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by ElleryQ
Un saluto a tutti, è da un po' che seguo questa discussione da "dietro le quinte".
Non mi sento in grado di fare un mio intervento qualificato, non quanto potrebbe esserlo quello di uno storico, un economista, o un esperto di geo-politica.
Ho la convinzione che esprimere semplici opinioni, come in un qualunque "salotto", non sia di giovamento a nessuno. Ammiro chi manifesta nelle piazze contro la follia della guerra, chi si attiva nei corridoi umanitari, chi manda viveri e altre donazioni e chi ospita coloro che sono fuggiti dalla violenza bellica con solo le proprie vite appresso. Credo che siano queste le sole azioni concrete che come persone potremmo fare in un contesto storico come quello attuale e tragico.
Come operatori culturali, come autori, invece, potremmo scrivere degli orrori, raccontare le atoricità e farlo con il solo mezzo che abbiamo a disposizione: il racconto o la poesia, non con opinioni che servano per parlarci addosso o misurare la validità delle nostre deduzioni.
Il confronto è sempre valido, ma quando è costruttivo, e sinceramente temo che qui nessuno sia realmente qualificato per "sforrnare soluzioni", non per una cosa più grande di noi stessi.
Consapevole di questo, mi piace comunque leggere e informarmi, documentarmi proprio al fine di trasformare in creazione la distruzione che ci circonda e facendolo oggi ho trovato due articoli che ho trovato interessanti, due riflessioni che vi riporto, per il piacere di condividere e forse con la speranza di portare questa discussione a livelli più affini a un forum di scrittura.
Europa, una grande forza senza peso. È il momento della cooperazione
Trent'anni fa un volume parlava di fine della storia. Si entrava nel secolo americano, non ci sarebbero più stati cambiamenti, gli Stati Uniti avrebbero dominato il mondo. Dopo pochi decenni tutto è cambiato: i paesi dominanti sono due, abbiamo un globalismo che si sta sfaccettando e una politica in movimento come mai avremmo pensato.
C'è una potenza assestata, direbbe Tucidide, e una in ascesa. Gli Stati Uniti sono la struttura militare ed economica - presa globalmente: finanziaria, bancaria e tecnologica - dominante, con un bilancio della difesa di poco sotto il 45% della spesa militare mondiale, tre volte circa quello della difesa cinese. C'è però un problema serio e che cambierà l'America: una società spaccata profondamente. La presidenza Trump ne è stata un aspetto politico, ma la faglia affonda prima ancora dentro la società. Anche i rapporti con l'Europa sono cambiati: dal punto di vista militare e della politica estera si è raggiunta un'unità inedita in queste settimane, ma dal punto di vista economico le tensioni sono molte. I Bush, padre e figlio, erano profondamente europei, coltivavano un legame naturale. Clinton non nacque come filo-europeo, ma lo diventò; è stato un convertito. Per Obama l'Europa era un punto qualsiasi nel mondo: lì si è rotto il legame affettivo. Per Trump l'Europa era un concorrente, se non un nemico, sotto il profilo economico ma anche politico. Biden sta ricostituendo un rapporto politico ma il tema economico esiste.
Dall'altra parte c'è la Cina, che si è imposta con una sua filosofia lontana dalla nostra. Il suo Pil ha quasi raggiunto quello americano, ma la Cina ha il quintuplo degli abitanti. È una potenza in via di sviluppo e perciò la prima cosa che vuole comprare è il tempo, quello che le serve per completare il suo sviluppo. Per questo non ama i movimenti sopra le righe, non ha appoggiato l'invasione russa della Crimea e vive con fastidio l'attacco all'Ucraina. Uno dei grandi errori dell'Occidente è stato lasciare che Cina e Russia convergessero. Ricordo, da presidente della Commissione europea, quando Putin assicurava che non avrebbe mai venduto un metro cubo di gas alla Cina. E anche l'ultima conferenza stampa congiunta: un giornalista chiese se fosse realistica la prospettiva di un ingresso della Russia nell'Ue. Era il 2004: entrambi, ovviamente, rispondemmo di no. Non era pensabile. Ma quello era lo stato dei rapporti.
Oggi la Russia è un paese immenso ma fragile e a bassa crescita. La Cina cresce di una Russia all'anno. Ecco perché la Russia non può stare da sola: non ha l'esperienza per tradurre la scienza in prodotto, non ha una potenza produttiva; è l'opposto della Corea del Sud. Per questo o si appoggia all'Europa o alla Cina. L'Europa ha lasciato che scivolasse verso Est.
Quando Gorbaciov mi preannunciò l'ascesa di Putin disse che stava salendo al potere un uomo dal curriculum che non ci sarebbe piaciuto ma che era l'unico capace di tenere unito il paese e dialogare con l'Occidente. Oggi assistiamo a un'assertività russa cresciuta con gli anni al punto da cambiare radicalmente lo stato dei rapporti di un tempo portando inquietudine nel mondo.
In questa dinamica l'Europa, la più grande potenza industriale al mondo, e il maggior esportatore, è assente. Il suo ruolo viene ridimensionato dalla mancanza di una politica estera, e di conseguenza militare, comune. E anche sotto il profilo tecnologico c'è un ritardo: delle venti più grandi società mondiali solo una è europea ed è la diciannovesima. Questo è il prezzo della disunione.
L'Europa ha portato il superamento dei nazionalismi. Ma è nata con una sconfitta: la bocciatura dell'esercito comune, nel 1954, affossato dall'assemblea francese. Le conseguenze le vediamo oggi, e avrebbero potuto essere ben più gravi.
L'apertura a Est, che da presidente della Commissione, mi è stata spesso rimproverata come troppo frettolosa, è stata uno di quei treni che passano una volta sola. Senza quel processo oggi la Polonia rischierebbe di essere nelle stesse condizioni dell'Ucraina. L'allargamento ha portato difficoltà politiche ma ha legato alla democrazia i paesi dell'Est e i loro popoli. La democrazia qui ha vinto. Ed è questa la forza dell'Europa, anche come attore nel conflitto in corso. Una forza che tuttavia non pesa. Perché? Lo snodo è il 2007, il grande sbandamento. Gli Usa, grazie al loro potere unitario, hanno reagito alla crisi che lì si era innescata; l'Europa si è divisa tra rigoristi e quelli che i tedeschi definivano "lassisti". Questa crisi ha costruito i partiti populisti e un lungo periodo di tensione superato solo grazie al Next generation Ue, un grande intervento di solidarietà favorito anche dalla Brexit. Con la Gran Bretagna il recovery non sarebbe stato possibile: non è mai entrata nel vero spirito europeo.
La crisi ucraina per la prima volta ha dato vita a un'unione europea anche di politica estera. È il momento di fare un passo in più: Germania, Francia, Spagna e Italia sono maturi per una cooperazione rafforzata; gli altri seguiranno. È il momento di preparare il terreno. È possibile? Credo di sì: la guerra in Ucraina sta mostrando che i conflitti si possono risolvere solo sull'asse Stati Uniti-Cina e che l'Europa di oggi, pur essendo unitaria, è assente dall'aspetto decisionale. Se non parla con una voce sola non può pesare. —
Pubblichiamo un estratto dell'intervento di Romano Prodi sul tema "La forza dell'Europa" tenuto in occasione del trentesimo anniversario della costituzione della Fondazione Filippo Burzio, in collaborazione con il Comando per la Formazione e Scuola di Applicazione dell'Esercito di Torino.
Romano Prodi, La stampa, 18 Marzo 2022
Il Medio Evo della Russia
La storia tende a ripetersi perché la geografia rimane la stessa. Ma nelle sue ripetizioni la storia fa emergere un passato di cui ci eravamo dimenticati.
Quando Putin ha attaccato, passando irrimediabilmente dalla parte del torto, i commentatori avevano in mente la proiezione europea dell’Unione Sovietica durante la Seconda guerra mondiale, ma Putin non disponeva né delle condizioni politiche (l’alleanza con l’Occidente) né delle condizioni demografiche e militari che resero possibile quella proiezione.
Basti dire che per una operazione militarmente secondaria, la presa di Berlino nell’aprile 1945, i Russi poterono investire un milione e mezzo di soldati, mentre oggi, per prendere non una città, ma una nazione, non possono contare su più di centocinquantamila uomini, mercenari e tagliagole inclusi, gli equivalenti della Banda Dirlewanger che i tedeschi adoperarono per reprimere la rivolta di Varsavia nel 1944. Pensare che l’azione militare russa possa estendersi anche al di là dell’Ucraina, per esempio nei Paesi Baltici, è credere di avere a che fare non con la Russia, ma con l’Unione Sovietica (più del doppio di abitanti, senza contare le nazioni del Patto di Varsavia). È dimenticare che un pezzo della vecchia Prussia Orientale è oggi una exclave russa circondata dalla Nato, che potrebbe essere presa in un giorno.
Quanto dire che la no fly zone esiste già, ed è tutto l’Est europeo passato sotto la Nato. Coloro che oggi sostengono, a ragione, che gli Stati Uniti non hanno tenuto fede al gentlemen’s agreement del 1991 di non ammettere nella Nato paesi dell’ex Patto di Varsavia, non dovrebbero dimenticare che quei Paesi appartenevano storicamente all’Occidente. Che non avevano mancato di rivendicare, a Berlino, a Budapest, a Praga, e poi di nuovo a Berlino, nel 1989, questa loro appartenenza. E che se Stalin, a Yalta, aveva potuto ottenere l’Est europeo, ciò dipendeva da eccellenti motivi: l’enorme tributo di morti nella lotta contro il Terzo Reich e la forza dell’Armata Rossa, la debolezza politica dell’impero britannico, la debolezza fisica del presidente Roosevelt e, soprattutto, la necessità degli Stati Uniti, che ancora non disponevano della atomica, di assicurarsi l’appoggio sovietico per finire la guerra contro il Giappone.
Come è naturale e giusto, visto che la storia non finisce mai, nessuna di queste condizioni è rimasta in piedi quasi ottant’anni dopo. Putin non se ne è accorto, ed è per questo che c’è chi lo considera pazzo; ma, a quanto pare, non se ne sono accorti nemmeno i suoi avversari, tranne la Cina, che ne coglie pienamente la debolezza e vede in questo suo passo falso, o disperato, l’occasione per trasformare la Russia in un satellite. Come che sia, trattare Putin come se fosse uno zar, confonderlo con Stalin, è dargli troppa importanza, e non voler guardare, sotto l’influsso di fantasmi vecchi di decenni, il probabile risultato politico e geopolitico di questa guerra.
Sul piano politico, la sostanziale vittoria di Putin prima dell’attacco militare (camuffare Russia con il mito zarista e sovietico, ottenere la smilitarizzazione del Donbass, rassicurare l’orgoglio nazionalista) si è trasformata in una sconfitta militare, perché in un caso come questo non vincere equivale a perdere. E la sconfitta peggiore è proprio quella politica, perché Putin è riuscito a trasformare la Russia in uno Stato canaglia, entrato in guerra come se fosse l’Unione Sovietica e uscitone come se fosse l’Iraq di Saddam Hussein. Senza dimenticare che riuscire ad avere contro di sé la Svizzera, la Svezia e persino la Serbia (per difendere la quale la Russia era entrata in guerra nel 1914) è un record negativo difficilmente eguagliabile.
Anche più significativo, e carico di conseguenze, sarà il risultato geopolitico di questo azzardo. La guerra non è una opinione, e non si può tentare uno sfondamento a Occidente, in un Paese ostile, con truppe numericamente e militarmente inadeguate. Molto più a Ovest nello spazio e molto prima nel tempo se ne accorse Hitler nel dicembre 1944 nelle Ardenne. Quando, dopo aver sprecato le migliori truppe di cui disponesse nel tentativo fallito di prendere Anversa e interrompere i rifornimenti degli Alleati, Hitler venne informato da Guderian del fatto che Stalin aveva schierato milioni di uomini e di mezzi su un fronte che dalla Prussia Orientale raggiungeva i Balcani commentò che si trattava della “più grande falsità dai tempi di Gengis Khan”. Forse qualcuno dovrebbe dire a Putin e a Lukaš?nka di Gengis Khan e dei suoi mongoli, che invasero la Russia di Kiev nel 1228 rimanendoci per duecentocinquanta anni.
Andrà a finire così. Interrompendo una proiezione verso occidente che ebbe inizio con Pietro il Grande, la Russia diventerà, come ai tempi dell’Orda d’Oro, uno stato vassallo non più di un Khan mongolo, ma della Cina. A meno che gli oligarchi, per difendere i propri interessi in Occidente, non la trasformino in uno Stato vassallo della Nato. In questo quadro, la Russia ha pagato un prezzo carissimo non solo per le ambizioni sbagliate, e probabilmente per le paure, di Putin, ma anche per la propria singolarità culturale, per una tradizione profonda che la lega a Bisanzio (una Bisanzio che non c’è più né in Grecia, né in Turchia, né nei Balcani) e che, con le tirate del Patriarca Kirill a favore della guerra contro le lobby gay, la sospinge violentemente verso il Medio Evo.
Maurizio Ferraris, La Repubblica, 18 marzo 2022