Mostrare e raccontare*

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Quella dello show, don’t tell, è considerata una regola basilare della scrittura creativa.
Ma è davvero necessario “mostrare” tutto? Beh, no: sarebbe impossibile. Lo sappiamo tutti ormai, lo sa anche Wikipedia che cita:
Come tutte le regole, Show, don't tell ha le sue eccezioni. Secondo James Scott Bell: "A volte lo scrittore utilizza le spiegazioni come scorciatoie, per muoversi rapidamente verso le parti più importanti della narrazione o della scena. Mostrare è essenziale per rendere le scene vivide. Se tentate di farlo costantemente, le parti che dovrebbero emergere non lo faranno, e i vostri lettori saranno sfiniti. (Bell, James Scott, Mar., 2003., Exception to the Rule. Writer's Digest Yearbook: Novel Writing, p. 20.)
E poi:
Mostrare richiede più parole; raccontare può coprire un arco di tempo più ampio. Un romanzo che si regge solo sul mostrare si rivelerebbe molto lungo; quindi una narrazione può contenere alcune legittime rivelazioni. Le scene importanti della storia dovrebbero essere drammatizzate mostrando, ma a volte ciò che accade tra le scene può essere raccontato in modo da far progredire la storia. Per esempio, se Bob è un personaggio in una storia, potrebbe fare le seguenti cose:
* Avere una lite con il suo capo
* Guidare verso la casa della sua ragazza
* Avere una lite con la sua ragazza
Lo scrittore potrebbe mostrare le liti con il capo e la ragazza di Bob, ma raccontare al lettore che Bob guida verso la casa della sua ragazza senza insistere troppo nella narrazione. Dal momento che niente di importante accade durante quel tragitto in macchina, lo scrittore ha solo bisogno di dire al lettore che c'è quel tragitto.
Lo scrittore potrebbe anche voler raccontare per rivelare al lettore che il narratore della storia - la voce narrante, non lo scrittore! - non è affidabile. Il narratore può dire che Bob è un bravo ragazzo, ma più tardi Bob si mostra una carogna. Allora il lettore può decidere che il narratore della storia non vede Bob per ciò che è.
La scrittrice americana Francine Prose su questa regola afferma che "Spesso viene dato un cattivo consiglio ai giovani scrittori, ovvero che il lavoro dell'autore è di mostrare, non di raccontare. Inutile dire che molti grandi romanzieri combinano il 'mostrare drammatico' con lunghe sezioni di piatta narrazione autoriale che mi pare sia ciò che viene chiamato il raccontare. E l'avviso contro questo raccontare porta a una confusione che causa, agli scrittori in formazione, di pensare che ogni cosa dovrebbe essere messa in scena... quando in realtà la responsabilità di mostrare dovrebbe essere assunta dall'energico e specifico uso del linguaggio.[Prose, Francine (2006). Reading Like a Writer pp.24-25. HarperCollins]
https://it.wikipedia.org/wiki/Show,_don%27t_tell

@Swetty 20 agosto 2011
Ecco, non sono d'accordo: secondo me bisogna mostrare il più possibile, ma mostrare il giusto. Quello che noto sempre di più leggendo, è che le parti non mostrate finisco per dimenticarle, mentre una scena ben descritta non la dimentico. Quindi, dal mio punto di vista di lettore, posso fare tranquillamente a meno delle parti dette.
Ossia, puoi anche dirmi che la tua protagonista è bionda, con gli occhi azzurri, il 37 di piede, taglia 42, indossa un abito verde di seta a fiori e sandali, catenina d'oro zecchino e via così, se le cose non sono funzionali alla storia io le dimentico al primo punto e a capo. Se invece mi dici che il personaggio X rimane affascinato dai suoi capelli biondi o che il personaggio Y guarda con cupidigia la sua collanina d'oro, allora come per incanto mi si scolpisce la cosa in testa e non va più via. Questo perché, pur parlando della stessa cosa nello stesso momento, nel secondo tipo di descrizione in realtà mi stai mostrando una scena, nel primo invece mi dici com'è la protagonista.
Credo però ci sia una certa confusione nei termini e vorrei che qualcuno li chiarisse una volta per tutte, visto che a volte mi è capitato, ad esempio, che venissero bollate come "raccontati" degli episodi riportati da un personaggio in un dialogo, il quale personaggio in sé mostrava e non diceva. Raccontare, narrare e via così sono termini ambigui in questo caso.
Non trovo che mostrare sia uno di quei casi in cui ci sia assuefazione. Del resto, il cinema ad esempio mostra e basta, se ci fosse assuefazione tutte le scene ci sembrerebbero uguali, cosa che invece non è. E, sempre secondo me, le parti "di raccordo" andrebbero eliminate e basta.
Nella sequenza di Bob, la scena centrale può essere importante come no. Se non lo è, va tagliata. Se lo è, va mostrata. Quello che deve cambiare è il tono con cui viene mostrata e il tema della scena. Per esempio, se nella scena (A) vediamo Bob che litiga col capo e nella scena © vediamo Bob che litiga con la fidanzata, se vogliamo inserire uno stacco, possiamo mettere una scena in cui Bob potrebbe:
- essere nervoso al volante;
- essere depresso e pensare di non valere nulla;
- cercare di calmarsi;
- temere di perdere il lavoro;
e così via: ma tutte queste scene, per quanto "di transizione", sarebbero mostrate, non dette, e sarebbero significative, perché spiegherebbero come si passa dal litigio (A) al litigio ©. Se invece fosse solo l'equivalente di sale in macchina e guida fino a casa della sua ragazza io taglierei tutto e teletrasporterei il lettore direttamente da (A) a ©, mettendo solo un accenno al nuovo luogo (tipo cominciare con Arrivato a casa della sua ragazza, ecc.).
Ma non è che si confonde mostrare con far agire?


Forse bisogna cercare di chiarire una volta per tutte cosa sia show e cosa tell. Perché una scena non è (quasi) mai “show” o “tell” in modo assoluto, ma in più l’una o l’altra cosa in proporzioni variabili. Nell’esempio classico:
  • Tizia era disperata. Caia tentò di consolarla: tell
    Tizia piangeva, Caia l’abbracciò: show
Ma:
  • Tizia cercava di asciugare le lacrime che le rigavano il viso, invano. Caia allora l’abbracciò, mormorando parole di conforto: ancora più show.
    Tizio si passava e ripassava le dita sugli occhi arrossati e gonfi, singhiozzando. “Ti aiuterò io” mormorò Caia, e la strinse in un abbraccio: ancora più show.
Dagli esempi precedenti (brutti, lo so, li ho scritti io piuttosto tardi. NotadiMercy) è chiaro che lo show può essere espanso all’infinito. È altresì chiaro che, oltre un certo limite, mostrare non è più utile, anzi rischia di rallentare inutilmente la narrazione. Diverso è quando lo show non solo rende la scena più vivida, ma anche aggiunge informazioni.
Esempio: Marina era bellissima e tutti i ragazzi le andavano dietro. Quando entrava in una stanza tutti rimanevano incantati a guardare.
Esempio: Marina entrò nella stanza e le teste si girarono verso di lei. Cadde il silenzio, interrotto solo da un rumore di vetri infranti: il Commendator Rossi, che la fissava con la bocca socchiusa, aveva lasciato cadere il bicchiere sul pavimento.
(questi esempi, molto più efficai, sono di @Swetty)

Show e tell, allora, dovrebbero essere dosati, considerando che le regole servono a chi scrive, per capire come far arrivare il messaggio al lettore o per capire perché il messaggio non è arrivato.

Se vi approcciate alla scrittura creativa, fate attenzione a quanto "show” e quanto “tell” usate. Lo show immerge il lettore nella vicenda, il tell tende a mettere un certo distacco. Più una scena è raccontata, più è difficile renderla interessante, mentre leggere scene mostrate è generalmente più facile e scorrevole.

Generalmente, eh? Il passaggio che segue secondo me è tell (ma non solo secondo me): non possiamo essere tutti Steinbeck. Anche se nessuno ci vieta di provare.

Ogni sera si creava un mondo, si fondavano amicizie, sorgevano ostilità; un mondo fatto di animosi e vigliacchi, umili e superbi, buoni e cattivi; e ogni mattina quel mondo veniva smontato, come un circo.
A tutta prima, la presa di contatto tra sconosciuti generava un certo imbarazzo; le parole erano poche e non si facevano sentire se non dopo accurata riflessione da parte di chi doveva proferirle; ma a poco a poco ognuno acquistava la tecnica della costruzione di una comunità. E i capi non tardavano a venire in evidenza, e si formulavano leggi, entravano in vigore codici. E man mano che questi piccoli mondi di saltimbanchi procedevano verso occidente, le loro attrezzature andavano sempre migliorando, perché i singoli acquistavano ogni giorno un più alto grado di esperienza.
Così le famiglie imparavano gradatamente quali fossero i diritti che esigevano rispetto: il diritto di riservatezza d'ogni singola tenda, il diritto di tener celato in cuore il fosco passato, il diritto di ascoltare e di parlare, il diritto di rifiutare o di accettare aiuto, il diritto maschile di corteggiare e quello femminile di farsi corteggiare, il diritto d'avere appetito e di soddisfarlo; e imparavano, soprattutto, che i diritti delle donne incinte e delle persone ammalate trascendevano tutti gli altri diritti.
E imparavano ancora, senza che nessuno glielo insegnasse, quali fossero i diritti mostruosi che occorreva calpestare: il diritto di ingerirsi nelle cose private del vicino, il diritto di schiamazzare di notte, il diritto di sedurre e di fornicare, il diritto di rubare o di assassinare. Tutti cotesti diritti non erano riconosciuti, perché evidentemente il loro esercizio avrebbe impedito ai piccoli mondi di esistere per la sola durata d'una notte.

J. Steinbeck, Furore, Bombiani Editore, 1979.

*Discussione recuperata da un topic del WD
Qui ci dedichiamo alla ricerca della verità, non dei fatti. Se vi interessano i fatti, il dipartimento di storia è al terzo piano.
(semicit.)

Re: Mostrare e raccontare*

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Posso dire alcune cosette sullo Show Don't Tell? Ci rifletto da tempo, ma non sono arrivato a una conclusione. Comunque se dico qui cavolate, fatemelo notare, anche senza argomentare: un "dysk, smettila di sparare sempre cavolate su CdM. Cuccia!" mi va benissimo :)

Secondo me, esistono due accezioni di SdT: una generale e una particolare.
Di quella particolare se ne può discutere, e infatti se ne discute anche sopra :)
Quella generale invece non è discutibile, è indubitabilmente vera e presente. Discuterla sarebbe come voler affermare che il sole è freddo, che l'acqua non bagna, che la pasta all'Amatriciana è più buona con la porchetta di Ariccia, che la Terra è piatta (questa si sente spesso ;) ), ecc… È strettamente legata al concetto stesso di letteratura (sono sicuro che si può dire meglio, ma adesso non mi viene niente in mente ;) ).
Faccio un esempio non esaustivo: la Divina Commedia. La versione senza SdT potrebbe suonare così:
Un tizio di Firenze si fa un giretto nell'aldilà e poi ritorna alle sue attività quotidiane.
La versione con lo SdT è invece… il capolavoro che conoscete. La bellezza della letteratura sta proprio nello SdT.

Inoltre, per me, non esiste lo SdT come dimensione discreta: lo scrivere non è come la lampadina che si accende e si spegne e basta, tertium non datur e buonanotte ai suonatori. No, il tertium è datur, eccome! Visualizzo lo scrittore mentre scrive come uno che ha in mano la manopola del volume di un vecchio televisore e può decidere quando alzare il volume e quando abbassarlo, passandolo da 60 a 30 o da 20 a 80. Poi magari a un lettore il testo non piace perché è troppo alto di volume ("mi stanno scoppiando le orecchie, basta, lo spengo"); a uno sordo invece piacciono le parti sopra 65 perché non sente le cose a 43, e via dicendo. Ognuno ha la sua sensibilità.

Poi volevo aggiungere un'altra cosa, ma due secondi fa l'ho dimenticata. Spero di ricordarla entro la sera :)
Segno di vecchiaia, purtroppo. Fra pochi giorni compio 43 anni e sono entrato in fissa. Secondo le neuroscienze, il declino cognitivo comincia a 25 anni, dunque io sono in pieno declino, e si vede quando dimentico le cose da scrivere. Tipo che mi dico tutto il giorno "dysk, su Google devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X, devi cercare X…", poi mi collego a Google e non mi ricordo più che caspitina dovevo cercare. :)
Il Sommo Misantropo

Re: Mostrare e raccontare*

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Una considerazione sull'applicazione dello show don't tell: mi pare che l'impiego estensivo di show condizioni la struttura dell'opera che si sta scrivendo, forzando ad una maggiore attenzione al dettaglio nel momento show e imponendo quindi di avere molte più scene. Si avranno quindi capitoli più brevi e/o una successione di sequenze che solo in parte possono essere facilmente raccordate da una frase tell, più spesso si tratterà di interruzioni brevi (una riga bianca) o più nette (cambio di capitolo con cambio di pagina).
In questo senso lo show don't tell inclina il romanzo verso un ritmo più sincopato che potrebbe non essere adattissimo a quanto desiderato dall'autore.

Chiaramente quanto sopra è tanto più vero quanto l'autore è inesperto (come sono io).

Re: Mostrare e raccontare*

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Un framework per lo Show Don't Tell - Parte 1

Premessa: Da una breve discussione in chat questa mattina, mi è venuta voglia di chiarire un po' l'argomento a me stesso riprendendo parti di articoli, discussioni e la tesi di un mio conoscente. Ogni riferimento a fatti, cose o persone è puramente voluto.

Sarà una cosa lunga. Se però non siete mai sazi di caratteri, in aggiunta a questo post potete leggervi l'articolo dell'università di Amburgo da cui molti concetti sono tratti, e persino rintracciare la bibliografia a fondo pagina e perdervi nei meandri della narratologia d'accademia.

In compenso alla lunghezza del post, per molti di voi qui l'80% di quello che scrivo sarà "roba già sentita" (o almeno spero). Andiamo a cominciare.

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Che vuol dire "show don't tell" e a che serve?

"Show don't tell" si riferisce a qualcuno che dice «Adriano era arrabbiato». Quello è Tell. Dovreste scrivere invece «Adriano strinse forte i pugni». Quindi "show don't tell" significa: lascia che il lettore capisca da solo quello che sta accadendo.

Facile no? Aspetta. No. Ho sbagliato.

"Show don't tell" si riferisce a quando un autore fa la sinossi di una serie di fatti, anziché esplorarli nel dettaglio. Quindi anziché scrivere «Fecero un viaggio in macchina e arrivarono a destinazione» dovete scrivere tutto quello di cui i personaggi fanno esperienza. Il sole che batte sul parabrezza, il caldo asfissiante per via del condizionatore rotto, il cinguettio degli uccelli. Quindi "show don't tell" significa: fai che i tuoi lettori si sentano sul posto assieme ai personaggi.

Hmm, no scusate. Ho sbagliato di nuovo.

Il "Tell" è una buona tecnica per quando hai bisogno di essere pratico, sbrigativo. Così non devi star lì a menarla con gli uccellini, il colore dei fili d'erba o le previsioni del meteo. Puoi riassumere, che è una cosa bella. Lo "Show" va bene eh, ma se fai tutto il libro così ti viene fuori la Divina Commedia. Quindi show don't tell è un fatto di brevità.

Aspè aspè. No. Giuro che ci riesco.

"Show don't tell" è la teoria secondo la quale la scrittura migliora quando i tratti fondamentali dei personaggi sono mostrati con azioni anziché descritti. Quindi si tratta di dimostrare gli aspetti del tuo personaggio senza narrarli al lettore.

No no no. Dai Ton, impegnati. Questa è quella buona.

“Show don’t tell” è quando il narratore da informazioni al lettore, cosa non concessa perché il narratore onnisciente è finito nella tomba assieme a Dickens, lo sanno tutti. Quindi show don’t tell significa limitarsi alla prima persona narrante, o al massimo la terza limitata.

Non ne potete più eh? Neanch’io. E questo è solo un assaggio di come mi sento io ogni volta che leggo una definizione di “show don’t tell” in giro.

È tutto così confuso. Ha a che fare con l’intimità o con la distanza? Con i dettagli o con la sintesi? Ha a che fare col narratore e con cosa sta narrando? O invece ha a che fare con i personaggi e il mostrare le loro caratteristiche?

Come diceva mia nonna quando le chiedevo cosa mettesse nel ragù:
«Un po’ di questo, un po’ di quello.»
«Sì nonna, ma questo o quello?»
«A volte uno a volte l’altro. A volte niente proprio.»
«Puoi essere più precisa per favore?»
«Uè, pigghiateve a ‘stu piccirillo!»

Da scrittori, o aspiranti tali, abbiamo più o meno tutti un’idea, un senso vago di quando qualcosa non funziona. Se un lettore ci dice «Questo è Tell, devi Mo-stra-re!» con lo stesso tono di Hermione quando corregge «Leviosa, non Le-vio-sà», più o meno lo capiamo (e odiamo quel lettore profondamente). Ma qualcosina correggiamo. Più o meno. A spanne.

Ecco la mia teoria: lo show don’t tell è una schifezza superflua, incoerente e sbagliata. Vediamo di fare di meglio. Non sarà la Teoria delle teorie. Non raggiungerò la Singolarità. Ma forse ogni tanto può essere utile ragionare sulle fondamenta prima di tirar su la baracca.

Per prima cosa però, per correttezza, farò l’avvocato del Diavolo e tenterò di giustificare in qualche modo lo show don’t tell e quanto di buono ha.

——

A che serve lo show don’t tell? Ma poi, serve?

Lo Show Don’t Tell è un’ottima tecnica per chi si approccia alla scrittura e ama i propri personaggi. Per chi vuole che il lettore si identifichi con loro, che li conosca; ma che non ha ancora gli strumenti per farlo. Tutto qua. È una trappola in cui anche gli autori famosi e pubblicati come Marezia cadono, ma noi non ce ne accorgiamo perché vengono beccati e corretti prima della pubblicazione.

Aiuta quando una descrizione è tipo «Era così felice! Non era mai stata felice come in quel momento.» E aiuta quando il carattere di un personaggio è descritto come «Una brava ragazza. Una persona normale. Ma avere un mostro in casa la fa sentire una codarda.»

A nessuno piace leggere roba simile, a meno che non sia un’art piece d’avanguardia (o narrato da un bambino molto molto stupido, forse). Quindi fa comodo a tutti avere una catch phrase da tirare addosso al pivello scrittore e dirgli «Oh, devi Showare di più e Tellare di meno zio.»

Ma a nessuno di voi è mai capitato di leggere un passaggio meraviglioso, inventivo e immersivo, che era chiaramente un Tell? Non vi viene quel brivido di adrenalina tipo «Aaah, stai facendo qualcosa di illegale caro il mio Nabokov. Ma quanto la fai bene aaaah.» E muggiti vari, e poi leggi il tuo manoscritto tutto Show perché sei stato un bravo scolaro… e nessuno si arrapa sul tuo racconto. Nessuno dichiara di essersi sentito trasportato in un altro mondo. Nessuno rimane imbambolato tipo io davanti a una mammella soda. Nessuno che dica a Ton «Ma quanto lo fai bene aaaah.»

Forse forse c’è qualcosa di più nella prosa (che è una parola sempre meno utilizzata, quasi fosse blasfema), che la differenza tra Mostrare e Raccontare?

——

Gli scrittori ce l’hanno col Tell perché li picchiava da bambini

Ho fatto questo esempio un mucchio di volte, quindi la faccio breve

Perché quando si spiega la differenza tra Show e Tell, si fanno sempre questo tipo di esempi?
«Sono così felice!» disse @mercy zompando qua e là. «Adorabile!» disse @mercy accarezzandole il volto.
Il commentatore esperto (de che?) dirà subito che il primo esempio è Tell, il secondo Show. «Mammanco pe’ niente», dico io. Gli esempi sopra sono identici e hanno entrambi dei problemi. Molti scrittori allora, presi dal panico, infarciscono lo Show di arzigogoli per renderlo più drammatico.
«Ti odio!» disse @Niko , le sue dita nugoli di ferro attorcigliati come una serpe stretta al collo di Ton.
Il problema di cui quasi nessuno parla mai, è che gli scrittori non “drammatizzano” il Tell. Lo rendono noioso. Perché sono piccoli esseri viscidi e pieni di pregiudizi. E perché vogliono sentirsi accettati dai propri compari di scribacchieria.

Così facendo, si trasforma il Tell nel classico capo respiratorio (o giù di lì) così lo si può rimuovere, mentre si migliora l’esempio dello Show per renderlo vincente nella comparazione. Ma quando leggiamo il libro di qualcuno che ammiriamo, non troviamo mai cose tipo “disse arrabbiato” no? Non vale forse la pena di interrogarsi sul cosa rende un Tell un buon Tell?

Facciamo un prova, e applichiamo lo stesso principio che sopra abbiamo usato per lo Show, al Tell. Per dire, non sarà perfetto, ma almeno diamo a entrambi le stesse opportunità prima di giudicare.

«Ti odio!». @Niko con la sua barbetta incolta si ergeva come un tirannico Topo Gigio, e quel che è peggio, lo diceva con l’enfasi di una battuta da soap sudamericana. Mi faceva tenerezza. Non volevo ridergli in faccia, ma mi trattenevo a stento.

Forse non è al 100% Tell, è più un ibrido, ma almeno va oltre il “disse arrabbiato”. La cosa principale è che le informazioni sono riportate, e ci vengono riferite in maniera concettuale, non attraverso i sensi (che cavolo è “l’enfasi da soap sudamericana” alla fine?).

Ecco una nuova tesi (lo so, fa ridere detto da me): non siate pigri. Che voi vi basiate sull’Emozione o sul Cervello (come li chiama Palahniuk), o su entrambi, metteteceli. Non fate come il vecchio avaro che conta gli spicci alla cassa in salumeria. Fate come il salumiere al banco che quando gli chiedete
«Due etti, per favore»
risponde «Sono tre chili. Che faccio, lascio?»
Lasciate. Lasciate su carta, porca di quella miseria.

Prima di esporre la Teoria delle Teorie, facciamo a pezzi questa

Ok, lo ammetto. C’è un sacco di roba utile nello show don’t tell. Vediamo di “spacchettare” come dice il buon vecchio Chuck (non ce l’ho con lui, ma ho appena finito un suo corso quindi lo cito abbestia).

Idee fantastiche e dove trovarle:

Siamo tutti d’accordo che quando scriviamo è bene sapere se una cosa è meglio scriverla riassunta o farne una scena? Bene. In generale, se il lettore deve “sentirla”, sentirne l’emozione, serve una scena. Se è qualcosa che devono “sapere” ma non sentire, si può riassumerla. Con questa impostazione, è perfettamente possibile riuscire a raccontare una storia al 100% riassunta o al 100% sfruttando solo scene, e saltando i dettagli “irrilevanti”. Ad esempio se si organizza un viaggio da Londra a Parigi alla fine del Capitolo 3, all’inizio del Capitolo 4 si può già stare con la testa sotto la torre Eiffel.

Si ok ma quando una cosa dev’essere riassunto e quando scena?

Andandomene per un’idea, qualche consiglio scontato:

- I punti fondamentali della trama DEVONO essere scene. Non importa che struttura, forma o schemino abbiate messo su.

- Gli aspetti caratteriali fondamentali di un personaggio DEVONO essere scene. Soprattutto se il personaggio attraversa una fase di crescita o mutamento. Almeno una scena prima il cambiamento, almeno una durante e almeno una dopo, e almeno una giunti a destinazione (atto compiuto).

- Connettere le scene, andare da A a B può essere riassunto

- Le informazioni di contesto si possono riassumere, ma fate attenzione che più cose dite più l’impatto delle scene dopo diminuisce, più o meno. Pagine e pagine di riassunto fanno venire il latte alle ginocchia pure a Proust.

- Se è in tema con lo stile narrativo, qualsiasi cosa è permessa. QUALSIASI.

- Costruttori di Mondi, a me! Tutto ciò che ha a che fare con l’argomento e che sarà ATTIVAMENTE parte del racconto, è meglio metterlo in scena piuttosto che in una descrizione o un dialogo. Se è solo per far sentire il caldo sul collo a chi cavalca, si può pure riassumere.

Notare che da un po’ non sto più parlando di show don’t tell ma di pezzi, di blocchi di testo. Di forma, non di contenuto. Se dovessi scegliere tra un romanzo in cui si “dice” tramite la prosa, e uno in cui si “dice” tramite la struttura narrativa, sceglierei sempre quest’ultimo. Non mi interessa se il personaggio dice le cose “con rabbia” tanto quanto mi interessa che il sui tratto centrale venga mostrato tramite azione.

Idee fantastiche e dove trovarle - La vendetta del pigro

- Le cose principali per i personaggi o la trama vanno mostrate in scena
- Alla gente piace fare 2+2=4 (se fa 5 è un romanzo d’avanguardia)
- Alla gente piacciono i dettagli sensoriali per immergersi nella storia. Leggere una scena e passare attraverso tanti dettagli sensoriali, è un modo importante per aiutare il lettore a immergersi nella storia. È una delle idee fondamentali dietro lo “show”. Quando una storia è “Detta” troppo nell’astratto, il lettore inizia a lasciare lo spazio immaginativo della storia per passare a quello di attenzione attiva che abbassa di molto la sua abilità ricettiva-emotivva (c’è pure qualche ricerca psicologica in merito, roba scientifica mica caccole).

Non fate confusione tra i tre punti, che non c’ho voglia di approfondire oggi.

——

Qui termina la prima parte. Lo so, lo so. Non tanto utile fino ad ora, vero? E poi ho scritto che VOI non dovete essere pigri, mica io.

Nel prossimo numero di “A squola con Ton”:
I POV: ce li butteremo dentro?
Qualcosa di utile: riusciremo a tirarla fuori?
Albano e Romina: sono tornati insieme?

In regalo con il prossimo numero: la guida pratica con consigli precisi per usare lo show don't tell. Solo di Giovedì. Su ordinazione. Fino a esaurimento scorte o dell’autore.

Re: Mostrare e raccontare*

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@Ton Come sempre sei riuscito a incasinare qualcosa di già incasinato. :asd:
Battute a parte, a mio parere il post centra il punto. Io, forse in modo semplicistico, penso che nel complesso debba vincere la drammatizzazione sulla "sinossi". E non di misura, dev'essere una vittoria schiacciante. Per me non è una trappola, anzi, è la ricetta per un risultato che come lettore mi soddisfa. Il segreto di un'applicazione sensata della massima "show don't tell" è quello che hai individuato tu, ossia assegnare a ciascun passaggio il suo ruolo, e quindi, ruoli alla mano, realizzare i vari passaggi con la tecnica che meglio si adatta. La ragione per cui ritengo che nel bilancio complessivo sia preferibile che vinca la drammatizzazione si può estrapolare anche dal tuo discorso: un romanzo è bene che si componga soprattutto di momenti importanti per la storia, quelli che vale la pena di portare in scena (di drammatizzare); coesisteranno con altri passaggi meno cruciali, raccordi che è bene realizzare tramite riassunti (attenzione: sempre scritti in forma narrativa, non come sinossi), ma vien da sé che questi ultimi non possano essere la maggior parte.

Esistono delle eccezioni in cui il romanzo è raccontato dall'inizio alla fine (o quasi), ma lì ho notato che entrano in gioco fattori ulteriori, prima fra tutte una voce imponente e irresistibile dell'autore.

Re: Mostrare e raccontare*

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Un framework per lo Show Don't Tell - Parte 2: Ton subisce ancora

Nella prima parte di questa serie sullo Show Don’t Tell e perché fa così schifo che persino per Cerusico è troppo, abbiamo esplorato il bisogno di dare più attenzione e pari opportunità alla parte Tell. Parlandone in chat con un po’ di gente, ho capito che nessuno di voi caproni ha colto il punto del mio discorso. Quindi adesso vi beccate una seconda parte ancora più lunga e complessa, perché farei qualsiasi cosa pur di non lavorare.

——

Una passeggiata nei boschi narrativi
Complichiamoci la vita, vi va? Se andiamo a leggere su wikipedia la pagina per lo Show Don’t Tell (quella in inglese perché si), c’è una lista di cose che vengono date a definizione dello “show”: “il lettore sperimenta la storia attraverso le azioni, le parole, i pensieri, le sensazioni e le emozioni”.

Mi soffermo solo su una: i pensieri. Riprendendo l’esempio che ho fatto ieri
«Sono così felice!» disse mercy felicemente.

Facciamo un giochino scemo. Diciamo che l’avverbio “felicemente” è stato messo lì da un narratore inaffidabile. Diciamo che in questa storia il narratore ha colorato il mondo intorno a se con dei toni molto drammatici, esagerando le emozioni. Insomma, non è un tipo affidabile.
Se il lettore ha abbastanza spazio per riuscire a capire che quel “felicemente” è il pensiero del narratore e non un’informazione oggettiva… eh beh, tecnicamente questo si chiama “show”.
Se ci fosse un po’ di esposizione attraverso i ricordi del protagonista… eh beh, tecnicamente anche questo si chiama “show”.
Se il narratore dice “Era una persona coccolosa e amorevole” ed è palese che questo è il pensiero del narratore, solo la sua opinione… eh beh, tecnicamente qua il narratore sta “mostrando” qualcosa al lettore. E no, non è solo una pippa semantica. Quanto c’è di diverso tra questa modalità, e la stessa cosa riportata da un narratore onnisciente? Cambia qualcosa se la persona “coccolosa e amorevole” compie azioni crudeli ed egoistiche? Significa che un narratore inaffidabile o malintenzionato si può permettere qualsiasi cosa?

Questo non per dire che l’esempio usato sia buono o meno o che possa funzionare. Sto solo cercando di arrivare a una domanda a cui non ho ancora risposta… i pensieri del POV si definiscono Tell quando danno informazioni al lettore e Show quando non ne danno? O sono sempre Show per definizione?

Boh, andiamo avanti.

——

Rimettiamo insieme i cocci

Non avete capito che qui si fa la storia. Questa è una nuova Teoria. E ogni teoria che si rispetti è perlomeno un pochettino incomprensibile, piena di domande e di incertezze. Se lo “Show Don’t Tell” è una regola tanto sacra e fondamentale, allora come mai non spiega perché è possibile avere un Tell piacevole da leggere, utile ai fini narrativi, e superiore alla funzione Show? Allora perché non è chiaro a nessuno una volta per tutte cosa significhi “Show” e cosa “Tell” a tal punto che ognuno è libero di farsi la propria idea, persino un pirla come me? Che ce ne facciamo di quegli autori la cui voce narrativa è talmente forte, e le loro storie talmente belle, che a nessuno frega una ceppa il fatto che siano per lo più Dicendo, dando informazioni al lettore?

AAAAAAAAAAAH.

Per me, una Teoria degna di questo nome deve riuscire a catturare allo stesso modo quando uno Show è corretto, quando è sbagliato, quando un Tell è corretto e quando è sbagliato. Alla fine proverò a sintetizzare il tutto in un paio di righe. Non sarà la Teoria del Tutto, ma almeno sarà meglio di sta schifezza che ci propinano nei corsi di scrittura creativa, che diamine. Perlomeno, sostituirà le sette (SETTE) teorie attualmente considerate valide dagli studiosi di narrativa riguardo lo Show Don’t Tell.

Tutto quello che si scrive in una storia si può ridurre a questo: dare informazioni al lettore. La prima cosa che si sceglie è il modo in cui tali informazioni sono presentate. Il modo di presentazione ce lo possiamo immaginare come un punto che si muove su una retta che va dal punto S di scena al punto R di riassunto.

Una frase tipo «È stata una bella festa» è considerata Riassunto al 100%, e di solito non raggiunge il proprio scopo di comunicare al lettore. Poi magari avete una scena in cui il personaggio cammina attraverso un mucchio di gente ad una festa: ci sono dialoghi, emozioni e proviamo quello che prova lui in ogni momento senza perderci un colpo.

Ma leggiamo un Riassunto, un Tell tratto da libri di gente che scrive meglio di me. Di poco meglio eh. Però che so, vediamo Il Grande Gatsby (uno a caso, potrei farne un centinaio). Due cose da appuntare qui nello specifico: innanzitutto questo non è proprio del tutto un Riassunto. Diciamo al 90%. E poi è narrato da un narratore in prima persona che ripensa a cose di parecchi anni prima, quindi abbiamo un contesto preciso sul perché è una scelta azzeccata per la storia. Eccolo qua:
“Nei suoi giardini blu, uomini e donne andavano e venivano, come falene, tra i pettegolezzi, lo champagne e le stelle … Gli ultimi bagnanti sono rientrati dalla spiaggia e ora si vestono al piano di sopra; le auto provenienti da New York sono state parcheggiate su cinque file, lungo il viale … vassoi fluttuanti, ricolmi di cocktail, invadono il giardino … Le luci si fanno via via più luminose mentre la terra, barcollando, si allontana dal sole; ora l’orchestra sta suonando della musica dorata da cocktail e il coro delle voci raggiunge un tono più alto.”
Chiaramente un Tell. Eppure l’ho trovato citato in tre, TRE manuali di scrittura anche abbastanza famosi come esempio di Show. Mi fa un po’ strano: è palese che non stia avvenendo momento per momento. Non ci sono emozioni ed il passaggio di tempo è palese, è riferito e non “sperimentato” dal lettore. È immerso? Hai voglia. Immersivo e vivido direi. Il narratore è vicino o distante dagli eventi? Beh anche se da un sacco di informazioni sembra un po’ distaccato. Alla fine Nick sta parlando di un party di tanti anni fa. Potete chiamarlo come volete ma di sicuro questo non è “show”. Come cavolo può “la terra, barcollando, si allontana dal sole” essere show?? In quale schifo di universo “nei suoi giardini blu uomini e donne andavano e venivano” NON è un Riassunto?

Al massimo posso concedervi un “È un po’ scena un po’ riassunto dai”. Giusto perché il passaggio del tempo narrato è più veloce di quello reale ma ci sono abbastanza dettagli specifici da rendere un’immagine vivida degli eventi. Per questo credo che “scena vs riassunto”, “show vs tell” non è un gioco binario. Non sono rette parallele, è una sola retta con un puntino sopra che va da sinistra a destra. Devo farvi il disegnino? Ma non è neanche corretto alzare gli occhi al cielo e dire “Oh senti fai come ti pare. Mostra se vuoi mostrare e Racconta se vuoi raccontare”. La pigliamo tutti seriamente questa roba della scrittura, no? Per di più sarebbe come dire “Oh senti fai come ti pare. Sblingola se vuoi sblingolare, Mufagghia se vuoi mufagghiare”. Se non si definisce il senso delle parole, beh, non hanno senso no?

Torniamo al modo in cui lo scrittore vuole dare l’informazione. Una volta deciso quello, bisogna decidere il livello di dettagli e quando “coinvolgenti” essi debbano essere, e in fine cosa lasciare di non detto al lettore da decodificare (potete Mostrare così che non debba pensare, e Dire in un modo che gli bruci tutti i neuroni)..
In vita mia ho letto un mucchio mentre avrei dovuto lavorare. Ho letto un sacco di roba “show” che non necessitava di nessun lavoro di decodifica da parte del lettore e non era per nulla coinvolgente. Ho letto passaggi di Tell che mi hanno coinvolto in un mondo netto, chiaro e vivido e mi hanno trasportato lì con il personaggio.
Ho letto libri comici piene di scene “mostrate” che non m’hanno fatto ridere per niente. Prendete Pratchett o Douglas Adams invece: i passaggi migliori in assoluto sono sempre quelli in cui il narratore Dice qualcosa al lettore. Perché?
Perché il coinvolgimento è importante, ma non è tutto. I Riassunti e le Esposizioni dei narratori a cui siamo abituati sono spesso noiose, ma non sta scritto da nessuna parte che devono esserlo.

Mostrare qualcosa al lettore non la rende valida. Dire qualcosa al lettore non la rende sbagliata. Quindi c’è qualche altra quadra che non cosa qua.
Cosa? Tanto per cominciare che non conta il modo in cui scegli di dare l’informazione (show o tell), conta molto di più che l’informazione che dai sia un blocco, un piccolo pezzettino di LEGO per costruire qualcosa di più grande
Come dicevo l’altro giorno, ci deve essere sempre qualcosa che porti 2+2 a fare 4. Anche se alla fine glie lo state dicendo direttamente che 2+2 fa 4. Prima c’è bisogno degli 1 1 1 1 . Certo funziona meglio se poi dopo siete in grado di dirgli “Bravo! E 4+4 = ?”. O in altre parole: che significa 4? Cosa ci faccio con quell’informazione una volta che l’ho ottenuta? Cosa posso dedurre dalle cose che mi sono state Dette?
Pensiamo a tutti i passaggi di “show” che ci lasciano quel qualcosa in più. Di solito attraverso le informazioni sensoriali: qualche dettagli ambientale, le azioni, il linguaggio del corpo del personaggio, e il riportare le sensazioni interne dal POV del protagonista.

Ora leggiamo questo passaggio di “Tell” che lavora come un mattonino per costruire qualcosa di più grande. Tratto da “Lo straniero” di Camus:
“La donna continuava a piangere. Ero molto stupito perché non la conoscevo. Avrei voluto non sentirla più. Ma non osavo dirglielo … ho capito che alcuni di quei vecchi si succhiavano l’interno delle guance e si lasciavano sfuggire quegli strani schiocchi. Erano così assorti nei propri pensieri da non accorgersene. Avevo addirittura l’impressione che quella morta, sdraiata lì in mezzo, non significasse niente per loro. Ma ora penso che fosse un’impressione sbagliata.”
Due cose sono chiare: questo passaggio è assolutamente, indiscutibilmente Tell. Il protagonista non stringe i pugni con frustrazione o li agita contro di loro, ci Dice che è frustrato. Non si mette le mani sulle orecchie per non sentire la signora piangere, ci Dice che preferirebbe non sentirla. La scena si svolge dal POV della mente del protagonista e non funzionerebbe mai con uno Show dove lo scrittore è costretto a mostrarci solo i dettagli sensoriali ed esterni al lettore.

Ma la cosa principale è questa: messe insieme, queste osservazioni ed esperienze Dette dipingono un immagine elegante e d’impatto. Questo narratore è un tipo strano: si lamenta di una donna che piange al funerale di sua madre, e poi pensa tra se e se che a questa gente “non importi nulla del morto”. Il suo carattere è espresso in maniera vivida senza alcun pugno serrato o vena gonfia sul collo o qualsiasi altra cavolata da Show. Immagino l’orrore che Camus proverebbe a pubblicare quel passaggio su un forum di scrittura oggi e sentirsi rispondere “È TERRIBILE PERCHÈ STAI RACCONTAAAANDO. Mostraci come si sente Mersault dentro di se, facci entrare nella staaaanza. Più dettagli sensoriali! Dov’è il linguaggio del corpo? Non ci dire tutti questi pensieri, sono noiooooosi.”

Quando le cose sono fatte per bene, lo Show e il Tell hanno molto più in comune che non. Ci può essere coinvolgimento con il Tell, e ci può essere una forma di Tell che lascia qualcosa al lettore.

Chiudo il secondo numero di “A squola con Ton” con esempi di cose che di solito sono vere per ENTRAMBI show e tell:

- I dettagli aiutano ad immergersi. Possono essere esterni e sensoriali, o pensieri interni
- Assieme, questi dettagli devono costruire qualcosa di più della somma delle proprie parti. 2+2=? e 4+4=?
- Qualsiasi cosa scrivi, dev’essere vera. Vera per la scena, per il narratore, per la storia e per la vita. È una super generalizzazione ma il 99% delle volte almeno uno di questi punti ce lo scordiamo per strada.
- Il tempo in una struttura narrativa è malleabile. Può andare avanti momento per momento, riassunto in parti, o totalmente saltato.

Alla prossima con (spero) la parte finale.

@Adriano Strinati leggi e acculturisciti va :D

Re: Mostrare e raccontare*

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Credo possa aiutarci provare a distinguere tra show vs tell in senso di costruzione del testo (sintassi, scelta dei vocaboli, ritmo) e racconto vs immersione in termini di effetto narrativo sul lettore.
  • Tell = esiste un inevitabile distacco dall’azione narrata, non (necessariamente) in senso emotivo quanto spazio/temporale: l’autore può rallentare/velocizzare l’azione, saltare da un momento all’altro, comporre la scena (se vuole) in maniera più indipendente dal POV di quanto costretto in caso di Show. Ammette l’astrazione e l’uso di termini sintetici/riassuntivi. Lascia ampio spazio all’impiego di metafore ed allegorie. Permette l’abbattimento della “quarta parete” e il richiamo diretto al lettore. Favorisce l’impiego del tempo passato.
  • Show = eliminazione per quanto possibile di tutte le forme verbali di metanarrazione (es. verbi di pensiero), dei riferimenti temporali sia come componenti della frase (poi, in seguito) che come blocchi narrativi (no flashforward, poca analessi). Forte ricorso a dettagli vividi e ad azioni esemplari al posto di termini più astratti e riassuntivi (no “aveva una cotta per me”, sì “la trovavo ogni mattina accanto al portone della scuola, attenta a trovare il tempo per salutarmi; ogni giorno, a prescindere dal mio orario di arrivo, lei era lì”). Forte unità di tempo e luogo all’interno di ogni scena (l’azione si svolge “qui ed ora”). Scelte sintattiche connesse al modo di pensare del POV (ammessi gli anacoluti, i cambi verbali, le domande retoriche se il personaggio le pone a se stesso/a) ma la prosa troppo “pulita” e letteraria è poco raccomandata (crea distacco: la gente non pensa in quel modo, non vive in quel modo, piuttosto rielabora così le proprie esperienze). Le divagazioni sono ammesse ma solo nella misura (di frequenza e durata) in cui il personaggio può permettersi di staccarsi dalla realtà e perdersi nei propri pensieri (viaggio noioso in bus  sì divagazioni; partita di calcio  zero divagazioni, non siamo in Holly e Benji). Favorisce l’uso del tempo presente.
  • Racconto = ha il fine principale di illustrare al lettore lo svolgersi delle cose, si tratti di azioni fisiche o di percezioni dei protagonisti. E’ lo spazio dell’oggettività, e infatti apre la possibilità narrativa di imporre al lettore un narratore volontariamente bugiardo. E’ lo spazio in cui la voce autoriale emerge come partecipante attiva alla costruzione del testo (i ragionamenti non sono necessariamente di un personaggio ma dell’autore, cfr. Saramago) e può “dar di gomito” al lettore (cfr. J.K.Jerome).
  • Immersione = ha il fine principale di trasmettere la vibrazione che emerge, dentro uno specifico personaggio, al verificarsi di determinate condizioni (accadimenti fisici o evoluzioni del pensiero). Impone la selezione dei soli dettagli rilevanti per il POV (il proprietario di un’auto noterà una cacca di piccione sul parabrezza, un passeggero saltuario noterà il ciondolo appeso al retrovisore, non viceversa – a meno che la cacca non sia di gabbiano) utili a trasferire l’atmosfera percepita dal protagonista. E’ sempre sincera, perché esprime l’interiorità del personaggio (che è però liberissimo di interpretare la realtà dei fatti in modo fallace).
Abbiamo quindi una matrice 2x2 di possibili combinazioni:
  • Tell + Racconto = combinazione molto usata in passato, utile in alcuni momenti per fare worldbuilding e dare poi spazio ad altre modalità narrative (a memoria, è così nell’incipit de Il Vecchio e il Mare)
  • Tell + Immersione = credo sia la combinazione più frequente, quella de Il Grande Gatsby citato poco sopra da @Ton )
  • Show + Immersione = è l’adesione totale al mondo di un protagonista, perfetta per rendere momenti di grande pathos e per creare stacchi (picchi) nel ritmo della narrazione
  • Show + Racconto = per questa combinazione riesco solo ad immaginarmi una sorta di cronaca dei fatti vista dall’interno di un POV con qualche problema di dissociazione mentale. Penso ad alcune parti di American Psycho, ad esempio.
Per ogni mattoncino (cit. @Ton ) lo scrittore dovrà scegliere la combinazione più azzeccata, sforzandosi di non saltare troppo spesso dall’una all’altra per non nauseare il lettore.

Re: Mostrare e raccontare*

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Credo che lo show don't tell, come molti altri concetti del creative writing anglosassone (e io considererei comunque che è pensato per una lingua diversa dalla nostra), sia uno strumento e non una vera e propria regola.
Le regole per me sono quelle che rendono comprensibile il codice condiviso: grammatica, sintassi, punteggiatura. Alterandole in modo arbitrario si avrebbe un testo impossibile da capire.
Il resto lo considero un binario con un numero infinito di scambi: ognuno sceglie dove stare. Chiaro che una regoletta come l'"as you know, Bob" è utile, soprattutto se si è alle prime armi. Però non ne farei dei dogmi intoccabili, come spesso vedo fare.
Le cose è sempre bene conoscerle e approfondirle, ma senza farle diventare dei macigni attaccati alla caviglia.

Re: Mostrare e raccontare*

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Mio padre era stato lì lì per comperare uno scudiscio.
Che sfiga! Una sorella così non la auguro a nessuno: Fraudolente ha fatto questo, Fraudolente si mette le dita nel naso, Fraudolente ha mangiato un mestolo di ragù, e via così. Porca paletta, se scotta il ragù!
Adesso, i miei libri fanno schifo.
È vero, sono uno scribacchino, una mezza calzetta, un nullafacente che spreca il tempo davanti al computer.
Ma le critiche aiutano, soprattutto se scappa un complimento mascherato: “Hai fatto morire Tignaccio…”
Tignaccio è un personaggio storico, impalato nel XIII secolo, che lascia la trama, e le donzellette amorose che la leggono, a pochi capitoli dalla fine del romanzo.
Perdirindindina, allora lo ha letto!
Perché le è piaciuto Tignaccio?
Ho fatto ginnasio e liceo in collegio, dai Fratelli delle Scuole Cristiane, con altri figli di papà in fuga dal ’68.
I professori erano Fratelli o professori universitari in pensione: fatevi due conti sulle date di nascita.
Manzoni, Manzoni letto come svago durante interminabili pomeriggi in classe… Ero in quarta ginnasio, ma l’assistente non lo sapeva, e io fingevo di essere in quinta.
Passava tra i banchi e controllava: cazzo, leggo I promessi sposi!
Da bravo birro romagnolo, contrabbandavo anche le favole di Jean de La Fontaine, un volumetto in similpelle chiara con titoli ghirigorati in oro, equivocabile con le opere del Pascoli.
Con questa formazione e questi insegnanti, il Tell esce da solo dalla penna. Non dalla tastiera, troppo moderna. Alle elementari, dalle suore (e immaginate quanto sono pio!), avevamo ancora il calamaio.
Tell, accidenti a Guglielmo, sorge spontaneo ogni riga, anche se non vuoi, anche se provi a infilargli le frecce dove non batte il sole.
Ma la storia di Tignaccio è uscita da sola. Tignaccio è simpatico, Tignaccio è vivo anche da morto. E io non l’ho raccontato.
Persino mia sorella, tra le sigarette, i frizzantini, e le partite a tennis e a burraco, se ne è accorta. Lei non lo sa, ma se ne è accorta.
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