[CC25] La mano morta

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Un gruppo di ragazzi si avventura in una casa abbandonata vicino a un lago. Tra antichi oggetti dimenticati, trovano un diario che racconta di misteriose sparizioni avvenute decenni prima. Mentre leggono, in riva al lago, scoprono che qualcosa di inquietante si muove sotto la superficie dell’acqua.


Boa: Mano finta

A turno li ho odiati tutti, uno per uno. Adesso li vorrei qui tutti, vicino a me per continuare a odiarli.
 
“Dai Giulia, cosa aspetti! Vieni!”
Guardavo mia mamma come un cane bastonato, alla festa di carnevale non ci volevo andare; sarebbe andata come sempre: a me il ruolo della sfigata.
“Scendi adesso, vedrai che ti divertirai. Alla tua età non sarei stata nella pelle all’idea di passare una notte fuori con i miei amici.”
Che ne sapeva lei che mi mollava qui. Si era già organizzata il sabato sera senza figlia. Chissà se lo passava col papà oppure con le sue “amiche”. Quelle che nei messaggi le scrivevano “Sei caldissima, mi manchi!” e tremila cuoricini che nemmeno Alissa li avrebbe messi.
Ecco, l’avevo pensata e si materializzò sulla soglia della casa di pietra. Nemmeno doveva esserci lei. Ma figuriamoci se rinunciava a qualcosa dove era presente Ignazio. Nemmeno io l’avevo fatto.
“Domattina verso le undici torno a prenderti, vedi di essere pronta. “
“Ciao Ma.”
Scesi e raggiunsi gli altri. Avremmo dovuto essere in sei, con la presenza a sorpresa di Alissa saremo stati in sette e già sapevo chi sarebbe stata di troppo.
Dentro faceva freddo, dovevano essere questi muri grossi a trattenere l’umido del lago. Ripensavo a quando da bambina venivo con mio papà al laghetto a nuotare, guardavamo sempre questa casa. La vedevo dall’altra riva, con il suo pontile, piccina ma elegante come un piccolo castello. All’epoca pensavo che ci dovesse vivere almeno un principe, ma il papà mi diceva che era disabitata da decenni a causa di una brutta storia. Distratta dagli scuri rossi e bianchi che serravano le finestre, non gli avevo mai chiesto il perché. Le avevo sempre viste chiuse.
Adesso ero qui, c’era il mio principe e pure la strega cattiva.
Non a caso Alissa aveva scelto proprio quel costume lì. Perfettamente truccata, con il cappello a cono decorato con un velo nero che scendeva quasi fino a terra a nascondere il suo microscopico tubino nero.
“Che faccio? Aggiungo un po’ di viola agli occhi?” Ma che facesse quello che vuole, era una festa in casa e aveva già stravinto vestita così. Cosa potevo fare io con il mio costume da casalinga disperata, consistente in un grembiule con il pestacarne integrato che fasciavano la mia pancia abbondante. Carla e Francesca ovviamente dovevano dire la loro mentre si spolveravano il viso con i brillantini ignorandomi come sempre.
“Dici che gli rimangono attaccati se lo bacio?”
“Se hai messo sotto il primer, forse no.”
Loro due erano già a posto. Marco balbettava ogni volta che vedeva Carla e non la baciava mai. Pietro e Francesca invece stavano assieme da qualche mese e avevano organizzato questa festa con notte fuori, perché forse lo avrebbero fatto per la prima volta. Si erano già presi una delle due camere da letto al piano superiore. Noi eravamo solo gli utili ospiti per rendere credibile il tutto agli occhi dei nostri genitori.
La grande cucina-soggiorno, l’unica stanza del pianterreno assieme al bagno, aveva una portafinestra che dava sul lago. Si vedeva la spiaggia di sabbia fine senza impronte che finiva al pontile. Ai lati la piccola baia era chiusa da un canneto. Per fortuna era febbraio, lì non avrei mai fatto un bagno. A pelo d’acqua si vedevano i movimenti delle alghe, sembravano lunghi capelli. L’idea che mi si attorcigliassero attorno alle caviglie per tirarmi sotto mi faceva rabbrividire.
I ragazzi avevano già bevuto un certo numero di birre e cercavano di accendere il fuoco nel camino. Alissa appiccicata a Ignazio fingeva di avere freddo, mentre la sera si allungava sul laghetto.
Sarebbe stata una lunga notte, ma mai mi sarei immaginata quanto lunga.
Abbiamo ballato, mangiato e bevuto, brilli seduti attorno al camino, mi sembrava una bella serata nonostante Alissa avesse la sua testa sulla spalla di Ignazio.
Il fuoco mi scaldava e per un momento non pensai al fatto di essere solo tollerata, perché le nostre famiglie erano amiche da sempre.
Eravamo a quel punto in cui era stato fatto tutto quello che doveva essere fatto, stavamo per annoiarci.
Pure la mano finta col sangue che colava dal polso non ci divertiva più nel suo ruolo di mano morta.
“Perlustriamo la casa!” Marco lanciò l’idea e Carla si aggregò subito.
“Ma non c’è nemmeno la cantina.” ribatté Francesca.
Nessuno aveva visto la botola che portava in soffitta, ma io si.
Pochi attimi dopo salimmo al primo piano in fila indiana. Dal soffitto pendeva una catenella. Tirata quella, la botola si aprì portandosi dietro una scala di metallo lustro. Tutto molto nuovo, molto a norma.
“Prima io!” Era impossibile per Alissa non essere al centro dell’attenzione. Si fece largo e per un momento la mia mano sfiorò quella di Ignazio. L’avevo ignorato tutta la sera fantasticando che lui mi venisse vicino e mi chiedesse, se stessi bene. Io avrei mentito guardando quei suoi occhi azzurro cielo e lui se ne sarebbe accorto e mi avrebbe sfiorato le labbra con un bacio. Invece niente. Appena Alissa fece il primo gradino, lui subito dietro.
Francesca e Pietro erano spariti nella loro camera senza dire niente. E io ero indecisa se seguire Marco e Carla.
Cosa avrei fatto se si fossero messi tutti a pomiciare?
Qui non c’era un posto dove rintanarsi ad aspettare.
Nella soffitta c’erano le solite cose impolverate, mobili e bauli. Carla senza volere diede una botta a un orologio a pendolo che subito iniziò a scandire le ore.
Due rintocchi, le due in punto.
In qualche modo avrebbe dovuto risultare sinistro e invece ci distraemmo con una specie di diario. L’aveva trovato Alissa che si divertiva ad aprire i bauli.
La copertina di Holly Hobbie era gonfia di umidità, mancava il lucchetto, le pagine erano incollate e l’inchiostro di una stilografica azzurra era talmente sbavato da essere illeggibile. Alissa aprì il diario e iniziò.
“Non leggere! Davvero! Firmato: Cosima. 1.1.1973” Declamò con fare ironico. 
Sembrò un invito. Sedemmo per terra in cerchio, pronti a scoprire di chi fosse innamorata Cosima. In realtà erano poche le pagine scritte, forse un terzo, e di quelle poche si riconoscevano solo alcune parole qua e là.
La prima fu “Pericolo!”, alcune pagine dopo una frase intera “Tutto precipita in un istante.” Il resto erano macchie di colore sbavato, tranne l’ultima frase “Ne rimane una, condannata a mantenere il segreto”. Diario finito, gioco finito.
Marco stava baciando Carla di fianco a me, Alissa si lasciava accarezzare il viso da Ignazio.
Perché non potevo essere io!
L’atmosfera era imbarazzante. Sembrava che il bacio fra Ignazio e Alissa aleggiasse nell’aria, ma non me ne sarei mai andata per dare il via libera. Sapevo che la mia presenza li bloccava assieme alla mia rabbia e alla livida invidia che quasi mi faceva tremare.
Ero un concentrato di odio puro e desideravo con tutta me stessa che qualcosa, qualsiasi cosa interrompesse questo squallido momento alla melassa.
“La mano! Fai qualcosa con quella mano!” Francesca stava gridando al piano inferiore e noi scoppiammo a ridere. Pietro doveva essere davvero inesperto.
Credetti di essere salva.
All’improvviso nel silenzio un urlo disumano e la botola si chiuse di scatto.
“Che cazzo di scherzo vogliono farci quei cretini!”
La botola non era bloccata, scendemmo facendo finta di controllare a destra e manca per evitare chissà quale scherzo.
La porta della camera era aperta.
Francesca sul letto con la testa a penzoloni e la gola squarciata.
Nel bagno di sangue il corpo riverso di Pietro. Stringeva ancora l’impugnatura del tagliacarte che aveva piantato nel petto.
Una messa in scena talmente perfetta da sembrare vera, non respiravano nemmeno più. Dal pianterreno si sentiva un tramestio e qualsiasi cosa sarebbe stata meglio che prendere atto che Francesca e Pietro erano morti.
Era inconcepibile.
Marco iniziò a vomitare, Alissa a urlare e tutto diventò vero come i rumori da sotto.
“Dobbiamo scendere e chiamare aiuto.”
“Non sentite che c’è qualcuno?”
Stavamo bisbigliando.
“Scendiamo prima Marco e io, e voi ragazze vi buttate a prendere i telefoni.” Era l’idea di Ignazio e ci parse buona, forse perché era l’unica.
Loro due davanti e noi tre dietro scendemmo in silenzio.
Non c’era nessuno, e noi ci scaraventammo sui telefonini.
Zero linea, un classico.
Alissa aveva la borsa vicino al camino. Una cosa veloce come un ratto spinse il suo velo verso il fuoco. Una fiammata e iniziò a bruciare dalla testa. Ci buttammo addosso con le coperte del divano, lei si dimenava sotto di noi. Un’eternità o una manciata di minuti e lei smise, noi con gli occhi lucidi sdraiati sopra di lei immobile.
Levai la coperta dal suo volto, gli occhi erano spalancati come i nostri, ma lucidi e immoti.
Soffocata.
Quella cosa veloce si mosse ai margini della nostra visuale.
Era la mano morta, correva da una parte all’altra, un ragno su cinque zampe. Sembrava cercasse qualcosa. Si fermò e ci fissava senza occhi ma con soddisfatta cattiveria.
Ignazio con uno scatto le buttò addosso la coperta imprigionandola.
Cercava di divincolarsi.
“Ce l’ho! Ce l’ho! Buttiamola nel lago!”
Il tagliere della cucina era di pietra. In quattro fissammo la mano impacchettata con infiniti giri di corda. E poi ancora un lenzuolo e ancora corda, ma lei dentro non si dava per vinta.
“Andiamo!” Ignazio e Marco la buttarono dal pontile e guardarono mentre affondava.
Carla e io nemmeno riuscivamo a piangere vicino ad Alissa. Cercai di chiuderle gli occhi, ma continuavano ad aprirsi.
“Cosa racconteremo?”
Me lo chiesi anch’io.
La storia di una mano impazzita non poteva reggere, non poteva giustificare tre cadaveri di diciassette anni.
A fior d’acqua galleggiava il lenzuolo con cui avevamo avvolto tagliere e mano.
“Vedi.” Bisbigliai e Carla annuì.
Di Marco e Ignazio nessuna traccia e la luna illuminava solo le impronte che dalla casa portavano al pontile.
“Dobbiamo cercarli.”
“No.No.No.No.No.No.” Carla si dondolava scandita dai suoi no. Non era più qui.
“Esco veloce a guardare dove sono. Rimani qui. Non ti muovere.”
Non sarebbe andata da nessuna parte, forse nemmeno mi sentì.
Venti passi e fui a riva. Non mi avventurai sul pontile, non era necessario: vidi i loro dorsi come isole nel lago.
E poi di nuovo lei, la mano mozzata che sfrecciava verso casa come un granchio impazzito.
Scattai a mia volta.
Arrivammo assieme.
Ma lei con un balzo si attaccò alla gola di Carla.
Il pestacarne.
L’unica soluzione.
Presi a colpirla.
Senza sosta.
Con tutta la mia forza.
La mano era tornata di plastica immobile, la gola di Carla sfondata.
Ero stanchissima, dovevo riposare un momento prima di cercare aiuto.
Potevo farlo, lo aveva detto il diario. “Ne rimane una condannata a mantenere il segreto”
 
Li ho odiati tutti, era una questione personale, come solo lo può essere per una ragazzina di diciassette anni.
Li ho odiati per tutta la durata del processo.
Li ho odiati perché nessuno mi ha creduta, imbrattata di sangue e alghe.
Li odio in questo angolo di cortile dove con ago e inchiostro ribatto punto per punto la mano morta sulla mia.
Li odio ancora adesso, loro belli ed eroici e io definitivamente esclusa dal loro olimpo.
Li odio ogni volta che si avvicina Cosima senza dentiera e con la bava: “La casa lo ha fatto anche con te, vero?”



Ammissione di colpevolezza
Lo so, sono lievemente fuori tema
 
 
 
 
 
 

Re: [CC25] La mano morta

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È chiaro che le tracce sono piuttosto vincolanti e quella che ti è toccata in sorte “odorava” di horror, quindi la tua trama mi pare coerente.
Il racconto è ben scritto @Almissima, c’è un bel pathos e si legge con gusto per capire come va a finire la storia. Fino a un certo punto appare molto credibile, poi, quando fa capolino la morte cruenta, tutto assume delle tinte fantasy. A quel punto si tira quasi un sospiro di sollievo perché perdendo l’aspetto “reale” si entra nel mood “tanto è tutta fantasia”. Almeno a me è capitato questo leggendo.
Brava, come sempre!

Re: [CC25] La mano morta

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time=1741450710 wrote:
Cara @Almissima  ;)

appena ho letto la tua traccia e la tua boa, ho scommesso che l'avresti girata in un bell'horror!  :si:
E infatti!
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmMa che facesse quello che vuole, era una festa in casa e aveva già stravinto vestita così. Cosa potevo fare io con il mio costume da casalinga disperata, consistente in un grembiule con il pestacarne integrato che fasciavano la mia pancia abbondante
:D
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmCarla e Francesca ovviamente dovevano dire la loro mentre si spolveravano il viso con i brillantini ignorandomi come sempre.
Dopo i brillantini una virgola, cosa ne dici?
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pm“Se hai messo sotto il primer, forse no.”
"primer" meglio in corsivo: (domani cerco di procurarmene uno per me, mi era ignoto - grazie).
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmfantasticando che lui mi venisse vicino e mi chiedesse, se stessi bene. 
toglierei la virgola inutile dopo "chiedesse"
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pml’inchiostro di una stilografica azzurra era talmente sbavato da essere quasi tutto  illeggibile. 
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmAll’improvviso nel silenzio un urlo disumano e la botola si chiuse di scatto.
“Che cazzo di scherzo vogliono farci quei cretini!”
La botola non era bloccata, scendemmo facendo finta di controllare a destra e manca per evitare chissà quale scherzo.
La porta della camera era aperta.
Francesca sul letto con la testa a penzoloni e la gola squarciata.
Il tuo'horror fantasy arriva di colpo e mi fa sempre effetto: brava!
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmdimenava sotto di noi. Un’eternità o una manciata di minuti e lei smise, noi c
Volevi dire "una manciata di secondi", vero? Minuti a bruciare e soffocare sono interminabili.
Almissima wrote: Sat Mar 08, 2025 5:18 pmLi ho odiati tutti, era una questione personale, come solo lo può essere per una ragazzina di diciassette anni.
Li ho odiati per tutta la durata del processo.
Li ho odiati perché nessuno mi ha creduta, imbrattata di sangue e alghe.
Li odio in questo angolo di cortile dove con ago e inchiostro ribatto punto per punto la mano morta sulla mia.
Li odio ancora adesso, loro belli ed eroici e io definitivamente esclusa dal loro olimpo.
Li odio ogni volta che si avvicina Cosima senza dentiera e con la bava: “La casa lo ha fatto anche con te, vero?”
Ottimo finale! Non capisco solo quel verbo che hai scelto qui sopra.

E non serviva nessuna ammissione di colpa. Per me, il racconto è perfettamente calzante, nel suo genere, alla traccia, e la "boa", quella "mano morta", calza come un guanto!  (y)
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [CC25] La mano morta

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Carissme e @monica e@Poeta Zaza ,

grazie per i vostri commenti da cui imparo sempre molto.
È vero che sono partita "normale" e poi mi sono fatta traviare dall'idea dell'horro sopranaturale e mi sono davvero divertita ad uccidere tutti.

Invece il verbo "ribattere" é utilizzato nell'accezione di battere ancora. Chi si fa tatuaggi sa che ogni tanto bisogna rifarli e se non sbaglio si puó utilizzare questo verbo.

Re: [CC25] La mano morta

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Brava @Almissima.
Bello, ben scritto, indossa l’abito horror con divertimento ed eleganza (la mano che corre come un ragno è una vera chicca) in un crescendo di tensione che trasuda veleno e follia e chiude col colpo di scena che stringe la gola.
Perché fuori tema?
Direi invece Chapeau  (y)
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... ataccia-2/
https://ilmiolibro.kataweb.it/libro/gia ... /mens-rea/
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https://emanuelasommi.wixsite.com/manu

Re: [CC25] La mano morta

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Ciao @Almissima 

Mi è molto piaciuto il tuo racconto e non posso complimentarmi.
Ti lascio questo scarno commento sul tuo lavoro.


Il racconto Mano finta si presenta come un horror adolescenziale che intreccia dinamiche relazionali tipiche dell’età giovanile con elementi soprannaturali, creando un’atmosfera di tensione psicologica e orrorifica.


Temi e contenuti


Il racconto si sviluppa attorno a un gruppo di adolescenti che si riuniscono in una casa isolata per una festa di Carnevale, un contesto che richiama immediatamente i tropi classici del genere horror, come l’ambientazione remota e inquietante (la casa abbandonata sul lago) e il gruppo di giovani che si trova a confrontarsi con un’entità sovrannaturale, in questo caso una mano mozzata animata da una forza maligna.
Tuttavia, il racconto si distingue per la profondità con cui esplora le dinamiche emotive e sociali dei personaggi, in particolare la protagonista, Giulia, il cui punto di vista guida la narrazione.
Uno dei temi centrali è il senso di esclusione e inadeguatezza di Giulia, una ragazza che si percepisce come “la sfigata” del gruppo, schiacciata dal confronto con Alissa, la rivale carismatica e affascinante, e dall’amore non corrisposto per Ignazio.
Questo conflitto interiore, reso con una narrazione in prima persona che amplifica l’intimità emotiva, aggiunge uno strato di complessità psicologica al racconto.
La gelosia, l’invidia e l’odio che Giulia prova per i suoi coetanei non sono solo un contorno, ma il motore emotivo che sembra innescare o amplificare l’orrore soprannaturale.
La frase iniziale e finale, “A turno li ho odiati tutti, uno per uno.
Adesso li vorrei qui tutti, vicino a me per continuare a odiarli”, incornicia il racconto e sottolinea il paradosso emotivo di Giulia: il suo odio è così totalizzante da diventare quasi un’entità autonoma, e la mano mozzata può essere letta come una metafora della sua rabbia repressa, che si manifesta in modo distruttivo e incontrollabile.
Questo elemento simbolico, insieme al riferimento al diario di Cosima e alla sua frase enigmatica, “Ne rimane una, condannata a mantenere il segreto”, suggerisce che la casa stessa possa essere un luogo maledetto, intriso di un passato traumatico che si ripete ciclicamente, con Giulia come ultima sopravvissuta destinata a portare il peso di questa tragedia.
Il racconto tocca anche il tema dell’adolescenza come fase di transizione, in cui l’identità si forma attraverso il confronto con gli altri.
Le insicurezze di Giulia, il suo senso di inferiorità e il desiderio di essere vista e accettata, sono universali e rendono il personaggio empatico, nonostante il suo odio dichiarato.
La narrazione riesce a bilanciare il dramma psicologico con l’orrore, usando la mano mozzata non solo come elemento spaventoso, ma come possibile proiezione della furia interna di Giulia, che si scatena contro i suoi compagni in un’escalation di violenza.


Struttura narrativa


La struttura del racconto è ben costruita, con un ritmo che alterna momenti di tensione psicologica a esplosioni di orrore.
L’incipit introduce immediatamente il conflitto interiore di Giulia e il contesto della festa, creando un senso di attesa per l’inevitabile discesa nell’orrore.
La casa sul lago, descritta con dettagli vividi come i muri umidi e gli scuri rossi e bianchi, diventa un personaggio a sé, con un passato oscuro che emerge gradualmente attraverso il diario di Cosima.
La narrazione alterna momenti di vita quotidiana (le chiacchiere tra amici, i flirt, le birre) a segnali di inquietudine (la botola nascosta, la mano mozzata che si muove), costruendo un crescendo di tensione che culmina nell’esplosione di violenza della seconda metà del racconto.
La scoperta della botola e l’esplorazione della soffitta segnano il punto di svolta, passando da un’atmosfera di disagio adolescenziale a un horror puro, con scene grafiche come la gola squarciata di Francesca e il corpo di Pietro. La rapidità con cui gli eventi precipitano riflette il caos emotivo di Giulia e amplifica l’effetto shock.
La conclusione, con Giulia come unica superstite e il ritorno del lenzuolo a galla, lascia aperte molteplici interpretazioni: la mano è davvero un’entità soprannaturale, o è una manifestazione della psiche di Giulia? Il finale ambiguo, con il riferimento al diario e al “segreto”, invita il lettore a riflettere sulla natura degli eventi e sul ruolo di Giulia come possibile agente inconsapevole della tragedia.


Stile e linguaggio


Lo stile del racconto è colloquiale e diretto, perfettamente in linea con la voce di una giovane protagonista.
La narrazione in prima persona permette di immergersi nei pensieri di Giulia, rendendo palpabili le sue insicurezze e il suo risentimento.
L’uso di espressioni gergali (es. “sfigata”, “cretini”) e di un linguaggio crudo (es. “che cazzo di scherzo”) riflette il registro adolescenziale e il tumulto emotivo di Giulia, mentre le descrizioni dell’ambientazione (il lago, la casa, le alghe come “lunghi capelli”) creano un’atmosfera gotica e inquietante.
Le immagini sono vivide e sensoriali, come la “caligine sottile e polverosa” o il “movimento delle alghe” che evocano un senso di minaccia latente.
Tuttavia, in alcuni punti, il linguaggio potrebbe beneficiare di una maggiore varietà lessicale per evitare ripetizioni (es. l’uso frequente di “mano” o “sfigata”) e di una rifinitura per rendere alcune frasi più fluide.
Ad esempio, passaggi come “L’idea che mi si attorcigliassero attorno alle caviglie per tirarmi sotto mi faceva rabbrividire” risultano efficaci ma potrebbero essere resi più incisivi con una costruzione sintattica più compatta. Nonostante ciò, lo stile mantiene una coerenza con il punto di vista adolescenziale, alternando momenti di leggerezza (i dialoghi tra i ragazzi) a un crescendo di orrore che non perde mai di vista il dramma psicologico.


Impatto complessivo


Mano finta è un racconto che riesce a combinare con successo il genere horror con un’esplorazione psicologica dell’adolescenza.
La forza del testo sta nella capacità di rendere Giulia un personaggio complesso: il suo odio dichiarato per i compagni, unito al rimorso finale, la rende una figura tragica, intrappolata in un ciclo di violenza che potrebbe essere tanto soprannaturale quanto psicologico.
L’ambientazione della casa abbandonata e il simbolismo della mano mozzata arricchiscono la narrazione, offrendo molteplici livelli di lettura: un horror classico, una metafora della rabbia repressa, o una riflessione sul peso del trauma e del segreto.
Il racconto lascia il lettore con un senso di inquietudine e domande aperte: chi era Cosima, e qual era il suo segreto?
La mano è un’entità autonoma o un’emanazione della psiche di Giulia?
La storia funziona proprio per questa ambiguità, che invita a rileggere il testo per cogliere nuovi dettagli.
Tuttavia, alcuni passaggi potrebbero essere più incisivi con una maggiore economia linguistica e una più chiara definizione di certi dettagli (es. la natura della “brutta storia” della casa).
Nonostante ciò, Mano finta è un racconto coinvolgente che unisce tensione emotiva e orrore in modo efficace, lasciando un’impronta duratura.



Punti di forza:
  • Profondità psicologica della protagonista e universalità dei temi adolescenziali.
  • Atmosfera gotica ben costruita attraverso descrizioni sensoriali.
  • Finale ambiguo che stimola la riflessione.
Punti di miglioramento:
  • Alcune ripetizioni lessicali che potrebbero essere evitate.
  • Dialoghi a tratti stereotipati, che potrebbero beneficiare di maggiore originalità.
  • Il retroscena della casa e di Cosima potrebbe essere approfondito per dare più peso al mistero.
In sintesi, Mano finta è un racconto che colpisce per la sua capacità di intrecciare horror e introspezione, con un finale che lascia spazio all’interpretazione e invita a una rilettura attenta.

Con i complimenti per il tuo lavoro, ti lascio un affettuoso saluto, ciao. <3

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