[MI178] Ricordi Discordi

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[MI178] Ricordi Discordi
Traccia: L'ultima risorsa

Prese un respiro profondo, e guardando le sue mani sporche di sangue capì che sarebbe andato tutto bene. 
Il liquido blu che gli sporcava le dita ne era la dimostrazione. Non era stato facile catturare un tapiro ciano vivo, e mantenerlo vivo anche dopo l’operazione. Che l’animale restasse vivo era una condizione imprescindibile per la buona riuscita dell’incantesimo. 
La tredicesima vertebra che aveva asportato all’animale, un’inutile propaggine della colonna vertebrale dell’erbivoro, doveva essere finemente macinata e aggiunta agli altri ingredienti della pozione. 
Mentre si puliva le mani sentì il rumore del tapiro che, nella sua gabbia, riprendeva conoscenza e scorreva con la sua corta proboscide le sbarre di legno. 
L’uomo prese il trattato dalla bianca copertina in pelle di lama albino, lo aprì alla pagina segnata da un cordino rosso, ricavato dalla coda di una pantegana laziale e rilesse per l’ennesima volta l’ultimo, enigmatico, versetto della formula. 
Lentamente una piccola smorfia, quasi un sorriso, si disegnò sul suo volto e portò lo sguardo sulla piccola immagine della figlia di otto anni, inserita nell’angolo in basso dell’enorme cornice dello specchio che aveva difronte. 
Il pittore aveva ritratto la bambina con un bellissimo vestito bianco: peccato quel viso confuso con il cielo dello sfondo. La mano dell’uomo salì sopra la testa e, a sottolineare  la risoluzione del rebus, pollice e medio produssero un sonoro schiocco.
Il tapiro, richiamato dal rumore, volse il muso verso quella parte, ma non vide nessuno.

Un giorno, molto vicino al Natale, in un posto, non molto lontano da qui, c’era una volta un paese che si chiamava Scordatutto.
Gli abitanti del paese dimenticavano le cose, ma ognuno dimenticava una cosa diversa.
Per esempio il mago Cosamanca dimenticava sempre un ingrediente delle pozioni scritte nel libro della grande magia bianca.
Oppure c’era il cavaliere Madovè che andava sempre a piedi, perché dimenticava dove aveva lasciato la sua cavalcatura e si faceva tutta la strada a piedi, consumando una scarpa all’andata e una scarpa al ritorno, ad ogni viaggio.
Quel giorno, il giorno del nostro racconto, Il re Machisono, che confondeva la faccia della gente che veniva al castello, fece chiamare il mago Cosamanca perché facesse una qualche magia per risolvere il problema del paese di Scordatutto.
Si stava avvicinando il Natale e, come sempre durante le feste, accadevano tanti piccoli incidenti a causa della mancanza di memoria degli abitanti.
Il Natale precedente il re Machisono, invece di ordinare una grande torta al pasticcere, l’aveva ordinata al falegname e si era rotto un dente mangiando una fetta di torta di legno.
Quando il mago arrivò, il re, scambiandolo per il sarto, gli ordinò un vestito per la grande festa di Natale. Il mago gli disse che lui non era il sarto e il re gli chiese:
«E allora, chi sei? »
«Cosamanca.» rispose il mago.
«Ma come: cosa manca?! Manca la memoria a tutti gli abitanti di Scordatutto.» disse il re.
«Cosamanca è il mio nome.» disse il mago.
«Vedi?! A te manca la memoria del tuo nome… non sai neppure come ti chiami! »
«Cosamanca, maestà, Cosamanca! »
«Ma me lo hai appena chiesto. Allora ti manca la memoria di quello che dici? »
«No, maestà. »  disse Cosamanca  «Quella manca al principe Machedissi… Cosamanca è il mio nome. »
«E perché sei venuto qui? A me non serve il salumiere! » esclamò risentito il re.
«Non sono il salumiere, maestà, sono il mago di corte.»
«E perché hai la faccia del salumiere? » chiese il re
«Io ho la mia faccia, maestà, siete voi che le confondete.» rispose il mago
«Allora mago, ti ho fatto chiamare per ordinarti di fare una qualche magia che faccia tornare la memoria a tutti noi di Scordatutto, perché non si può più andare avanti così. »
«Come lei vuole, maestà. Mi metto subito al lavoro.»
Il mago lasciò il castello e si mise in strada dirigendosi subito verso il Prato  Luminoso , dove era solito raccogliere le erbe e qualche fiore che usava per fare le sue pozioni magiche.
Nel piccolo lago vicino al prato cresceva un fiore molto raro, la rosa a pallini, che serviva per fare la magia della memoria.  Ma il fiore  cresceva proprio al centro del lago e Cosamanca non sapeva nuotare. Sulle sponde del lago viveva l’ Orco Vergognoso.
L’orco  aveva dimenticato di essere un orco e credeva di essere una bambina di 10 anni e se qualcuno gli rivolgeva la parola, diventava tutto rosso. Anzi, avendo la pelle verde, praticamente diventava viola.
«Buongiorno.»  lo salutò il mago.
L’orco, tutto timoroso, si nascose dietro un cespuglio, ma, essendo alto più di due metri, si vedeva praticamente per intero.
«Buongiorno.»  ripetè il mago «E’ tua la barca?»
L’orco intrecciò le braccia dondolandosi e, diventando viola, rispose:
«No, signore… è del mio papà.»
«E pensi che al tuo papà dispiacerebbe se la usassi per andare a prendere quel fiore in mezzo al lago?»
«No, signore. Mio papà è buono e generoso. »
Il mago prese la barca, remò fino al pezzetto di terra emersa in mezzo al lago, raccolse la rosa a pallini e tornò indietro.
«Ringrazia tuo padre per la barca.» disse il mago all’orco che si era nascosto dietro la casa e faceva capolino, tutto vergognoso.
«Si, signore. Lo farò sicuramente.» e corse dentro la casa, sbattendo la testa sullo stipite della porta che era troppo bassa per lui.
Il mago tornò a casa  e si mise a preparare la pozione della memoria, così come era scritta nel grande libro della magia bianca.

Nel frattempo, la strega Masisà continuava a fabbricare pupazzetti.
Aveva fatto un pupazzetto per ogni abitante di Scordatutto e su ciascuno aveva fatto una magia per fargli dimenticare qualcosa. Tutte le statuine erano messe in ordine, su tante mensole appese sul muro del suo laboratorio: la prima era quella del sarto, che l’aveva presa in giro; poi quella del fornaio, che non le aveva voluto dare un panino; quella del pasticcere che le aveva fatto la torta di compleanno sottosopra e poi tutti gli altri.
Tutti erano stati cattivi con lei e tutti erano stati puniti.
Da piccola Masisà era una bellissima bambina. Capelli lunghi e biondi, occhi verdi, un nasino adorabile, con le labbra che sembravano una fragolina. Aveva però un piccolo difetto. Era blu. Quando la sua famiglia si trasferì a Bellago  così si chiamava il paese di Scordatutto prima del loro arrivo, nessuno disse nulla sullo strano colore della bambina. Avevano tutti paura di suo padre, che si raccontava fosse un potentissimo stregone, capace di farti sparire con il semplice schiocco delle dita. Ma, quando lei aveva otto anni, suo padre, per sbaglio, schiocco le dita davanti lo specchio e sparì. E da allora tutti si accorsero che Masisà era blu.
All’inizio non andò così male, anche se la sfruttavano per il suo colore. Alle recite alla scuola, o la appendevano in alto per farle fare il cielo, oppure restava per tutto lo spettacolo stesa per terra a fare il mare. Aveva imparato anche a fare le onde. Ma dopo che le fecero passare sopra una barca con quattro bambini vestiti da marinai, smise di partecipare alle recite scolastiche.
A tredici anni, non sopportando più le brutte cose che le dicevano in paese, scappo di casa e andò a vivere in un vecchia baracca, che nessuno più usava, sulla Montagna Faticosa. Si era portata dietro il grande libro della magia nera che era di suo padre. Avrebbe studiato e imparato le formule e risolto il suo problema.
Ma nel libro non c’era nessun incantesimo per farle avere la pelle chiara  (quello era nel libro di magia bianca, che era sparito con il padre),  però ce n’era uno per far dimenticare le cose.
Decise che avrebbe fatto dimenticare a tutti il colore della sua pelle. Il primo pupazzetto che fece fu quello del cavaliere Madovè (allora non si chiamava così), che aveva l’abitudine di portare il suo cavallo ad abbeverarsi sulle sponde del lago. In una calda mattina di agosto, mentre il cavaliere faceva bere il suo cavallo e aveva ancora sia la scarpa destra che quella sinistra, Masisà gli passo vicino.
«Oh, mia bella damigella,»  le disse il cavaliere «non avete paura di prendere troppo sole e di arrossare la vostra carnagione così chiara? ».
«Ma signore!»  rispose Masisà  «Non vedete che ho la pelle blu? »
«Voi mi burlate! Non ho mai visto una pelle più bianca della vostra. »
L’incantesimo aveva funzionato. Masisà tornò al suo rifugio e iniziò a fare una statuina per ciascun abitante del paese, cosi che tutti dimenticassero il suo colore.
L’ultimo ingrediente dell’impasto con cui venivano fatte le statuine doveva essere la cosa da dimenticare, e Masisà usava le pellicine intorno alle sue unghie.
Ma un giorno, senza accorgersene, fece cadere nel calderone un metro. E il sarto, di cui stava facendo la statuina, dimenticò le misure. Da allora il sarto sbagliò tutti i vestiti che cuciva. 
Un giorno Masisà, nascosta dietro un muretto, vide gli abitanti di Scordatutto andare in giro vestiti in modo strano. Tutti gli uomini alti giravano con pantaloni che arrivavano al ginocchio, mentre a quelli bassi strusciavano per terra. Molte signore avevano il cappello calato fino al naso e non riuscivano a vedere niente, altre avevano un cappello così piccolo che spariva tra i capelli.
Masisà, che allora aveva 14 anni, trovò tutto molto divertente e decise di fare la stessa magia per tutti gli abitanti del paese. 
Ad uno fece dimenticare il mercoledì, ad un altro la penna per scrivere, ad una signora di accendere il fuoco per cucinare e ad un bambino fece scordare come si gioca a palla.
Masisà ci mise più di due anni per fare i pupazzetti per tutti gli abitanti e per far dimenticare a ciascuno una cosa diversa, ma finalmente, mentre si avvicinava il terzo Natale da quando aveva iniziato, aveva fatto l’ultima statuina.
Era l’otto dicembre, il giorno in cui si addobbava il grande albero di Natale della piazza,  quando scese in paese per godersi l’effetto del suo lavoro.
Nessuno faceva caso al suo colore: erano tutti indaffarati a riparare i danni dovuti alla dimenticanza di qualcuno. 
Entrò dal fornaio per comprare un panino…
«Un panino?! »  chiese il fornaio  «Cos’è… un panino? »
Aveva fatto dimenticare al fornaio dei panini. Entrò dal sarto per ordinare un vestito. Il sarto le prese le misure e poi le scrisse su di un pezzo di carta.
«Allora…. 25… 254… 33. Bene, signorina, il vestito sarà pronto la vigilia di Natale.»  disse il sarto. Più che un vestito sembrerà una mongolfiera, pensò divertita Masisà.
Prese da una bancarella una mela senza pagare… tanto il fruttivendolo dimenticava sempre di farsi pagare, e fece un giro in piazza.
L’albero di Natale era montato a testa in giù (il costruttore reale aveva dimenticato quale fosse l’alto e quale il basso) e le palline erano di tutte le forme più strane, perché il ceramista aveva dimenticato la forma della sfera.
La giovane strega Masisà diede un morso alla mela e continuò a girare divertita in paese.

Intanto il mago Cosamanca aveva  terminato la sua pozione, che doveva far tornare la memoria agli abitanti di Scordatutto. Ora il problema era far bere la pozione a tutti quanti.
Il mago pensò di versarla nel lago da cui veniva l’acqua usata in paese. E così fece.
Il primo a bere l’acqua fatata fu un cucciolo di lupo bianco, che dopo aver bevuto diventò blu. Quando si specchio nuovamente nell’acqua del lago, si impaurì così tanto nel vedere quel lupo blu riflesso nell’acqua che lo guardava, che scappò di corsa nella sua caverna.
Il mago Cosamanca aveva dimenticato di mettere l’ultimo ingrediente della pozione, un petalo di rosa a pallini, e la pozione fatta era un cambiacolore, che faceva diventare blu.
I primi abitanti di Scordatutto diventati blu furono presi in giro da tutto il paese. Poi cominciarono a far loro degli scherzi stupidi e poi a minacciarli. Ma il numero dei blu cresceva e i bianchi andarono dal re per chiedergli di scacciarli dal paese.
«Che vadano a vivere nel bosco! »  urlò il fornaio.
«Noi qui, in paese, non li vogliamo. Non sono come noi. »  disse una contadina.
«Ma tu non vivi vicino al lago Luminoso? »  le chiese il re.
«Si, ma dico quello che dicono gli altri. » rispose la contadina.
Il re non sapeva che decisione prendere. Gli dispiaceva mandare via tanti suoi sudditi, anche se non li riconosceva, ma la folla inferocita chiedeva che si facesse qualcosa.
«Allora! Ascoltate tutti! »  disse il re  «Ho deciso che vadano a vivere nel bosco tutti quelli di colore…» Ma si interruppe. Era entrata nella sala del trono sua figlia, la principessa Noiniziale, che dimenticava di dire la prima lettera di ogni parola. La principessa era stata dal gioielliere per comprare il regalo di Natale a sua madre. Un bellissimo anello con smeraldo.
«uarda, apà. O omprato lla amma uesto plendido nello. I iace? » chiese la principessa mostrando al re l’anello appena acquistato.
Il re guardò l’ anello, poi guardò la figlia, poi di nuovo l’ anello e, di nuovo, la figlia.
«Ma tu sei blu! »  esclamò stupito il re.
«Ome, ono lu? »  chiese la principessa.
«Siete blu! Siete blu! »  mormorò tutta la gente nella sala del trono.
In quel momento entrò il principe Machedissi, con un lungo pacchetto in mano.
«Padre! Padre! Guardate cosa ho comprato per farmi un regalo. E’ una bellissima… ma perché c’è tutta questa gente, qui? » tutti lo guardarono…era blu.
«Come hai detto? »  gli chiese affranto il padre.
«Io? Quando? Che ho detto? » si interrogò il principe che dimenticava quello che diceva.
«Allora! Ascoltate tutti!»  gridò il re  «Ho deciso che vadano a vivere nel bosco tutti quelli di colore…bianco.»
«Ma non è giusto! » gridò il fornaio.
«Ma io, tutti questi bianchi che vengono a vivere vicino la mia fattoria, non ce li voglio» strillò la contadina, che era diventata blu.
«E allora mandiamoci i blu! » propose il sarto.
«No…. Sono i bianchi che devono andare via, che per loro non c’è più posto qui.» disse il principe «Ma non nel bosco, sulla montagna.»  e scartò il pacchetto che conteneva una lucente spada.
«E chi non andrà via con le buone, andrà via con le cattive. » disse puntando la spada verso i bianchi.
«Nessuno andrà via! » era la fata Azzurra che aveva parlato. La fata Azzurra viveva anche lei sulla montagna, nella caverna del lupo bianco con il cucciolo blu.
«Farò un incantesimo che mescolerà i vostri colori, e tutti sarete azzurri, come il cielo. »
La Fata Azzurra fece alcune mosse magiche e tutti quanti diventarono azzurri. Tutti quanti meno la strega Masisà.
La fata le si avvicinò e le chiese: «Tu non vuoi diventare azzurra come tutti? »
«No, buona fata.»  le rispose Masisà  «Ora posso restare blu. Credo che più nessuno dirà nulla sul mio colore. Hanno capito cosa si prova a sentirsi diversi. »
Detto questo, Masisà torno sulla montagna, per rompere l’incantesimo della memoria e nessun abitante di Scordatutto si dimenticò più di niente.
Specialmente di quel giorno in cui, o come bianchi o come blu, stavano per essere cacciati dal paese.

Re: [MI178] Ricordi Discordi

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post_id=53667 ha scritto:
Refuso: della
maxgiglio ha scritto: scappo
Refuso: scappò
maxgiglio ha scritto: passo
Refuso: passò
maxgiglio ha scritto: cosi
Refuso: così

Che favoletta carina!  Bella, da raccontare ai bambini, ed è per questo che "ti perdono" la chiusa spiegone. Avrei prefrito un finale più mordente come battuta,  mantenendo lo stesso significato, è ovvio, già palese peraltro nel momento in cui il Re dice dice di mandare via, allora, tutti i bianchi. 
Bravo. Magari altri commentatori sapranno trovare qualche magagna, ma io ti ho letto con gradevole soddisfazione.
Ciao e a rileggerti

Re: [MI178] Ricordi Discordi

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Bel racconto @maxgiglio,
l'ho letto veramente volentieri.
Mi sono piaciuti moltissimo i nomi, storia leggera che scorre, si fa leggere con un sorriso stampato sulle labbra.
Credo avresti dovuto integrare meglio la prima parte, che è poi quella che dà un senso all'incipit perché così è troppo slegato, è appena un riferimento, un accenno nella storia 
Sui refusi ti hanno già detto 
A rileggerti 
<3

Re: [MI178] Ricordi Discordi

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maxgiglio ha scritto: Non era stato facile catturare un tapiro ciano vivo, e mantenerlo vivo anche dopo l’operazione, condizione imprescindibile per la buona riuscita dell'incantesimoChe l’animale restasse vivo era una condizione imprescindibile per la buona riuscita dell’incantesimo. 
Ti ho accorciato la frase, senza la ripetizione "Che l'animale restasse vivo".
maxgiglio ha scritto: lo aprì alla pagina segnata da un cordino rosso, ricavato dalla coda di una pantegana laziale virgola e rilesse per l’ennesima volta l’ultimo, enigmatico, versetto della formula. 
quella virgola per chiudere l'inciso
maxgiglio ha scritto: Per esempio virgola il mago Cosamanca dimenticava sempre un ingrediente delle pozioni scritte nel libro della grande magia bianca.
Iniziano le divertenti caratterizzazioni dei tuoi personaggi, molto simpatiche. Bravo!
maxgiglio ha scritto: Oppure c’era il cavaliere Madovè che andava sempre a piedi, perché dimenticava dove aveva lasciato la sua cavalcatura e si faceva tutta la strada a piedi, consumando una scarpa all’andata e una scarpa al ritorno, ad ogni viaggio.
Non capisco l'alternanza delle scarpe... non le usava a coppie?
maxgiglio ha scritto: Il re Machisono, che confondeva la faccia della gente che veniva al castello
Ecco, io l'avrei chiamato Machisei - per non fraintendere "Machisonoloro" con "Machisonoio". Machisei non si fraintende e va bene per chiunque gli capiti davanti. 
maxgiglio ha scritto: Quando la sua famiglia si trasferì a Bellago virgola così si chiamava il paese di Scordatutto prima del loro arrivo, nessuno disse nulla sullo strano colore della bambina.
Ti suggerisco di aprire l'inciso con la virgola che hai dimenticato, oppure di metterlo tra parantesi.
maxgiglio ha scritto: schiocco le dita davanti lo specchio e sparì.
schioccò
maxgiglio ha scritto: Ma virgola dopo che le fecero passare sopra una barca con quattro bambini vestiti da marinai, smise di partecipare alle recite scolastiche.
:D
maxgiglio ha scritto: scappo di casa e andò a
scappò
maxgiglio ha scritto: Quando si specchio nuovamente nell’acqua del lago, 
specchiò 

P.S.:  :rolleyes:  secondo me, l'autore del racconto è lo scrittore ufficiale del paese di Scordatutto e lui ha perso gli accenti dalla sua penna.

Si chiama "Passatoopresente".  E' così, @maxgiglio:D

(Ti piace il mio modesto contributo alla tua simpatica storia?)  ;)


Bravo, @maxgiglio  (y)

Mi hai fatto ridere e hai costruito un ironico punto di partenza della favola con la traccia sul sangue blu di un tapiro. Forte!
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [MI178] Ricordi Discordi

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@Maxgiglio ciao. Ero curioso di questo incipit " Ricordi discordi" e ho letto la tua favola. Ho pensato che avresti parlato di come i ricordi possono creare discordia, come anche possono essere confusi, non consoni alla realtà. Certo, parli anche di questo, ma l'essenza della storia è incentrata sulla diversità.
Quindi trovo il titolo molto bello anche se forviante. Hai vinto il contest e ti faccio i complimenti anche se non ho ancora letto gli altri lavori degli amici in gara. Concludo. Io di cognome faccio "Manca"... Tutti i compagni di classe quando la maestra faceva l'appello mi prendevano per il culo.. Raffaele manca...  :asd:
ciao a presto.
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio

Re: [MI178] Ricordi Discordi

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Maxgiglio ha scritto: Il liquido blu che gli sporcava le dita ne era la dimostrazione. Non era stato facile catturare un tapiro ciano vivo, e mantenerlo vivo anche dopo l’operazione. Che l’animale restasse vivo era una condizione imprescindibile per la buona riuscita dell’incantesimo. 
Vivo viene ripetuto tre volte, cercherei un sinonimo
Maxgiglio ha scritto: L’uomo prese il trattato dalla bianca copertina in pelle di lama albino
Toglierei "bianca", la frase è molto carica e già dici "albino" dopo
Maxgiglio ha scritto: lo aprì alla pagina segnata da un cordino rosso, ricavato dalla coda di una pantegana laziale e rilesse per l’ennesima
Per l'inciso ci vuole un'altra virgola dopo "laziale"
Maxgiglio ha scritto: Lentamente una piccola smorfia, quasi un sorriso, si disegnò sul suo volto e portò lo sguardo sulla piccola immagine
Non è un errore, ma cambiare soggetto dopo una coordinata senza esplicitarlo può confondere
Maxgiglio ha scritto: Un giorno, molto vicino al Natale, in un posto, non molto lontano da qui,
Direi: "Un giorno molto vicino al Natale, in un posto non molto lontano da qui,"
Maxgiglio ha scritto: Quando la sua famiglia si trasferì a Bellago  così si chiamava il paese
Virgola dopo "Bellago"
Maxgiglio ha scritto: smise di partecipare alle recite scolastiche
Direi "smise di partecipare agli spettacoli" o semplicemente "smise di partecipare", per non ripetere
Maxgiglio ha scritto: «No…. Sono i bianchi che devono andare via, che per loro non c’è più posto qui.» disse il principe «Ma non nel bosco, sulla montagna.»  e scartò il pacchetto che conteneva una lucente spada.
«E chi non andrà via con le buone, andrà via con le cattive. » disse puntando la spada verso i bianchi.
Qui starei nello stesso paragrafo, visto che chi dice le battute e fa le azioni è lo stesso
Maxgiglio ha scritto: Masisà torno sulla montagna, per rompere l’incantesimo della memoria
Toglierei questa virgola


Ciao @Maxgiglio e complimenti per questa bella storia  :) Per me molto divertente, scorrevole e originale, mi è piaciuta e mi ha divertito; ho apprezzato anche come il messaggio sia chiaro ed eloquente, ma esposto in maniera elegante e attraverso una storia che sta in piedi da sé. C'è un po' da rivedere la forma, non tanto per lo stile - pulito e lineare - ma più che altro per la punteggiatura: ho trovato doppi spazi, oppure accenti o punti mancanti. Si sistema facilmente, comunque.
La scena iniziale mi sembra forse troppo diversa dal resto del racconto dal punto di vista stilistico, meno fiabesca e più descrittiva; non saprei dire se sistemare lo stile, asciugarla, o eliminarla proprio; certo è che sarebbe comunque un buon incipit "Un giorno molto vicino al Natale..."
A rileggerci!
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