Alpi svizzere. Cantone francese di Dardagny. Residenza per pensionati facoltosi Le Soleil.
L’infermiera entrò nella stanza numero tredici; trovò Maigret già in piedi con la sua pipa accesa, mentre guardava dalla finestra. “Qui non si fuma, Maigret” sbottò la donna.
L’uomo non si scompose e proseguì a tirare: “Il mio trinciato francese non potrebbe fare male a nessuno” disse.
“Ma sì! Faccia come crede, commissario. Tanto a lei niente si può vietare. É pure inutile ricordale che la notte deve mettere il pannolone. A fare pipì nel letto ci vuole ben poco”.
Maigret tirò ancora una boccata senza fare una smorfia: “In cinquant’anni di indagini, non mi è mai scappato niente; stai tranquilla, Louise”.
L’infermiera lasciò le medicine sul tavolo e ne ne andò salutando”.
“Povero uomo, con l’Alzheimer con cui si ritrova, ogni volta mi chiama come la moglie scomparsa.
Intanto, Maigret continuava a pensare: “Quanto mi manca la mia Parigi. La ville Lumière. Gli appartamenti della nobiltà, dove respiravo ancora l’aria dell’ancien régime. I suoi tetti di ardesia e zinco, che tanto ricordano il cielo plumbeo carico di pioggia. Quanto mi mancano i suoi profumi, di fiori e colori a olio, lì per i viali della Senna. Anche i morti avevano un odore diverso a Parigi”.
“Eccoli! Sono arrivati”, disse tra di sé quando il carro funebre entrò nella residenza, per poi, prendere la direzione verso il retro dell’edificio. Si vestì del suo solito abito, prese il cappello e la pipa e scese per le scale. All’ingresso della sala mortuaria trovò i due aiutanti: “Buongiorno, dottor Moers… Ispettore Lucas”.
“Buongiorno commissario” risposero. Entrarono nella sala, dove sul tavolo, un corpo era celato da un lenzuolo bianco. “Cosa abbiamo, Lucas?” “Proprio niente, Maigret. Non abbiamo un colpevole, un movente, neanche idea di come sia morto”.
Maigret, a questo punto, scoprì il cadavere. “In effetti, non ci sono segni di violenze. Chiunque sia stato è uno astuto. Avvelenamento?”
“Non credo. Non vi sono segni. Quando lo hanno trovato morto, stava sul letto e sembrava sereno. Niente bava, occhi spalancati dallo spasmo” disse Moers.
Senta ispettore Lucas, cosa sappiamo di lui?”
“Pierre Doumier, re delle acciaierie con un patrimonio di venti miliardi. Vedovo. Due figli in giro per il mondo, con cui non aveva rapporti”.
Maigret storse il naso. “Sento puzza di eredità contesa”.
“Però risulta che avesse fatto testamento in favore dei figli” osservò Lucas”.
“Non vuole dire niente. Magari, volevano l’eredità a disposizione per i loro affari…”
“Sono ricchi sfondati, Maigret”, aggiunse Lucas.
“L’ingordigia dei figli non è mai troppa. Dobbiamo rintracciarli e sentirli. Se hanno legami con la malavita. Dobbiamo anche indagare nel passato della vittima, se avesse screzio con qualcuno, vicende torbide, amanti segrete. Figli illegittimi lasciati a bocca asciutta”.
“Certo, Maigret. Potremmo cercare anche tra i concorrenti. Magari faceva della sleale concorrenza a qualcuno”.
“Non ci avevo pensato, Lucas. La sua è una buona pista. Come al solito, è un valido aiutante”.
“Potremmo anche indagare a livello societario, chi dalla sua morte, trarrebbe vantaggio. Dobbiamo individuare i componenti del consiglio di amministrazione. Occhio anche all’AD e alle segretarie. A volte sanno cose che neanche le mosche, con il loro girare per aria, mai verrebbero a conoscenza”.
“Bene! Lucas. Vedo che avete le idee chiare: proceda pure. Lei, dottor Moers, veda di espletare le analisi di rito. Io vedrò di fare un giro tra il personale che lo accudiva.
Il terzetto si dissolse e Maigret andò verso l’ala sud della residenza, chiamata Grand Gauguin.
Raggiunto il posto, vide il personale che riassettava le stanze della lussuosa suite del defunto Doumier. Ignare, si accorsero di lui, per via del profumo della pipa accesa.
“Ma commissario! Qui non si fuma, non dovrebbe per la sua salute e per quella degli altri”.
“Mi aiuta a pensare, niente pensieri niente salute. Chi è stato a trovare il defunto Doumier?” domandò.
Le due dipendenti si guardarono con fare circospetto, mostrando un serio imbarazzo, che fu notato dall’uomo. “Noi non eravamo di turno quando lo hanno trovato. É stata Fanny, l’infermiera, che verso le dieci di sera si è accorta che il commendatore non dava più segni di vita”.
Maigret prese a curiosare tra gli oggetti personali ancora disseminati qua e là. Sulla cassettiera della camera letto, una spazzola dorata trattenevano dei capelli. Li osservò. ” Doumier li aveva bianchi. Di chi sono questi lunghi e biondi?”
Diede una veloce occhiata alle due donne; una mora, l’altra biondissima, che aveva cominciato a disfare il letto. La fermò con un deciso cenno. Si accostò a lei per scrutarle la folta capigliatura: erano gli stessi capelli. La donna sbiancò in volto per poi arrossire, sotto l’incalzante sguardo dell’uomo. Che prese, a questo punto, a curiosare tra i dettagli del letto. I cuscini erano entrambi sgualciti, il materasso mostrava i segni di due persone differenti. Vi era stato un incontro galante con l’assassina?
“Non si faccia strane idee, la mia collega non vedeva l’ora di usare quella spazzola favolosa” disse la mora.
“Pure il letto?” domandò con velata ironia.
“Il commendatore aveva l’abitudine di riposare sia a destra che a sinistra”, disse la bionda.
“Immagino”, annuì, per poi lasciare la stanza.
Al calare della sera, dopo cena, il commissario Maigret, sorseggiava il solito bicchiere di Calvados, tra una tirata e l’altra di Gris. Seduto comodamente sulla terrazza comune, cercava di cogliere tra gli sguardi dei residenti e del personale di servizio, l’ispirazione: “l’assassino, uomo o donna fosse, era lì, ben mimetizzato tra i presenti?”
Ma anche lui sentiva gli occhi puntati addosso di chi ben sapeva che stava investigando sull’ennesimo omicidio nella residenza. E lui cercava di cogliere, grazie all’istinto, il lato oscuro del probabile colpevole, il suo lontano respiro, il battito agitato del cuore, il vibrare dei nervi in tensione. Tutti osservati e, allo stesso tempo, osservatori spietati.
Passò la notte e la mattina seguente si presentò puntuale l’infermiera. La stessa scena, come da cliché: “ Commissario, qui non si fuma! Si ricordi il pannolone. Prenda le medicine”.
Ma Maigret aveva in programma la definizione del caso Doumier. Si vestì e scese al piano terra, dove si trovava l’infermeria. A passo lento, circospetto, si presentò sull’uscio della stanza. Al suo apparire, le due presenti, si scambiarono uno sguardo complice. Una fece all’altra segno di andarsene. “Lei è per caso Fanny?” domandò Maigret a quella rimasta. “Si, sono io. Come la posso aiutare?”. “Volevo farle delle domande a proposito del signor Doumier”.
“A riguardo di cosa”, rispose. “Semplice. La sua morte prematura”.
“Non vedo cosa ne potrei sapere. Io gli ho portato le pillole della sera alle ore venti. Alle ventidue l’ho trovato senza vita”.
“Che rapporti aveva con lui?” chiese.
“In che senso? A parte buongiorno e buonasera, nessuno”.
“Qualcuno invece, mi ha detto che vi vedevate spesso… Presso il centro benessere a Dardagny. Mi dica pure a che titolo, una certa società, le ha dato i soldi per acquistare la casa”.
Lei non rispose e rimase di spalle mentre la incalzava con le domande. Nel frattempo, erano entrati nella stanza anche il dottor Moers e l’ispettore Lucas. Si posizionarono, con atteggiamento serio, a fianco di Maigret. “Siete arrivati! Bene. Chiudiamo il caso, ragazzi”.
“Allora? Non vorrà farmi attendere tutto il giorno” sbottò Maigret.
La donna sembrò scuotersi e assumere un atteggiamento rassegnato: “Ho capito. Mi ha scovato. Pensavo che l’avrei fatta franca pure a lei. Ma mi sbagliavo. Lei è il numero uno degli investigatori.
Vuole sapere come e perché ho ucciso Pierre Doumier?”
“No! Non qui. Non abbiamo tutta questa fretta. Per il momento, l’ispettore Lucas la porterà in gendarmeria e la metterà sotto chiave”, disse, facendo segno al suo aiutante.
Lui si avvicinò alla donna e l’ammanettò senza che lei opponesse resistenza.
L’ispettore Lucas si mise alla guida dell’auto. Il dottor Moers seduto a fianco del guidatore. Sui sedili dietro, la reo confessa Fanny. Il veicolo prese la strada verso l’uscita e dopo aver oltrepassato il cancello dell’ingresso, svoltò nella stradina laterale, e si fermò a ridosso del muro di recinzione.
“Anche questa è andata. Direttore, mi tolga queste manette, per favore. Anche se di plastica, fanno male” esclamò la donna.
“Certo, Fanny. Bisogna avere pazienza. Come si fa a non assecondare questo uomo, dopo la carriera fatta e il tributo di riconoscenza che gli dobbiamo”.
“Sì! Va bene, ma è la terza volta che mi arrestate… Al prossimo omicidio, mettete Marianne a fare la parte dell’assassina, dato che non l’ha mai fatto. Mi pare giusto, Antoine. Suo padre potrebbe recuperare la memoria e accorgersi dell’imbroglio”.
“Non credo, Fanny. Le assicuro che il mio famoso padre, ispettore Maigret, si è già dimenticato della sua faccia. In ogni morto lui vede la mano misteriosa di un assassino. Rivive il passato, una realtà che sta solo dentro la sua testa, ma che lo aiuta a vivere, a non mollare. L’Alzheimer non perdona”.
“In tutti i casi, a ogni morte naturale, vi è dietro la mano assassina di madre natura. Anche se mai potremmo metterla in galera” aggiunse ironico il direttore Marcus; “Fanny, domani ti do la giornata libera, così ti riprendi”.
La notte arrivò tranquilla e la mattina dopo, Maigret, stava di fronte alla finestra e tirava il suo trinciato. Aspettava il puntuale arrivo della infermiera che lo avrebbe sgridato: “qui non si fuma, Maigret.” E poi avrebbe lasciato sul tavolo le pillole da prendere, che come al solito, lui avrebbe buttato dentro al water, stando ben attento a separare quelle per l’Alzheimer da quelle per la pressione. Il figlio dottore, Antoine, lo aveva ben istruito:
“ Père! Faisons attention à ne pas être découvert”.