Traccia n. 3: La coltre di nebbia
Genere: Fantasy.
Il Fantasy è il genere principale. Con accenni di Realismo Magico e appena di Misticismo.
La mattina di Natale Giovanni era uscito di casa senza dire dove andava. Di solito avvisava, ma i genitori e sua sorella dormivano stanchi della nottata trascorsa in casa con parenti e amici. Giovanni desiderava aria fresca. Tutto quel cibo ingurgitato, canti, brindisi, il tacchino gigante a centro tavola, sventrato e ripieno come un prigioniero maya di Apocalypto e poi arrosti, cotechini, pesce, frutta. Cosa si doveva festeggiare? Lo sforzo di ricordare unito all’odore di panettoni farciti alla crema e cioccolato lo fecero vomitare. Chinato a svuotarsi lo stomaco vedeva ancora il gatto, terrorizzato dal fracasso e dalla gente, saltare dal balcone e disperdersi nella notte.
Si stupì di non provare ritegno, di non curarsi di essere visto, contrariamente al suo carattere timido. Ringraziava la nebbia. Si accorse con spavento che gli erano caduti gli occhiali; annaspò con le mani sul marciapiede e li trovò inondati di vomito. Li pulì con la felpa e inforcò senza nessun miglioramento nella visione, permeata tutta intorno da una nebbia dall’odore salmastro, come di mare. Respirava avido quell’aria.
Arrivò davanti alla vecchia cattedrale, orgoglio della sua città, sulla quale aveva fatto a malavoglia delle ricerche per la scuola, di cui non ricordava niente. Soltanto che era di pietra color cioccolato bianco e nero. Un altro conato lo assalì. Si piegò per vomitare, togliendosi gli occhiali. Rimase ad aspettare, sembrava gli stesse passando ma non si fidava. Si rialzò circospetto guardandosi intorno. La notte prima quella piazza rigurgitava di gente che andava avanti e indietro come invasata al pensiero che di lì a poco si sarebbero avventati sul cibo e sui dolci. Come a casa sua. Questa volta vomitò.
E i ragazzi grandi con le fidanzate che li guardavano con occhi dolci e liquidi che poi a casa loro si mettevano la biancheria intima rossa perché bisognava festeggiare, diamine, si doveva fare così. Imperativo. Ma perché? Eh! Il fatto della biancheria intima rossa Giovanni lo conosceva, anche se stava ancora alle medie. Sapeva che non avrebbe mai visto biancheria intima rossa su una ragazza. Era troppo timido, ma in realtà non sarebbe stato per niente timido. Bisogna sorridere alla vita e tutto ti viene incontro. Ecco il punto: sorridere. Lui non poteva sorridere, se lo faceva suscitava risate, da sempre. Tante volte aveva chiesto ai genitori di fargli mettere l'apparecchio correttivo dal dentista; gli dicevano certo, stai tranquillo Giovy, ma rimandavano sempre. C’era il mutuo, la macchina, i vestiti, le spese tutte e anche se papà aveva uno stipendio non poteva permettersi altri debiti per raddrizzare i suoi denti. E lui rimaneva con i denti sporgenti. A questa tragedia si aggiungevano anche gli occhiali da miope con lenti a fondo di bottiglia. E comunque vedeva a stento da lontano. Meglio non ricordare, ma ricordava sempre invece: tutti i giorni di felicità degli altri e derisione per lui. Tutti i giorni e le notti di pianto per lui.
— Oggi siamo tutti Giovy! — urlavano i suoi compagni di classe utilizzando slogan della tv, solidarizzando con lui per beffa, appiccicandosi sui denti con la saliva strisce di carta sporgenti, scimmiottandolo, applaudendo come foche. Si divertivano molto. E i professori che fingevano di non vedere, che non lo aiutavano. Odiava la scuola, il suo rendimento era un disastro. Quando i professori spiegavano e scrivevano alla lavagna aveva problemi a vedere; chiedeva al compagno di banco di farlo copiare, quello gli mostrava la lingua. Cambiava spesso compagno, tutti sapevano che non ci vedeva bene, nemmeno con le lenti, e si divertivano a non farlo copiare, godendo della sua sofferenza e delle brutte figure che faceva alle interrogazioni perché non aveva capito.
I problemi grossi si erano presentati dall’anno scorso, in seconda, perché le ragazze avevano cominciato a svilupparsi e i ragazzi pure e si erano formate le prime coppiette, i primi baci. Perché succedeva questo a tutti e per lui no? Le ragazze non lo prendevano in giro ma i loro sguardi tra disgusto e compassione gli facevano ancora più male. Si fermò stordito da questi pensieri che lo assalivano senza pietà. Per fortuna mancavano ancora molti giorni prima di finire le vacanze e tornare a scuola. Per un po’ non avrebbe sofferto. Nel chiuso della sua cameretta.
Qualcuno emerse dalla nebbia venendogli incontro in silenzio. Era un ragazzo poco più grande di lui che non conosceva. I suoi capelli neri ricadevano in un ciuffo sulla fronte, due occhi scuri lo fissavano. Il ragazzo sorrise; dalla condensa del suo fiato emerse un sorriso bellissimo, come un angelo. Giovanni chinò il capo, schiacciandosi lateralmente con il corpo e la faccia contro il muro, come a volersi fare assorbire, scomparire. Faceva così quando qualcuno stava per deriderlo. Scomparire. Era piacevole il contatto ruvido del muro sulla guancia. Gli occhiali gli caddero di nuovo. Il ragazzo sconosciuto si chinò e glieli porse guardandolo in silenzio. Giovanni stava meditando di fuggire e sparire nella nebbia, andando incontro alle luci decorative che brillavano sfocate a intermittenza, come su una nave che sta per affondare nel nulla, perdersi anche lui, ma non riusciva a muoversi. In un sogno se cerchi di fuggire rimani piantato a terra. Era tanto stanco. Piano piano alzò lo sguardo e vide il ragazzo alzare la testa, come se avesse sentito qualcosa . Poi si voltò verso Giovanni.
— Vieni a darmi una mano? — disse.
— A fare che?
— Stiamo togliendo le panche dalla chiesa.
— Perché?
Il ragazzo lo guardò negli occhi. — Per te, Giovanni.
Cosa voleva dire? Come faceva a sapere il suo nome? Ma Giovanni non chiese. Lo seguì. A ogni passo gli sembrava di stare sempre meglio, al sicuro, protetto. Una sensazione che scese come un balsamo dentro di lui. Arrivarono davanti al portale della cattedrale, completamente spalancato. File di ragazzi entravano e uscivano, portando fuori panche e sedie, accumulandole con ordine in un angolo. Erano silenziosi e veloci.
— Ma cosa fanno?
— Quello che ti ho detto.
— Va bene. Ma perché?
— Lo vedrai.
— Ma il prete vuole?
— Il prete non c’entra niente.
Entrarono nella cattedrale che, svuotata dalle panche, appariva immensa lungo la navata centrale e nelle due laterali minori. Dalle alte vetrate scendevano fasci di luce dorata.
— Ma come fa a esserci il sole? Fuori è tutta nebbia!
— Qui sopra no.
Era rimasta soltanto una panca, davanti all’altare. — Mi aiuti a portarla fuori? — chiese il ragazzo sorridendo.
Giovanni lo aiutò, anche se non capiva. Gli altri ragazzi gli passavano accanto guardandolo, sorridendo in modo meraviglioso senza prenderlo in giro. Era sicuro di non averli mai visti, ma li avrebbe voluti come compagni. Per la prima volta in vita sua non ebbe paura di stare in mezzo a dei coetanei. Le porte della chiesa si chiusero. Intorno c’era un odore indefinito, mai sentito prima, ma gli sembrava di conoscerlo da sempre. Sentiva l’aria entrargli nel corpo, purificarlo, calmarlo. Sentiva pace, armonia. Amore.
— Ti piace?
— Come? Ah sì! Mi piace! Ma cos’è?
— Quello che tutti dovrebbero sentire. Ma non lo sentono.
— Cos’è?
— Lo sai.
— Mi leggi il pensiero?
— Ti dispiace?
— No. Ma adesso sai di me — disse Giovanni chinando il capo, vergognoso. Poi guardò in alto.
— Ma come mai non ci sono più i vetri dipinti?
— Li hanno dipinti per bloccare la Luce. Noi vogliamo la Luce. Deve scendere libera. Ascoltami: vai nel punto centrale, sopra la stella azzurra nel pavimento.
Giovanni obbedì. Gli altri ragazzi guardavano in silenzio.
Il ragazzo era al suo fianco. — Ti starò vicino. Non avere paura. Nessuno ti farà del male. Devi avere fiducia in me. Ti fidi? — Sorrideva con il viso vicino al viso di Giovanni, tanto che questi poteva sentire il suo calore, il suo odore puro, pulito. Una sensazione mai provata, qualcosa che non aveva nome. O forse un nome l’aveva.
— Levati gli occhiali, alza la testa, guarda in alto.
— Oh! Non è uno scherzo, vero? Non mi prenderete in giro anche voi?
— No.
— Come ti chiami? Puoi dirmi il tuo nome?
— Emanuele — rispose il ragazzo.
Giovanni si fidava. Sentì le lacrime inondargli il viso. Provava pietà per sé stesso e gratitudine per chi non lo aveva disprezzato. La luce avvolse il mondo. Il buio e il silenzio scesero su Giovanni.
Si svegliò nel suo letto. Si sentiva davvero bene. Che sogno bello però! Cercò gli occhiali sul comodino, li inforcò ma vide tutto deformato, la testa girava. Se li levò. Ci vedeva bene, anzi benissimo senza lenti. Pensò di stare ancora sognando. Andò al bagno. Nel corridoio incontrò la sorella che camminava tenendosi la testa. Lo guardò, stralunò gli occhi e si mise a urlare, chiamando la mamma e il papà. Giovanni entrò nel bagno e si guardò allo specchio. Ebbe un tuffo al cuore, pensò a un infarto. Ma chi era quello? Cioè, sì: era lui ma… diverso. Sorrise con cautela poi sempre con più coraggio, spalancando la bocca come non osava fare nemmeno da solo davanti allo specchio. Sentì le labbra screpolarsi, dolergli. Non era un sogno. Non aveva mai visto dei denti così belli e regolari, nemmeno nei suoi sogni più impossibili. Non stava sognando! Aveva il sorriso di Emanuele! E ci vedeva benissimo! Ed era… Ma dannazione: era davvero bello! Troppo bello! Quello che per gli altri era sempre stato dovuto, naturale!
Ahh! Adesso sì che poteva sorridere! Poteva guardare in faccia tutti e ridere libero! Senza paura! Avrebbe visto la lavagna nel suo piccolo disperato mondo, avrebbe recuperato il tempo perduto nell’apprendere. Adesso sì che anche per lui vita sarebbe stata facile, normale, naturale. Poteva chiedere, urlare, ridere! Ridere! Anche con le ragazze, come facevano tutti! Non servivano soldi, regali costosi, abiti firmati, bastava avere il sorriso per affrontare il mondo! Ora poteva farlo.
La gioia non poteva avere fine. Urlò. Con tutto il fiato che aveva in gola. Urlò.
[CN23] Noi vogliamo la Luce
1Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)
(Apocalisse di S. Giovanni)