Remember
Leo non saliva sul palco: ci strisciava sopra, come una maledizione.
Luci, fumo artificiale, urla. La folla era un branco di bocche aperte e mani alzate. E bastava il suo sorriso stronzo per farli collassare. Ogni passo era perfetto, ogni nota un gancio al cuore delle fan.
Dietro le quinte, si tolse l’auricolare e davanti allo specchio si sfilò la giacca lucida che gli si stava incollando addosso dal sudore, perché ovviamente la indossava a pelle, lasciando gli addominali in bella vista a beneficio delle ragazzine, ma anche delle loro madri.
«Wow. Hai finito di limonarti il tuo riflesso? Ti serve privacy?»
Chiara si appoggiò alla sua chitarra come fosse un fucile da cecchino, arrotolando su un dito una delle ciocche viola. Chitarrista di supporto, zero filtri, pantaloni larghi, e quella voce da sigaretta, anche se non l’aveva mai vista con una in mano.
Leo non si scosse. «Se vuoi una foto chiedi pure. Autografata costa il doppio.»
«C’è vita oltre la tua faccia, lo sai?»
Lui si voltò, con il sorriso tagliente. «Eppure eccoti qui, a goderti lo spettacolo.»
«No, io qui ci lavoro. Tu sei solo un rumore di sottofondo.»
«Un rumore che paga il tuo cachet, principessa.»
«Già, davvero un peccato che tu non abbia un interruttore per spegnerti ogni tanto.»
«Già, davvero un peccato che tu non abbia un interruttore per spegnerti ogni tanto.»
Il pubblico ricominciava a gridare. Il manager gli fece cenno. Era il momento del bis.
Leo tornò in scena, tra scintille e flash: l’ego davanti a lui, le emozioni dietro, a rimorchio.
La parte vocale della canzone era terminata, adesso aveva bisogno del fiato per gli ultimi passi, lo stacchetto finale sul refrain: le chitarre continuavano in assolo e la coreografia avrebbe spostato gli altri ballerini sullo sfondo per lasciare al Re l’ultima scena. Registrò quasi nello stesso momento: un cambio di tono nel pubblico, una variazione delle luci e il suono stridulo provenire da una chitarra.
Un forte impatto lo spinse all’indietro, e infine un dolore acuto alla gamba lo spedì dritto nel buio dell’oblio.
Un forte impatto lo spinse all’indietro, e infine un dolore acuto alla gamba lo spedì dritto nel buio dell’oblio.
Si svegliò confuso in una stanza bianca, chiaramente di ospedale. La gamba sinistra era completamente ingessata. Cominciò a sudare freddo e a iperventilare: il medico arrivò subito allertato dai monitor.
Leo fece un cenno indicando la gamba. «Cosa è questo?»
«Purtroppo era in condizioni disastrose: abbiamo dovuto ricollegare tendini e nervi, nonché clampare e ricostruire alcune vene, lo schiacciamento è stato importante. Abbiamo dovuto inserire anche alcune placche di sostegno. Con la fisioterapia tornerà a camminare abbastanza bene. Ma se mi sta chiedendo se potrà tornare al lavoro che faceva prima, no, almeno non nel modo in cui lo faceva prima.»
Fece il numero del suo manager. Il telefono squillò diverse volte, poi segnalò l’occupato.
Andò a dare un’occhiata ai social: tutti i fan erano in delirio, il suo incidente era già virale, ma si capiva che gli avvoltoi erano in agguato, e stavano organizzando il prossimo conclave. Chiamò di nuovo Luca, ma ancora, il suo manager non rispose, anche se poco dopo gli arrivò un messaggio: passo in serata.
E così arrivò la sera, senza aver visto nessuno.
Luca arrivò trafelato. «Scusa, ma ho dovuto gestire qualche problema e bloccare qualche fake news.»
«Quindi, adesso cosa facciamo?»
«Leo, il tuo personaggio prevede il cantante, il ballerino e il sex symbol, tutti nello stesso pacchetto. Se due di queste opzioni vengono a mancare… Sarà molto difficile trovare ingaggi.»
«Ma sono ancora capace di cantare come prima.»
«Sai quanti cantanti ci sono? Luca sospirò.
«Mi stai scaricando?» Leo non poteva crederci.
«Ti consiglio intanto di sfruttare quanto puoi l’onda mediatica che il tuo incidente ha causato. Finita quella, intorno avrai il deserto. La maggior parte degli sponsor si è già ritirata, e anche gli eventi sono tutti cancellati.»
Il giorno dopo arrivò qualche messaggio della band, e quello della modella con la quale stava uscendo in quel momento, formali e stereotipati: visto che non ci sarebbero più state cene, feste, regali e pubblicità, evidentemente ritenevano di non dover sprecare neppure una visita.
Mondo reale-Leo, 1-0.
Quindi fu abbastanza sorpreso del bussare deciso alla porta.
Chiara entrò. Jeans strappati, giubbotto di pelle e la solita aria da "non rompermi il cazzo".
Portava una busta di plastica e una chitarra a tracolla.
«Guarda chi non è morto. Delusione nazionale.»
Leo la guardò di sbieco. «Sei venuta a goderti lo spettacolo?»
«No. Quello lo vedo già in tv. Volevo sincerarmi che l’ego non ti avesse soffocato nel sonno.»
Leo si tirò su a fatica. «Non ho bisogno di visite. Né di pietà. Volevi vedere quanto sono caduto?»
Chiara si sedette su una sedia con lo stesso entusiasmo con cui si entra dal dentista.
«Leo, tu non sei caduto. Sei stato scaricato. Come un sacchetto della spesa sfondato.»
«Leo, tu non sei caduto. Sei stato scaricato. Come un sacchetto della spesa sfondato.»
Silenzio.
«Sei gelosa.»
Lei rise. «Di cosa? Delle tue sciocchine che piangerebbero se cambiassi pettinatura, o se ogni tanto ti mettessi una maglietta?»
«Ti dà fastidio che, anche così, ho più attenzione di quanta tu ne avrai mai.»
Chiara si alzò. Lo guardò dritto. «Avresti potuto avere tutto. Invece non hai mai avuto niente. E sai perché? Perché alla fine nessuno ama un riflesso. Nemmeno tu.»
Uscì sbattendo la porta.
Leo rimase lì, in silenzio… e quella cazzo di frase faceva più male di tutte le diagnosi.
Leo rimase lì, in silenzio… e quella cazzo di frase faceva più male di tutte le diagnosi.
Voltandosi verso la finestra si accorse che Chiara aveva lasciato la chitarra e la borsa. Si allungò sforzandosi di arrivarla: dentro c’era un pacchetto di plettri nuovi, un quaderno a righe, un lapis e una gomma. E un biglietto.
Già che non puoi ballare, prova a usare le dita per qualcosa di utile. Tipo suonare, o scrivere. O grattarti senza lamentarti.
Aveva smesso di provare a scrivere canzoni dopo i primi successi: se le era ritrovate belle che pronte, studiate ad arte per il suo personaggio e la sua voce, perché sforzarsi tanto?
Chiara tornò qualche giorno dopo, mentre Leo imprecava su un accordo che non gli riusciva bene.
«Complimenti, sembri quasi vivo quando ti comporti come i comuni mortali.»
«E tu quasi simpatica quando stai zitta. Lascia perdere, non fa per me. Non ho più niente da dire»
«Magari sarebbe la prima volta che potresti dire qualcosa di vero.»
«E tu, la prima volta che potresti chiudere la bocca.»
«Ma poi chi ti tiene sveglio? Il tuo universo femminile si è fermato ai miagolii.»
Quando ricevette la telefonata di Rinaldi, della RinaldiMusic, rimase ancora più stupito.
«Ricordi la demo di Remember? Pensi sarebbe possibile avere ancora qualcosa del genere?»
Era la sua prima demo: grezza, ora lo sapeva, ma sua.
«Chi gliel’ha data?»
Rinaldi rise. «Un uccellino viola. Fammi sapere se sei interessato.»
Quando Chiara tornò, il quaderno era scritto per metà.
«Mi ha chiamato Rinaldi. Come hai avuto la demo?»
«Ero negli stage all’epoca: quando fu scartata mi presi il CD.»
«Pensavo odiassi le mie canzoni.»
«Cercavo di odiare te, per le stronzate di canzoni che stavi facendo adesso. Quella era tutt’altra musica. Tu l’avevi dimenticata, io no.»
Prese la chitarra e iniziò a suonare le prime note lente di Remember, poi all’improvviso il ritmo divenne più deciso e più ricco: Chiara l’aveva completamente riarrangiata e Leo faticava a credere che quella musica così intensa l’avesse davvero scritta lui.
Improvvisamente sentì qualcosa che lo strattonava nella sua testa. Un fastidio latente che lo stava trascinando via da lì. Un brusio lontano pian piano sovrastò la sua musica e si trasformò in voci, e risate.
Aprì faticosamente gli occhi: la nebbiolina era scomparsa, e nella stanza chiacchieravano tranquillamente il suo manager e gli altri componenti della band. In un angolo c’era Chiara con l’espressione cupa.
«Oh, ti sei svegliato! Allora possiamo programmare il rientro e le operazioni di marketing necessarie. Cureremo prima l’immagine post-incidente, poi riprenderemo con quella consueta.»
Leo guardò la sua gamba sinistra: esattamente uguale all’altra sotto il lenzuolo. Era stato davvero solo un sogno? Ma se quel buco allo stomaco era delusione, allora, forse, poteva ancora rimediare.
«Chiara!» Lei si avvicinò, sorpresa e perplessa. Indossava una canottiera, lui notò il braccio fasciato.
Corrugò la fronte. «Mi hai spinto tu, sul palco.» Lei annuì, sospettosa.
«Per caso conosci Remember?»
«La tua prima demo?» Spalancò gli occhi e si portò una mano alla bocca stupita dall’ammissione fatta.
«Sì, quella. Hai fatto un arrangiamento, vero?»
Gli occhi si preparavano alla guerra. «Come cazzo lo sai?»
«Non importa. Tutti fuori! Tranne Chiara.»
Il riflettore puntò sulla figura seduta su uno sgabello al centro del piccolo palco. Le prime note struggenti di Remember, uscirono dalla chitarra classica dell’uomo con gli occhi nascosti dal fedora. Poi diventarono più intense e vive, in un crescendo che si fuse nel ritmo gemello della chitarra elettrica che il secondo riflettore illuminò, nelle mani della ragazza con le ciocche viola. Solo allora lui alzò la testa, e strizzò l’occhio al suo futuro.