Il mio commento: viewtopic.php?p=68667#p68667
Verso i sette anni, Aku, guardando le tre misere galline che la madre possedeva, e ascoltando il loro buffo crocchiare, decise di imporre loro un nome, visto che non aveva altro da fare. A quella più grossa, che beccava le altre due, diede il nome di Aar-Maakaa; alla più piccola e spennacchiata Aar-Vivilaa, e alla terza Aar-Cudu. Decise, Aku, che tutte le galline dovevano avere un nome che iniziasse con “Aar”, perché il suono aar gli pareva intimamente connesso alla terra, alla polvere, al razzolare su e giù. Quando lo disse alla madre lei sorrise per quell’invenzione infantile e non vi fece molto caso, perché doveva ancora raccogliere la legna per il camino, frugare nell’orto per un po’ di insalata scampata alle lumache e fare altre cento cose, come sempre.
Aku, che si annoiava sempre molto e amava poco la compagnia degli altri ragazzini di Belpoggio, incominciò così, per gioco, ad assegnare nuovi e inauditi nomi alle cose attorno a lui. Il cane rognoso dei vicini divenne Buk-Malin, perché ad Aku la bestia faceva un po’ schifo e lo spaventava, e il suono buk gli rappresentava bene quel sentimento, che impose più tardi alla palude a sud, che era insidiosa e tutti la evitavano, che divenne Buk-Waagah. Il grande albero che dominava dal poggetto a nord, da dove si vedeva tutto il villaggio, fu invece Gaal-Federoss, e tutte le cose belle e grandi sarebbero state gaal perché quel suono era, assieme, fluido e imponente, chiaro e rassicurante. E ricevettero il loro nome i gatti del villaggio, anche se i loro padroni già ne avevano assegnati altri, il ruscello a valle, che si chiama Pinda per tutti, ma Aku lo ribattezzò Fetfet-Boo, perché quello scorrere umido e allegro doveva per forza essere un fetfet.
A otto anni andò a badare le pecore per Calamao. Non che ne avesse tante; quattordici pecore, dalle quali ricavava un po’ di lana, latte e ogni tanto un bell’agnello. Calamao portò con sé Aku il primo giorno e gli spiegò come doveva fare; che poi era tutto abbastanza semplice: all’alba si andava al recinto, si apriva il cancello e si facevano passare le pecore contandole, per sicurezza. Poi, con uno schiocco della lingua accompagnato da un “Ohi, ohi!”, le si incitava a proseguire verso il pascolo. Verso sera, schiocchi e ohi ohi, tutte indietro fino al recinto, contandole un’altra volta.
Ma Aku non sapeva contare, i numeri lo confondevano. Semplicemente diede a ogni pecora un nome, preceduto da cuu, che gli pareva azzeccato per animali così stupidi; cuu era una testimonianza di stolida rassegnazione, placida tranquillità e sciocca inconsapevolezza, e le pecore, ad Aku, parevano certamente essere cuu. Gli bastava, mattina e sera, nominarle tutte a vista, ché aveva grande occhio per i dettagli e le distingueva benissimo, e poiché aveva una memoria eccezionale capiva subito se tutto l’elenco di pecore che aveva in mente era completo oppure no. Così portava al pascolo Cuu-Gaamaa, Cuu-Reebee, Cuu-Aamii, Cuu-Daatee, Cuu-Kooloo, Cuu-Geecee, Cuu-Faateo, Cuu-Veekoo, Cuu-Liibii, che era in realtà un castrato scampato all’arrosto ma ovviamente, per Aku, contava come una pecora, poi Cuu-Dregaa, Cuu-Tuubaa, Cuu-Jaajaa, Cuu-Aahma e infine Cuu-Oioo, che era la più vecchia e forse non avrebbe superato l’inverno.
I mesi volarono, e iniziarono a passare gli anni. Ogni tanto una pecora moriva o, più frequentemente, veniva macellata, e altre giovani pecore venivano aggiunte al gregge. Aku dava alle nuove arrivate il nome appropriato, non usando mai quelli di pecore precedenti, già macellate, vendute o morte per un accidente. I nomi, pensava Aku, devono racchiudere in qualche modo l’essenza dell’animale, dell’oggetto, dell’albero, e nessun altro poteva avere le medesime, identiche, caratteristiche.
Crescendo solo e strambo, finì coll’essere schernito dagli abitanti del villaggio, che lo ritenevano scemo, un po’ come Alimu, il figlio di Oriste, che aveva lo sguardo fisso, sbavava e mugolava tutto il giorno. Certo, Aku non sbavava, e sapeva accudire le pecore, ma quella stranezza di dare nomi a tutto e a tutti era decisamente una cosa poco normale, e anche il magio del villaggio diceva che sì, Aku era utile e non dava fastidio a nessuno, ma non era una persona normale. Così Aku crebbe nella solitudine, senza amori e senza affetti, e anche dopo la morte della madre continuò a fare il custode di pecore, semmai con greggi, mai sue, più grandi.
Aku non aveva mai sentito il bisogno di compagnia. Fin quando poteva dare nomi al mondo, lui era sereno, se non proprio felice. Ma attorno ai vent’anni di cose senza nome non ce n’erano più, e Aku sentì un fastidioso prurito nella sua testa, un prurito che non riusciva a grattare.
Finché una sera, meditando sotto il grande Gaal-Federoss, alzò gli occhi al cielo e vide tutte quelle stelle, in attesa che lui trovasse loro il nome.
Oh, che spettacolo, che impresa, che fantastica sensazione!
Decise immediatamente che le stelle erano aah, perché quello gli parve il suono della meraviglia, dello stupore, della sospensione, ma anche della luce, della salvezza.
Così cominciò da Aah-Rety, per passare alla luminosa Aah-Tyry, e lì vicino c’era Aah- Fertyghan, e poi Aah-Mnetsy, Aah-Givorax…
La sera dopo proseguì; e quella successiva, e per innumerevoli sere, ché la volta celeste mutava notte dopo notte e nuove stelle comparivano all’orizzonte.
Aku memorizzava esattamente le posizioni degli astri, e ogni notte le rammentava tutte, finché non furono talmente tante che, se voleva pronunciare il nome di ciascuna, non gli rimaneva tempo per darne uno alle innumerevoli stelle rimaste ancora senza. E questo non doveva accadere, perché senza un nome distintivo, così pensava Aku, semplicemente sarebbero potute sparire senza che qualcuno se ne accorgesse. E le sue notti sotto Gaal-Federoss si allungavano, lui dormiva sempre meno per portare avanti l’impresa, il suo sonno si accorciava e con sempre maggiore malumore conduceva le pecore al pascolo; finché un mattino fu trovato dormiente sotto l’albero, le pecore ancora chiuse nel recinto, e il padrone lo cacciò in malo modo.
A chi gli chiese come avesse potuto, in maniera così sciocca, perdere il lavoro che, unico, gli dava di che vivere, Aku rispondeva che stava dando i nomi alle stelle, ma che erano così tante, ma così tante!
Finché qualcuno, forse per prenderlo in giro, forse perché incuriosito dalla stramberia, lo raggiunse sotto l’albero e gli chiese - Come si chiama quella stella?
- Quale dici? - rispose Aku.
- Quella lì, la terza di quel gruppo che pare formare una linea…
- Quella è Aah-Tresside.
- E quella?
- Se intendi quella azzurrina si tratta di Aah-Fahalith.
- E quella là? Quella molto luminosa…
- Ah, quella… Non è una stella.
- Ah no? E come sarebbe?
- Le stelle vere sono immobili. Ma alcune si muovono, sembra che non vogliano stare al loro posto. Quella è Ruu-Valika.
- E perché si chiama così?
- Perché ruu è il suono dell’indisciplina, del disordine… e quelle stelle strane sono indisciplinate, non vogliono seguire le regole del cielo.
Così altra gente incominciò a salire sulla collinetta, di sera, per farsi dire i nomi delle stelle, chi portando un pane, chi una fiasca di latte. Aku di giorno dormiva, e di sera dava i nomi alle stelle, che sembrava non finissero mai, e li spiegava ai visitatori che gli portavano cibo, a volte una coperta, un po’ di compagnia.
Una sera arrivò Virna. Lei gli chiese: - Come mi chiamo io? - Ma Aku non seppe rispondere, perché non l’aveva mai vista, non era del villaggio. Lei lasciò scivolare la tunica dalle spalle, e rimanendo nuda di fronte a lui gli chiese: - E questo, come si chiama? - E ancora Aku non seppe rispondere perché mai aveva visto le forme femminili, anche se le aveva sempre immaginate e desiderate. Non ricevendo ancora risposta lei si fece ardita, lo spinse a terra e gli montò sopra. - Come si chiama questo? - Chiese ancora senza ricevere risposta. Infine Virna prese ad Aku ciò per il quale era venuta; si alzò, rimise la tunica e gli disse: - Io ti ho capito. Tu possiedi tutti i nomi del vuoto e delle cose, ma ti mancano i nomi del pieno e della vita.
Quella sera Aku non riuscì a guardare il cielo. Dopo avere seguito con lo sguardo la donna che si allontanava nelle tenebre, rimase pensoso, intimorito, confuso. Lui, che aveva dato un nome a praticamente ogni cosa, ogni bestia, ogni paesano gli si fosse parato davanti negli ultimi anni, proprio lui, che stava compiendo l’opera gigantesca di dare un nome a ogni stella, a ogni stella! Lui, proprio lui, non aveva nomi per ciò che gli era successo. Cosa gli era successo? Non era un fatto di carne (fla, poi il tipo di carne: di persona, di animale commestibile, di animale domestico…); non era un fatto di femmina (hu, poi il tipo di femmina: madre, figlia, una donna sconosciuta…); non era nemmeno l’atto sessuale in sé, che conosceva bene avendolo visto fare fra galli e galline, montoni e pecore, stalloni e giumente, e sì, certo, sapeva che era necessario per fare figli, e aveva capito che era piacevole, e segreto, e per tutto questo si chiamava wuu perché quello è il suono che aveva l’atto sessuale, la pudicizia, la segretezza, assieme al piacere e a una certa vergogna. Aku capiva che non aveva un nome, per ciò che aveva fatto con la ragazza, perché non si trattava di cose. Le cose, gli animali, le montagne, hanno un nome perché possiedono un suono segreto che ne racchiude l’essenza, che è immutabile. Ma quella cosa…
Non era immutabile. Non aveva un essenza ma molteplici. Possibile che avesse molteplici nomi? Ma non era una cosa ma piuttosto… come le cose stavano fra loro.
Trovò straordinaria questa scoperta. Non solo cose, immutabili; ma qualcosa che succede fra le cose, in particolare fra le persone, che è invero assai mutabile.
Aku si addormentò, fra mille nuovi pensieri.
Si svegliò all’alba, ricomponendo le idee dove le aveva lasciate. Più tardi arrivò Camen, una vecchia affezionata che gli portava spesso pane e formaggio, ritenendolo un magio, quindi propizio e da propiziare. Aku la guardò e le chiese: - Che stai facendo Hu-Lee-Camen? - perché lee era il suono che apparteneva alla vecchiaia.
- Ti ho portato un po’ di pane e formaggio.
- E come chiami questo tuo portare?
- Oh bella… non so cosa risponderti…
- È pietà? Amicizia? Devozione, stima, prudenza? È una specie di invocazione agli dei, il ricordo di quando ti prendevi cura dei tuoi figli, o del tuo defunto marito? Forse ti ricordo lui, forse desideri che io sia lui, è così? Oppure è un’abitudine, questo tuo portare, una sfida al magio del villaggio, una burla, una gara con le altre comari… potrebbe essere, no? Una fissazione da vecchia, un rituale da te stessa non compreso, la forma della tua follia, il desiderio di essere considerata buona, di ottenere un premio dagli dei, eh? Cos’è, vecchia, questo tuo portare?
La donna, un po’ spaventata, lasciò il cibo vicino ad Aku e disse, soltanto: - Aku, non so cosa mi chiedi, né perché tu lo faccia. Hai elencato tante ragioni possibili e io non so se siano tutte giuste, o una soltanto o nessuna. Ti ho portato il cibo, eccolo; spero ti sazi, almeno per oggi.
E ciò detto la donna si voltò e tornò indietro.
Allora Aku iniziò a pensare di averla offesa, o indispettita, annoiata, importunata, o forse confusa, alienata, allontanata da lui, allontanata dalla sua stessa carità, o viceversa divertita, in fondo in fondo, ché avrebbe avuto di che raccontare alle altre vecchie. E tutto questo, tutto questo, come lo si poteva chiamare?
Assai più tardi, verso il tramonto, arrivò una guardia dalla Città. Aku lo identificò come guardia per il buffo costume giallo e blu che portava, che aveva già visto molti anni prima quando il Vescovo era venuto in visita pastorale, e dallo spadone che rendeva ridicolo il suo incedere su per la collina. Arrivato a pochi passi lo apostrofò con voce aspra: - Sei tu Aku, il magio di Belpoggio?
- Sono certamente Aku, e abito a Belpoggio; che io sia un magio lo dice la gente.
- Sua Eccellenza il Priore della Città, che governa l’intera Provincia, ha sentito molto parlare di te e ti chiede di incontrarlo da qui a dodici giorni, quando passerà per il suo villaggio, diretto al Signore di Villablù. Sarai disponibile? Hai un vestito adatto? Potrai lavarti e renderti presentabile?
Aku lo guardò e, per tutta risposta, chiese alla guardia: - Come chiami questo tuo chiedere?
- Lo chiamo obbedire a un ordine, e ti suggerisco di rispondere in fretta, che è quasi il tramonto e devo cercarmi un alloggio in paese.
- No, no… non mi capisci… Si chiama forse obbedire, sì, come dici tu, ma cosa significa? Devozione, paura, abitudine? Addestramento? Stupidità, inconsapevolezza oppure il suo contrario, potrebbe essere il suo contrario… Percepisco anche noia, disinteresse, fatica, stanchezza che ti svuota la mente e ti fa agire senza porre domande. E il tuo tono… Minaccia? Imposizione, costrizione, intimidazione, autorità, violenza latente? E poi, accidenti com’è complicato, c’è pure codesto Priore… Curiosità, diletto, dileggio, convinzione, passatempo, per non dir del caso… È troppo… è troppo…
E Aku sperse lo sguardo nel vuoto e non sentì più il soldato, che dopo un po’ perse la pazienza e abbandonò quel matto tornando al villaggio.
Le relazioni fra cose potevano essere semplici, decise Aku. Ma le relazioni fra persone, per gli dei! Che confusione, che complicazione, che intrico di cose dentro cose dentro altre cose…
Aku capiva che le relazioni fra quelle “cose” che erano le persone erano così difficili da determinare che diventava impossibile dare loro un nome. Anche quelle, enormemente più semplici, fra persone e animali, richiedevano uno sforzo immane per coglierne l’essenza. Tutto questo dava ad Aku un senso fastidioso di vertigine, un disorientamento che lo faceva vacillare. Capiva, lo capiva chiaramente, che poteva perdere la ragione proseguendo lungo questo sentiero.
Molto meglio lasciare perdere.
Che la donna le portasse il pane, se credeva. Che il soldato ordinasse, che la giovane sconosciuta venisse e si denudasse, se lo desiderava. Lui avrebbe accettato il pane, ascoltato il milite, accondisceso alla donna, ma non avrebbe cercato i nomi profondi delle loro azioni, motivazioni, sentimenti, desideri, quelli che avrebbero dovuto racchiudere l’essenza dei loro perché e percome, dei loro quando e dove, delle loro essenze, fatte di relazioni fra altre essenze, compenetrate da altre ancora, incrociate da fatti, tempi, volti, sentimenti, motivi, casualità, desideri, paure, abitudini, e mille e mille altri accidenti e fattori che, solo a cercare di pensarli, parevano ad Aku più vasti dell’intero firmamento.
Meglio, molto meglio, dedicarsi alle stelle.
Da quella sera Aku tornò a rimirare il cielo. Così rassicurante, immobile, prevedibile, finito. Aveva ancora un bel po’ di stelle da nominare. C’era ancora tanto lavoro.
Passarono gli anni; Aku aveva dato i nomi, ormai, a quasi tutte le stelle che riusciva a vedere, quando si accorse che la vista iniziava a ingarbugliarsi, e là dove erano fitte fitte, e piccole piccole, faticava sempre più a distinguerle, e a nominarle correttamente.
Aku capì che era un segnale. Pian piano, con dispiacere, si accomiatò dai monti che erano gaal, dal villaggio che era btu perché chiassoso e polveroso, dalle sue stelle che conosceva tutte, o quasi tutte, per nome, e le salutò con gratitudine e gioia, tutte assieme, in un unico abbraccio. Salutò tutto, perché tutto aveva nominato e tutto era da lui conosciuto.
Una sera salì al grande albero il fabbro, che si chiamava Malli ma Aku l’aveva rinominato Dek-Malli, perché dek, a suo dire, era l’essenza del ferro che lui lavorava. Capì subito che Aku era morto. Stava con la schiena appoggiata al grande albero, un’espressione serena sul volto… Malli gli chiuse gli occhi, lo sistemò in una posizione più dignitosa, e decise di andare a chiamare un paio di vicini per seppellirlo lì, sotto l’albero. Un attimo prima di girarsi, l’uomo alzò gli occhi cielo. Però… tutte quelle stelle… E ciascuna aveva avuto un nome!
Re: L'uomo che dava i nomi alle stelle
2Non ho capito come si mette la tag al commento a un precedente racconto. Comunque, questo è il commento: viewtopic.php?p=68667#p68667
Re: L'uomo che dava i nomi alle stelle
3bezzicante wrote: Non ho capito come si mette la tag al commento a un precedente racconto. Comunque, questo è il commento: viewtopic.php?p=68667#p68667Si mette proprio come hai fatto qui

Basta inserirlo all'inizio o alla fine del racconto, così non hai bisogno di fare un secondo post.
Un'altra cosa: come ti avevo segnalato qui viewtopic.php?p=68671#p68671 ho provveduto a modificare il font e poi a reinserire i corsivi; se ne avessi dimenticato qualcuno segnalamelo e modificherò subito. Ancora grazie, ciao.
Re: L'uomo che dava i nomi alle stelle
4Marcello wrote: Si mette proprio come hai fatto qui![]()
Basta inserirlo all'inizio o alla fine del racconto, così non hai bisogno di fare un secondo post.
Un'altra cosa: come ti avevo segnalato qui viewtopic.php?p=68671#p68671 ho provveduto a modificare il font e poi a reinserire i corsivi; se ne avessi dimenticato qualcuno segnalamelo e modificherò subito. Ancora grazie, ciao.

Re: L'uomo che dava i nomi alle stelle
5@bezzicante
Ti leggo e intanto ti cito e commento:
Invece di dare un nome in base al comportamento, doveva imparare a conoscere in sé e negli altri le emozioni e i sentimenti e dare un nome a questi.
Tu prova, se vuoi, a riscrivere l'epilogo facendo trovare un Aku adulto, che muore sereno perché ha saputo, nel corso della sua esistenza, riconoscere e capire le emozioni di chi aveva conosciuto, dandogli un nome e, grazie a questa capacità, ha saputo riconoscere chi "contava" per lui.

Ti leggo e intanto ti cito e commento:
bezzicante wrote: Verso i sette anni, Aku, guardando le tre misere galline che la madre possedeva, e ascoltando il loro buffo crocchiare, decise di imporre loro un nome, visto che non aveva altro da fare. A quella più grossa, che beccava le altre due, diede il nome di Aar-Maakaa; alla più piccola e spennacchiata Aar-Vivilaa, e alla terza Aar-Cudu. Decise, Aku, che tutte le galline dovevano avere un nome che iniziasse con “Aar”, perché il suono aar gli pareva intimamente connesso alla terra, alla polvere, al razzolare su e giù.Questo è l'incipit di una bella favola. Ti suggerisco di togliere la frase sopra, perché Aku, più fantasioso della media dei suoi coetanei, secondo me si inventa anche tanti modi di giocare e, proprio perché si inventa sempre qualcosa di nuovo, incomincia il gioco di dare un nome agli animali da cortile.
bezzicante wrote: Aku, che si annoiava sempre molto e amava poco la compagnia degli altri ragazzini di Belpoggio, incominciò così, per gioco, ad assegnare nuovi e inauditi nomi alle cose attorno a lui.Non so se suggerirti di dire che casa sua era distante dal paese, e quindi aveva poche occasioni di stare in compagnia dei coetanei. Perché, messa così, fai capire che lui, o venga dileggiato, o non sia di carattere estroverso: sì, ci può stare, ma fai conto che ti legga un bambino... Meglio non dipingerlo come un orso che rifugge gli altri.
bezzicante wrote: Semplicemente virgola diede a ogni pecora un nome, preceduto da cuu, che gli pareva azzeccato per animali così stupidi; cuu era una testimonianza di stolida rassegnazioneBella osservazione!
bezzicante wrote: sciocca inconsapevolezza, e le pecore, ad Aku, parevano certamente essere cuu. Gli bastava, mattina e sera, nominarle tutte a vista, ché aveva grande occhio per i dettagli e le distingueva benissimo, e poiché aL'inconsapevolezza, per il suo stesso significato, non può essere né sciocca né dotta.
bezzicante wrote: ché aveva grande occhio per i dettagli e le distingueva benissimo, e virgola poiché aveva una memoria eccezionale virgola capiva subito se tutto l’elenco di pecore che aveva in mente era completo oppure no.per fare l'inciso
bezzicante wrote: Così portava al pascolo Cuu-Gaamaa, Cuu-Reebee, Cuu-Aamii, Cuu-Daatee, Cuu-Kooloo, Cuu-Geecee, Cuu-Faateo, Cuu-Veekoo, Cuu-Liibii, che era in realtà un castrato scampato all’arrosto ma ovviamente, per Aku, contava come una pecora, poi Cuu-Dregaa, Cuu-Tuubaa, Cuu-Jaajaa, Cuu-Aahma e infine Cuu-Oioo, che era la più vecchia e forse non avrebbe superato l’inverno.Hai fatto una riflessione motivata per ogni nome! Bravo: penso che un piccolo lettore ci sguazzi. Finché non esageri...
I mesi volarono, e iniziarono a passare gli anni. Ogni tanto una pecora moriva o, più frequentemente, veniva macellata
bezzicante wrote: altre giovani pecore venivano aggiunte al gregge. Aku dava alle nuove arrivate il nome appropriato, non usando mai quelli di pecore precedenti, già macellate, vendute o morte per un accidente. I nomi, pensava Aku, devono racchiudere in qualche modo l’essenza dell’animale, dell’oggetto, dell’albero, e nessun altro poteva avere le medesime, identiche, caratteristiche.Forse un tantino troppo complicato... potresti scrivere che, prima di attribuire il nome adatto, sorvegliava in momenti diversi il soggetto ovino da battezzare. Se no, anche un bambino penserebbe: ma neppure di un bambino puoi capire com'è senza frequentarlo qualche giorno: figurati una pecora! Oppure, potresti dire che ha Aku ha inventato quattro categorie di pecore e quindi ha fatto quattro greggi. Sarebbe più verosimile descrivere le tipologie dei quattro greggi, precedute dal Cuu e seguite dal tipo di essenza e, in terza posizione, un nome di fantasia per ognuna.
bezzicante wrote: dre continuò a fare il custode di pecore, semmai con greggi, mai sue suoi, più grandi.riferito ai greggi come branchi di ovini va al maschile.
bezzicante wrote: e Aku sentì un fastidioso prurito nella sua testa, un prurito che non riusciva a grattare.Qui il piccolo sente una presa in giro, perché anche lui sa che è impossibile persino contarle, le stelle, figurati dare a tutte un nome!
Finché una sera, meditando sotto il grande Gaal-Federoss, alzò gli occhi al cielo e vide tutte quelle stelle, in attesa che lui trovasse loro il nome.
Oh, che spettacolo, che impresa, che fantastica sensazione!
bezzicante wrote: Decise immediatamente che le stelle erano aah, perché quello gli parve il suono della meraviglia, dello stupore, della sospensione, ma anche della luce, della salvezza.Sì, questa frase è pertinente, è bella ma... vedi sopra.
bezzicante wrote: La sera dopo proseguì; e quella successiva, e per innumerevoli sere, ché la volta celeste mutava notte dopo notte e nuove stelle comparivano all’orizzonte.Vedi sopra
Aku memorizzava esattamente le posizioni degli astri, e ogni notte le rammentava tutte, finché non furono talmente tante che, se voleva pronunciare il nome di ciascuna, non gli rimaneva tempo per darne uno alle innumerevoli stelle rimaste ancora senza. E questo non doveva accadere, perché senza un nome distintivo, così pensava Aku, semplicemente sarebbero potute sparire senza che qualcuno se ne accorgesse. E le sue notti sotto Gaal-Federoss si allungavano, lui dormiva sempre meno per portare avanti l’impresa, il suo sonno si accorciava e con sempre maggiore malumore conduceva le pecore al pascolo; finché un mattino fu trovato dormiente sotto l’albero, le pecore ancora chiuse nel recinto, e il padrone lo cacciò in malo modo.
A chi gli chiese come avesse potuto, in maniera così sciocca, perdere il lavoro che, unico, gli dava di che vivere, Aku rispondeva che stava dando i nomi alle stelle, ma che erano così tante, ma così tante!
bezzicante wrote: Una sera arrivò Virna. Lei gli chiese: - Come mi chiamo io? - Ma Aku non seppe rispondere, perché non l’aveva mai vista, non era del villaggio. Lei lasciò scivolare la tunica dalle spalle, e rimanendo nuda di fronte a lui gli chiese: - E questo, come si chiama? - E ancora Aku non seppe rispondere perché mai aveva visto le forme femminili, anche se le aveva sempre immaginate e desiderate. Non ricevendo ancora risposta lei si fece ardita, lo spinse a terra e gli montò sopra. - Come si chiama questo? - Chiese ancora senza ricevere risposta. Infine Virna prese ad Aku ciò per il quale era venuta; si alzò, rimise la tunica e gli disse: - Io ti ho capito. Tu possiedi tutti i nomi del vuoto e delle cose, ma ti mancano i nomi del pieno e della vita.Ecco il clou del racconto: il piccolo lettore capisce l'importanza delle emozioni ed il saperle riconoscere. Bravo!
bezzicante wrote: E Aku sperse lo sguardo nel vuoto e non sentì più il soldato, che dopo un po’ perse la pazienza e abbandonò quel matto tornando al villaggio.Invece di dare un nome in base al comportamento, doveva imparare a conoscere in sé e negli altri le emozioni e i sentimenti e dare un nome a questi.
Le relazioni fra cose potevano essere semplici, decise Aku. Ma le relazioni fra persone, per gli dei! Che confusione, che complicazione, che intrico di cose dentro cose dentro altre cose…
Aku capiva che le relazioni fra quelle “cose” che erano le persone erano così difficili da determinare che diventava impossibile dare loro un nome. Anche quelle, enormemente più semplici, fra persone e animali, richiedevano uno sforzo immane per coglierne l’essenza. Tutto questo dava ad Aku un senso fastidioso di vertigine, un disorientamento che lo faceva vacillare. Capiva, lo capiva chiaramente, che poteva perdere la ragione proseguendo lungo questo sentiero.
Molto meglio lasciare perdere.
bezzicante wrote: Passarono gli anni; Aku aveva dato i nomi, ormai, a quasi tutte le stelle che riusciva a vedere, quando si accorse che la vista iniziava a ingarbugliarsi, e là dove erano fitte fitte, e piccole piccole, faticava sempre più a distinguerle, e a nominarle correttamente.Fai provare dispiacere al piccolo lettore.
bezzicante wrote: Una sera salì al grande albero il fabbro, che si chiamava Malli ma Aku l’aveva rinominato Dek-Malli, perché dek, a suo dire, era l’essenza del ferro che lui lavorava. Capì subito che Aku era morto. Stava con la schiena appoggiata al grande albero, un’espressione serena sul volto… Malli gli chiuse gli occhi, lo sistemò in una posizione più dignitosa, e decise di andare a chiamare un paio di vicini per seppellirlo lì, sotto l’albero. Un attimo prima di girarsi, l’uomo alzò gli occhi cielo. Però… tutte quelle stelle… E ciascuna aveva avuto un nome!Per come l'ho letta io, questa fiaba la concluderei diversamente. Ho cercato di indicarti come cambiare il messaggio finale qui:
Invece di dare un nome in base al comportamento, doveva imparare a conoscere in sé e negli altri le emozioni e i sentimenti e dare un nome a questi.
Tu prova, se vuoi, a riscrivere l'epilogo facendo trovare un Aku adulto, che muore sereno perché ha saputo, nel corso della sua esistenza, riconoscere e capire le emozioni di chi aveva conosciuto, dandogli un nome e, grazie a questa capacità, ha saputo riconoscere chi "contava" per lui.
Re: L'uomo che dava i nomi alle stelle
7Ciao @bezzicante
ho letto con piacere il tuo racconto che contiene spunti di riflessione profondi.
nel farti i complimenti ti lascio questo modesto commento.
L'uomo che dava i nomi alle stelle narra la storia di Aku, un ragazzo solitario e stravagante che vive nel villaggio di Belpoggio. Fin dall'infanzia, Aku sviluppa l'abitudine di assegnare nomi unici a ogni cosa, animale o persona che incontra, basandosi su un sistema personale di suoni che, per lui, riflettono l'essenza intrinseca di ciò che nomina.
Da galline e pecore fino alle stelle, il suo atto di nominare diventa un modo per dare ordine e significato al mondo.
Crescendo, Aku si scontra con la complessità delle relazioni umane, che sfuggono alla sua logica nominativa, portandolo a un senso di vertigine e disorientamento.
Alla fine, sceglie di rifugiarsi nella semplicità delle stelle, morendo sereno sotto l'albero Gaal-Federoss, dopo aver nominato quasi tutto ciò che lo circonda.
Temi principali
Punti di forza
Aspetti critici e aree di miglioramento
Aku può essere letto come una figura archetipica: il visionario, il poeta, l'outsider che cerca di dare senso al caos del mondo.
La sua ossessione per i nomi richiama filosofie come quella di Platone (il linguaggio come riflesso delle idee) o tradizioni mistiche in cui il nome racchiude l'essenza divina.
Le stelle, con la loro immutabilità, rappresentano l'ordine eterno che Aku desidera, mentre le relazioni umane incarnano il caos e la mutevolezza che lo spaventano.
La sua morte sotto l'albero Gaal-Federoss, simbolo di stabilità e connessione con la terra, suggella il suo viaggio come un atto di completamento, quasi mistico.
Il racconto può anche essere interpretato come una riflessione sul ruolo dell'artista o del poeta, che cerca di catturare l'inafferrabile attraverso il linguaggio, ma si scontra con i limiti della parola di fronte alla complessità della vita.
Aku, in questo senso, è un poeta tragico, che trova rifugio nella bellezza immutabile delle stelle piuttosto che affrontare l'incertezza delle relazioni umane.
Conclusione
L'uomo che dava i nomi alle stelle è un racconto poetico e profondamente simbolico, che unisce un'atmosfera fiabesca a una riflessione filosofica sul linguaggio, la solitudine e la complessità umana.
La forza del racconto risiede nella sua originalità, nel sistema di nominazione di Aku e nella sua capacità di evocare un senso di meraviglia e malinconia. Tuttavia, un maggiore sviluppo dei personaggi secondari e un ritmo più bilanciato potrebbero elevare ulteriormente la narrazione.
Nel complesso, è un'opera che invita il lettore a riflettere sul potere e sui limiti del linguaggio, sul desiderio di ordine in un mondo caotico e sulla bellezza di un'esistenza dedicata a un'impresa apparentemente futile, ma profondamente significativa.
Augurandoti buon lavoro ti mando un caldo saluto
ho letto con piacere il tuo racconto che contiene spunti di riflessione profondi.
nel farti i complimenti ti lascio questo modesto commento.
L'uomo che dava i nomi alle stelle narra la storia di Aku, un ragazzo solitario e stravagante che vive nel villaggio di Belpoggio. Fin dall'infanzia, Aku sviluppa l'abitudine di assegnare nomi unici a ogni cosa, animale o persona che incontra, basandosi su un sistema personale di suoni che, per lui, riflettono l'essenza intrinseca di ciò che nomina.
Da galline e pecore fino alle stelle, il suo atto di nominare diventa un modo per dare ordine e significato al mondo.
Crescendo, Aku si scontra con la complessità delle relazioni umane, che sfuggono alla sua logica nominativa, portandolo a un senso di vertigine e disorientamento.
Alla fine, sceglie di rifugiarsi nella semplicità delle stelle, morendo sereno sotto l'albero Gaal-Federoss, dopo aver nominato quasi tutto ciò che lo circonda.
Temi principali
- Il potere del linguaggio e della nominazione: Il racconto esplora il linguaggio come strumento di controllo e comprensione del mondo.
Aku non si limita a osservare la realtà, ma la plasma attraverso i nomi, che per lui incarnano l'essenza delle cose.
Questo atto riflette una visione quasi magica del linguaggio, in cui nominare equivale a possedere o comprendere.
La sua ossessione per i nomi richiama miti e tradizioni in cui dare un nome significa esercitare un potere creativo o divino (es. Adamo che nomina gli animali nella Genesi). - Solitudine e alienazione: Aku è un emarginato, percepito come "strambo" dagli abitanti del villaggio.
La sua solitudine non è solo sociale, ma anche esistenziale: il suo sistema di nominazione lo isola ulteriormente, poiché nessuno comprende o condivide la sua visione.
Tuttavia, questa solitudine non è dipinta come tragica, ma come una condizione accettata da Aku, che trova conforto nel suo mondo interiore. - La complessità delle relazioni umane: Il racconto raggiunge un punto di svolta quando Aku si confronta con le relazioni umane, incarnate dall'incontro con Virna e dalle interazioni con Camen e la guardia.
Qui il suo sistema di nominazione fallisce, poiché i sentimenti, le motivazioni e le azioni umane sono troppo complessi e mutevoli per essere ridotti a un singolo suono o nome.
Questo contrasto tra la semplicità delle cose inanimate e la complessità delle relazioni umane è uno dei nuclei tematici più potenti del racconto. - La ricerca di ordine in un universo caotico: Aku cerca di imporre un ordine al mondo attraverso i suoi nomi, ma il caos delle emozioni e delle relazioni umane lo sconfigge.
La sua decisione di tornare alle stelle rappresenta un ritorno alla semplicità e alla prevedibilità, un rifugio dalla confusione del mondo umano. - Morte e trascendenza: La morte di Aku, serena e sotto l'albero Gaal-Federoss, è quasi un atto di completamento.
Avendo nominato quasi tutto ciò che poteva, Aku si congeda dal mondo con gratitudine, lasciando un'eredità immateriale: i nomi delle stelle, che il fabbro Malli riconosce con meraviglia.
- Tono e registro: Il racconto adotta un tono fiabesco e riflessivo, che mescola elementi di realismo magico a una narrazione quasi mitologica. Il linguaggio è semplice ma evocativo, con una musicalità data dalla ripetizione dei suoni inventati da Aku (es. Aar, Cuu, Gaal, Aah).
Questi suoni non solo arricchiscono il mondo narrativo, ma creano un ritmo che accompagna il lettore, quasi ipnotico, come un canto o una litania. - Prospettiva narrativa: La narrazione in terza persona segue da vicino il punto di vista di Aku, permettendo al lettore di immergersi nella sua mente e nel suo sistema di pensiero.
Tuttavia, la voce narrante mantiene una certa distanza, offrendo osservazioni ironiche o compassionevoli (es. il riferimento ad Aku come "strambo" o al suo confronto con Alimu).
Questo equilibrio tra empatia e distacco rende Aku un personaggio complesso, né completamente tragico né eroico. - Linguaggio e immagini: Il racconto è ricco di immagini vivide, come il "grande albero Gaal-Federoss" o le stelle che Aku nomina con dedizione. I nomi inventati da Aku non sono casuali, ma riflettono una logica interna che il lettore può intuire (es. Aar per la terra, Aah per la meraviglia delle stelle).
Questo sistema linguistico è uno dei punti di forza del racconto, poiché dona coerenza e originalità alla narrazione. - Dialoghi: I dialoghi sono scarsi ma significativi, spesso usati per evidenziare il contrasto tra Aku e il resto del mondo.
Ad esempio, l'incontro con Virna e la conversazione con Camen sottolineano l'incapacità di Aku di nominare le relazioni umane, mentre il dialogo con la guardia introduce un elemento di autorità esterna che Aku rifiuta di accettare passivamente.
Punti di forza
- Originalità del concetto: L'idea di un personaggio che assegna nomi a ogni cosa basandosi su suoni che ne catturano l'essenza è affascinante e originale.
Questo sistema di nominazione crea un mondo narrativo unico, che mescola realismo e fantasia in modo convincente. - Profondità tematica: Il racconto affronta temi universali come il linguaggio, la solitudine e la ricerca di significato, ma lo fa in modo accessibile e poetico. La progressione di Aku, dal nominare galline e pecore alle stelle, fino al confronto con le relazioni umane, è un arco narrativo ben costruito che invita alla riflessione.
- Atmosfera e ambientazione: L'ambientazione rurale di Belpoggio, con il suo albero dominante, il ruscello e le pecore, è descritta con dettagli che la rendono viva e tangibile.
L'atmosfera fiabesca, unita alla concretezza del lavoro quotidiano (es. pascolare le pecore, raccogliere legna), crea un equilibrio tra il reale e il mitico. - Conclusione potente: La morte di Aku sotto l'albero, con il fabbro che riconosce l'enormità della sua impresa, chiude il racconto in modo commovente e simbolico.
L'immagine delle stelle, ognuna con un nome, lascia un senso di meraviglia e di eredità immateriale.
Aspetti critici e aree di miglioramento
- Sviluppo dei personaggi secondari: I personaggi secondari, come Virna, Camen o la guardia, sono funzionali alla storia ma mancano di spessore. Ad esempio, l'incontro con Virna è carico di potenziale simbolico, ma la sua figura rimane enigmatica e il suo gesto (denudarsi e sedurre Aku) sembra più un dispositivo narrativo che un'azione motivata da una psicologia complessa.
Un maggiore approfondimento di questi personaggi potrebbe rendere le interazioni più credibili e arricchire il contrasto con Aku. - Ritmo narrativo: In alcuni punti, il racconto rallenta a causa di descrizioni prolisse o riflessioni ripetitive, come l'elenco dei nomi delle pecore o delle stelle.
Sebbene questi elenchi contribuiscano all'atmosfera e al tema della nominazione, un editing più stringato potrebbe mantenere il ritmo senza sacrificare l'effetto poetico. - Chiarezza delle motivazioni di Aku: La transizione di Aku dal nominare oggetti e animali alle stelle, e poi il suo rifiuto di nominare le relazioni umane, è ben delineata, ma le motivazioni profonde dietro questa ossessione non sono sempre chiare.
Perché Aku sente il bisogno di nominare tutto?
È solo noia, solitudine, o c'è un bisogno più profondo di controllo o immortalità?
Un accenno a queste motivazioni potrebbe rendere il personaggio ancora più tridimensionale. - Tono ironico a tratti incongruente: In alcuni momenti, il tono ironico della narrazione (es. il riferimento al "magio del villaggio" o alla guardia con lo "spadone ridicolo") contrasta con l'atmosfera contemplativa e poetica del racconto.
Questo può disorientare il lettore, che si aspetta un tono più uniforme, soprattutto in un racconto con elementi fiabeschi.
Aku può essere letto come una figura archetipica: il visionario, il poeta, l'outsider che cerca di dare senso al caos del mondo.
La sua ossessione per i nomi richiama filosofie come quella di Platone (il linguaggio come riflesso delle idee) o tradizioni mistiche in cui il nome racchiude l'essenza divina.
Le stelle, con la loro immutabilità, rappresentano l'ordine eterno che Aku desidera, mentre le relazioni umane incarnano il caos e la mutevolezza che lo spaventano.
La sua morte sotto l'albero Gaal-Federoss, simbolo di stabilità e connessione con la terra, suggella il suo viaggio come un atto di completamento, quasi mistico.
Il racconto può anche essere interpretato come una riflessione sul ruolo dell'artista o del poeta, che cerca di catturare l'inafferrabile attraverso il linguaggio, ma si scontra con i limiti della parola di fronte alla complessità della vita.
Aku, in questo senso, è un poeta tragico, che trova rifugio nella bellezza immutabile delle stelle piuttosto che affrontare l'incertezza delle relazioni umane.
Conclusione
L'uomo che dava i nomi alle stelle è un racconto poetico e profondamente simbolico, che unisce un'atmosfera fiabesca a una riflessione filosofica sul linguaggio, la solitudine e la complessità umana.
La forza del racconto risiede nella sua originalità, nel sistema di nominazione di Aku e nella sua capacità di evocare un senso di meraviglia e malinconia. Tuttavia, un maggiore sviluppo dei personaggi secondari e un ritmo più bilanciato potrebbero elevare ulteriormente la narrazione.
Nel complesso, è un'opera che invita il lettore a riflettere sul potere e sui limiti del linguaggio, sul desiderio di ordine in un mondo caotico e sulla bellezza di un'esistenza dedicata a un'impresa apparentemente futile, ma profondamente significativa.
Augurandoti buon lavoro ti mando un caldo saluto
