[MI178] Aldair

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Traccia 1 "L'attesa"
Ogni tanto presentarsi in classe senza grembiule era tollerato. Allora Roberto ne approfittava per andare a scuola con la maglia della Roma. La sua aveva il numero 6 disegnato sulla schiena. “Aldair”. Roberto, prima di tirare, così gridava: “Aldair”, a ogni ricreazione, a ogni tocco di palla. Avrebbe desiderato di poter segnare anche lui tutti i giorni, come i compagni. Di spingere il pezzo di pietra usato come sfera oltre i pali delineati dalla pianta di ficus e dall’ingresso del corridoio delle lezioni serie. Ma Aldair era un difensore. Quando i genitori gli avevano preso la maglia non ci avevano ragionato troppo su. Aldair, come lui, i gol, li faceva di rado. No. Gol non ne faceva quasi mai. Una volta, senza il grembiule indosso e con la maglia della Roma, tirò una ciabattattata alla pietra che, schizzando sul muro di cinta della scuola, poi quasi finendo in strada tra le macchine, fu deviata in rete da un ramo. Momento di gloria, ma molto fugace. Il giorno dopo non aveva cambiato status, gli altri bambini lo riconoscevano per quello che era ed era stato. Incominciò allora. Se la mattina, a ricreazione, non poteva certo disertare le partite, poteva farlo il pomeriggio. Si disinteressava delle cose dei suoi coetanei e andava alla marina. Lasciava perdere. Ci rinunciava. Sì, insomma, se quella cosa di voler far gol e non riuscire a farlo gli procurava solo dispiacere, che giocava a fare? Alla marina, a fissare il mare per ore, la prima volta ci finì per caso. Era sceso di casa per andare in cortile, come al solito, e come al solito non gli andava. Aveva visto Mario, quello forte della 4a D, e gli altri, e si era allontanato come per istinto. Alla marina, che era lì a pochi passi, ci era arrivato senza esserselo prefissato. Non c’era nessuno a giocare, lì, perché era dicembre. E il mare non ha niente da dare, in inverno, o almeno così aveva sempre pensato. Si era seduto e si era messo a osservare il volo dei gabbiani. Si adagiavano in stallo contro lo sfondo rosa del cielo che si andava già imbrunando. Animali di acqua e di aria, galleggiavano nel vento. Di tanto in tanto, sul mare che andava colorandosi alla stessa maniera del cielo, fino a confondervisi, la scia di una nave ridisegnava i confini. Si era fatto buio. Poco prima i gabbiani erano planati tutti insieme sulla sabbia, intimorendolo. Era tornato a casa. Il giorno dopo, la scuola, i compiti, e non più i giochi, ma il mare. E così per giorni e per giorni ancora, per tutti gli anni a venire. Così come aveva rinunciato alle partite di calcio, rinunciò ai primi baci. Gli altri si facevano la fidanzata, si vantavano di aver baciato, qualcuno addirittura di aver toccato. A lui non poteva riuscire, per lo stesso motivo per cui, alle elementari, indossava la maglia di Aldair e non riusciva a segnare. Rinunciava. Usciva con il mare. Certo, anche il suo sangue aveva preso a bollire, anche lui, di notte, sotto le coperte, si dava piacere con voluttà feroce. Anche lui si era invaghito della ragazza bionda della 2a F. Ma il mare non lo tradiva, stava lì, e, per quanto rimanesse sempre uguale a se stesso, ogni giorno cambiava vestito. Quando le nuvole erano basse, il cielo diventava un caleidoscopio che dall’arancione virava all’oro, fino a raggiungere il verde, allo zenit, e all’orizzonte il ciclamino. Sua madre si preoccupava. Non sapeva dove andasse, i pomeriggi, ma sapeva che non aveva amici. Non poteva immaginare, e Roberto lo trovava beffardo: era lei che lo aveva fatto battezzare e portato a messa, era lei che aveva voluto che facesse la comunione. Lui, ormai era grande e lo aveva capito, andava a mare a parlare con Dio. Avrebbe dovuto esserne contenta. Era un Dio molto più autentico di quello delle prediche e molto meno incartapecorito. Non rimproverava, non comandava, non giudicava. Stava lì, sotto forma di enormità, a ricordargli quanto piccole fossero le cose a cui rinunciava, e quanta pace ci fosse al riparo delle sue carezze di raggi di sole, in quel solco lontano tra mare e cielo dove, era certo, un giorno Roberto si sarebbe coricato, come in una culla, avrebbe chiuso gli occhi e avrebbe dormito beato. Era il Dio dei gabbiani, che parlano con linguaggi la cui sintassi non è logica, ma emotiva, come la musica. I suoi angeli. Era il Dio che sempre sta, sempre rimane, che si mostra in molte forme e non è mai della medesima materia, ma sempre della medesima sostanza. Queste cose, così sofisticate, Roberto prese a pensarle più tardi, al liceo, e a raffinarle all’Università, ai corsi di filosofia. Nel frattempo Aldair aveva ovviamente smesso di giocare, lui aveva smesso di tifare per la Roma, erano cadute le Torri Gemelle, era cambiata la moneta, l’America aveva fatto due o tre guerre in giro per il Medio Oriente, era cambiato il papa, c’era stato l’avvento di internet, degli smartphone, dei social network. Alcuni dei sui ex compagni di classe avevano addirittura messo al mondo dei figli, altri erano rimasti bruciati dalle droghe sintetiche e dimoravano in residenze psichiatriche, altri ancora erano morti, ma i più conducevano vite ordinarie, studiavano, avevano relazioni, viaggiavano, facevano esperienze di studio all’estero, uscivano a ballare o a bere il weekend. Qualcuno suonava in una band e qualche altro aveva dato spettacoli teatrali. Solo la vita di Roberto era priva di eventi. Lui seguiva il corso dei suoi studi e osservava il mare, in colloquio con Dio. E basta. La realtà la preferiva ferma. E per molti anni visse nell’illusione di possedere il suo mondo fermo, e di averne il controllo. Conosceva gli anfratti deserti anche d’estate, dove andarsi a rifugiare quando la marina era invasa dalla gente. Si può mai controllare Dio? Era in uno dei suoi eremi affacciati sul mare, a contemplare le onde che si rompono sui sassi, ostinate, come cani rabbiosi alla catena che non riescono ad avanzare. Si lisciava la barba malfatta. Bianca. Da ormai vent’anni viveva in parte della pensione della madre, in parte di traduzioni dal francese di saggi senza più diritto d’autore. Alla morte della madre ne avrebbe ereditato la casa. Non gli mancava nulla, dunque. Le mattine e le sere per tradurre, il pomeriggio per lo spirito. Amanda gli toccò la spalla, da dietro. Non l’aveva sentita arrivare. Rimettere in discussione l’ordine delle proprie priorità a cinquantasei anni - tanti ne aveva - era una violenza. Roberto si rigirò nel letto diverse notti. La donna lo aveva scorto a osservare il mare mentre si inerpicava per il costone che sovrasta la marina. Lì non ci va mai nessuno. Ma lei era una tipa in gamba, si era fatta largo tra gli arbusti spinosi della macchia e davvero non avrebbe mai pensato di incontrare qualcuno. E invece si era imbattuta in Roberto. Non si era tanto stupita dall’incontro, quanto del vederlo in animo meditativo per minuti e minuti. Se non fosse intervenuta, magari per ore. Aveva voluto parlargli, chiedergli cosa vedesse. Che i suoi occhi vedessero qualcosa al di là del reale le sembrava evidente. Parlarono. A Roberto non succedeva da decenni. Lui le mostrò i diversi quadranti del cielo e del mare, le fece notare le differenze di colore, le spiegò dove era più frequente che le nuvole si andassero ad addensare. Stava a spiegarle quel mare, proprio quel mare che era solo il suo. Le notti di Roberto, in quel periodo, furono furibonde. Armanda era tornata a trovarlo, a volte a scovarlo. Avevano condiviso il mare. E adesso il mare si sentiva tradito. Non era più Dio, era un qualcosa da mostrare ad Amanda. Amanda aveva un modo tutto suo di parlargli, le sue labbra erano capaci di carezzare, i suoi occhi di strapparlo dal mare. Roberto ne aveva paura. «Non tornare mai più», le disse un giorno. Avevano fatto l’amore sullo sfondo del cielo dorato, nel profumo dell’acqua marina e nel canto delle cicale. Andava avanti così da un po’, e ad Amanda sembrava star bene. Ma Roberto si rigirava nel letto di notte. Lui voleva le cose ferme: il mare lo è, Amanda non avrebbe mai potuto esserlo, non altrettanto. Sua madre era morta, lo spettro di Amanda ormai lontano. Roberto meditava presso la marina. Più guardava le nuvole avvicinarsi, più si convinceva che gli avrebbero recato un messaggio. La fedeltà a quello spazio ultraterreno, dove il mare tocca il cielo, uno spazio che si vede ma non esiste, era stata l’intera cifra della sua vita. Pensò ad Amanda, dopo tanti anni, e pensò che bene aveva fatto ad abbandonarla. Il mare odorava di buono. “Sta venendo a prendermi”, pensò Roberto. Era stanco, non desiderava altro che coricarsi in quello spazio che delimita l’orizzonte per chiudere gli occhi. Un’ombra avanzava dalle nuvole. Roberto pensò fosse l’angelo della morte, che veniva a raccoglierlo. Guardò i gabbiani, per l’ultima volta. Guardò il letto del mare e il soffitto del cielo, sarebbero stati la sua casa per sempre. L’ombra si avvicinava. Roberto aprì il suo cuore a Dio. L’ombra lo raggiunse, lo sorvolò e l’oltrepassò. Non era l’angelo della morte. Era un enorme gonfiabile del pagliaccio della McDonald’s, che viaggiava verso la città e verso i desideri che Roberto non aveva mai voluto far propri.
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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Edu ha scritto: Di spingere il pezzo di pietra usato come sfera oltre i pali delineati dalla pianta di ficus e dall’ingresso del corridoio delle lezioni serie. 
Usare una pietra come palla? non credo sia augurabile, i giocatori avebbero i lividi ai piedi e il portiere verrebbe ricoverato ad ogni fine partita.
Edu ha scritto: Nel frattempo Aldair aveva ovviamente smesso di giocare, lui aveva smesso di tifare per la Roma, erano cadute le Torri Gemelle, era cambiata la moneta, l’America aveva fatto due o tre guerre in giro per il Medio Oriente, era cambiato il papa, c’era stato l’avvento di internet, degli smartphone, dei social network.
Bello, in sintesi 30 anni di storia
Edu ha scritto: Armanda
Refuso: Amanda
Edu ha scritto: ove il mare tocca il cielo, uno spazio che si vede ma non esiste, 
mi piace

Il primo impatto visivo di questo racconto è l'effetto muro. Perchè non sei andato a capo nemmeno una volta?  La tua scelta stanca la vista, ma mi fa sorgere il dubbio che tu lo abbia fatto con cognizione di causa, in rapporto al tuo personaggio. Una immobilità totale. Che vita sprecata, dedicata a un Dio che alla fine gli porta in "visione" il pagliaccio del McDonald's.
Mi pare di rintracciare il trauma del fallimento vissuto da bambino che lo porta a rinuncare ad ogni altro tentativo di conquista. In fin dei conti, il mare gli ha rubato la vita.
Ho interpretato correttamente? Se così non fosse facciamoci bastare ciò che, in linea di massima, dice Herman Hesse: non importa cosa voglia dire l'autore, ciò che conta è quello che comprende lettore.
Racconto particolare, altro non saprei dire. 

Bravo.

Re: [MI178] Aldair

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Adel J. Pellitteri ha scritto: Usare una pietra come palla? non credo sia augurabile,
Si vede che non sei mai stata un bambino maschio, @Adel J. Pellitteri   :P Quante patite con le pietre!
Adel J. Pellitteri ha scritto: Che vita sprecata, dedicata a un Dio che alla fine gli porta in "visione" il pagliaccio del McDonald's.
Mi conforta molto: hai colto esattamente il senso del racconto

Grazie del commento, a rileggerci presto!
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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Edu ha scritto: Roberto aprì il suo cuore a Dio. L’ombra lo raggiunse, lo sorvolò e l’oltrepassò. Non era l’angelo della morte. Era un enorme gonfiabile del pagliaccio della McDonald’s, che viaggiava verso la città e verso i desideri che Roberto non aveva mai voluto far propri.
Parto dalla conclusione, a dir poco geniale: in due righe hai condensato il senso intero del racconto.
È il momento in cui tutti i conti con la vita di Roberto stanno per chiudersi; lui è pronto, prontissimo anzi. Ha dedicato la vita a non vivere, in attesa di quel momento; ha rinunciato ai goal, a viaggiare, a confrontarsi con gli altri, all'amore. Tutto sacrificato sull'altare dell'immobilità, per conseguire infine la quiete assoluta in quello spazio tra cielo e mare che ha osservato così a lungo fino a farlo suo.
E il momento tanto atteso si rivela il più paradossale degli inganni: un gonfiabile pubblicitario portato dal vento, instabile quanto lo sono le correnti che lo sbatacchiano. Per Roberto il tradimento più grande, il simbolo di una vita "gettata al vento".

Le parti che più ho apprezzato del racconto sono le descrizioni quasi pittoriche del cielo e del mare, colti nelle infinite gradazioni di colore che si succedono un giorno dopo l'altro, una stagione dopo l'altra, un anno dopo l'altro.
E poi c'è il rapporto con Dio, che si consolida nel corso dei suoi studi, nell'osservazione della natura, nello stile di vita ascetico, un Dio che è
Edu ha scritto: mer set 20, 2023 5:40 pmmolto più autentico di quello delle prediche e molto meno incartapecorito. Non rimproverava, non comandava, non giudicava. Stava lì, sotto forma di enormità, a ricordargli quanto piccole fossero le cose a cui rinunciava, e quanta pace ci fosse al riparo delle sue carezze di raggi di sole, in quel solco lontano tra mare e cielo dove, era certo, un giorno Roberto si sarebbe coricato, come in una culla, avrebbe chiuso gli occhi e avrebbe dormito beato. 
fino al tradimento conclusivo, al più feroce degli inganni.
Ci rimane un dubbio: riuscirà Roberto a comprendere quanto il suo punto di vista fosse ingannevole? Proverà rimpianto per tutto ciò a cui ha rinunciato in cambio di un gonfiabile pubblicitario? Ma questa è materia per il lettore, ovviamente: ognuno si darà la propria risposta.
Un unico appunto: la formattazione del racconto a "muro di testo" rende la lettura meno piacevole di quanto potrebbe essere; qualche punto a capo avrebbe aiutato il lettore a godersela di più.
Un bel racconto, tutt'altro che banale come potrebbe far pensare il titolo, del resto più che giustificato.
Bentornato carissimo.
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Re: [MI178] Aldair

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Devo fare una premessa, legata alla mia mania dei particolari. Devo controllare tutto. Luoghi, date, composizioni, ecc. e, in un racconto legato allo scorrere del tempo, è fondamentale non far perdere al lettore la sospensione dell'incredulità, tenerlo immerso nella storia.
Edu ha scritto: a cinquantasei anni - tanti ne aveva
La domanda che mi sorge spontanea, caro @Edu  è: quanti anni hai tu? Credo che tu sia abbastanza giovane, tanto giovane da aver confuso la storia con il mito e lo capisco. Un mito è senza tempo. Per me un mito è il Mazzola di metà anni sessanta, per te è Aldair, giocatore straordinario un tuo mito. Per me che ho visto in diretta Italia-Germania 4-3 è storia, non mito. Storia di qualche anno fa. E il tuo Aldair ha 57 anni. E se lui giocava nella Roma quando Roberto andava alle elementari, al massimo Roberto può avere 40-45 anni oggi, al tempo del racconto e dato che dici: 
"Pensò ad Amanda, dopo tanti anni, e pensò che bene aveva fatto ad abbandonarla." il Roberto che conosce Amanda poteva avere 35-40 anni.
Vedi come cambiano le prospettive? Non ho più di fronte un uomo che ha passato tutta la vita in attesa, che oramai vecchio aspetta sereno la morte.
Un lettore, vecchio come me, perde lo scorrere del tempo.

Altra notazione è sulla causa scatenante del tutto: "Non poteva immaginare, e Roberto lo trovava beffardo: era lei che lo aveva fatto battezzare e portato a messa, era lei che aveva voluto che facesse la comunione. Lui, ormai era grande e lo aveva capito, andava a mare a parlare con Dio."

Risolvere in queste due frasi il rapporto con la madre (Battesimo, funzioni domenicali, comunione. Non ci vedo nulla di diverso da quello vissuto da tanti altri) mi sembra molto riduttivo.
Sull'impaginazione mi associo ai commenti visti sopra.

Trovo il finale molto felliniano.

In conclusione: un bel racconto, scritto bene, con le pecche della trama (o come accidenti si chiamano) indicate. 

Re: [MI178] Aldair

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Marcello ha scritto: È il momento in cui tutti i conti con la vita di Roberto stanno per chiudersi; lui è pronto, prontissimo anzi. Ha dedicato la vita a non vivere, in attesa di quel momento; ha rinunciato ai goal, a viaggiare, a confrontarsi con gli altri, all'amore. Tutto sacrificato sull'altare dell'immobilità, per conseguire infine la quiete assoluta in quello spazio tra cielo e mare che ha osservato così a lungo fino a farlo suo.
E il momento tanto atteso si rivela il più paradossale degli inganni: un gonfiabile pubblicitario portato dal vento, instabile quanto lo sono le correnti che lo sbatacchiano. Per Roberto il tradimento più grande, il simbolo di una vita "gettata al vento".
esattamente. Beh, sono contento che il messaggio vi sia arrivato chiaro
Marcello ha scritto: la formattazione del racconto a "muro di testo" rende la lettura meno piacevole di quanto potrebbe essere; qualche punto a capo avrebbe aiutato il lettore a godersela di più.
è che sono scemo. Non ci sono altre ragioni stilistiche.
Marcello ha scritto: Bentornato carissimo.
Vi vedevo troppo tranquilli, niente niente facevate la fine di Roberto  :diavolo2:
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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Ciao @maxgiglio, piacere di incrociarti.
Non sono poi così giovane, sai. E Aldair non è mai stato il mio mito.
Beh, la storia sfora ampiamente l'oggi, dunque no, nel racconto Aldair non ha 57 anni. Del resto se Roberto andava alle elementati negli anni novanta non può certo essere vecchio nel 2023: arriviamo al 2050 e oltre, ma non è tanto importante per il nocciolo del racconto, che non è di costume.
A rileggerci  :sorrisoidiota:
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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Ciao carerrimo @Edu 

Che piacere che tu sia qui, al MI!  :)

Comincio però col dirti che, alla vista del tuo racconto, ne ho rinviato la lettura, perché mi sono trovata di fronte a un muro: il blocco unico, giustificato d'accordo, ma un massa scritta compatta, senza accapo, senza un'interlinea doppia a staccare i momenti diversi della narrazione.

Perfino all'inizio, la citazione della traccia è appiccicata all'incipit.

Veramente, per me l'effetto è stato respingente alla lettura. 

Ma ora son tornata per leggerti,  :libro: e non mi puoi fare muro:  :bash:   entrerò nel tuo testo, con la mia testa, più dura del tuo muro...
Edu ha scritto: Sua madre si preoccupava. Non sapeva dove andasse, i pomeriggi, ma sapeva che non aveva amici.
Permetti di farti un rilievo da madre: possibile che a questa non sia mai venuto in mente di seguirlo? Per sincerarsi che non fosse finito in un brutto giro o cose affini. Una madre agisce tempestivamente, con i mezzi che ha o cercando aiuto.
Edu ha scritto: Non poteva immaginare, e Roberto lo trovava beffardo: era lei che lo aveva fatto battezzare e portato a messa, era lei che aveva voluto che facesse la comunione. Lui, ormai era grande e lo aveva capito, andava a mare a parlare con Dio. Avrebbe dovuto esserne contenta
Contenta? E come avrebbe potuto se il figlio non si confidava con lei? Se lei ignorava persino che andasse alla marina?
Edu ha scritto: Da ormai vent’anni viveva in parte della pensione della madre, in parte di traduzioni dal francese di saggi senza più diritto d’autore. Alla morte della madre ne avrebbe ereditato la casa. Non gli mancava nulla, dunque. Le mattine e le sere per tradurre, il pomeriggio per lo spirito. Amanda gli toccò la spalla, da dietro. Non l’aveva sentita arrivare.
Ho capito che hai scelto di farla irrompere così. Personalmente, avrei scritto: Una donna gli toccò la spalla. Proprio perché per lui sono sempre state tutte uguali e anonime, perché individuarne una prima ancora di sapere chi sia?
Un'altra cosa per me poco verosimile riguarda gli inizi della sua coesione con il mare, il cielo, la natura e Dio, 
Perché una natura favolosa da ammirare instancabile e un Dio autentico come un tramonto e accogliente come il mare non ispira a un ragazzo il piacere della condivisione con qualcuno? Specie nell'adolescenza, anche se ti credi incompreso dai compagni di scuola, per esempio, difficile non ci sia un coetaneo, una coetanea da invitare senza formalità allo spettacolo. Difficile che Roberto si sia dato per vinto e per diverso da subito.
Sprecando la sua vita, coi suoi talenti, che ha seppellito sulla spiaggia per guardare Dio e i suoi doni.

Questo è stato il tuo intento, e questo è l'inverosimile sviluppo di questa esistenza. Ben scritto, ovvio. Ma a me il fantasy nella realtà quotidiana non intriga molto.

:ciaociao:  
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI178] Aldair

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Ciao Carerrima!
Poeta Zaza ha scritto: mi sono trovata di fronte a un muro: il blocco unico, giustificato d'accordo, ma un massa scritta compatta, senza accapo,
Allora, sveliamo sta cosa: io con questa piattaforma ancora ci litigo. Non posso copiaincollare dal word perché fa un casino, devo generare un pdf e poi copiare da lì. A sto giro nel copia e incolla mi ha tolto tutti gli a capo che nel testo originario C'ERANO, porca miseria. Non è una scelta stilistica, è che sono un inceppato. E me ne sono accorto solo quando me lo avete fatto notare nei commenti. Vabbè, ormai è fatta  :facepalm:
Per il resto, sì, certo, il personaggio segue una psicologia un po' estrema, non comune. Mica sempre dobbiamo parlare dell'uomo comune.
Anche la mamma che pedina il figlio, però, scusa, è un po' da thriller. Dio Il pupazzo del McDonald ce ne scampi. 
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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Edu ha scritto: Non posso copiaincollare dal word perché fa un casino
Ma sì che puoi: fallo, poi evidenzia tutto il testo e premi il terzo bottone in alto a sinistra (rimuovi formattazione). Spariranno tutti i codici, ma anche gli eventuali corsivi (o grassetti) che dovrai ripristinare manualmente.
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Re: [MI178] Aldair

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Ciao @Edu
secondo me il racconto ha del potenziale, ma lo strutturerei diversamente.
Come già ti hanno scritto, è un blocco di difficile lettura, hai spiegato che è stato un problema di formattazione e immagino che una diversa impaginazione avrebbe aiutato, ma è comunque tanta, tanta roba, "stipata" con una punteggiatura che spesso non ho trovato appropriata.
Lo snellirei tanto, lasciando molti dettagli allo spazio dell'officina, dove puoi diluirlo in un racconto molto più lungo.
Si percepisce tuttavia anche dalla scrittura quanto il protagonista sia disturbato e viva una condizione conflittuale. Questo mi è piaciuto.
Bravo anche per il finale a sorpresa. Mentre sembrava esserci da parte dell'autore una crescente indulgenza giustificata da motivi religiosi, brutalmente ci riporti con i piedi per terra nella quotidianità effimera e consumista.
A rileggerti 
<3

Re: [MI178] Aldair

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Edu ha scritto: Ogni tanto presentarsi in classe senza grembiule era tollerato. Allora Roberto ne approfittava per andare a scuola con la maglia della Roma. La sua aveva il numero 6 disegnato sulla schiena. “Aldair”. Roberto, prima di tirare, così gridava: “Aldair”, a ogni ricreazione, a ogni tocco di palla. Avrebbe desiderato di poter segnare anche lui tutti i giorni, come i compagni. Di spingere il pezzo di pietra usato come sfera oltre i pali delineati dalla pianta di ficus e dall’ingresso del corridoio delle lezioni serie. Ma Aldair era un difensore. Quando i genitori gli avevano preso la maglia non ci avevano ragionato troppo su. Aldair, come lui, i gol, li faceva di rado. No. Gol non ne faceva quasi mai. Una volta, senza il grembiule indosso e con la maglia della Roma, tirò una ciabattattata alla pietra che, schizzando sul muro di cinta della scuola, poi quasi finendo in strada tra le macchine, fu deviata in rete da un ramo. Momento di gloria, ma molto fugace. Il giorno dopo non aveva cambiato status, gli altri bambini lo riconoscevano per quello che era ed era stato. Incominciò allora. Se la mattina, a ricreazione, non poteva certo disertare le partite, poteva farlo il pomeriggio.
Interessante questo inizio. Uno spaccato di un'epoca scolastica passata, quando ancora ci si divertiva con niente, o quasi. Io ricordo che ero andato anche oltre: riuscivamo a giocare a calcio con una moneta da cento lire nel corridoio della scuola o con le famose palle di scotch. Il messaggio però, comprensibile per un ragazzo, è che aver avuto la maglia di Aldair sia quasi stata una punizione o una sfortuna, visto che era così importante fare gol. Non importa se il calciatore sia stato uno dei difensori più forti del mondo. Un piccolo dubbio mi sorge sul momento della ricreazione, una breve pausa nella quale gli alunni selezionavano molto con chi passarla. Mi viene da pensare che se Roberto non aveva voglia di giocare non credo che dovesse sentirsi obbligato. Anzi, erano gli stessi bravi sbruffoncelli giocatori che lo avrebbero probabilmente escluso, provocando forse un altro disagio. Un altro discorso era l'ora di educazione fisica. Lì si che veniva coinvolta tutta la classe obbligatoriamente e le difficoltà per lo sport praticato (sempre il calcio) venivano evidenziate.
Edu ha scritto: Sì, insomma, se quella cosa di voler far gol e non riuscire a farlo gli procurava solo dispiacere, che giocava a fare?
Qui De Gregori insegna.
Edu ha scritto: E il mare non ha niente da dare, in inverno, o almeno così aveva sempre pensato. Si era seduto e si era messo a osservare il volo dei gabbiani. Si adagiavano in stallo contro lo sfondo rosa del cielo che si andava già imbrunando. Animali di acqua e di aria, galleggiavano nel vento. Di tanto in tanto, sul mare che andava colorandosi alla stessa maniera del cielo, fino a confondervisi, la scia di una nave ridisegnava i confini.
Complimenti.
Edu ha scritto: Era tornato a casa. Il giorno dopo, la scuola, i compiti, e non più i giochi, ma il mare. E così per giorni e per giorni ancora, per tutti gli anni a venire. Così come aveva rinunciato alle partite di calcio, rinunciò ai primi baci. Gli altri si facevano la fidanzata, si vantavano di aver baciato, qualcuno addirittura di aver toccato. A lui non poteva riuscire, per lo stesso motivo per cui, alle elementari, indossava la maglia di Aldair e non riusciva a segnare. Rinunciava. Usciva con il mare. Certo, anche il suo sangue aveva preso a bollire, anche lui, di notte, sotto le coperte, si dava piacere con voluttà feroce. Anche lui si era invaghito della ragazza bionda della 2a F. Ma il mare non lo tradiva, stava lì, e, per quanto rimanesse sempre uguale a se stesso, ogni giorno cambiava vestito. Quando le nuvole erano basse, il cielo diventava un caleidoscopio che dall’arancione virava all’oro, fino a raggiungere il verde, allo zenit, e all’orizzonte il ciclamino. Sua madre si preoccupava. Non sapeva dove andasse, i pomeriggi,
Bello anche questo passaggio. Ahimè (o se vogliamo anche per fortuna) un po' mi ci identifico. Ma da me c'erano i boschi di brughiera. Ma se proprio vogliamo entrare nello specifico, erano pochi fortunati (invidiati) che riuscivano a dare baci alla luce del sole. Era un primo passo importante e uno scoglio durissimo da superare. Almeno da mie parti non erano poi così tutti spigliati. Forse il fatto di non avere legato rapporti di amicizia non credo che sia strettamente legato al fatto che rifuggisse dalle ragazze (quando c'era da affrontare una situazione più "intima").

Il finale è un crescendo di emozioni, della sensibilità di quest'uomo verso qualcosa di incommesurato che neanche l'affetto o l'amore di una donna può donargli. Una scelta di vita difficile da comprendere, che ha preso la via da un disagio esistenziale ma che forse meglio di così, per lui, non poteva essere.
Atmosfere che ho letto in altri tuoi racconti. Scritto molto bene.
Piaciuto

Re: [MI178] Aldair

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@Ciao, Kasimiro, grazie per il passaggio. 
Con una moneta? Beh, difficile, ma non ho nessuna difficoltà a crederlo vero.
Io, all'elementare, nell'ora di educazione fisica, a calcio non giocavo mai. Ahimè, facevamo ginnastica. In ricreazione sì, e giocavano tutti i maschietti, forse perché eravamo solo in sei. Con le pietre. Però più spesso ancora che giocare a pallone ci menavamo. Per fortuna il mondo ha tante varianti :P
Scrittore maledetto due volte

Re: [MI178] Aldair

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@Edu ciao, piacere di rileggerti :P 
Edu ha scritto: Era il Dio dei gabbiani, che parlano con linguaggi la cui sintassi non è logica, ma emotiva, come la musica. I suoi angeli.
Che bella considerazione. Se il mare è un Dio, ha bisogno di angeli, giusto? E hai scelto come angeli i gabbiani, uno degli uccelli più bistrattati del mondo animale (e a ragione, ti ammazzerebbero per un pacco di patatine :P ).

All' inizio l'incipit mi ha incuriosita:  cosa c' entra una vita spesa al mare con un fallimento a calcio? Poi la storia diventa chiara.
Alberto ha rinunciato alla vita, perchè la vita criminalizza e marginalizza chiunque fallisca, allora, invece di soffrire, meglio non tentare e rifugiarsi in riva al mare.  [font="Open Sans", "Segoe UI", Tahoma, sans-serif]Anche la decisione di scacciare Amanda (mi aggrego ad alcuni commenti precedenti: quanti anni ha?) deriva dalla paura di soffrire e fallire. [/font]Ne conosco tanti di Alberto, molti miei coetanei hanno rifiutato la vita e si sono rifugiati in un mondo che appartiene solo a loro. 

Un fallimento a calcio, e la paura del fallimento in generale, sembrano motivi un po' futili per chiudersi in se stessi, ma Alberto è una persona troppo sensibile. L'unica cosa che mi stupisce è che i genitori accettino questo suo atteggiamento senza controbattere o lottare. Insomma, Alberto non ha lavoro o amici, possibile che, nemmeno una volta ci sia stato uno scontro o un litigio a riguardo?
Edu ha scritto: Nel frattempo Aldair aveva ovviamente smesso di giocare, lui aveva smesso di tifare per la Roma, erano cadute le Torri Gemelle, era cambiata la moneta, l’America aveva fatto due o tre guerre in giro per il Medio Oriente, era cambiato il papa, c’era stato l’avvento di internet, degli smartphone, dei social network.
Unica cosa, qui hai riassunto bene trent' anni di storia, però sembra la storia statunitense piuttosto che italiana o mondiale. Ci sono due riferimenti agli Stati Uniti, magari togline uno. Già menzioni le Torri Gemelle, al posto delle guerre in medio oriente potresti aggiungere che era crollato il muro di Berlino o si era dissolta l' Unione Sovietica. Per dire :P
Poi, un consiglio, meglio dire  che " gli USA avevano fatto due o tre guerre": non usare l' intero continente per definire le azioni di un solo stato :P

A presto!

Re: [MI178] Aldair

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Edu ha scritto: Lui, ormai era grande e lo aveva capito, andava a mare a parlare con Dio.
Qui sono sobbalzato sulla sedia. Leggo ora il tuo racconto, ho deciso di iniziare dal tuo senza un motivo preciso (e quindi ancora non ho idea di cosa abbiano scritto gli altri), ma: abbiamo avuto la stessa idea. Certo, tu l'hai espressa in maniera molto più sintetica, efficace e poetica, rispetto al mio fuori concorso  :asd:

Piaciuto tanto tanto. Ci trascini nella vita del protagonista, ci mostri il suo modo di pensare e di vedere il mondo, e non solo: ci mostri anche come cambia, cresce, matura nel tempo, cosa che in così pochi caratteri sembrerebbe impossibile, e invece rendi benissimo. Tutta una vita contenuta in un racconto così breve che è un piccolo gioiello. Lo stile è delicato, è una scrittura riflessiva che ho apprezzato parecchio. L'unico appunto è sulla formattazione, ma vedo che sulla divisione in paragrafi ti hanno già commentato.
Il finale è crudele, ma estremamente reale. Anche se, forse, mi verrebbe da dire che non importa quale sia stato lo stimolo scatenante dell'esperienza religiosa - un meraviglioso mare, o un gonfiabile McDonald’s - ma quello che importa è la vita interna del protagonista. E io non ritengo sia una vita sprecata; be', personalmente penso che nessuna lo sia, ma a maggior ragione in questo caso si è trattato di una vita dedita alla riflessione, una vita quasi monastica forse, e nobile a suo modo.
A parte tutto, complimenti ancora!

Re: [MI178] Aldair

24
Caro @Edu

del testo mi ha soprattutto colpita la descrizione del mare. Molto personale. Mi è piaciuto come hai trattato la storia e, sinceramente, anche io, facendo copia e incolla ho fatto confusione e pasticci. Tornando al tuo operato dirò cosa non mi è andato giù. Hai accompagnato troppo il lettore che, secondo me, deve avere la libertà di interpretare come gli pare. Più che sullo stile e il modo di raccontare, di cui hai dimostrato di essere padrone, mi soffermerei sull'accompagnare verso il finale. Difficile? Esiste qualcosa di facile? Secondo me, la scrittura è un mezzo di espressione in cui tutti si rispecchiano.
Entro nel mondo del giudizio personale: tutto è relativo a quel che cerco nella lettura, cioè un'affermazione che faccia riflettere. Stiamo imparando? 
Hai fatto un buon lavoro! Alla prossima!
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