[MI 176] Viva Jim Hawkins!

1
Traccia n° 2:  "La violenza è l'ultimo rifugio degli incapaci"


Non poteva essere vero.
Vincenzo correva giù per la collina, gli occhi appannati dalle lacrime, la bocca secca, il sapore del sangue sulla lingua.
A tratti sentiva le grida degli uomini alle sue spalle, il suo stomaco si contorceva dolorosamente, conati di vomito gli salivano alla gola. Sputava con rabbia, sempre correndo, senza fermarsi. Inciampò su una pietra e cadde in un leggero pendio andando a finire dentro un gigantesco macchione di rovi che lo inghiottì come un orco richiudendosi sopra di lui e immergendolo nell’oscurità. 
Ansimava forte per la corsa. Sentiva più chiare le voci che si avvicinavano. Lo chiamavano. Si tappò la bocca con le mani, incurante delle spine che lo tormentavano.  A poco a poco le voci si affievolirono, si allontanarono, scomparvero. Ma Vincenzo decise di non uscire dal suo rifugio. L’odore del rovo era forte, aspro e selvatico come quello di un animale, ma stava al sicuro da quegli uomini.
Rimase immobile al buio, avvolto dalle spine che lo staffilavano dolorosamente in tutte le parti del corpo scoperte. Per fortuna non indossava i pantaloni corti. Proprio quella mattina, ma quanto tempo era passato? Suo padre gli aveva detto di mettersi i pantaloni lunghi, che dovevano andare a casa dei nonni.
 
Era nell’aria da giorni che doveva succedere qualcosa di brutto. Vincenzo lo aveva capito dalla preoccupazione dei suoi genitori, dai loro silenzi, dai loro discorsi sommessi. L’aria in paese era diventata strana, niente più adunate in uniforme per i ragazzi, Vincenzo era balilla moschettiere, niente più musiche e canti patriottici e piano piano tutti gli amici del papà che appartenevano alla milizia erano spariti.
Suo padre quella mattina, come faceva da qualche tempo, si era vestito in borghese e aveva discusso con sua madre nel tinello. Entrambi erano molto seri e sorridevano distrattamente quando rivolgevano lo sguardo verso di lui.
La madre sembrava lamentarsi circa il fatto che anche loro se ne sarebbero dovuti andare da qualche tempo, prima che le cose arrivassero a questo punto. Il papà diceva di non preoccuparsi, la guerra stava finendo, le truppe alleate erano vicine,  probabilmente le avrebbero incontrate lungo la strada che dovevano fare per andare dai nonni e in ogni caso avrebbe pensato a tutto lui. Mentre diceva così aveva messo qualcosa in tasca, di nascosto dalla mamma, ma Vincenzo lo aveva visto: si era messo in tasca la sua pistola, dopo averla tolta dalla fondina che portava con l’uniforme. La madre finiva di mettere poche cose dentro una valigia di cartone, solo quel poco che sarebbe servito per qualche giorno, diceva.
Vincenzo non poteva portare nemmeno i suoi fumetti preferiti, nemmeno il romanzo L’isola del tesoro, che amava moltissimo, con un ragazzo della sua età che viveva fantastiche avventure. Chiese al padre di poter portare almeno il fez nero da balilla  con l’aquila dorata e il gagliardetto della sua squadra. Avrebbe messo il tutto nelle tasche della sua giacca. Il papà aveva guardato distrattamente quei simboli e aveva acconsentito.
Sistemarono la valigia  sulla bicicletta, legandola con dello spago al portapacchi e si erano avviati lungo la strada che portava fuori paese alla casa dei nonni. Camminavano a piedi, sarebbe stato difficile stare in tre sulla bicicletta.
Era una bella giornata di fine ottobre, faceva ancora caldo, era bello camminare. Non si vedeva nessuno, in lontananza si sentivano i colpi di cannone, sembravano tuoni. Gli uccelli smettevano per un attimo di cinguettare, il papà e la mamma volgevano lo sguardo in quella direzione, come aspettassero qualcuno.
― Sono vicini ― diceva il papà, ― Ma ancora lontani per noi.
Gli uccelli riprendevano il loro canto.
 
Gli uomini sbucarono silenziosamente come dal nulla.
Erano giovani, alcuni con la barba di diversi giorni, indossavano abiti civili e qualche capo sparso di uniforme militare. Alcuni erano armati. Vincenzo vide suo padre stringere forte il manubrio della bicicletta.
― Guarda un po’! Buongiorno federale Giustiani. In gita?― disse uno di loro che indossava una giacca  con i gradi da capitano  dell’esercito sulle maniche. Sembrava il loro comandante.
Vincenzo si era tranquillizzato nel vedere quell’uniforme che aveva anche dei nastrini di decorazioni sul petto, ma c’era qualcosa che non andava nell’atteggiamento dell’uomo. Non sembrava un combattente di mestiere. Suo padre lo guardava con disgusto.
― La vostra famiglia, federale? ― disse il “capitano” indicando con la canna del mitra la mamma e lui.
― Si ―  rispose il padre. E aggiunse ― Vedo che hai fatto carriera Tonio. Di chi era quella giacca?
Tonio sorrise, piegò la testa e sputò ai piedi del padre.
― Venite con noi, federale. La strada non è sicura. Si possono fare brutti incontri.
Si mise da parte e con la mano fece gentilmente il gesto che andassero davanti a loro.
Sua madre sembrava annichilita. Era sbiancata.
― Pietro… Pietro… ― ripeteva sottovoce agganciata al marito.
― Calma. Stai calma. Vincenzo, stai vicino, prendi la mano della mamma.
Vincenzo obbedì. Li fecero deviare dalla strada principale e proseguire in alcuni viottoli con a fianco delle vigne che dopo la vendemmia avevano cominciato a tingere di rosso le foglie. La mano di sua madre era madida di sudore.
Arrivarono a un casolare posto in un incrocio. Usciva fumo dal camino. Dalla casa comparvero altri uomini, sorridevano.
― Ma quale onore! Siete arrivati giusto in tempo per il pranzo! Sarà una bella festa, abbiamo da mangiare e da bere in abbondanza e poi ci sarà anche il dolce per tutti!
Guardavano la madre e sorridevano. Vincenzo non capiva perché ridevano. Gli dispiaceva vedere suo padre, sempre sicuro di se stesso, così a disagio, non capiva la paura della madre.
― Vediamo cosa ci avete portato di bello! ― disse giovialmente qualcuno prendendo la valigia e aprendola, spartendo quel poco di vestiario che c’era con qualche altro che si era avvicinato.
Fecero cenno, con una esagerata gentilezza, di entrare nella casa, facendosi rispettosamente da parte. Suo padre poggiò la bicicletta a fianco della porta, poi si girò di scatto.
― Perdonami Emma. Perdonami Vincenzino. Voglio bene solo a voi. Ci rivedremo in paradiso.
Mise la mano in tasca, estrasse la pistola e sparò un colpo in faccia al “capitano”. Poi sparò alla moglie, la puntò su Vincenzino e tentò di sparare nuovamente, ma alcuni uomini gli saltarono addosso trascinandolo a terra sopra la bicicletta che si rovesciò sopra di lui, proteggendolo per poco dalla gragnola di pugni e calci che gli piovve addosso. Lo trascinarono in un angolo e finirono di massacrarlo. Vincenzo vide sua madre a terra con gli occhi spalancati e una rosa rossa che si allargava sul petto. Sentì il sapore del suo sangue che gli era schizzato in faccia. Non voleva vedere più niente, non voleva sentire, non voleva stare lì. Cominciò a correre con il cuore in gola.
 
Ricordava questo mentre rimaneva immobile dentro il cespuglio di rovo. Sentiva l’odore del sangue di sua madre sul viso, cercava di pulirsi ma a ogni movimento le spine lo martoriavano. Decise di stare fermo, aspettare, essere sicuro che non ci fosse più nessuno che lo seguiva. Dopo sarebbe uscito  e andato dai nonni, conosceva la strada, oppure sarebbe tornato a casa ad aspettare sua madre e suo padre. No. No. Non sarebbero tornati. Era successa una cosa molto brutta. Non voleva ricordare, non voleva sapere, non voleva piangere. Piangeva in silenzio, emettendo un suono strozzato, rabbioso, come un animale ferito. Le lacrime alleviarono la sua gola riarsa. Si addormentò.
 
Quanto tempo era passato? Non lo sapeva. Forse un giorno. Aveva sete, aveva fame. Intravide nella penombra in cui era avvolto alcune more e le mangiò. Sentì dei rumori nelle vicinanze, delle voci, ma non riusciva a capire cosa dicessero. Erano voci giovani che sembravano chiamarsi a vicenda, si stavano avvicinando. Non erano italiani e nemmeno tedeschi. Riconosceva il tono tedesco pur non capendo la lingua. Erano inglesi o americani, gli inveterati nemici.
Ma se loro erano nemici perché quegli uomini che li avevano fermati, italiani, che il papà conosceva, perché avevano fatto del male a suo padre? E perché suo padre aveva sparato a sua madre? Cosa voleva dire? Doveva saperlo. Doveva chiedere. Lui si considerava praticamente quasi un militare, diamine: era balilla moschettiere più volte encomiato dal capo squadra, suo padre era stato soldato nella Grande Guerra. Cosa doveva fare?
Doveva arrendersi, per quanto non fosse onorevole. Ma non poteva combattere. Non si spara su un soldato che si arrende. Ma lui non aveva l’uniforme. No. Ma aveva il suo fez e il gagliardetto di sezione. Lo avrebbero riconosciuto come soldato. Uscì a fatica dal macchione di rovo.
Zoppicava. Vide i soldati davanti a lui che gli venivano lentamente incontro, con le armi alzate a metà, forse indecisi sul da farsi. Vincenzo alzò le mani in alto e gli scesero le lacrime. Su una mano aveva in bella mostra il suo fez, con l’aquila romana in fronte al nemico, nell’altra il suo gagliardetto dorato che sventolava al debole vento indifferente. Lo avrebbero riconosciuto come un soldato.
Si ricordò il nome del suo eroe, il ragazzino protagonista dell’Isola del tesoro. Lo urlò con quanto fiato aveva in gola:
― Jim Hawkins! Jim Hawkins! Viva Jim Hawkins!
 
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

2
Raccontare storie legate alla guerra è sempre difficile, soprattutto, quando uno stesso avvenimento può essere narrato in maniera diversa, a secondo del colore diverso della bandiera del nostro interlocutore, ma quello che più colpisce della seconda guerra mondiale è stato vedere italiani ammazzare altri italiani. Una tragedia nella tragedia, qualcosa con la quale il nostro paese non è riuscito a fare ancora i conti pienamente. Non si riconoscono i buoni dai cattivi ed esistono solo i vincitori e sconfitti, tutti con i loro motivi più che validi, per i quali vale la pena il sacrifico di vite umane, magari del mondo intero. 
Questo racconto si fa apprezzare per non emettere giudizi o condanne, ma mostra appunto quella violenza fine a se stessa, anche quando non se ravvede una "superiore ragione" e restiamo come il piccolo protagonista, con questo sapore di sangue tra le labbra, senza poter far nulla se non gridare: "Jim Hawkins", in ricordo di un'infanzia perduta.  
Sicuramente, si poteva ancora scavare di più nell'animo dei personaggi, magari facendoci capire perché quel giorno stavano andando dai nonni? Farci comprendere quali erano i reali sentimenti presenti nel villaggio, perché si aspettavano qualcosa di brutto? Dare modo, quindi, al lettore di prendere parte a quella "preoccupazione, ai "silenzi", ai "discorsi sommessi", altrimenti quelle anime non troveranno mai pace, almeno ai nostri occhi.

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

3
Grazie @Uanema 
ho molto apprezzato il tuo commento.
Ho lasciato il racconto con contorni  storici un po' sul vago appositamente, presupponendo che di massima si sappia cosa accadde in Italia dopo l'armistizio dell' 8 settembre 1943. Tutto quel piccolo mondo ideologizzato andò a ramengo e mano a mano che avanzavano gli Alleati dal sud Italia verso il nord le tragedie  della gente grandi e piccole non si possono contare, senza addentrarsi poi nelle tragedie specifiche militari. Si scappava dalle città, dai paesi, specie chi aveva avuto a che fare con il regime, ma anche la gente che non ci aveva avuto a che fare, se non giocoforza. Chi il giorno prima stava da una parte il giorno dopo stava dall'altra, vuoi per convinzione, vuoi per paura, vuoi per tornaconto personale. C'è stato indubbiamente di tutto.
Il federale inventato del racconto ha tardato ad andarsene dal suo paese. Non ho detto il luogo, ma ho presente l'Italia centrale. Tutti buttavano le divise e si rifugiavano da parenti, amici, o alla ventura.  Questo federale vuole andare dai suoceri, i nonni di Vincenzo, forse i genitori della moglie, almeno finchè non si calmeranno le acque. La moglie lo rimprovera di non averlo fatto prima. Non è un fanatico, ma sa bene che intorno al paese circolano persone che hanno avuto a che fare con lui, con il regime e che ora vogliono vendicarsi.
Lui conosce bene perlomeno uno degli uomini che ora si arrogano il diritto di giudicare, capendo che il regime è finito.
Infatti  rimarca a quel "Tonio"  la sua "folgorante"  carriera da un giorno all'altro con quella giacca  da capitano rubata chissà a chi.
I particolari e i riferimenti storici sono infiniti, come le vendette e le crudeltà inutili, eccessive, oltre una giusta punizione che pure doveva esserci, ma non per tutti, non come avvenne. Davo per scontate queste cose, scritte e riscritte  pure da qualcuno, ma talvolta non ascoltate, non recepite. Si sa: i vinti hanno sempre torto. Se dovevo spiegare tutto per filo e per segno, come pure avrei voluto, sono prolisso lo ammetto, non sarei riuscito a scrivere nello spazio imposto, non sarebbe stato più un racconto.
Mi sono limitato a descrivere quello che immaginavo potesse vedere un bambino dell'epoca, figlio di un federale locale, non certo un eminente politico che deteneva i destini della nazione. Un bambino ideologizzato, balilla moschettiere, quindi dell'età dagli 11 ai 14 anni. Certamente non parlava inglese, ma si arrende agli alleati gridando il nome inglese del ragazzino protagonista dell'Isola del tesoro, presupponendo che loro lo conoscessero meglio di lui. Una sorta di "salvacondotto", diciamo così. (Pensavo fosse sottointeso). Mi sarebbe piaciuto sapere come poi sarebbe cresciuto questo bambino, nella democrazia, quali sentimenti avrebbe avuto nei confronti di chi aveva fatto in modo che la sua vita finisse così. Se avesse avuto qualche risentimento non gli avrei dato torto.

Ammetto che forse il racconto è frettoloso. Ne avevo scritto un altro in due giorni,  di tenore diverso e con molti particolari riferiti ai giorni nostri, agli ultimi accadimenti di questi anni,  ma si sono reso conto che se lo avessi postato avrei scatenato un putiferio e ne ho scritto un altro nel pomeriggio di ieri, postando un'ora prima del termine. 
Tutto quello che è accaduto nel passato non si è mai risolto. Si è solo dimenticato.
Mi andava di scrivere qualcosa.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

4
Ti ringrazio per questa disamina del racconto, emergono degli aspetti che di certo sarebbero dovuti essere presenti nel testo, ma la fretta in questi casi può giocare dei brutti scherzi, infatti, bisogna far decantare quanto scritto per rivederlo poi con un maggiore distacco.
Ora, però, mi hai incuriosita con questo nuovo racconto poi cestinato... Davvero non l'hai presentato temendo le reazioni dei lettori? Questo è sbagliato, non si scrive per compiacere, ma per un bisogno personale, che solo dopo si spera possa essere apprezzato. Questa censura preventiva non è mai una buona cosa.
Non lo so a quale episodio dei giorni nostri ti riferisci, ma mi hai ricordato un fatto storico che poteva adattarsi benissimo a questa traccia:
https://www.ilgiornale.it/news/cronache/sulla-targa-giuseppina-ghersi-vince-lanpi-1448409.html

https://www.unmondoditaliani.com/giuseppina-ghersi-violentata-e-uccisa-per-un-tema-che-aveva-ricevuto-il-plauso-di-mussolini/

Ti riferisci a Giuseppina Ghersi? Potrebbe avere la stessa età del tuo protagonista.

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

5
@Uanema
Uanema ha scritto: Davvero non l'hai presentato temendo le reazioni dei lettori? Questo è sbagliato, non si scrive per compiacere, ma per un bisogno personale, che solo dopo si spera possa essere apprezzato. Questa censura preventiva non è mai una buona cosa.
Ti do ragione. Si dovrebbe scrivere senza preoccuparsi di dispiacere a qualcuno.
Uanema ha scritto: Ti riferisci a Giuseppina Ghersi? Potrebbe avere la stessa età del tuo protagonista.
Conosco bene quella storia, mi fece male, ma sarebbe stato estremo scriverne. Guarda quante storie fa ancora oggi certa gente per argomenti del genere.

Come mi fece male, la storia di Rolando Rivi, stessa età, seminarista   https://www.santiebeati.it/dettaglio/92787
e tantissime altre storie del genere in tutte le epoche, in tutto il mondo. Ti potrei fare un elenco senza fine, non riusciresti a dormire.

La storia che aveva scritto era però di altro genere. Davvero un vaso di Pandora. Davvero troppo.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

6
Alberto Tosciri ha scritto: Zoppicava. Vide i soldati davanti a lui che gli venivano lentamente incontro, con le armi alzate a metà, forse indecisi sul da farsi. Vincenzo alzò le mani in alto e gli scesero le lacrime. Su una mano aveva in bella mostra il suo fez, con l’aquila romana in fronte al nemico, nell’altra il suo gagliardetto dorato che sventolava al debole vento indifferente. Lo avrebbero riconosciuto come un soldato.
Si ricordò il nome del suo eroe, il ragazzino protagonista dell’Isola del tesoro. Lo urlò con quanto fiato aveva in gola:
― Jim Hawkins! Jim Hawkins! Viva Jim Hawkins!
 
Spero che questo bellissimo finale, scritto con lo stato d'animo del coraggioso adolescente, preluda alla sopravvivenza dello stesso.

Grazie per avere scritto questo racconto per noi qui, caro @Alberto Tosciri   :)   :libro:
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

10
@Alberto Tosciri  
non posso che accodarmi al coro dei complimenti.
Bellissimo, come ormai ci hai abituato, sta affinando sempre più la capacità di muoverti sul filo della tragedia senza mai scadere nella retorica
Ottimo e spietato il finale aperto (fammi crede che lo sia )
Alberto Tosciri ha scritto: Sì, assolutamente il ragazzo è sopravvissuto  :D
Chapeau
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
https://www.facebook.com/profile.php?id=100063556664392
https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

14
@Alberto Tosciri ciao.

Non so se nelle tue intenzioni ci fosse mettere in evidenza "il diritto di vendetta dei vincitori sui vinti".

La storia insegna che stringere legami con il conquistatore di turno comporta sempre il rischio di subire vendette, quando i conquistatori vengono a loro volta sconfitti e rimandati al loro paese. I nostri nonni ne subirono tante come tu ben potrai ricordare. Le truppe  marocchine nel centro Italia fecero delle cose indicibili. I partigiani a loro volta. Quelli di Salò idem. I tedeschi, lasciamo stare. Insomma, una serie di vendette contro chi ha patteggiato con il nemico, che a sua volta divenne amico, e poi ancora nuovamente nemico. Questa è la morale che io colgo dal tuo racconto, perfettamente in linea con la storia. Un insegnamento che dovrebbe far riflettere chi pensa a stare da una parte senza pensare alle sue conseguenze. Grazie per avercelo fatto presente. A si biri! (y)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

15
Ciao @bestseller2020
i vincitori se la sono sempre presa con i vinti, anche dopo che avevano vinto e oltre. Penso che non serva analizzare la storia patria, diciamo solo degli ultimi cento anni, ma è sempre stato così, sempre e dappertutto.
Ma anche senza andare a mettersi con i conquistatori si passano comunque i guai anche quando si sta per secoli  a casa nostra,  con la nostra gente, da una parte che ci sta bene e poi arrivano dei tipi nati ieri che dicono che invece è tutto sbagliato.
Ricordo Zivago, di Pasternak, che aveva combattuto per la sua patria, la Russia zarista e poi torna a casa e la trova occupata dal popolo che gli chiede cosa vuole e lui replica che era tornato a casa sua al che gli viene risposto che quella bella casa non era più sua, ma dei compagni, lui l'aveva goduta abbastanza... un ragionamento che non fa un piega e che si vuole applicare anche oggi e guai a chi osa mandare a quel paese certa gente che propone queste cose con assatanato entusiasmo... 
Certamente bisogna sapere che stando da una certa parte, al crollo di quella parte se ne pagheranno le conseguenze.
Ma io mi chiedo: questo vale per tutte le parti, di tutti i colori, perché prima o poi subentra l'altra.
E allora da che parte bisogna stare? Ok, per vigliaccheria sto con i vincitori. E se i vincitori vengono sconfitti?
Questo è davvero un dilemma atroce.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [MI 176] Viva Jim Hawkins!

17
bestseller2020 ha scritto: Si dice che bisognerebbe stare dalla parte della ragione, anche se è difficile, in certe situazioni..
Qualcuno ha detto, è una frase un po' abusata a dire il vero ma che rende, che dove si vede il torto e l'ingiustizia c'è la ragione e la giustizia di un altro.
Comunque la follia è in grado di dilagare da tutte le parti,  bianchi e neri; spetta ai singoli uomini starne alla larga.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
Rispondi

Torna a “Racconti lunghi”

cron