Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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Ti piace o non ti piace la narrativa infarcita di versi poetici? Mi riferisco ai testi di quegli autori che riempiono le pagine dei loro romanzi con termini arcaici, arzigogoli vari e milioni di aggettivi per sostantivo.

Isaak Babel diceva così: Un sostantivo ha bisogno di un solo aggettivo, il più adatto. Solo un genio può permettersi due aggettivi per un sostantivo.

E io storco il muso e chiudo il libro (a volte lo brucio) quando mi accorgo che l'autore si bea della propria scrittura. La notte era buia, terribile, inquieta, tombale, infausta, lugubre, ecc... Scusate, ma mi viene di andare al gabinetto di corsa quando leggo cose simili. E ne trovo tante. Forse si credono tutti dei geni.  O_-

Quando leggo, voglio concentrarmi soltanto sulla storia. Non devo accorgermi di avere davanti un foglio con delle parole scritte, non me ne frega nulla di vedere quanto è bravo l'autore. La vera bravura, secondo me, sta nello scomparire dalla storia. Se voglio la poesia, mi vado a comprare un libro di poesie. Se cerco narrativa, voglio annegare nelle vicende del personaggio, vivere le sue emozioni, le sensazioni, e scordarmi di tutto il resto.  :libro:

E tu invece? Che tipo di scrittura preferisci? :rolleyes:
Il pianeta dei Bipedi - Sabir Editore
Il genio raccomandato - Sága Edizioni
Pizze indemoniate e come mangiarle - Nero Press Edizioni

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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Ní.
Se l'autore è bravo, mi beo della sua scrittura assieme a lui (magari odiandolo, perché a me quella frase lì non verrebbe mai fuori così bene).

Nulla contro lo stile trasparente, che "scompare nella storia", ma è bello anche leggere autori con una loro voce, particolare e riconoscibile.

Esempio pratico:
"A quel punto lo straccivendolo alzò la testa e rise come soltanto un francese con sette denti e la coscienza zuppa di vino può ridere, con il verso che avrebbe fatto il suo asino se avesse fumato come un turco e avesse appena leccato il culo al diavolo per scacciare l'ultima traccia di sapore buono dalla lingua. Lo straccivendolo non era una canaglia, ma le canaglie gli invidiavano quella risata."

Questo è Christopher Moore e per me è una goduria da leggere.

Ovviamente, più spiccato è lo stile maggiore è il rischio di non piacere, ma de gustibus.

Semmai da lettore sento il bisogno di alternare. Dopo un romanzo più evocativo, più particolare, me ne serve uno più "liscio" per sciacquarmi la bocca. Tipo il sorbetto. :)
"Ubaldo Quattrocchi - Maestro per sbaglio" - Il Battello a Vapore (Piemme)
"Crea la tua Divina Commedia - L'Inferno" - Gallucci Editore

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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Preferisco uno stile scarno, in cui si usano solo le parole indispensabili per esprimere un concetto. Mi sforzo anche di scrivere in questo modo, e non sempre ci riesco. Gli aggettivi a volte servono, ma abbondare penso sia un errore. A volte mi viene il dubbio che l'autore, più che compiacersi di inutili ridondanze, cerchi il modo di riempire le pagine, a prescindere. 
Mario Izzi
Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni (trilogia)
Dea
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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@Ngannafoddi 
Condivido ciò che dice @Cheguevara, anche io preferisco uno stile scarno.
Melville, per scrivere il suo Moby Dick fece dei tentativi che non lo soddisfacevano, perché troppo "abbondanti" nella scrittura. Finché gli capitò in mano, casualmente, il diario di bordo di un capitano di una baleniera. Lesse i resoconti di quell'imbarcazione da pesca, di normali pescatori, e rimase incantato da come quel lupo di mare, che non era un letterato, sapesse rappresentare la navigazione e la vita di bordo con pochissime  essenziali parole dalle quali traspariva la vita, l'essenza dei pescatori, del loro lavoro, della fatica, delle privazioni, delle punizioni, della rotta, delle condizioni del mare... si sentiva la salsedine e il vento anche senza nominarli.
Ci mise un po' a tentare di impadronirsi di quello stile, penso che ci riuscì bene.

Di contro però do ragione anche a @GiD  su una scrittura diciamo più "ricca", che si dilunga.
Gli scrittori dell'Ottocento ne erano maestri; teniamo conto che all'epoca non esistevano i social e se descrivevi un luogo, ad esempio Mompracem di Salgari,  non ne sapevi niente  da prima e lo scrittore analizzava e mostrava tutto della giungla mentre ci passavano i pirati, dalle piante alle erbe, ai veleni, ai serpenti, alle tribù che ci vivevano, alle loro credenze... Certo bisogna essere capaci di farlo senza propinare mattoni e Salgari nel suo ciclo dei pirati e dei corsari fu senza dubbio un maestro. Quel tipo di libri non si possono sintetizzare con i criteri odierni.

Ho letto degli utili riassunti moderni dell'Iliade e dell'Odissea scritti in prosa, per agevolare nella lettura di vecchie traduzioni come ad esempio quelle di Monti e Pindemonte. Ripeto: sono utili ma non mi piacciono. Per di più gli autori moderni, asserendo di voler far risaltare i fatti umani, hanno completamente levato l'intervento degli dei, che "appesantiva", a sentire loro. Ma per me era invece molto interessante, tutt'al più bisognava leggere con più lentezza e far mente locale, cosa che per me non è una fatica in quanto ho letto fin da bambino, diverse volte, i due poemi e ho "assimilato" i vari interventi divini che riesco a inquadrare subito, senza incepparmi nella lettura.

Diciamo che ci possono essere diverse scuole di pensiero.
Una volta feci un esercizio di scrittura dove lo stesso tema doveva essere trattato in due modi diversi: Descrivi ciò che vedi mentre aspetti l'autobus.
Ci si può sbrigare in qualche riga, cosa c'è da dire infatti? O scrivere cartelle su cartelle. La mia "specialità" era descrivere tutto, anche le cicche e le gomme sull'asfalto che esalava odore di catrame dopo una pioggia estiva... e via di questo passo...
La scrittura è un'esperienza di vita esaltante, in tutti i suoi modi e concezioni.
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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Non confondiamo il "poetico" con il poetichese. Tutto ciò che è un orpello non è poetico, ma esattamente l'opposto: la poesia si fonda sulla riduzione della lingua alla sua pura essenza. Io sono a favore di uno stile "poetico" nella narrativa, ma con ciò non intendo l'abuso di aggettivi, né l'uso di parole arcaiche o ricercate, bensì una particolare attenzione alla ritmica, alle cadenze, alla sonorità e alla musicalità di alcune parole, pur semplici che siano. 

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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Il "troppo poetico" secondo me non esiste. Esiste lo stile barocco, ricercato e autocompiaciuto. Ho letto di recente l'incipit di un romanzo che parlava solo del vento, del caldo e dell'estate, per un paio di pagine, con frasi e immagini ricercate e elegantissime.  Arrivata alla fine non avevo ancora capito di che si parlava... A me ha fatto passare la voglia di leggerlo, ma molti recensori la pensano diversamente.
C'è una scuola di pensiero che punta all'essenzialità, e poi c'è la critica letteraria, secondo cui sei un vero autore solo se scrivi cose del genere.
Dipende sempre da quel che ci si aspetta da un romanzo. Se si amano le storie e i personaggi, tutto il resto è in più (a volte di troppo), ma alcuni amano soprattutto la ricercatezza stilistica. Una frase poetica può essere gradevole, ma se diventano eccessive io le trovo fastidiose. Un libro dove ogni cosa minima, come una foglia che cade, diventa un verso o una metafora filosofica finisce per stancarmi. Le foglie cadono, il sole tramonta, la gente muore, non si può fare di ogni cosa una questione stilistica, perché distrae dal contenuto reale, magari serio.
Problema che si accentua quando l'autore vuole prendere a protagonisti persone semplici: popolani, montanari. A me una ragazza non istruita che vede la natura in modo poetico e idilliaco suona subito falsa, non importa quanto sia bella la prosa. Dovrebbe adattarsi al punto di vista adottato, non alla bravura e alle preferenze dello scrittore.
Wanderer ha scritto: Io sono a favore di uno stile "poetico" nella narrativa, ma con ciò non intendo l'abuso di aggettivi, né l'uso di parole arcaiche o ricercate, bensì una particolare attenzione alla ritmica, alle cadenze, alla sonorità e alla musicalità di alcune parole, pur semplici che siano.
Ecco, su questo sono d'accordo. Si può inserire poesia in un romanzo senza che salti all'occhio. Non con sovrabbondanza di aggettivi o altri barocchismi vari, ma semplicemente dando alle frasi importanti una certa musicalità
Ci capita di non avere davvero la consapevolezza di quanto potere abbiamo, di quanto possiamo essere forti (A. Navalny)
Qualunque sia il tuo nome (HarperCollins)
La salvatrice di libri orfani (Alcheringa)
Il lato sbagliato del cielo (Arkadia)
Il tredicesimo segno (Words)

Re: Cosa ne pensi dei romanzi troppo "poetici"?

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massimopud ha scritto: Come è noto, esistono due soli modi di scrivere: bene oppure male. 
Si può scrivere benissimo o malissimo con uno stile scarno e benissimo o malissimo con uno stile ricco.
Il problema è la sovrabbondanza, nel mercato, di gente che non si rende conto di scrivere malissimo, a prescindere dallo stile, ma che viene incoraggiata a perseverare da chi ha interesse a vendere servizi collegati con l'editoria. In primis, la marea di scuole di scrittura.
Mario Izzi
Sopravvissuti
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