NOƩTOI, RITORNI Parte I

1
La donna di mezza età, esile, elegante, tamburellò con l'indice sul microfono per reclamare il silenzio.
Le voci in sala si sopirono e poi si spensero del tutto.
Col sorriso più largo che il suo minuscolo e proporzionato viso potesse offrire annunciò: «Today is the day» alla marea di scienziati, di giornalisti, di semplici curiosi assiepati in platea.
«Oggi, ventuno maggio 2015, a Ginevra, il Large Hadron Collider ha raggiunto per la prima volta l'energia di tredici tera electronvolt» continuò, nel suo inglese dall'accento bretone.
«E un rivoluzionario esperimento alle alte energie ci ha permesso una scoperta straordinaria.»

La strada saliva, prima di giungere alla villetta sulla Universitätstraße di Marburg, verso una scena che pareva un fondale dipinto e senza prospettiva contro il sole morente di novembre.
Dalla finestra accanto alla porta lo spiai mentre sorseggiava del whisky seduto alla scrivania, immerso nell’alcool quanto in una una soluzione solitonica di un'equazione di campo, alla ricerca di una soluzione a quel problema che consumava inutilmente ogni sua energia da mesi.
«Dovrebbe esserci un esperimento mio lì» decifrai dalle sue labbra.
E il mio pensiero scivolò sull’LHC di Ginevra, l’anello sotterraneo dal diametro di ventisette chilometri, finito di costruire nel 2008.
Bussai.
«Chi diavolo sarà a quest’ora?» si lamentò, mentre apriva.
«Signor Velez» disse in italiano. «Io… Non l’aspettavo» balbettò.
«Ich bin gekommen um sie an ihre Pflichten der Treue zu erinnern» Sono venuto a ricordarle i suoi doveri di fedeltà, gli dissi.
Ego Wenger chinò il capo in avanti e con le labbra sfiorò l’anello con su montato il minerale opalescente perfettamente sferico che portavo all’anulare sinistro.
Entrai, e presi una sedia.
«Voglio che lei sappia, signor Velez, che le sarò sempre grato per il denaro con cui ha finanziato i miei studi, per la cattedra in questa prestigiosa università, per la casa, voglio dire… per tutto» si sentì in dovere di ringraziarmi. «Ich schulde ihr alles» io le devo tutto, balbettò.
Lasciai che una leggera smorfia mi increspasse le labbra insieme a una scrollata del capo che significava: Verrà il momento per rendere il debito.
«Si segga, Herr Wenger, voglio raccontarle una storia che riguarda la mia famiglia.»
Imbarazzato si accomodò al mio fianco.
«Lei sa qualcosa della campagna di Russia, Herr Wenger?»
Incredulo fissò i miei occhi scuri.
«Quel che tutti sanno, credo: l’invasione si arenò in Ucraina e Hitler venne ucciso a Kiev nel 1941, se ben ricordo in un attentato; e con lui morirono Mussolini e Himmler. Göring si ritrovò solo al potere...»
«Già, per quanto fosse stato uno dei primi a credere in Hitler, quel morfinomane si era persuaso che quella guerra non potesse esser vinta e giunse a un armistizio con le potenze alleate: la Repubblica venne restaurata.»
Ego Wenger chinò il capo, incerto se replicare.
«Mio nonno prestava servizio nell’esercito italiano, anzi si trovava a Kiev il giorno dell’attentato» continuai.
Gli porsi una vecchia fotografia, di un uomo in divisa di SS.
«Lo conosce?»
«Dovrei?» rispose, infastidito.
«Non faccia del sarcasmo con me, Herr Wenger.»
«Mi scusi, signor Velez, non era mia intenzione, ma non mi pare di...»
Lasciò la frase sospesa e andò a prendere il portatile.
«Questo è Felix Bloch» disse dopo una rapida ricerca. «Svizzero, fu il primo direttore del CERN di Ginevra, dal 1954 al ‘56; e somiglia maledettamente all’uomo della sua foto. Ma come può essere lui? Bloch aveva vinto il Nobel, e il suo uomo pare un generale.»
«Era l’equivalente di un colonnello» precisai. «Ma era ugualmente un uomo influente; la storia che voglio raccontarle riguarda lui e il vero obiettivo dell’attentato del 1941, che non era il Führer, ma l’attentatore.»
«L’attentatore? Mi pare di ricordare che fosse un nobile bavarese, un ufficiale della Wehrmacht: Michael von Poshinger.»
Non riuscii a trattenere un sorriso. «L’attentatore si chiamava come me: Ludovico Velez.»
«Mi perdoni, signor Velez… ma non la seguo.»
«Non è necessario che adesso lei capisca, ma che rammenti. Come tutti lei pensa il tempo in modo lineare, Herr Wenger, in una successione immodificabile: passato presente futuro sono un concetto, frutto di migliaia di anni di metafisica, di teologia, di fisica, che accompagna ogni pensare il mondo. Se io le dicessi che ciò che è esiste all’interno di un orizzonte estatico non le direi nulla. Non mi aspetto che lei comprenda, ma solo che mi ascolti.»
Sentii il ticchettio dell’orologio da tasca, e fui di nuovo dentro il tempo.
«Ecco il mausoleo di ogni speranza, lo prenda.»
«Le sono molto grato, ma...»
«La guerra tra Einai e Ananke è eterna, Herr Wenger; non glielo do perché possa ricordarsi del tempo, ma perché possa dimenticarlo e non sprecare tutte le sue forze nel tentativo di vincerlo. Mi metterò io in contatto con lei, quando arriverà il momento.»


Aprì il piccolo tomo dalla spessa copertina di marocchino: la carta sembrava antichissima, ma i caratteri di stampa erano moderni.
Il tempo ci trascina in un’unica direzione, pensò Ego Wenger, non si torna indietro.
E fu invaso da un misto di sconforto e di rabbia.
«Legga, Herr Wenger.»

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