
― Scusa ma non riesco a pronunciare questo nome!
― Non pronunciarlo allora.
― Cos’è quest’odore strano?
― L’odore del cielo.
― Non dire sciocchezze per favore, Elias!
― Qui il cielo è più pulito. Non sono ancora riusciti…
― Risparmiami i tuoi pensieri sul complotto! Ho già la nausea di queste curve!
― L’odore delle piante, della terra allora. Sotto questo cielo.
― Va bene. Come vuoi. Ripetimi il nome del tuo paese, non l’ho mai capito da quando ti conosco.
― Baujanas
― Vuol dire qualcosa?
― Come tutte le parole del mondo in una lingua diversa dalla tua.
― Cosa?
― Non so renderlo in italiano. Più o meno può essere guado, passaggio delle streghe o delle fate.
― Ci sono le streghe allora? Non mi sembra che stiamo andando a Disneyland…
― Ci credi che gli americani volevano davvero costruirla qui Disneyland?
― Sarebbero stati dei pazzi! Chi ci sarebbe mai venuto in un posto del genere? Ti rendi conto che saranno cento chilometri che non abbiamo incontrato un paese o un cartello stradale?
― Hai ragione Shantall.
― Piuttosto guarda se Leo sta bene.
― Sto guidando Shantall. Nello specchietto vedo che dorme. Tu puoi girarti, puoi toccarlo se vuoi.
Shantall si girò sbuffando e fissò per un attimo Leo, il loro bambino, che dormiva nei sedili posteriori nascondendo come sempre metà del suo volto sfigurato.
― Siamo quasi arrivati.
Shantal vide in lontananza un gruppo di case bianche abbarbicate sul fianco di una montagna.
― Non è che ci sparano addosso? Mi dicevi di certe questioni… Non ci ho capito mai niente. Qualcuno ce l’ha con te?
Elias non rispose. Guardava Shantall con la coda dell’occhio, sentiva il suo profumo. Lui aveva tentato di avere e di offrire un po’ di felicità. Aveva preteso troppo, ma la colpa non era di Shantall era tutta sua.
Entrarono in paese; case di pietra, vecchi portoni borchiati che davano dentro piccoli cortili, stradine laterali che salivano nei quartieri verso la montagna o scendevano in pianura, in fondo alla quale in lontananza luccicava il mare. Qualcuno si girava a guardarli.
― Non mi dire che quello è l’albergo. Andiamo in un altro.
― È l’unico.
― Ma non avevi una casa?
― Lascia perdere.
― Scommetto che sei Elias… ― disse un uomo anziano seduto davanti a un giornale che aveva abbassato sentendo qualcuno che entrava. Non sembrava sorpreso e non sorrideva.
―Scommetto che sei Salbestru. Sempre giovane!
Salbestru annuì con un mezzo sorriso.
― Tiriamo avanti. Viene poca gente, ma qualcuno viene. Comunque vivo di altro, lo sai.
Parlava come se Elias non se ne fosse mai andato,
― Hai fatto bene. Avrei dovuto rimanere anche io.
― Avresti dovuto farlo Elias.
Salbestru tacque vedendo entrare Shantall che trascinava un bambino che si ostinava a camminare tenendo il viso voltato da una parte. Quando fu costretto a mostrarsi si vide metà faccia bruciata che lo deturpava, facendogli sporgere l’occhio in modo anomalo.
― A un certo punto si deve tornare ― rispose Elias guardando l'uomo che rispose ― Era l’unica cosa giusta che potevi fare.
Comparve Marta, la moglie di Salbestru, riconobbe Elias con un sorriso che non scomparve nel vedere il bambino deforme. Solo un rapido sguardo negli occhi di Elias, che fece un lieve cenno di assenso.
― Venite ― disse Marta a Shantall. ― Ho preparato la stanza migliore. Ne abbiamo solo sette ma carine!
― Pensi tu alle valigie Elias? Non mi sembra che qui ci sia personale.
― Ci penso io, Shantall.
― C’è troppo silenzio qui. Mi gira la testa ― disse Shantall quando Elias salì in camera con le valigie.
― Ti passerà. Starai bene e anche Leo. Vedi che è rosso in faccia?
― Ha un po’ di febbre. C’è un pediatra in paese?
― Qui la gente non ha tempo per ammalarsi e quando si ammala…
― Va all’ospedale? Muore?
― Chiama le Janas, quelle buone che fanno guarire. Ne vado a chiamare una, la loro Majstra. Poi devo parlare con Geremia.
― Della bibbia?
― È un eremita che conosce le erbe e che curerà Leo.
― Ma dico: sei serio? Perché chiami gente strana? Cos’è questa storia?
― Per nostro figlio, Shantall.
― E me lo dici adesso? Mi avevi detto che volevi rivedere il tuo paese.
― È il mio paese che voleva rivedermi.
Shantall scosse la testa. Parlò sottovoce per non essere sentita da Leo ― Le abbiamo provate tutte, e va bene: proviamo anche le erbe. Non gli faranno male, eh?
― Lo guariranno. Tornerà com’era prima dell’incidente.
Shantall ebbe una serie di singhiozzi, si avvinghiò a Elias soffocando il pianto per non farsi sentire da Leo, che nel frattempo era entrato in bagno. ― Non mi prendere in giro così! Non sono sciocca come credi! Siamo stati dappertutto! Rimarrà così per sempre ci hanno detto.
― E hanno anche voluto abbondanti parcelle per dirlo.
― Quell’americano era disposto a operarlo, ti sei opposto.
― Perché non ci sarebbe riuscito.
― Come fai a dirlo?
― Uomini che si fanno pagare per sanare le sofferenze dei loro simili…
― Sei sempre stato pazzo!
― Assolutamente sì. Ma questa volta, solo per questa volta ti prego, ascoltami Shantall! Devi fidarti di me!
Lo sguardo di Elias era lucido, febbricitante, sembrava un altro. Shantall fece un passo indietro. ― Va bene, te l’ho detto. Proviamo anche le erbe.
― Devo andare. Non ci sarò quando verrà la Jana Maistra e il vecchio Geremia. Verranno per tre giorni, ogni sera. Tu lasciali fare. Puoi contare sull’aiuto di Marta, la moglie del padrone dell’albergo. Al terzo giorno… Leo tornerà a essere un bambino bellissimo, come prima dell’incidente.
― Ma… e tu dove devi andare scusa?
― Per un po’ sarai sola qui ma sei in un buon posto con brava gente. Ho un appuntamento.
― Con chi? ― la voce di Shantall si era alterata.
― Non pensare quello che pensi. Lo sai che non m’importa nulla delle altre donne. Sarai solo tu per sempre. Non ho mai scherzato su questo, lo sai bene.
All’improvviso Elias, contrariamente al suo modo di fare, trascinò a sé Shantall e la baciò. La donna sentì ancora quello strano odore che aveva sentito in macchina, sapeva di selvatico. Elias si scostò da lei, arretrò fino alla porta dicendo ― Fidati di me. Vedremo tutti e due Leo con il suo volto di angelo! Me lo farai vedere, vero?
― Elias..!
La sera seguente, cominciava a imbrunire, Marta bussò ed entrò in camera con una donna anziana. Alta, vestita di nero, severa. Il fazzoletto sul capo, decorato con rose rosse e azzurre aveva cucite ai lati delle monete d’oro d’altri tempi.
― Questa è la Jana Maistra che ti ha detto Elias.
― Buonasera ― disse Shantall, ma la Jana non rispose. Si diresse verso Leo che stava nel letto, allungando una mano verso di lui.
Il bambino urlò coprendosi il viso. La donna ritrasse la mano con delicatezza. Socchiuse gli occhi. Un rivolo di sangue uscì dal naso di Leo che svenne. Marta sorresse Shantall che stava per accasciarsi. La Jana uscì. Entrò un uomo. Poteva avere cento anni, avvolto in un cappotto di orbace nero, la barba bianca e incolta. Reggeva tra le mani diversi fasci di erbe il cui odore permeò la stanza. Le gettò su un tavolo. Dal tascapane che aveva a tracolla estrasse un mortaio e un pestello di pietra, sminuzzò le erbe e cominciò a pestarle lento, con cura, senza parlare, senza guardare nessuno.
Shantall tamponava il sangue che usciva dal naso di Leo. Voleva parlare, ma Marta con un lieve sorriso fece cenno di no con la testa. Era molto dolce nella sua imposizione. Dall’esterno si sentiva rumore di folla. Shantall, vedendo che Leo non sanguinava più dal naso e che respirava tranquillo, diede uno sguardo dalla finestra. Nella strada erano calate le ombre della notte, qualche lampione con la sua luce giallastra rompeva a tratti l’oscurità, mostrando alcune sagome scure di uomini intabarrati e addossati ai muri di pietra delle case. Avevano qualcosa in testa, sembravano maschere di buoi, altre di caproni, entrambi con alti arabeschi di corna che si profilavano in alto. Avevano alzato la testa all’unisono e guardavano Shantall con enormi occhi vivi di esseri viventi, emanando un odore che Shantall riconobbe come quello che aveva sentito su Elias. Rabbrividì e fece cenno a Marta di avvicinarsi, mostrandole la strada. Ma non c’era più nessuno.
Il vecchio Geremia aveva ridotto le erbe a una poltiglia. Si avvicinò a Leo, che continuava a dormire, gli spalmò l’unguento sul viso, dopo essersi sputato sulla mano. Shantall voleva intervenire ma Marta, sempre in silenzio, la tenne dolcemente per le mani. Il vecchio rimase a guardare il bambino con la parte lesa del viso cosparsa dell’unguento. Si voltò verso Marta dicendo poche parole incomprensibili, Marta chinò il capo.
― Tornerà per altre due volte. Come ti ha detto Elias.
― Ma Elias dov’è? Quando torna?
― È stato Elias a permettere questo. Non avere paura.
La stessa cosa si ripeté la sera dopo e quella successiva.
Ogni giorno che passava, la pelle di Leo sembrava rinascere. Shantall piangeva dalla gioia ma chiedeva sempre di Elias, senza ottenere risposta. Al calar della notte sotto la finestra della sua stanza si radunava la folla di persone con i volti di caproni e di buoi. Ogni volta si dileguavano nel nulla. Dopo il terzo giorno che il vecchio Geremia aveva spalmato la poltiglia di erbe non c’erano più tracce di bruciature sul volto di Leo, l’occhio che prima sembrava sporgere era di nuovo inserito normalmente nell’arcata sopraccigliare. Il viso di un bambino davvero bello. Leo riprese a vivere. Chiedeva di suo padre, voleva che lo vedesse, voleva abbracciarlo.
― Perché Elias non viene se è lui che ha permesso questo? Vi prego, ditemi cosa sta succedendo! Aveva detto che avrebbe visto il bambino assieme a me una volta risanato! ― diceva Shantall a Marta e Salbestru.
L’uomo le si avvicinò comprensivo. Emanava un forte odore di tabacco e di vino. E un altro odore che Shantall riconobbe come quello che aveva sentito l’ultima volta su Elias, come la ventata che gli era arrivata dagli uomini nella strada. Istintivamente si ritrasse.
Salbestru annuì comprensivo.
― Vedo che hai un buon istinto, anche se sei forestiera. Altrimenti Elias non ti avrebbe scelto.
― Cosa vuol dire?
― Però devi imparare ancora molte cose. Ci vuole tempo.
― La prego: mi dica qualcosa, mi faccia capire. Sto diventando matta!
Salbestru sorrise. ― No. Stai solo ragionando come sai. L’odore che hai sentito in me, che ancora non mi lascia, l’ho avuto per molto tempo. E per molto tempo lo avrà Elias.
― Cosa vuol dire? Cosa vuol dire?
― Qui, noi a Baujanas, abbiamo una condanna. Un tempo abbiamo bruciato le Janas come streghe, ingannati da una buona religione comandata da uomini cattivi. Molta gente ha sofferto nel passato e soffre ancora oggi per colpa di questi uomini cattivi. Ma noi abbiamo obbedito. Noi dobbiamo pagare. Le Janas buone ci hanno perdonato e ci aiutano. Le Janas arrabbiate non ci hanno mai perdonato. Il nostro sangue deve pagare. Viene il giorno che dobbiamo assumere la forma di bove e di caprone e vagare tutta la notte per anni e anni.
― Ma anche lei…
― Anche io ho dovuto pagare per le colpe del mio sangue. Ogni notte, fin da giovane, mi trasformavo in boe muliache – bue mugghiante – anche se il corpo rimaneva umano. Altri si trasformano in caproni. La condanna è uguale.
― Ogni notte… e di giorno?
― Di giorno sei uomo normale, puoi vivere, puoi stare a casa, ma devi essere lontano dalla tua gente prima che scenda la notte. Potresti fare del male, perché hai l’istinto di animale. Una sofferenza è che, anche trasformato in bestia, l'uomo ricorda che era uomo e quando è uomo ricorda che deve diventare bestia. Non vivi più, devi stare lontano. È meglio.
― Questo è… questo è assolutamente…
― Assolutamente vero. Come è vero che tuo figlio è guarito e nessuna scienza poteva farlo.
― Ma Elias se ne era andato da qui… Faceva un’altra vita.
― Gli è stato permesso. Ma sapeva che doveva tornare. Però lui non voleva tornare. Ti ama tanto, devi saperlo. Ma lo sai. Ha ricevuto un avvertimento per tornare.
― Un avvertimento?
Salbestru mosse appena il capo in direzione di Leo. ― Elias sapeva che solo qui poteva guarire il bambino. È dovuto tornare per quello. E per scontare la sua condanna.
Shantall piangeva e ansimava, abbracciata a Leo. ― Assurdo! Assurdo! Pazzesco!
Salbestru osservava. ― Elias mi ha detto di dirti queste cose. Se tu lo vuoi, se tu me lo chiedi, posso far sapere a Elias che di giorno può venire con il suo aspetto di uomo per vedere te e il bambino. Ma devi volerlo tu.
― Sì! Sì! Lo voglio! Ti prego, digli di tornare!
― Potrà stare poco con te.
― Va bene, va bene.
L’alba era bella, la luce del sole attraversava le tendine bianche della finestra illuminando la stanza a festa. Qualcuno bussò alla porta. Shantall andò ad aprire e si trovò davanti Elias, vestito con abiti scuri, i capelli spettinati, la barba di alcuni giorni che gli ombreggiava il viso. Lo abbracciò e baciò piangendo e anche Elias piangeva ― Perdonami, perdonami. Non mi avresti mai creduto… perdonami!
Leo era sceso dal letto, illuminato alle spalle dalla luce del sole che lo faceva apparire evanescente e corse sorridendo incontro a suo padre. Elias si inginocchiò davanti a lui e aprì le braccia per stringerlo al suo petto.