Foglie senza alberi

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 Ventuno di marzo, primo giorno di primavera: la pioggia scende fitta, sembra di essere sotto un assedio d’acqua, chi può si raccoglie sotto un riparo, Ruggero si guarda in giro per cercare un posto, ma gli occhi vedono solo acqua, ha le scarpe zuppe e in parte anche la giacca, l’unica immagine che gli viene in mente è quella di lui quando esce dalla doccia. Se almeno ci fosse un bar dove ripararsi.
Da lontano scruta una luce, accelera il passo, forse ha trovato il modo di non tornare a casa bagnato come un panno uscito dalla lavatrice. Prima di entrare mentalmente fa dentro di sé una promessa: un bicchiere di vino, solo uno e poi a casa. Dice sempre così poi rimane incollato a guardare quel liquido nella bottiglia, la religione del bere conosce tante preghiere e lui le sa quasi tutte a memoria.
È sempre l’ultimo a scoprire le cose: ieri ha saputo del suo compleanno dalla telefonata di un vecchio amico.
“Buon compleanno, sei arrivato anche tu ai cinquanta!” 
Ruggero ha risposto con la solita ironia: “Mi fa piacere che ti sia ricordato, ci contavo che anche tu fossi ancora in vita.”
Entra nel bar in punta di piedi, quasi non volesse disturbare; il locale ha poco, se non nulla di particolarmente attraente. La cosa non gli dispiace, il bar, quello vero, non ha bisogno degli orpelli che vogliono i signorini viziati, è solo un luogo dove si può anche stare soli. Ruggero apre una porta sgangherata e si guarda in giro: un vecchio gioca a carte da solo, una donna bagnata probabilmente colta dal temporale tenta di riscaldarsi con una bevanda calda, la scritta -Bagno- quasi cancellata.
Il barista lo guarda poi chiede: “Buongiorno, desidera?”
Ruggero vorrebbe scoprirsi subito, ma non conosce il posto, meglio attendere giusto per sapere se vale la pena di fermarsi. 
“Un caffè, grazie.” 
Ruggero beve veloce il caffè poi sposta una sedia, si siede e ordina un bicchiere di vino. Fuori la pioggia aumenta il ritmo, il suo primo pensiero è sentirsi fortunato per aver trovato questo piccolo posto. Si accorge che il barista è zoppo e la cosa inspiegabilmente lo fa ridere. Il barista lo guarda seccato, ma sbaglia ha capito male, da lui non può temere nulla se non una lontana comprensione, certamente non era entrato in quel bar pensando di prendere in giro qualcuno.
Il vecchio gioca a carte, scuote la testa e impreca: litigare da solo non è da tutti, ci vogliono allenamento e solitudine, è sicuramente una persona interessante. La ragazza con una mano si strizza i capelli lasciando una pozzanghera d’acqua a terra. Prova con i piedi a rimediare, ma peggiora la situazione, lo zoppo la vede e seccato interviene.
“Non si preoccupi, faccio io.”
La donna si siede, ha un’espressione da bambina che ha combinato una marachella, si asciuga i capelli con un’energia inaspettata. Spettinata si guarda allo specchio ed esclama: “Oddio che macello!”
Corre in bagno e ritorna pettinata, strigliata sembra una donna con tante cicatrici sul cuore e con tante lacrime da regalare a chi la segue. Il vecchio alza la testa e guarda quello strano animale con la faccia da cerbiatta.
“E’ solo acqua.”
La donna accenna un sorriso poi prova a replicare.
“Lo so, ma dovevo andare in un posto, ora come faccio?”
Il vecchio borbotta “E’ solo acqua”, poi torna a giocare da solo. Bel tipo, pensa Ruggero, vale la spesa di un altro bicchiere. La donna si muove, si guarda in giro e si avvicina al punto che Ruggero riesce a sentirne il respiro. Senza farsi notare la vede guardare il cellulare e poi sedersi al tavolo vicino al suo e prima che il silenzio possa divenire una montagna da scalare dice: “Brutta giornata vero?”
Ruggero si sente costretto a parlare, le labbra si staccano con fatica. 
 “L’avevano detto, ma non me lo ricordavo.”
La donna aggrotta le sopracciglia: “L’avevano detto ma chi? Io leggo sempre due cose: le previsioni e l’oroscopo e nessuno dei due mi ha messo in guardia. Comunque mi presento, mi chiamo Marina.”
La donna tende la mano destra verso quell’uomo silenzioso che ricambia dicendo: “Piacere, Ruggero.” Passano tre minuti e Marina dice: ”Lei è uno scorpione vero?”
Ruggero rialza la testa.
“Brava, credevo che la coda con il pungiglione non si vedesse.”
“Lo sapevo, lo sa che si chiama come mio zio? E’ un uomo straordinario, ha girato il mondo come reporter, lei è uno che gira il mondo?”
Ruggero finisce il bicchiere e ne ordina un altro.
“In effetti ho girato tutti i pianeti, specie quelli con l’insegna ‘bar’, ma sinceramente non so se mi posso definire straordinario.”
Marina lo guarda, sosta dentro i suoi occhi, sembra che voglia cercare l’anima, ma Ruggero ha da tempo provveduto a nasconderla bene.
“Complimenti, ha proprio un bel nome, deve esserne fiero: il nome è molto importante, ti segna la via da percorrere.” 
Ruggero sorride cinico: “Me lo sono trovato addosso e da allora neanche facendo due volte la doccia al giorno me lo sono ancora levato.” 
Marina sorride e lo fa con un vezzo da adolescente, poi sospira, guarda di sfuggita fuori il cielo che pare rabbuiarsi, sembra irrequieta, va al bancone e parla con lo zoppo, torna con una bottiglia di vino. “Posso sedermi al suo tavolo?”
Ruggero è distratto da troppe cose: Marina che attende la sua risposta, la bottiglia sul tavolo, il vecchio che impreca in maniera fantasiosa, alla fine prende una decisione.
“Prego, chi porta vino è ben accetto.”
Seduti uno di fronte all’altro sembrano vecchi amici. Marina parla di tutto, ogni tanto si ferma, scende dal discorso che ha appena fatto per cominciarne un altro. A guardarla da vicino per quanto ben curata ha più di qualche ruga, nella piazza centrale del viso un naso spiritoso (sovraintende) come un campanile in una piazza, due occhi che in silenzio respirano aria, un sorriso che ricorda l’estate e soprattutto due gambe disegnate per una ballerina. Ruggero apre il vino e lo fa con la dovuta sapienza. “Chi paga beve sempre per primo” e così dicendo porge il bicchiere a Marina.  
“Sono astemia.”
Ruggero le riempie il bicchiere.
“Non si preoccupi, chi più, chi meno lo siamo stati tutti.”
Marina guarda Ruggero che esperto naviga sul vino come un capitano con il suo vascello, chiude gli occhi e poi inghiotte tutto d’un fiato il vino. Alla fine, scoppia a ridere.
“Ora possiamo darci del tu visto che abbiamo bevuto insieme.” 
“Nessun problema.” Il vecchio che sente replica: “Siamo tutti amici finché piove.”
Marina lo guarda seria. 
“Perché dice così? Non è per la pioggia, sto solo imparando a bere.”
Il vecchio la scruta.
“Niente di complicato: è solo uva.”
Marina pare disarmata: afferra un altro bicchiere e veloce lo trangugia.
“E’ solo uva.”
Ruggero prende un bicchiere e lo offre al vecchio.
” Bevi con noi.”
Il vecchio smette di giocare, afferra il bicchiere e lo alza al cielo dicendo: “Per i vivi e per i morti.”
“Hai fatto un bel gesto” dice Marina a bassa voce a Ruggero “mi sembra un uomo così solo.”
Ruggero annuisce, poi replica: “Come noi, ma forse di più.”
In quell’attimo sospeso il tempo sembra fermarsi, Marina beve, si mette la mano sul cuore e inizia a cantare seguendo un motivo alla radio, poi quando il motivo finisce gli sussurra: “Sono una donna pessima, ho un figlio che non vedo mai.” 
“Io sono stato un figlio con genitori distratti, non è stato per certe cose così male.”
Marina lo abbraccia.
“Sei in gamba, hai sempre una risposta per tutto.” 
“Ti stai facendo un’idea sbagliata, sono un uomo senza terra su cui camminare.”
Poi in un attimo qualcosa cambia: un vento freddo. un uomo ben vestito pare attendere, lei lo guarda e è colta da un fremito.
“Devo andare mi aspettano.” Senza attendere risposta manda un bacio a Ruggero, poi allegra urla. “Pago ancora un giro per tutti” mette i soldi sul bancone e uscendo con l’uomo saluta con la mano aggiungendo: “Ci vediamo domani.” 
Ruggero la guarda e gli pare di vedere una lacrima scendere dall’angolo dell’occhio sinistro mentre lo zoppo prende i soldi lasciati sul bancone con la stessa faccia di uno che va ad un funerale. Così come era entrata esce di scena, prima che Ruggero abbia potuto dirle qualche frase per cui provare dopo vergogna.
“Una che paga la si rimpiange per sempre” sospira il vecchio. Ruggero annuisce: non tornerà, è così facile volerle bene ma anche odiarla e lei lo sa, è come me una scatola vuota appoggiata storta nel ripostiglio. Il vecchio annuisce come se avesse capito tutto, cerca con fatica le parole.
“Domani vado in chiesa e accendo una candela. Mi piace l’odore delle candele.”
Ruggero finisce il vino, si alza e guarda il soffitto: è pieno di ferite pare una schiena che  abbia preso cinghiate come lui quando era piccolo e suo padre sfogava la sua rabbia urlando e picchiando. Lo zoppo si avvicina e serio dice al vecchio: “Tra dieci minuti si chiude.”
Il vecchio beve l’ultimo bicchiere e poi guadandolo dritto negli occhi sussurra: “La polvere da sparo senza cannoni non funziona.”
Ruggero ride senza sapere perché, che giornata strana, indecifrabile, a tratti assurda, della pioggia rimane ben poco, il terreno bagnato si sta asciugando e tutto tornerà come sempre, con l’acre odore del passato che tormenta, ma oggi è andata niente male, ha afferrato un momento che gli resterà, sentire muovere il cuore anche per poco non è cosa di tutti i giorni, non si dimenticherà di quella lacrima che rigava la guancia, un piccolo composto di acqua e sale dove sarebbe potuto annegare.   

Re: Foglie senza alberi

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Ciao @Sarano

Il tuo racconto ha uno stile narrativo intimistico, denso di sensazioni, umori e dettagli minuziosi, con una prosa che alterna il registro colloquiale a momenti che definirei quasi lirici.
Le frasi scorrono fluide, talvolta lunghe e sinuose, ci stanno bene, riflettendo il flusso di pensiero del protagonista. 
Il tono è lievemente malinconico, ma mai patetico: è la malinconia di chi ha già visto molto e non si aspetta più nulla, ma è ancora in grado di cogliere frammenti di bellezza e umanità.

La solitudine è il motore silenzioso del racconto, il suo fulcro penso.
 Ogni personaggio nel bar – Ruggero, Marina, il vecchio, persino il barista zoppo – sembra portare con sé un fardello non detto. Non ci sono drammi espliciti, ma piccoli cedimenti che rivelano un vuoto interiore:
Sarano wrote: Sun Jun 15, 2025 5:48 pmsono un uomo senza terra su cui camminare.”
 dice Ruggero. È una bellissima metafora, è l’eco emotiva del brano intero.

Gli incontri casuali del protagonista rappresentano l’occasione, il cortocircuito imprevisto che accende sentimenti; forse nuove speranze, oppure semplice curiosità. Perché Ruggero è davvero un uomo solo.
Il suo incontro con Marina è segnato da una dolce precarietà: si parlano come vecchi amici, si sfiorano con gesti misurati, ma si intuisce che nulla potrà durare. Dispiace.
C’è qualcosa che definirei come un realismo crepuscolare, un’epopea della vita quotidiana dove non accade mai nulla, ma dove ogni particolare è importante. Io amo i particolari; un soffitto rovinato diventa una metafora della propria infanzia:
Sarano wrote: Sun Jun 15, 2025 5:48 pmSaranosi alza e guarda il soffitto: è pieno di ferite pare una schiena che  abbia preso cinghiate come lui quando era piccolo e suo padre sfogava la sua rabbia urlando e picchiando. Lo zoppo si avvicina e serio dice al vecchio: “Tra dieci minuti si chiude.”
I personaggi sono ben delineati, più suggeriti che spiegati. Si muovono nel bar come ombre stanche, ognuno con un gesto, un dialogo, una reazione che tradisce un’interiorità complessa.

Per come la vedo io:
Ruggero è l’antieroe contemporaneo: lucido, disilluso, ma ancora capace di empatia.
Marina è la figura ambigua: dolce, malinconica, fuggitiva. Entra come una comparsa luminosa, esce lasciando un vuoto difficile da riempire.
Il vecchio funge da “coro greco”, come nelle antiche tragedie: osserva, commenta, riassume il senso delle cose con aforismi semplici ma profondi (“È solo acqua”, “Siamo tutti amici finché piove”).
Il barista zoppo, pur marginale, aggiunge una venatura di realismo dolente.

La pioggia può avere un senso anche simbolico: non solo contesto atmosferico, ma condizione esistenziale, uno stato dell’anima, con la sua malinconia e il senso di raccoglimento che implicitamente porta con sé.
Anche il vino può essere un simbolo, con questa quasi venerazione da parte di Ruggero negli atti di berlo e pensarlo e del vecchio solitario recitante e di quell' "apprendistato", diciamo così, di Marina nel voler bere; mezzo di comunione, di abbandono, di confessione; rito laico che scioglie i nodi emotivi.
Il bar è un luogo di passaggio e di sospensione, quasi un piccolo purgatorio, un limbo in cui le anime si sfiorano prima di tornare nei propri inferni personali.
Anche io ho ambientato un racconto in un bar nel Labocontest ancora in corso. Bar davvero come luogo d’incontro e di vita dai mille destini diversi.
Il finale è una sorta di non-finale. Marina scompare, il bar si svuota, e Ruggero rimane con una memoria piccola ma intensa, un evento da “archiviare nel cuore”. Il racconto non risolve nulla, non cambia nulla, e proprio per questo è profondamente realistico e umano.
Anche dove in apparenza non succede nulla, ci vorrebbe una vita per raccontare tutto e forse non basterebbe.
Ho già detto che io amo, sono un cultore dei particolari e mi piace leggere un testo che ne ha tanti, pur sembrando, all’apparenza, di non nominarli.
Una scrittura, la tua, molto umana e sensibile. Non ha bisogno di colpi di scena o trame complesse: si regge sul non detto, sull’istante, sull’occasione colta o mancata.
Una bella scrittura, tra l'altro. Ho letto con molto piacere. Per quanto mi riguarda, ti faccio i miei complimenti.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

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