[Lab15] Chi semina vento - Costruttori di Mondi
Una rosa per Martina Pt.13
Facendo buon viso a cattivo gioco, continuavo a vivere quella situazione di lavoro che ritenevo precaria e transitoria, cercando di sopportare la nuova condizione di attività subordinata.
Il Direttore del Marketing, divenuto il mio responsabile, era in realtà una persona assai a modo, un quarantenne di raffinato aspetto e dotato di cultura e grande sagacia.
Possedeva una vasta erudizione tecnica, provenendo da una simile funzione esercitata all’interno del gruppo Zegna, al momento rappresentava la figura dirigenziale più qualificata che avessimo all’interno della struttura aziendale.
Era una di quelle rare persone che sanno risultare autorevoli senza apparire autoritarie; inoltre possedeva una spiccata qualità umana nel rendere i rapporti di lavoro sempre improntati a una rilassata e collaborativa cordialità.
Nelle cose del lavoro comune non lasciava mai percepire la sua posizione direttiva e questo alleviava considerevolmente il contenuto punitivo, inflittomi dalla Signetti, nel declassare la mia posizione.
Del resto, tra me e lui era corsa un’eccellente corrente d’intesa, una naturale reciproca simpatia dettata da caratteri affini.
Dopo i miei primi momenti di incertezza per la nuova situazione, avevo ritrovato motivazione per impegnarmi con solerzia e buoni risultati in ciò che facevo.
Sovente, nel vederci insieme, davamo più l’idea di due vecchi amici piuttosto che di un capo e il suo sottoposto.
La Signetti osservava tutto questo e non doveva esserne affatto soddisfatta: la sua punizione non andava nella direzione sperata, e questo certamente non le generava piacere.
In ogni caso, mi tenevo pronto, continuavo a guardare le inserzioni di ricerca personale e a inviare con costanza curriculum.
Avevo già avuto alcuni contatti che, per tipo di proposta economica e tipologia di lavoro, non mi avevano interessato.
Ma poiché l’Azienda non mi stava ancora mettendo alla porta, m’ero deciso a prendermela comoda, avevo tempo per scegliere con attenzione ciò che avrebbe fatto al caso mio.
Dopo mesi di freddo e distaccato ignorarci, un fine mattina vidi la Signetti uscire dall’ufficio del Presidente, reduce da qualche consiglio di direzione.
Mi passò accanto con delle cartelle tenute in mano, rallentò e insolitamente mi fece un saluto:
- Salve Grimaldi. Tutto bene? - sorrideva freddamente.
- Sì, Signetti, bene. E lei?
- Oggi sì, recentemente un po’ meno. -
- Cose che capitano, Signetti, non sempre le cose vanno come vorremmo. -
- Ha ragione, Grimaldi, ci sono giorni sì e giorni no.
- Lo vede: si tratta di prendere le cose come ci vengono, a seconda dei momenti.
- Vero. Quindi lei pensa che si tratti di un momento o di qualcosa di definitivo? - domandò.
- Mi spiace, Signetti, ma credo che sia proprio definitivo. - le sorrisi senza incertezza.
Rimase un momento a soppesare le mie parole, lo sguardo si fece fessura.
- Bene, Grimaldi, buono a sapersi. Vorrà dire che ce ne faremo una ragione. - lo disse lentamente, a bassa voce, con un tono quasi carezzevole.
I suoi occhi, invece, raccontavano che mi avrebbe visto bene scuoiato vivo e arrostito a fuoco lento.
Se ne andò col passo deciso senza degnarmi, questa volta, di un saluto.
Che le prendesse come meglio le pareva, tanto da ora al momento in cui, con una nuova riorganizzazione dei ruoli aziendali, mi avrebbe relegato a pulire i cessi dell’archivio sotterraneo, avrei già preso il largo, trovandomi un nuovo impiego.
Venne il 25 di ottobre.
In questa data, nel 79 d.C., il Vesuvio eruttò violentemente, ricoprendo di ceneri e lapilli le antiche città romane di Pompei, Stabia ed Ercolano.
In questo 25 ottobre del 1917 ha inizio la Rivoluzione d’Ottobre in Russia, con l’assalto da parte degli insorti bolscevichi al Palazzo d’Inverno di Pietrogrado, dove si erano rinchiusi i ministri del governo zarista.
In questo giorno, nel 1944, il Giappone lancia i primi attacchi dei kamikaze, durante la battaglia del Golfo di Leyte.
Il 25 ottobre era anche, più modestamente, il giorno del mio compleanno.
Mi ero alzato più vecchio di un anno, ma anche animato da uno spirito positivo: era il mio genetliaco ed ero più che mai deciso a regalarmi una giornata di serenità, se non proprio di festa.
A nulla e a nessuno avrei permesso di rovinarmi quella intima, felice ricorrenza.
Essendomi levato con ampio anticipo, al solito bar nei pressi dell’ufficio, mi regalai una corposa colazione a base di cappuccino con panna e un fragrante cornetto caldo, gonfio di crema pasticcera.
Come sempre, giunsi in ufficio di primissima mattina; mi piaceva essere alla mia scrivania prima degli altri, perché avevo così tempo di organizzare la mia giornata, prima che fosse lei a organizzare me.
C’era anche il recondito motivo che, a fini lavorativi, quella solerzia mattutina togliesse alla Signetti l’arma d’una mia presunta poca efficienza sul lavoro per attaccarmi.
Giunsi alla mia scrivania e immediatamente fui attratto da ciò che vi stava sopra.
In mezzo al piano del tavolo, un vistoso mazzo di rose rosse Baccarat a gambo lungo campeggiava, sfolgorante di bellezza.
Rimasi bloccato dalla sorpresa, pensai che carinamente quella mattina i colleghi avessero deciso di farmi gli auguri con un presente floreale.
C’era una bustina, di raffinata carta goffrata di un beige chiarissimo, con un bigliettino che accompagnava la confezione dei fiori.
Nell’aprirla, un delicato profumo di vaniglia mi inebriò le narici.
Il biglietto all’interno, intriso del profumo percepito, recava una dicitura vergata a mano con inchiostro verde di stilografica, ne lessi il contenuto:
"Oggi finalmente mi sdebito per le rose che mi hai teneramente donato in tutto questo tempo e te le regalo io. Perché tanto mistero per tutti questi mesi? Non sarebbe stato più semplice rivelarmi cosa provavi? Eri così certo che la cosa mi sarebbe dispiaciuta?
Buon compleanno. Ti bacio forte. M."
Un tuffo caldo nel petto, mentre il cuore prese a martellare e il sangue mi invase la testa, facendo scomparire lo spazio intorno a me.
Era lei! Cristo santo! Era lei! … Martina aveva capito tutto.
Mi sentii le gambe molli, dovetti sedermi col biglietto in mano, per riacquistare il controllo e rallentare le pulsazioni: iniziai a regolare la respirazione.
Non potevo farmi venire una sincope proprio ora, con questa cosa meravigliosa che era accaduta e nel giorno del mio compleanno.
Fui invaso da una gioia smisurata, immensa, la sensazione travolgente di un sogno che si avvera.
Di un miracolo che trovava forma in quelle poche meravigliose parole.
Forse mi amava come l’amavo io, forse per tutto questo tempo non aveva mai smesso di pensarmi come io l’avevo pensata.
Dio, come stava diventando grande il cielo sopra di me: avrei spiccato il volo per la gioia che mi esplodeva dentro.
Martina che aveva capito, tacendo per tutti questi mesi, dubbiosa sul da farsi, poi, con straordinaria semplicità, aveva trovato il coraggio di scoprirsi a sua volta e mostrare il suo sentimento.
Lo aveva fatto in questa forma soave, sgridandomi con dolcezza per non aver avuto, per primo, io il coraggio di rivelarle con chiarezza, ciò che provavo per lei.
Forse la nostra storia non era finita il giorno in cui aveva lasciato l’Azienda. Forse tutto era ancora da scrivere, tutto ancora incredibilmente possibile.
Nella solitudine silenziosa degli uffici, iniziai a ridere d’una allegria folle e incontenibile, avrei voluto gridare il suo nome a squarciagola, avrei voluto danzare come una baccante ebbra di felicità.
Avevo la febbre addosso, la voglia irrefrenabile di uscire, di correre da lei, di stringerla fra le braccia e gridarle:
- È vero, ti amo!! … Eccomi!
Volevo tempestare di baci la sua bocca e quel suo viso bellissimo e triste, per cancellarne la malinconia e sostituirla con una gioia senza fine.
Come in un film romantico hollywoodiano, giungere da lei: prenderla e portarla via, puntare la macchina per una meta sconosciuta e viaggiare per un tempo indefinibile, verso un luogo da sogno, lontani da tutto e da tutti.
E poi fermarci in un albergo lussuoso e fare all’amore, con una passione e una tenerezza che mai avrei conosciuto prima.
(Continua)
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