scoprii"), ma il ristorante attira tuttora clienti, no? Quindi "attira", non "attirava", credo
Lettura molto interessante, mi è piaciuta la scrittura e chiara e scorrevole, a volte si incarta un po' sulla punteggiatura (ho segnalato giusto un paio di cose), ma con un paio di riletture si può sistemare. Ho apprezzato la costruzione dell'innamoramento del protagonista per il borgo e del mistero attorno a Pietro, così come l'alternanza tra presente e passato. Su questa, secondo me, avresti potuto giocare un po' di più. Qui, ad esempio, introduci l'interlocutore:
L ha scritto: Gli presentai tua nonna, la tua mamma.E potresti inserire altri passaggi simili, anche prima: sia intercalari con cui il nonno si rivolge alla nipote ("sai", "vedi", "credimi"), sia azioni nel presente che spezzano il dialogo (ad esempio, lui che fa una pausa per bere un bicchier d'acqua). Questo ti permette anche di aggirare in parte gli infodump:
L ha scritto: Il cuore aveva tradito Alfredo in una calda notte d’estate, addormentato nel letto, e lei raccontava d’averlo trovato sorridente e beato la mattina dopo.Qui ad esempio puoi dire "già lo sai / te l'ho detto / l'hai sentito"
Inoltre, mentre ci sta usare il discorso diretto nel parlato per singole linee di dialogo (è di uso quotidiano, ad esempio: «Io gli dissi: "vai al diavolo".»), diverso è per i passaggi botta e risposta: prova a immaginare il nonno che sta raccontando la storia alla nipote, come ti immagini reciti quei passaggi?
Il ribaltamento finale mi lascia un attimo interdetto sul senso del racconto. Perché il protagonista ha continuato a portare avanti l'usanza di Pietro, quella di aspettare, anche dopo aver capito che lui è "un coglione"? Probabilmente perché non si tratta di un qualcosa di particolarmente dispendioso in termini di tempo, come viene detto qui:
L ha scritto: È da una settimana che arriva prima del tramonto, si siede sullo scoglio, aspetta un’ora almeno e se ne vaSi tratta di un'oretta di meditazione, niente di che, mica mezza giornata. Può trattarsi solo di rilassarsi un po', restare un po' soli con sé stessi o con qualsiasi cosa il mondo gli butti addosso mentre resta là, quindi non capisco perché dovrebbe significare sprecare la vita. A questo punto non posso non chiedermi: come si definisce esattamente "vivere la vita"? Personalmente penso che ogni esperienza valga la pena di essere vissuta; passare un'ora a guardare il mare dovrebbe essere meno nobile di passare un'ora ad allenarsi, a meditare, a lavorare, a mangiare, a dormire, a fare sesso? Perché questo dovrebbe rendere Pietro un coglione? Il protagonista ha un'opinione molto forte e forse è troppo inaspettata e ingiustificata per il lettore. D'altro canto, come si definisce esattamente "attendere"? Qual è stato l'errore di Pietro, per il protagonista? Da dove viene la sua rabbia, se non dal rispecchiarsi in lui? Penso che Pietro occupasse le altre ore della giornata in qualche maniera, chissà se buona o cattiva secondo il giudizio morale della voce narrante: non ci è dato sapere, perché non viene fatta luce. Nel finale, forse, mi sarebbe piaciuta una spiegazione in più, il contenuto del pacchetto di Pietro e sapere cosa significa che stava attendendo la vita; oppure una costruzione graduale del perché il protagonista sia arrivato a quella conclusione e opinione.
A parte questo, che nell'economia generale del racconto è secondario - e commento solo perché secondo me è un lavoro valido - ripeto che la lettura mi è piaciuta grande!