Traccia: Percorso del mistero
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È una verità universalmente riconosciuta che i fuoristrada americani siano troppo grandi per le stradine del vecchio continente.
L’unico che sembra non accorgersene, o meglio, che non vuole accorgersene, è quel figlio di buona donna di Tristan, ma visto che ha offerto di ospitarmi per un weekend nella sua villa in Scozia, penso sia più che giusto tenere la mia boccaccia chiusa e non farglielo notare.*
Quando raggiungiamo il paese di Glenfinnan, i verdi delle highlands scozzesi si sono tramutati nel blu dell’acqua di Loch Shiel, e di fronte alla villa di Tristan ci accoglie una vecchina brutta come la morte, e con l’accento più incomprensibile che io abbia mai sentito. Riesco a decifrare ben poco di quello che dice, ma dev’essere qualcosa tipo: “Ah, signor Tristan, bentornato! Ogni anno (parole incomprensibili) equinozio (?) sempre con un nuovo amico!”
Sì, non è che all’università Tristan sia proprio circondato di amici, non stento a credere che ogni anno ne porti qui uno diverso: io e lui ci siamo conosciuti copiando agli esami di diritto privato, e la nostra amicizia si fonda un po’ su quello, e un po' sulle lezioni di chitarra che ho iniziato a dargli, ma lui è il tipo di persona che fa facilmente amicizia, e altrettanto facilmente litiga con chi non lo asseconda. Per fortuna, il legame che si crea per sopravvivere agli esami è ben più forte di una comune amicizia, o almeno credo!
*
Di ritorno da una tranquilla serata al pub con Tristan, mi fermo un attimo fuori di casa per capire se devo vomitare o no. Chiunque sa che non bisogna mescolare troppi alcolici insieme, ma per qualche motivo io me ne dimentico sempre. Tristan mi fa compagnia, cantando sottovoce la strofa di una canzone che abbiamo sentito al pub:
… Se si ferma a cantare,
Non ascoltarla,
o ti farà innamorare.
Non seguirla,
se sussurra nella notte,
Non amarla:
è una donna, come tutte…
Quando il mondo smette di ondeggiare e mi passa la nausea, mi alzo in piedi e seguo il suo sguardo: più a valle, si vede riflesso sulle rive del lago un leggero bagliore. Nel silenzio, sembra di udire l’eco di un mormorio.
“Cos’è? Una festa al lago? ”
Tristan distoglie lo sguardo e fa una risata. Sembra forzata, ma potrebbe essere solo stanca. “Cazzo, ma quanto sei ubriaco? Sono solo lucciole e grilli, non ti emozionare…”
*
Mi sveglio alle cinque. È un’abitudine che ho preso da qualche tempo, per riuscire a studiare qualche ora senza il casino di vicini e coinquilini, e in generale per ritagliarmi delle ore che siano solo mie. In questa occasione, svegliarmi presto per andare alla scoperta del lago mi sembra un’occasione ancora più preziosa.
Quando ieri sera ho generosamente proposto a Tristan di svegliare presto anche lui, mi ha mandato a fanculo, quindi mi infilo il giubbotto sulla felpa-pigiama e lo lascio a dormire.
I miei stivali da pioggia sprofondano fino ai polpacci nell’acquitrino in riva al lago e devo aggrapparmi agli alberi per non inciampare a ogni passo, ma l’atmosfera è magica: sembra di camminare su una distesa di specchi, circondato da minuscoli rumori di minuscoli animali nascosti.
“Ciao.”
Poco distante da me, una ragazza avvolta in un gigantesco giubbotto marrone è appollaiata su un tronco d’albero rovesciato.
Dal cappuccio, che tiene tirato fin sopra la fronte, emergono solo una selva di capelli scuri, increspati dall’umidità, e un naso appuntito.
“Ciao.”
Come cavolo ho fatto a non vederla? Devo esserle passato a pochi centimetri di distanza.
Non riesco a vederle gli occhi, sotto al cappuccio, ma mi sento osservato.
“Non sei di qui, vero?”
Ha un accento delizioso.
“Sono italiano.”
Anni in Inghilterra, a cercare di perfezionare l’accento, e non riesco a farmi passare per un inglese neanche dicendo "Ciao"!
“Sei esotico” dice lei.
Mi studia come se volesse mangiarmi. Mi piace come mi guarda.
“Scrivi poesie? Gli italiani tutti un po’ artisti, no?”
Mi siedo di fianco a lei sul legno ricoperto di muschio umido. “Non scrivo poesie, ma scrivo canzoni.”
“Mi aiuti?”
Ma certo che ti aiuto, se mi guardi con quegli occhi magnetici.
“Sto scrivendo una lettera al mio ragazzo, verrà a trovarmi presto.”
Ahia.
Lei estrae di tasca un foglio sgualcito.
“Allora, quello che ho scritto è: ‘Quando il sole si rattrista, tu torni a scaldarmi. Quando sembra che la vita finisca, tu arrivi ad amarmi. Da quando ti conosco, l’autunno è la stagione migliore’… e, insomma, mi serve una chiusura che rimi con 'migliore', ma che non sia ‘amore’, perché sarebbe davvero troppo scontato!”.
Mi chino verso di lei per studiare il foglio, e ne approfitto per sbirciare meglio sotto il suo cappuccio. Ha degli occhi fantastici.
“E se invece tu scrivessi qualcosa tipo… insomma, se la cambiassi un po’ e dicessi: ‘L’autunno non mi spaventa, da quanto ti ho incontrato / io non sento più freddo, perché tu mi hai salvato’?”
Lei resta in silenzio un po’. Il suo respiro le si condensa davanti alla bocca, e per qualche istante diventa un essere senza volto e senza espressione. Poi sorride.
Accovacciati in mezzo alle danze di accoppiamento delle libellule e all’odore di foglie morte, passiamo ore a perfezionare il suo messaggio d’amore per un altro. Ogni volta che lei legge ad alta voce, io fingo, nella mia mente, che lo stia leggendo a me.
*
Quando torno a casa di Tristan, mi sento in dovere di dargli una spiegazione per il ritardo e gli racconto dell’incontro.
“Sai, ho trovato una tipa” gli dico, rimescolando la pasta nel piatto.
Lui sbotta in una risata: “Sei qui da neanche un giorno: sei proprio un disperato!”.
Le sue prese in giro non fanno che peggiorare quando, colpevolmente, ammetto di non sapergli dire il nome della ragazza, né di riuscire a descriverne i tratti.
“Quindi sapresti riconoscere la sua voce, ma non il suo aspetto se la vedessi senza giubbotto? Dai, sei assurdo!”
“Io non so cosa dirti… è stato un momento speciale! Il lago, la poesia…”
Tristan alza gli occhi al cielo e inizia a sparecchiare, fregandosene del fatto che io non abbia ancora finito. “Sai cosa? Tu non hai idea di cosa voglia dire essere innamorati: sentire il cuore che fa male, perché sei lontano dalla persona che ami, e sapere che saresti disposto a fare qualsiasi cosa per lei, per tenerla con te … Non sai un cazzo!”
Sono esterrefatto: Tristan non mi è mai sembrato uno sentimentale. “Ma… chi è questa tipa che ti ha fatto perdere la testa? Non me ne hai mai parlato.”
Se c’è qualcuno in grado di sfilare il palo dal culo di Tristan, devo assolutamente conoscerlo.
“È qui, del posto” confessa lui. “Stasera te la faccio conoscere.”
*
A bordo dell'immensa macchina di Tristan, quella sera scendiamo la stradina che porta verso il paese, e poi verso il lago. Passiamo oltre i pub, oltre i ristoranti, e ci inoltriamo sempre di più nella palude. Quando ci fermiamo, ormai è buio. Non ho idea di dove siamo e gli schizzi di fango che abbiamo alzato nel tragitto ricoprono quasi completamente i finestrini.
Tristan mi dice: “Aspetta qui” ed esce. Le serrature della macchina si chiudono automaticamente. Meglio, non vorrei che qualche cinghiale cercasse di entrare. Ma dove cazzo vive questa tipa?
Passano dieci minuti. Forse lei si sta preparando? D’altra parte, se non ci facesse aspettare, non sarebbe donna.
Ma Tristan non poteva parcheggiare più vicino?
Passa mezz’ora… ma cosa stanno facendo? Stanno scopando e si sono dimenticati di me? Se ero di troppo, bastava avvertire: potevo restarmene a casa a giocare alla Play! Provo a chiamare Tristan, ma non risponde.
Dopo un’ora di attesa, decido che è ora di avventurarmi nel fango, che sia per andare a interrompere l’amplesso dei due stronzi, o recuperare Tristan ovunque sia finito.
Le portiere non si aprono. Le scuoto: niente. Ma che cazzo?
Tra le macchie di fango sul finestrino, intravvedo a malapena l’esterno: si sta alzando la nebbia, e… si avvicina una figura. Credo… Sì, sì, è Tristan, con quella sua camminata da palo-in-culo: alleluia!
Abbasso il finestrino della macchina e inizio a urlargli dietro: “Tristan, ma che cavolo! Ma lo sai che mi sto pisciando addosso? E la tipa dov’è?”
“Che regalo mi hai portato quest’anno, amore mio?”
La riconoscerei tra mille, è la voce della ragazza di questa mattina.
Lei sbuca alle spalle di Tristan, è emozionata. Io, accidenti, sono ancora chiuso in macchina come un animale.
“Vedrai! È un artista, proprio come piacciono a te!”.
I due si fermano a pochi passi dalla macchina. Tristan è infangato fino alle ginocchia, come se avesse percorso chilometri nella palude, e lei… sembra un’altra persona, e allo stesso tempo è irrimediabilmente la stessa di stamattina, con il suo naso a punta e i selvaggi capelli increspati dall’umidità, avvolta da un abito elegante che pare fatto di pioggia: sensuale e trasparente e infangato.
Nella penombra della sera, vedo le due figure avvinghiarsi e sento un gemito quasi animale… di dolore? Di piacere?
Dopo lunghi momenti, i due si staccano e Tristan si avvicina alla macchina: il labbro gli sanguina, ha gli occhi allucinati. “Mi dispiace, amico, niente di personale… Tu non hai idea di cosa voglia dire il suo amore…”
Lei ha uno strano sorriso, come se fosse partecipe di uno scherzo nascosto.
“Non hai idea di cosa sarei disposto a fare per tenerla con me!”
Io continuo a non capire.
“Ascolta, Tristan, mi fai uscire?” chiedo, cercando di mostrarmi calmo. Cerco di aprire la portiera, ma resta ben chiusa.
“Senti, Tristan, mi dispiace, non sapevo che fosse la tua tipa… ma ti giuro che non è successo niente! Davvero, neanche mi piace!”
Le serrature dell’auto scattano.
“Non è vero”. Lei è seduta di fianco a me. Quando è entrata?
Sento un urlo che mi trapana le orecchie, di gioia e di dolore, euforia e terrore. Vedo rosso e vedo nero e poi non…
*
Apro gli occhi. Mi fa male tutto e allo stesso tempo non sento più niente. Non sento più il mio corpo. Guardo verso il basso e vedo solo del legno. Sono appoggiato a una mensola: la mia testa è appoggiata a una mensola e il mio corpo non esiste più.
“Oh, ti sei svegliato!”. La ragazza entra nel mio campo visivo. “La poesia che mi hai aiutato a scrivere è piaciuta tantissimo a Tristan, sai? Grazie!”
Mi scocca un bacio sulla guancia.
“Sei stato delizioso.”Posterò il link al commento entro l'8/11
