L'arcobaleno in una stanza

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Il nonno Sandro si siede sulla sua sedia preferita poi con un sorriso osserva Enrico indaffarato con dei giochi: resta per un po’ a guardare la sua fantasia espandersi poi, quando la foga del gioco si esaurisce, lo afferra e lo appoggia sulle sue gambe. Enrico non pare contento, ma il nonno lo tiene stretto e gli racconta la storia del canarino che ha perso la voce e la cerca dovunque incontrando nella ricerca strani personaggi come il bruco Silvano o la lucertola Flavia che lo aiutano a ritrovarla.
“Ognuno ha una strada, bisogna percorrerla e non abbattersi, circondarsi di buoni compagni di viaggio che ci aiutino solo per il fatto di essere amici.”
Il bambino si agita sulle gambe del nonno.
“Io ho un amico che si chiama Massimo, ma lui è anche amico di Carlo che mi è antipatico, anche se tutti dicono invece che è bravo solo perché gioca bene a pallone.”
“Un amico lo si vede nel tempo e comunque non bisogna essere gelosi, l’importante è che sia un vero amico.”
Enrico pare essersi calmato, ora sta in braccio al nonno tranquillo che gli fa fare il dondolo finché le gambe gli fanno male così lo lascia e lui corre a riprendere il suo gioco mentre il nonno si mette un sigaro in bocca che però non accende. Quando si parla di famiglia Enrico va in confusione, lui ha solo Sandro che gli fa da padre e da madre. I suoi genitori se li ricorda in maniera sfuocata, sono andati anni fa in Canada a cercar fortuna, ma forse a forza di cercarla si erano perduti. Enrico, che ha tanta fantasia, pensa che se avessero portato con loro la polvere magica avrebbero saputo come ritrovare la strada.
Sandro è un bravo nonno gentile, educato, rispettoso del genere umano, quando Enrico fa il monello gli si mette davanti e con calma racconta una storia. Di storie ne sa davvero tante, ma la preferita di Enrico è quella della casa parlante dalle persiane arcobaleno: spesso gliela chiede e allora sta in silenzio e spalanca la bocca come quando si attende una sorpresa. Non tutte le giornate sono serene qualche volta lo assale una strana tristezza.
-Quando tornano papà e mamma?
Sandro risponde sempre alla stessa maniera: -Presto, speriamo anche prima.
A parte qualche momento di sconforto Enrico naviga con le letture o con le storie del nonno, di certo si sente felice quando esce dalla scuola: appena fuori si mette a correre come se qualcuno lo inseguisse, guarda il cielo e salta come per prendere qualcosa di irraggiungibile. Otto anni a pensarci non sono molti, ma abbastanza per aver già qualche ferita sul cuore, qualcosa che non comprendi ma che non ti fa stare tranquillo. Enrico sta prendendo le misure, capisce che anche il mondo dei bambini spesso ti cataloga: quello forte, il secchione, quello brutto, e Enrico, visto che non rientrava nelle categorie conosciute, era l’orfano. Odia quel nome, si arrabbia e urla in faccia a chi glielo dice che lui i genitori li aveva, ma era facile canzonarlo, nessuno li aveva mai visti ed Enrico non ha prove oltre qualche fotografia.
Non dice nulla al nonno per non farlo preoccupare, col tempo sta capendo che spesso ciò che ti lacera il cuore ad altri produce divertimento. Enrico sta lontano dai grandi, i suoi compagni invece scimmiottano i genitori, ma lui intuisce che sono montagne immensamente alte, difficili da comprendere a parte suo nonno Sandro.
Qualcuno si salva, per esempio gli amici del nonno Sandro sono simpatici, in particolar modo Tino che gioca con il nonno a bocce e che soprattutto gli regala sempre delle figurine dei calciatori che gli dà suo nipote. Quando il nonno ha compiuto settant’anni Enrico gli ha fatto come regalo un disegno che lo raffigurava: un albero con sulla corteccia un cuore con i loro nomi. Sandro era così felice che il giorno dopo ha comprato una cornice e ora sta appeso vicino alla nonna Chicca, sua moglie, che lui aveva tanto amato, morta di un brutto male e, come dice sempre, troppo presto.
Il nonno aveva avuto due amori: la nonna Chicca e Carolina. Per carità nessuna storia con un’altra donna, Carolina è un’automobile, anzi l’unica automobile per Sandro, le altre macchine neanche le guardava, solo lei ha tutta la sua attenzione. Molte volte scende e la copre con un telo dicendo: “Le macchine giovani non soffrono il freddo, ma lei è vecchia sta meglio al caldo.”
Guai a chi tocca la sua macchina: insieme con la nonna erano andati in mille posti, la lava ogni tre giorni e la mette in moto ogni giorno. Nonno e nipote, per combattere la noia, facevano un gioco che piaceva tanto ad Enrico: il nonno inizia dicendo un nome di qualcosa e lui prosegue, ma bisogna essere veloci perché la regola era che il nome seguente va detto entro tre secondi. Tutto può avere un nome: gli alberi che si incontrano, le automobili, le nuvole che galleggiano sopra la te.
Sandro ha fatto per tutta la vita il falegname, è bravissimo nel fare statuette e matite in legno, ma il dramma sorge quando si industria a far da mangiare, perciò ogni volta guarda ansioso Enrico mentre mangia. 
“Manca il sale? Il sugo com’è? E’ troppo cruda?”
Enrico non vuole offendere il nonno: “E’ buona, anzi buonissima.”
“Come menti male, se ci fosse Chicca leccheresti anche il tavolo.” 
Nel pomeriggio non si fa niente senza prima aver finito i compiti: Sandro controlla il diario e poi aiuta Enrico, ma molte cose non se le ricorda, allora si arrabbia con se stesso e il mondo. Alla fine si mette scarpe e giacca e va al terzo piano dove abita la signora Evelina, professoressa da poco in pensione e brava a risolvere anche i problemi più difficili in meno di cinque minuti. La signora Evelina ha un buonissimo profumo: quando entra in stanza l’odore invade ogni cosa e rimane anche dopo che lei se ne andava. Intanto che la professoressa spiega ad Enrico, Sandro prepara il caffè e per non disturbare entra nella stanza come un fulmine e subito dopo scompare.
La signora Evelina però una volta chiese a Sandro se lui ed Enrico potessero stare con lei il fine settimana, perché la settimana prima c’erano stati i ladri al piano di sopra e lei aveva un po’ paura a stare sola. La cosa entusiasmò Enrico, perché era come andare in vacanza solo che si saliva di due piani. La casa della signora Evelina era come lei ordinata e profumata, c’era molto spazio, addirittura un’intera stanza dove Enrico poté giocare facendone un campo di battaglia, inventandosi storie bellissime di cavalieri, di maghi e di un falco con poteri incredibili. Sandro ed Enrico dormirono in una stanzetta: se il nonno prese quasi subito sonno e a russare, Enrico attese, ma non aveva paura perché aveva portato di nascosto con sé una pistola che paralizzava i nemici.
Ogni anno puntuale arriva l’estate ed Enrico chiede al nonno, perché non andassero mai in vacanza. Sandro ha una pensione che scompare dalle sue tasche dopo tre settimane, ma dalla sua ha un’infinita fantasia e allora diventa il General Tempesta ed Enrico il Capitan Giocattolo, si mettono uno zaino sulle spalle e vanno ad esplorare ogni parco di Milano. Ogni giorno prendono il bus o la macchina e quando Enrico chiede dove sarebbero andati il nonno risponde: “A conquistare il mondo.” Spesso portano con loro qualche altro bambino, Sandro ha un panino per tutti, sono tutti figli cresciuti come rami senza un albero con i quali Enrico gioca, litiga, si sporca fino cambiare sembianze e si diverte; il nonno vuole che cresca con altri bambini, lo guarda seduto su una panchina e quando torna pieno di lividi e sporco come uno spazzacamino sbuffa gonfiando le guance come una rana facendo ridere tutti.

Erano bei tempi, ma la vita non aspetta nessuno così si diventa grandi senza capirlo o volerlo. Gaia e Martino, i genitori di Enrico, sono tornati e vivono insieme nella casa di Sandro: Martino è spesso silenzioso e Gaia ride anche quando non ce n’è bisogno, sono gentili e premurosi anche se sempre qualcosa nei loro discorsi non tornava. A detta loro avevano fatto un mucchio di soldi, ma prima di tornare a casa dei banditi li avevano depredati di tutti i loro guadagni. Gaia è bravissima a fare dolci, con poco tirava fuori una torta speciale e Martino è ancora più bravo a mangiarli, tanto che se non si prende in fretta la propria fetta si trova in mano solo l’aria. Martino, oltre che a mangiare, è un buon meccanico, così Sandro andò da un suo amico che lo prese in prova: durò tre mesi poi si licenziò. Allora il nonno lo portò da un altro meccanico, ma la storia finì esattamente nello stesso modo.
Sandro e Martino per questo litigano continuamente.
“Sei solo un lavativo fannullone.” 
“I tuoi amici sono vecchi, dovrebbero aggiornarsi o andare in pensione.”
Per Enrico arrivano veloci i diciotto anni, la prima ragazza, la maturità, le uscite con i compagni: il suo mondo si distanzia da quello del General Tempesta, spesso torna tardi e Sandro sta sulla poltrona addormentato ad aspettarlo. Sempre più quando sente parlare i suoi genitori si allontana, andando nella sua stanza. Ogni tanto viene la polizia, fanno domande, Martino e Gaia rispondono sempre a monosillabi.  Sandro borbottava, ma dopo l’ennesima venuta della polizia eruttò come un vulcano contro suo figlio e nuora minacciando di sbatterli fuori di casa, aggiungendo poi esasperato: 
“Enrico ha diciotto anni, potete dirgli la verità e se non ve la sentite la dico io.”
Martino è colto come da una folgore, la verità dei bravi genitori in giro per migliorare la situazione economica si stava sciogliendo e Gaia abbassa la testa coprendo il volto coi suoi lunghi capelli neri. 
“I tuoi genitori sono stati dieci anni in galera per spaccio internazionale di droga.”
Segue un terrificante silenzio, di quelli che pesano più di un macigno che ti precipita addosso. Ad Enrico quelle parole sembrano assurde: lui qualche balordo lo aveva visto, se non da vicino alla televisione o nelle serie tv e anche il padre di Anselmo, che era stato anni in galera, era diverso dai suoi genitori, non era possibile, il nonno forse ha esagerato. Eppure, in quel muro di silenzio, percepisce, per quanto gli facesse male, che il nonno non ha sbagliato: Gaia si mette a piangere e Martino diventa freddo come se un dolore antico gli si fosse presentato sul momento. 

Col passar del tempo nessuno parlo più dell’accaduto: le parole cadono a terra e si continua a vivere come se niente fosse entrato in testa. Gli anni passano anche se non lo si vuole, Sandro diventato vecchio come un elefante si ritirò di sua volontà in una casa di riposo lasciando la casa ad Enrico. Gaia e Martino sembrano aver messo la testa a posto, Enrico dopo la maturità ha trovato un lavoro in un asilo come bidello, non è il suo sogno, ma per il momento si accontenta in attesa di qualcosa di meglio. Tutto procede a parte Sandro che non è più lì: Enrico va sempre a trovarlo, ma non è facile tra il lavoro e una ragazza che ti agita il cuore, è sempre di corsa e quando esce si sente come se non fosse nemmeno andato. Anche Martino e Gaia vanno a trovarlo, ma molto meno, le parole erano più o meno sempre le stesse, finché un giorno Sandro impose loro di non andare più.
- Avrò pur diritto di morire senza avere in testa le vostre balle!
Restarono zitti a guardare fuori il giardino, poi Martino disse:” Ciao papà” ed insieme a Gaia uscì mantenendo un passo corto, credendo che poi alla fine Sandro, che stava mangiando una pera, li avrebbe richiamati. 
Un giorno, come erano tornati, se ne andarono dicendo che sarebbero andati per pochissimo tempo in Brasile perché si è aperta un’occasione che sarebbe stata buona soprattutto per Enrico, cui avrebbero lasciato soldi per fare quello che voleva. Come si può dire di andare in Brasile e tornare subito? Dove avevano preso i soldi per andare in Brasile? E quel pacco di soldi che avevano lasciato ad Enrico dove li avevano presi?   
“Datemi almeno una data o ditelo chiaro che non tornate più.” 
Loro semplificano ogni cosa, ormai li conosce, è diventato grande scambiando le loro fandonie per verità, ma ora quando li guarda negli occhi vede solo dell’acqua stagnante che mai cambia. Potrebbe urlare o arrabbiarsi, ma perché? Sarebbe stato come gridare nel deserto, erano fatti così, inadatti a stare fermi, alle regole e a saper amare qualcosa oltre loro stessi. Stare con loro era come stare solo, parlare con i propri pensieri gli dava minor tormento delle loro menzogne.
Adesso deve rimediare e fare l’unica cosa giusta da compiere: prende Carolina e va dall’unica persona che lo aveva veramente amato. Quando arriva alla casa di riposo, Sandro sta discutendo con un altro signore di politica. 
“Nonno come stai?”
Sandro lo guarda e poi si rivolge al signore, orgoglioso e con gli occhi velati di lacrime:” E’ mio nipote.”  Sandro è in forma, fa ridere tutti come quando era giovane, poi il signore si congeda e Enrico finalmente abbraccia Sandro. 
“Nonno vieni andiamo a casa.”
Sandro sbuffa: “Perché? Io sto bene qui.” 
“Se ne sono andati in Brasile, siamo solo io e te.”
Sandro ha una smorfia di disgusto: “Lavativi incoscienti.”
“Nonno andiamo, c’è fuori anche Carolina, vieni facciamo un giro.”
Sandro si alza in piedi: “Hai portato fin qui Carolina? Sei anche tu un incosciente.”
“Andiamo, prometto che la guidi tu.”
“E chi mai dovrebbe guidarla se non io!”
Sandro si fa la barba poi si veste di tutto punto, Carolina merita tutto il rispetto possibile. Escono insieme come quando andavano ad esplorare il mondo, uno vicino all‘altro con parole e sguardi d’intesa. Sotto casa Enrico chiede al nonno: “Vieni su a prendere un caffè?”
“Sei sicuro che i due non ci sono?”
“Figurati li conosci chissà dove saranno?”
Sandro borbotta, poi si avvicina al portone, lo accarezza come se fosse un vecchio amico, le scale senza ascensore paiono un nemico, Enrico lo sorregge, ma Sandro vuole fare da solo. 
“Le ginocchia brontolano, ma io non le ascolto.”
Così dicendo comincia ad alzare il ginocchio sinistro e poi il destro, lo fa piano, un gradino alla volta come si fa quando si affronta una scalata. In casa tutto è cambiato, i due hanno rivoltato l’ordine, gettato il vecchio per mettere il nuovo, la casa sembra una sconosciuta, ma Sandro conosce un segreto: basta appoggiare l’orecchio e ascoltare il silenzio immobile delle pareti dove il tempo ha un’altra contabilità per sentire ancora le voci intatte di Capitan Giocattolo e del Generale Tempesta armati fino ai denti dell’illusione dei fiori a primavera.           

Re: L'arcobaleno in una stanza

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Sarano wrote: viewtopic.php?p=72729#p72729


Il nonno Sandro si siede sulla sua sedia preferita virgola poi con un sorriso osserva Enrico indaffarato con dei giochi: resta per un po’ a guardare la sua fantasia espandersi poi, quando la foga del gioco si esaurisce, lo afferra e lo appoggia sulle sue gambe. Enrico non pare contento, ma il nonno lo tiene stretto e gli racconta la storia del canarino che ha perso la voce e la cerca dovunque virgola incontrando nella ricerca strani personaggi come il bruco Silvano o la lucertola Flavia che lo aiutano a ritrovarla.
“Ognuno ha una strada, bisogna percorrerla e non abbattersi, circondarsi di buoni compagni di viaggio che ci aiutino solo per il fatto di essere amici.”
Il bambino si agita sulle gambe del nonno.
“Io ho un amico che si chiama Massimo, ma lui è anche amico di Carlo che mi è antipatico, anche se tutti dicono invece che è bravo solo perché gioca bene a pallone. Un amico lo si vede nel tempo e comunque non bisogna essere gelosi, l’importante è che sia un vero amico.”
Enrico pare essersi calmato, ora sta in braccio al nonno tranquillo che gli fa fare il dondolo finché le gambe gli fanno male virgola così lo lascia e lui corre a riprendere il suo gioco mentre il nonno si mette un sigaro in bocca che però non accende. Quando si parla di famiglia Enrico va in confusione, lui ha solo Sandro che gli fa da padre e da madre. I suoi genitori se li ricorda in maniera sfuocata, sono andati anni fa in Canada a cercar fortuna, ma forse a forza di cercarla si erano sono perduti. Enrico, che ha tanta fantasia, pensa che se avessero portato con loro la polvere magica avrebbero saputo come ritrovare la strada.
Sandro è un bravo nonno gentile, educato, rispettoso del genere umano, quando Enrico fa il monello gli si mette davanti e con calma racconta una storia. Di storie ne sa davvero tante, ma la preferita di Enrico è quella della casa parlante dalle persiane arcobaleno: spesso gliela chiede e allora sta in silenzio e spalanca la bocca come quando si attende una sorpresa. Non tutte le giornate sono serene virgola qualche volta lo assale una strana tristezza.
-Quando tornano papà e mamma?
Sandro risponde sempre alla stessa maniera: -Presto, speriamo anche prima.
A parte qualche momento di sconforto virgola Enrico naviga con le letture o con le storie del nonno, di certo si sente felice quando esce dalla scuola: appena fuori si mette a correre come se qualcuno lo inseguisse, guarda il cielo e salta come per prendere qualcosa di irraggiungibile. Otto anni a pensarci non sono molti, ma abbastanza per aver già qualche ferita sul cuore, qualcosa che non comprendi ma che non ti fa stare tranquillo. Enrico sta prendendo le misure, capisce che anche il mondo dei bambini spesso ti cataloga: quello forte, il secchione, quello brutto, e Enrico, visto che non rientrava nelle categorie conosciute, era l’orfano. Odia quel nome, si arrabbia e urla in faccia a chi glielo dice che lui i genitori li aveva, ma era facile canzonarlo, nessuno li aveva mai visti ed Enrico non ha prove oltre qualche fotografia.
Non dice nulla al nonno per non farlo preoccupare, col tempo sta capendo che spesso ciò che ti lacera il cuore virgola ad altri produce divertimento. Enrico sta lontano dai grandi, i suoi compagni invece scimmiottano i genitori, ma lui intuisce che sono montagne immensamente alte, difficili da comprendere a parte suo nonno Sandro.
Qualcuno si salva, per esempio gli amici del nonno Sandro sono simpatici, in particolar modo Tino virgola che gioca con il nonno a bocce e che soprattutto gli regala sempre delle figurine dei calciatori che gli dà suo nipote. Quando il nonno ha compiuto settant’anni Enrico gli ha fatto come regalo un disegno che lo raffigurava: un albero con sulla corteccia un cuore con i loro nomi. Sandro era così felice che il giorno dopo ha comprato una cornice e ora sta appeso vicino alla nonna Chicca, sua moglie, che lui aveva tanto amato, morta di un brutto male e, come dice sempre, troppo presto.
Il nonno aveva avuto due amori: la nonna Chicca e Carolina. Per carità virgola nessuna storia con un’altra donna, Carolina è un’automobile, anzi l’unica automobile per Sandro, le altre macchine neanche le guardava, solo lei ha tutta la sua attenzione. Molte volte scende e la copre con un telo dicendo: “Le macchine giovani non soffrono il freddo, ma lei è vecchia e sta meglio al caldo.”
Guai a chi tocca la sua macchina: insieme con la nonna erano andati in mille posti, la lava ogni tre giorni e la mette in moto ogni giorno. Nonno e nipote, per combattere la noia, facevano fanno un gioco che piaceva tanto ad Enrico: il nonno inizia dicendo un nome di qualcosa e lui prosegue, ma bisogna essere veloci perché la regola era che il nome seguente va detto entro tre secondi. Tutto può avere un nome: gli alberi che si incontrano, le automobili, le nuvole che galleggiano sopra la te.
Sandro ha fatto per tutta la vita il falegname, è bravissimo nel fare statuette e matite in legno, ma il dramma sorge quando si industria impegna a far da mangiare, perciò ogni volta guarda ansioso Enrico mentre mangia. 
“Manca il sale? Il sugo com’è? E’ troppo cruda?”
Enrico non vuole offendere il nonno: “E’ buona, anzi buonissima.”
“Come menti male, se ci fosse Chicca leccheresti anche il tavolo.” 
Nel pomeriggio non si fa niente senza prima aver finito i compiti: Sandro controlla il diario e poi aiuta Enrico, ma molte cose non se le ricorda, allora si arrabbia con se stesso e il mondo. Alla fine si mette scarpe e giacca e va al terzo piano dove abita la signora Evelina, professoressa da poco in pensione e brava a risolvere anche i problemi più difficili in meno di cinque minuti. La signora Evelina ha un buonissimo profumo: quando entra in stanza l’odore invade ogni cosa e rimane anche dopo che lei se ne andava va. Intanto che la professoressa spiega ad Enrico, Sandro prepara il caffè e per non disturbare entra nella stanza come un fulmine e subito dopo scompare.
La signora Evelina però una volta chiese a Sandro se lui ed Enrico potessero stare con lei il fine settimana, perché la settimana prima c’erano stati i ladri al piano di sopra e lei aveva un po’ paura a stare sola. La cosa entusiasmò Enrico, perché era come andare in vacanza solo che si saliva di due piani. La casa della signora Evelina era come lei virgola ordinata e profumata, c’era molto spazio, addirittura un’intera stanza dove Enrico poté giocare facendone un campo di battaglia, inventandosi storie bellissime di cavalieri, di maghi e di un falco con poteri incredibili. Sandro ed Enrico dormirono in una stanzetta: se il nonno prese quasi subito sonno e a russare, Enrico attese, ma non aveva paura perché aveva portato di nascosto con sé una pistola che paralizzava i nemici.
Ogni anno puntuale arriva l’estate ed Enrico chiede al nonno, perché non andassero vadano mai in vacanza. Sandro ha una pensione che scompare dalle sue tasche dopo tre settimane, ma dalla sua ha un’infinita fantasia e allora diventa il General Tempesta ed Enrico il Capitan Giocattolo, si mettono uno zaino sulle spalle e vanno ad esplorare ogni parco di Milano. Ogni giorno prendono il bus o la macchina e quando Enrico chiede dove sarebbero andati il nonno risponde: “A conquistare il mondo.” Spesso portano con loro qualche altro bambino, Sandro ha un panino per tutti, sono tutti figli cresciuti come rami senza un albero con i quali Enrico gioca, litiga, si sporca fino cambiare sembianze e si diverte; il nonno vuole che cresca con altri bambini, lo guarda seduto su una panchina virgola e quando torna pieno di lividi e sporco come uno spazzacamino sbuffa virgola gonfiando le guance come una rana facendo ridere tutti.

Erano bei tempi, ma la vita non aspetta nessuno così si diventa grandi senza capirlo o volerlo. Gaia e Martino, i genitori di Enrico, sono tornati e vivono insieme nella casa di Sandro: Martino è spesso silenzioso e Gaia ride anche quando non ce n’è bisogno, sono gentili e premurosi anche se sempre qualcosa nei loro discorsi non tornava. A detta loro avevano fatto un mucchio di soldi, ma prima di tornare a casa dei banditi li avevano depredati di tutti i loro guadagni. Gaia è bravissima a fare dolci, con poco tirava fuori una torta speciale virgola e Martino è ancora più bravo a mangiarli, tanto che se non si prende in fretta la propria fetta si trova in mano solo l’aria. Martino, oltre che a mangiare, è un buon meccanico, così Sandro andò da un suo amico che lo prese in prova: durò tre mesi poi si licenziò. Allora il nonno lo portò da un altro meccanico, ma la storia finì esattamente nello stesso modo.
Sandro e Martino per questo litigano continuamente.
“Sei solo un lavativo fannullone.” 
“I tuoi amici sono vecchi, dovrebbero aggiornarsi o andare in pensione.”
Per Enrico arrivano veloci i diciotto anni, la prima ragazza, la maturità, le uscite con i compagni: il suo mondo si distanzia da quello del General Tempesta, spesso torna tardi e Sandro sta sulla poltrona addormentato ad aspettarlo. Sempre più quando sente parlare i suoi genitori si allontana, andando nella sua stanza. Ogni tanto viene la polizia, fanno domande, Martino e Gaia rispondono sempre a monosillabi.  Sandro borbottava, ma dopo l’ennesima venuta della polizia eruttò ha eruttato come un vulcano contro suo figlio e la nuora minacciando di sbatterli fuori di casa, aggiungendo poi esasperato: 
“Enrico ha diciotto anni, potete dirgli la verità e se non ve la sentite la dico io.”
Martino è colto come da una folgore, la verità dei bravi genitori in giro per migliorare la situazione economica si stava sciogliendo e Gaia abbassa la testa coprendo il volto coi suoi lunghi capelli neri. 
“I tuoi genitori sono stati dieci anni in galera per spaccio internazionale di droga.”
Segue un terrificante silenzio, di quelli che pesano più di un macigno che ti precipita addosso. Ad Enrico quelle parole sembrano assurde: lui qualche balordo lo aveva visto, se non da vicino virgola alla televisione o nelle serie tv e anche il padre di Anselmo, che era stato anni in galera, era diverso dai suoi genitori, non era possibile, il nonno forse ha esagerato. Eppure, in quel muro di silenzio, percepisce, per quanto gli facesse faccia male, che il nonno non ha sbagliato: Gaia si mette a piangere e Martino diventa freddo come se un dolore antico gli si fosse presentato sul momento. 

Col passar del tempo nessuno parlò parla più dell’accaduto: le parole cadono a terra e si continua a vivere come se niente fosse entrato in testa. Gli anni passano anche se non lo si vuole, Sandro diventato vecchio come un elefante si ritirò è ritirato di sua volontà in una casa di riposo lasciando la casa ad Enrico. Gaia e Martino sembrano aver messo la testa a posto, Enrico dopo la maturità ha trovato un lavoro in un asilo come bidello, non è il suo sogno, ma per il momento si accontenta in attesa di qualcosa di meglio. Tutto procede virgola a parte Sandro che non è più lì: Enrico va sempre a trovarlo, ma non è facile tra il lavoro e una ragazza che ti agita il cuore. È sempre di corsa e quando esce si sente come se non fosse nemmeno andato. Anche Martino e Gaia vanno a trovarlo, ma molto meno, le parole erano più o meno sempre le stesse, finché un giorno Sandro impose loro di non andare più.
- Avrò pur diritto di morire senza avere in testa le vostre balle!
Restarono zitti a guardare fuori il giardino, poi Martino disse:” Ciao papà” ed insieme a Gaia uscì mantenendo un passo corto, credendo che poi alla fine Sandro, che stava mangiando una pera, li avrebbe richiamati. 
Un giorno, come erano tornati, se ne andarono dicendo che sarebbero andati per pochissimo tempo in Brasile perché si è era aperta un’occasione che sarebbe stata buona soprattutto per Enrico, cui avrebbero lasciato soldi per fare quello che voleva. Come si può dire di andare in Brasile e tornare subito? Dove avevano preso i soldi per andare in Brasile? E quel pacco di soldi che avevano lasciato ad Enrico dove li avevano presi?   
“Datemi almeno una data o ditelo chiaro che non tornate più.” 
Loro semplificano ogni cosa, ormai li conosce, è diventato grande scambiando le loro fandonie per verità, ma ora quando li guarda negli occhi vede solo dell’acqua stagnante che mai cambia. Potrebbe urlare o arrabbiarsi, ma perché? Sarebbe stato come gridare nel deserto, erano fatti così, inadatti a stare fermi, alle regole e a saper amare qualcosa oltre loro stessi. Stare con loro era come stare solo, parlare con i propri pensieri gli dava minor tormento delle loro menzogne.
Adesso deve rimediare e fare l’unica cosa giusta da compiere: prende Carolina e va dall’unica persona che lo aveva veramente amato. Quando arriva alla casa di riposo, Sandro sta discutendo con un altro signore di politica. 
“Nonno come stai?”
Sandro lo guarda e poi si rivolge al signore, orgoglioso e con gli occhi velati di lacrime:” E’ mio nipote.”  Sandro è in forma, fa ridere tutti come quando era giovane, poi il signore si congeda e Enrico finalmente abbraccia Sandro. 
“Nonno vieni andiamo a casa.”
Sandro sbuffa: “Perché? Io sto bene qui.” 
“Se ne sono andati in Brasile, siamo solo io e te.”
Sandro ha una smorfia di disgusto: “Lavativi incoscienti.”
“Nonno andiamo, c’è fuori anche Carolina, vieni facciamo un giro.”
Sandro si alza in piedi: “Hai portato fin qui Carolina? Sei anche tu un incosciente.”
“Andiamo, prometto che la guidi tu.”
“E chi mai dovrebbe guidarla se non io!”
Sandro si fa la barba poi si veste di tutto punto, Carolina merita tutto il rispetto possibile. Escono insieme come quando andavano ad esplorare il mondo, uno vicino all‘altro con parole e sguardi d’intesa. Sotto casa Enrico chiede al nonno: “Vieni su a prendere un caffè?”
“Sei sicuro che i due non ci sono?”
“Figurati virgola li conosci chissà dove saranno?”
Sandro borbotta, poi si avvicina al portone, lo accarezza come se fosse un vecchio amico, le scale senza ascensore paiono un nemico, Enrico lo sorregge, ma Sandro vuole fare da solo. 
“Le ginocchia brontolano, ma io non le ascolto.”
Così dicendo comincia ad alzare il ginocchio sinistro e poi il destro, lo fa piano, un gradino alla volta come si fa quando si affronta una scalata. In casa tutto è cambiato, i due hanno rivoltato l’ordine, gettato il vecchio per mettere il nuovo, la casa sembra una sconosciuta, ma Sandro conosce un segreto: basta appoggiare l’orecchio e ascoltare il silenzio immobile delle pareti dove il tempo ha un’altra contabilità per sentire ancora le voci intatte di Capitan Giocattolo e del Generale Tempesta armati fino ai denti dell’illusione dei fiori a primavera.           
Mi scuso del quote totale ma non ho ancora imparato come usare il multiquote  :facepalm:

Una storia di doppia solitudine: quella del nonno, soprattutto sul finale, quando che crede di aver esaurito il suo ultimo scopo, e quella del nipote che si ritrova (o meglio, non si ritrova), questi genitori che però mi lasciano leggermente perplessa: sembrano quasi un po' sciocchi, ma per aver fatto dieci anni di prigione devono essersi dati da fare... Sandro è quello che vedo caratterizzato meglio, forse perché alla fine, nel corso della sua vita, dopo la morte della moglie, non è che abbia potuto scegliere granché, e ha fatto quello che doveva fare. Enrico nella maturità sembra prendere le cose come vengono: si riscatta almeno alla fine, quando va a riprendersi il nonno.
Non ho saputo dare un termine temporale: non ci sono indicazioni, oggetti (neppure il modello di Carolina), o situazioni che possano far pendere per un periodo o un altro. È una storia che potrebbe andare bene in tutto l'arco degli ultimi cinquant'anni.
(y)

Re: L'arcobaleno in una stanza

3
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmIl nonno Sandro si siede sulla sua sedia preferita poi con un sorriso osserva Enrico indaffarato con dei giochi: resta per un po’ a guardare la sua fantasia espandersi poi,
Per evitare i due avverbi ravvicinati e sopperire alla prima mancanza d'interpunzione, metterei punto fermo dopo "preferita", eliminando così il primo "poi".
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmma il nonno lo tiene stretto e gli racconta la storia del canarino che ha perso la voce e la cerca dovunque incontrando nella ricerca strani personaggi come il bruco Silvano o la lucertola Flavia che lo aiutano a ritrovarla.
“Ognuno ha una strada, bisogna percorrerla e non abbattersi, circondarsi di buoni compagni di viaggio che ci aiutino solo per il fatto di essere amici.”
Il bambino si agita sulle gambe del nonno
Mi è piaciuto moltissimo come hai realizzato questa scena. Esilarante che il nonno faccia seguire alla favola la spiegazione, più per lui stesso che per il piccolo nipote, e che continui parlando di questo e quell'amico, quasi che il suo interlocutore fosse un adulto.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmEnrico pare essersi calmato, ora sta in braccio al nonno tranquillo che gli fa fare il dondolo finché le gambe gli fanno male così lo lascia e lui corre a riprendere il suo gioco mentre il nonno si mette un sigaro in bocca che però non accende. 
 "Tranquillo" si riferisce al bambino, pertanto lo anticiperei: "ora sta tranquillo in braccio al nonno, che", in modo che il pronome relativo sia vicino al termine cui si riferisce. Mi piace il periodo così morbidamente costruito, quasi a voler ricalcare il movimento del dondolo.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmQuando si parla di famiglia Enrico va in confusione, lui ha solo Sandro che gli fa da padre e da madre. I suoi genitori se li ricorda in maniera sfuocata, sono andati anni fa in Canada a cercar fortuna, ma forse a forza di cercarla si erano perduti. Enrico, che ha tanta fantasia, pensa che se avessero portato con loro la polvere magica avrebbero saputo come ritrovare la strada.
Qui tutto cambia, pertanto andrei a capo staccando di un rigo. Rispetto alla sezione sopra, noto un ricorrere a schemi meno originali. Perché, inoltre, scrivi "quando si parla di famiglia"? Sembra tu ti riferisca a qualcosa detto prima, ma non è così. Può creare confusione nel lettore.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmSandro è un bravo nonno gentile, educato, rispettoso del genere umano, quando Enrico fa il monello gli si mette davanti e con calma racconta una storia.
Hai già mostrato le caratteristiche del nonno. Descriverlo così mi pare banalizzante. "Fare il monello" è espressione poco originale in un contesto in cui all'improvviso informi il lettore che questo santo nonno si occupa a tempo pieno del bambino.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmNon tutte le giornate sono serene qualche volta lo assale una strana tristezza.
-Quando tornano papà e mamma?
Sandro risponde sempre alla stessa maniera: -Presto, speriamo anche prima.
Dopo "serene" è necessaria un'interpunzione. Attenzione all'uso errato del trait d'union.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmOdia quel nome, si arrabbia e urla in faccia a chi glielo dice che lui i genitori li aveva, ma era facile canzonarlo, nessuno li aveva mai visti ed Enrico non ha prove oltre qualche fotografia.
Strano, se ambientato nell'oggi, che non vi siano notizie dei genitori, nonostante il lettore ne scopra il motivo più avanti. 
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmNon dice a al nonno per non farlo preoccupare, col tempo sta capendo che spesso ciò che ti lacera il cuore ad altri produce divertimento. Enrico sta lontano dai grandi, i suoi compagni invece scimmiottano i genitori, ma lui intuisce che sono montagne immensamente alte, difficili da comprendere a parte suo nonno Sandro.
Qui noto un rovesciamento rispetto a quanto avevo lodato sopra. Avevi cominciato con un'immagine perfetta e proseguito con un colpo di scena: qui mi dà l'impressione che ti perdi in elucubrazioni confuse, più consone a un adulto che a un bambino.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmSandro era così felice che il giorno dopo ha comprato una cornice e ora sta appeso vicino alla nonna Chicca, sua moglie, che lui aveva tanto amato, morta di un brutto male e, come dice sempre, troppo presto.
Il nonno aveva avuto due amori: la nonna Chicca e Carolina. Per carità nessuna storia con un’altra donna, Carolina è un’automobile, anzi l’unica automobile per Sandro, le altre macchine neanche le guardava, solo lei ha tutta la sua attenzione. Molte volte scende e la copre con un telo dicendo: “Le macchine giovani non soffrono il freddo, ma lei è vecchia sta meglio al caldo.”
Guai a chi tocca la sua macchina: insieme con la nonna erano andati in mille posti, la lava ogni tre giorni e la mette in moto ogni giorno.
Qui mi pare che il focus si stia disperdendo in troppe direzioni. Pare sia il nipote a osservare il nonno e a descrivercelo. Non è che non sia verosimile, è che è un'altra strada, fitta di vicoli a destra e sinistra, e il lettore perde l'orientamento.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmNonno e nipote, per combattere la noia, facevano un gioco che piaceva tanto ad Enrico: il nonno inizia dicendo un nome di qualcosa e lui prosegue, ma bisogna essere veloci perché la regola era che il nome seguente va detto entro tre secondi. Tutto può avere un nome: gli alberi che si incontrano, le automobili, le nuvole che galleggiano sopra la te.
Hai iniziato a raccontare al presente, ora passi all'imperfetto. Non vedo coerenza neppure in ambito narrativo: mentre all'inizio la descrizione del nonno che prende il piccolo sulle gambe e narra una storia aveva una funzione ben precisa, gli elenchi dei giochi che leggo qui sopra non mi pare abbiano un significato nell'economia del racconto. Attenzione alla parola finale tronca.
Sarano wrote: Sun Mar 23, 2025 3:53 pmErano bei tempi, ma la vita non aspetta nessuno così si diventa grandi senza capirlo o volerlo. Gaia e Martino, i genitori di Enrico, sono tornati e vivono insieme nella casa di Sandro: Martino è spesso silenzioso e Gaia ride anche quando non ce n’è bisogno, sono gentili e premurosi anche se sempre qualcosa nei loro discorsi non tornava. A detta loro avevano fatto un mucchio di soldi, ma prima di tornare a casa dei banditi li avevano depredati di tutti i loro guadagni. Gaia è bravissima a fare dolci, con poco tirava fuori una torta speciale e Martino è ancora più bravo a mangiarli, tanto che se non si prende in fretta la propria fetta si trova in mano solo l’aria. Martino, oltre che a mangiare, è un buon meccanico, così Sandro andò da un suo amico che lo prese in prova: durò tre mesi poi si licenziò. Allora il nonno lo portò da un altro meccanico, ma la storia finì esattamente nello stesso modo.
Sandro e Martino per questo litigano continuamente.
Da qui in poi il tempo si condensa ed è una corsa verso il finale. 
Avevo aspettative elevate, dato l'incipit di valore, che sono state deluse. Il materiale che maneggi è incandescente e avrebbe meritato uno spazio adeguato. L'alternativa l'avevi cominciata a costruire secondo me in modo egregio, e quella era la via da seguire: pochi aneddoti scelti con cura, meno carne al fuoco, attenzione al particolare, cura del dettaglio emotivo. La storia sarebbe emersa da sola, senza la necessità di "riassumerla". Il testo presenta inoltre poca accuratezza formale.

Ti ringrazio per la lettura, @Sarano, e ti auguro una buona serata.
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Re: L'arcobaleno in una stanza

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Ciao @Sarano 

ho letto il tuo racconto è mi è assai piaciuto.
Ti lascio questo mio commento al tuo ottimo lavoro.

  
Il racconto che hai scritto è un’opera profondamente toccante e ben costruita, che intreccia con maestria il calore di un legame familiare unico con le complessità e le ombre della vita reale. La storia si sviluppa attorno al rapporto tra nonno Sandro ed Enrico, un bambino che cresce in un contesto di assenza genitoriale, trovando nel nonno non solo una figura di riferimento, ma un vero e proprio faro di affetto, saggezza e immaginazione. Attraverso una narrazione che alterna momenti di leggerezza e malinconia, il testo esplora temi universali come la famiglia, la crescita, la resilienza e il peso delle verità nascoste, riuscendo a catturare il lettore con la sua autenticità e la ricchezza dei dettagli.
Punti di forza del racconto
  1. Il legame tra Sandro ed Enrico: Il cuore del racconto è il rapporto tra il nonno e il nipote, descritto con una tenerezza che commuove senza mai scadere nel sentimentale. Sandro è un personaggio vivido e memorabile: un falegname gentile, rispettoso, con un’immaginazione sconfinata che usa per guidare Enrico attraverso le difficoltà della vita. Le sue storie, come quella del canarino che perde la voce o della casa parlante con le persiane arcobaleno, non sono solo un espediente narrativo, ma un mezzo per trasmettere valori come l’amicizia, la perseveranza e la capacità di trovare bellezza anche nei momenti difficili. Enrico, d’altra parte, è un personaggio in evoluzione: un bambino pieno di fantasia che, crescendo, si scontra con le dure verità del mondo, ma che conserva l’eredità emotiva del nonno. Il loro gioco di nominare le cose in tre secondi o le avventure come General Tempesta e Capitan Giocattolo sono momenti che brillano per la loro capacità di evocare l’innocenza dell’infanzia e il potere della condivisione.
  2. L’equilibrio tra leggerezza e profondità: Il racconto riesce a bilanciare momenti di spensieratezza con riflessioni più profonde. Le scene quotidiane, come Sandro che lava Carolina ogni tre giorni o che prepara un caffè per la signora Evelina, sono descritte con un’attenzione ai dettagli che le rende vive e autentiche. Allo stesso tempo, il testo non rifugge dai temi più complessi: l’abbandono dei genitori di Enrico, la loro vita sregolata, la solitudine del bambino che viene etichettato come “orfano” dai coetanei, e il dolore di scoprire la verità sul passato dei genitori. Questi elementi sono trattati con delicatezza, senza mai forzare il dramma, ma lasciando che emergano naturalmente attraverso le emozioni di Enrico e le reazioni di Sandro.
  3. La crescita di Enrico: Il percorso di Enrico è uno degli aspetti più riusciti del racconto. All’inizio lo vediamo come un bambino pieno di fantasia, che corre e salta guardando il cielo, ma già segnato dalle prime ferite del cuore. La sua lotta per trovare il proprio posto in un mondo che tende a catalogarlo (il forte, il secchione, l’orfano) è descritta con grande sensibilità. Man mano che cresce, Enrico si confronta con la realtà dei suoi genitori, scoprendo che non erano in Canada a “cercar fortuna”, ma in carcere per spaccio di droga. Questo momento di rivelazione è gestito con una forza narrativa straordinaria: il silenzio che segue le parole di Sandro è descritto come un “macigno”, un’immagine potente che cattura il peso emotivo della verità. Nonostante il dolore, Enrico mostra una maturità crescente, scegliendo di non lasciarsi travolgere dalla rabbia e concentrandosi invece sul legame con il nonno.
  4. I personaggi secondari e il contesto: Anche i personaggi secondari, come la signora Evelina, Tino o i genitori di Enrico, Gaia e Martino, sono ben delineati, pur apparendo in modo più marginale. Evelina, con il suo profumo e la sua casa ordinata, aggiunge un tocco di calore e stabilità, mentre Gaia e Martino incarnano l’instabilità e l’incapacità di essere figure genitoriali affidabili. Il contesto, con le sue ambientazioni semplici ma evocative (la casa di Sandro, i parchi di Milano, la casa di riposo), contribuisce a creare un mondo tangibile, in cui il lettore può facilmente immergersi.
  5. Lo stile narrativo: La scrittura è fluida e ricca di immagini poetiche, come le persiane arcobaleno, il sigaro che Sandro non accende mai, o il disegno di Enrico incorniciato vicino al ritratto della nonna Chicca. Questi dettagli non sono mai fini a sé stessi, ma servono a costruire l’atmosfera e a dare profondità ai personaggi. Il racconto utilizza un linguaggio accessibile ma carico di emozione, che si adatta perfettamente sia ai momenti di gioco e fantasia sia a quelli più drammatici. La metafora della “polvere magica” che Enrico immagina avrebbe potuto aiutare i genitori a ritrovare la strada è particolarmente toccante, un simbolo della sua innocenza e del suo desiderio di risposte.
Possibili miglioramenti
Pur essendo un racconto molto ben scritto, ci sono alcuni aspetti che potrebbero essere affinati per renderlo ancora più incisivo:
  1. Sintesi in alcuni passaggi: La narrazione, pur ricca e coinvolgente, a volte si dilunga in descrizioni o riflessioni che potrebbero essere condensate per mantenere un ritmo più serrato. Ad esempio, alcune scene quotidiane, come le interazioni con la signora Evelina o i giochi nei parchi, potrebbero essere accorciate senza perdere il loro impatto emotivo.
  2. Chiarezza nella transizione temporale: Il passaggio dagli anni dell’infanzia di Enrico alla sua adolescenza e poi all’età adulta avviene in modo fluido, ma in alcuni punti potrebbe beneficiare di una maggiore chiarezza o di una suddivisione più netta. Ad esempio, il momento in cui Enrico raggiunge i diciotto anni e si distacca dal nonno potrebbe essere approfondito per mostrare meglio il conflitto interiore del ragazzo.
  3. Sviluppo dei genitori: Gaia e Martino rimangono figure un po’ sfumate, quasi bidimensionali, definite principalmente dalla loro inaffidabilità. Sebbene questo sia funzionale alla storia, un leggero approfondimento del loro passato o delle loro motivazioni potrebbe rendere la loro presenza ancora più significativa, senza distogliere l’attenzione dal rapporto tra Sandro ed Enrico.
  4. Risoluzione finale: La conclusione, con Sandro che torna a casa con Enrico, è commovente e chiude il cerchio del loro legame. Tuttavia, il racconto potrebbe esplorare un po’ di più il futuro di Enrico: come affronta la nuova assenza dei genitori? Quali sogni persegue oltre il lavoro da bidello? Un accenno a queste domande potrebbe dare un senso di completezza maggiore.
Temi e messaggi
Il racconto affronta temi universali con una sensibilità rara. La famiglia, intesa non solo come legame di sangue ma come scelta e presenza, è al centro della narrazione: Sandro è per Enrico padre, madre e nonno, una figura che riempie i vuoti lasciati dai genitori. La crescita è un altro tema portante, con Enrico che passa dall’ingenuità dell’infanzia alla consapevolezza dell’età adulta, imparando a convivere con le delusioni e le verità scomode. La resilienza, incarnata sia da Enrico che da Sandro, emerge come un messaggio forte: nonostante le difficoltà, il dolore e le assenze, la vita va avanti grazie ai legami autentici e alla capacità di trovare gioia nelle piccole cose.
Conclusione
Questo racconto è una gemma narrativa che parla al cuore, raccontando una storia di amore, perdita e rinascita attraverso gli occhi di un bambino che diventa adulto. Sandro ed Enrico sono personaggi che rimangono impressi, simboli di un legame che resiste al tempo e alle difficoltà. La scrittura, poetica e sincera, riesce a evocare un mondo fatto di dettagli quotidiani e momenti di profonda emozione. Con qualche piccolo aggiustamento per rendere il ritmo più fluido, il racconto potrebbe essere ancora più potente. È una storia che celebra la forza dei legami familiari e la capacità di trovare luce anche nelle giornate più buie, lasciando il lettore con un senso di calore e speranza.


Complimenti amico mio, un saluto e buon lavoro. (y)

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