[H25] Fuoco Fatuo

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Il liquido emanava un fetore insopportabile. Mentre Leanore abbassava delicatamente il cestello, con all’interno la zucca intagliata, cercava allo stesso tempo di tenerne lontano il viso, per non respirarne l’odore. E poi doveva pure stare attenta che gli schizzi non le arrivassero sulle mani.
Il Maestro Artigiano non voleva che lei mettesse i guanti, durante l’operazione: tolgono sensibilità alle mani, diceva. Quindi aveva dovuto imparare da sola, ripetendo più e più volte quell’operazione, come non schizzarsi e non farsi del male. Il liquido alchemico serviva a evitare che la zucca intagliata marcisse rapidamente. Dopo essere stata immersa in quella soluzione poteva durare intatta anche per dei mesi. Leanore non sapeva cosa fosse: periodicamente un garzone suonava alla porta del magazzino sul retro e recapitava svariate botti di quel liquido. Cosa ci fosse dentro rimaneva un segreto ben custodito della potente gilda dei maghi.
Ora, a fine ottobre, le consegne e le attività si erano fatte febbrili. Mancava pochissimo a Ognissanti e le richieste di zucche intagliate erano improvvisamente schizzate verso l’alto.
Comunicante con il magazzino e con l’accesso diretto dalla strada, il negozio del Maestro Artigiano era strapieno di opere inimitabili. Lui in persona era al banco a vendere a persone facoltose o a semplici turisti, attirati dai fini intagli, come non se ne vedevano altri in città. Alcune di quelle zucche intagliate erano opere che avevano richiesto molte ore di lavoro per essere finite.
Leanore questo lo sapeva bene: alcune di quelle le aveva intagliate lei stessa, con le sue mani. Aveva dimostrato di avere talento fin da piccola, da quando con un semplice coltellino otteneva figure di animali da pezzi di legno. I suoi genitori non avevano potuto provvedere a lei a lungo e l’avevano venduta al Maestro Artigiano quando era ancora piccola, perché imparasse un mestiere. O perché lui la usasse come una sguattera: alla fine le due cose erano sovrapponibili. Lui l’aveva presa immediatamente a servizio: sapeva di poter sfruttare il suo talento.
Le aveva sempre lasciato intagliare le zucche normali, quelle dentro le quali mettere le candele di cera accese. Oppure, se desiderava, poteva intagliarle nel legno, e i suoi lavori erano poi esposti in negozio, sotto gli sguardi meravigliati dei clienti.
Nessuno però aveva mai saputo che fosse lei l’autrice. E di anno in anno il numero dei clienti aumentava, al pari con il lavoro, sempre più gravoso.
Le altre zucche, quelle speciali, quelle che emanavano la luce da dentro, le erano sempre state vietate dal Maestro. Chissà poi per quale motivo? Con il passare degli anni lui non l’aveva mai coinvolta nella loro creazione. Non che fosse cattivo con lei, pensò Leanore, cominciando a sollevare con delicatezza il cestello dal liquido. Piuttosto era molto riservato sull’argomento: la cacciava via, sul far della notte soprattutto, e si sprangava lassù nelle sue stanze private. Per Leanore quella era una festa: in quelle notti non doveva dormire nello scantinato umido, ma lui le dava un po’ di soldi per dormire nella locanda. Su un letto un po’ più soffice e una stanza accogliente e tiepida. Al mattino, quando rientrava in negozio, Leanore giurava che un’altra di quelle zucche speciali fosse stata aggiunta sugli scaffali. No, il Maestro non era cattivo dopotutto: era solo parecchio strano e aveva i propri segreti.
Sollevò la zucca completamente fuori dall’orlo del liquido e agganciò il cestello in modo che sgocciolasse per bene. Una zaffata del liquido le entrò in gola, provocandole un conato di vomito che riuscì a malapena a trattenere. Si allontanò dal contenitore mentre le gocce ripiombavano giù, indietro, con quel loro suono caratteristico. 
Ploc. Ploc. Interminabile.
Cercò di respirare un po’ d’aria buona, ma era difficile là dentro. Avrebbe dovuto uscire da lì per un istante, sgattaiolando dalla porta del retro. Tanto ora doveva comunque aspettare.
Lo fece, stando ben attenta a non lasciare la porta aperta troppo a lungo. Per non far entrare i ratti, soprattutto. Quelli sentivano subito l’odore delle zucche che, per loro, erano ottime da sgranocchiare.
Fuori era ancora giorno e l’aria, seppur piena di carbone e di odore di legna bruciata, sembrava essere di gran lunga migliore del magazzino. Il vicolo, una laterale della via principale, era deserto. Leanore si arrischiò a dare un’occhiata poco più in là, dove la città fremeva di vita e di disordine: carri di merci e calessi di nobili, cavalli, garzoni che correvano e urlavano, o semplici passanti, indaffarati a tornare a casa. Vite che da lì dove si trovava poteva solo indovinare.
Tutti impegnati nei preparativi dell’imminente festa di Ognissanti.
Lo sguardo le cadde senza volere sul tavolato di fronte all’uscita del magazzino. Qualcuno aveva incollato dei nuovi fogli là sopra. Ancora, pensò. Leanore si avvicinò per leggerli meglio: per fortuna in quegli anni le avevano insegnato a leggere. Anche se sapeva già cosa ci sarebbe stato scritto: erano tutte facce abbozzate a disegno di bambini o ragazzine, alcuni della sua stessa età, altri poco più grandi, ma tutti quanti orfani. 
Tutti scomparsi in zone diverse della città. Nessuno veniva mai ritrovato: scomparivano letteralmente nel nulla. E i manifesti si accumulavano su quella parete, la carta sbiadita che si arricciava sotto il sole e le intemperie, dimenticandoli.
Leanore era fortunata. Lei i genitori li aveva ancora da qualche parte. Ma chissà se la ricordavano ancora? Magari un giorno avrebbe potuto finire il proprio apprendistato. Chissà poi, quando finalmente avrebbe potuto aprire la propria di attività. Ci sarebbero voluti ancora anni. Quanto lo desiderava: ogni giorno di più.
Peccato che in quella città le donne non potessero avere un negozio proprio. Erano tollerate come artisti, trattate come garzoni, ammirate nei circoli dell’alta società come mirabili artiste. Nulla di più. Lei però sapeva di essere brava, più brava di molti altri.
Chissà, magari il suo caso sarebbe stato diverso.
Sospirando Leanore rientrò nel magazzino, sperando che nessuno avesse notato la sua temporanea assenza. La zucca con sopra intagliata la splendida immagine di un folletto era ancora là che l’aspettava, silenziosa e spenta. Aveva finito di sgocciolare. Terminò di prepararla.
Ore dopo, al termine della giornata, Leanore aveva appena finito di disporre le ultime zucche conservate sull’ultima scansia di legno. La porta di comunicazione con il negozio si spalancò: era il Maestro Artigiano. Era soddisfatto di sé: portava le mani al panciotto gonfio, e chissà magari sotto i vestiti nascondeva gli incassi, per paura di lasciarli incustoditi. Canticchiando osservò il risultato del lavoro della giornata di Leanore e annuì, soddisfatto.
Doveva aver venduto molto quel giorno.
Le si avvicinò: “Bene, bene, ragazza mia… anche oggi un lavoro eccellente. Continuiamo così e chissà dove potremo arrivare,” esclamò.
Leanore annuì soltanto in risposta. Sapeva bene che anche se ora si mostrava di buon umore, il Maestro poteva cambiare atteggiamento da un momento all’altro. Dopo anni passati al suo servizio ne aveva quasi paura. Sapeva di dovergli essere riconoscente, ma d’altra parte… lui approfittava del suo essere donna per sfruttarla e non riconoscere le sue capacità.
Avrebbe dovuto provare rabbia per questo, ma in realtà provava solo rassegnazione. Avrebbe dovuto ribellarsi. Nemmeno oggi lo fece. Forse un giorno…
Il Maestro le scoccò un’occhiata in tralice: “Ragazza, fai il tuo dovere. Sistema le zucche intagliate rimaste invendute in negozio qui nel retro. Non vorrei mai che a qualcuno venisse qualche strana idea. Io mi ritiro per oggi.” Si avviò per le scale al piano superiore, facendole scricchiolare sotto il proprio peso.
Leanore sapeva cosa rimaneva da fare e sospirò. Sarebbe stato un lavoro lungo.
Il Maestro era già rientrato nelle sue stanze o si era fermato sulle scale a origliare cosa stesse facendo?
Ogni volta che lei immaginava la rivalsa, ci pensava la triste realtà a metterla al suo posto.
Si avviò nel negozio, reso buio dagli scuri accostati. Ma fuori era già notte fonda da qualche ora: la pendola batteva quietamente i colpi della mezzanotte. 
Era tardi: Ognissanti. 
Là dentro c’era ancora un po’ di luce: una delle zucche, in particolare, brillava di luminosità propria; le venature dall’interno portavano al di fuori i delicati ghirigori di una scena tratta da un’antica leggenda. Una donna appoggiata su un letto raccontava a un uomo una storia. Leanore la conosceva: se quella donna non avesse inventato ogni notte una nuova storia sarebbe stata uccisa. Chiudendo gli occhi poteva quasi immaginare quella scena prendere vita. Quello era uno degli intagli che non aveva fatto lei, ma se ne era occupato personalmente il Maestro. Non l’aveva mai notato prima di allora.
Gli strati intagliati, in trasparenza, aggiungevano dettagli di squisita fattura.
Con cautela Leanore la prese tra le mani e si incamminò nel magazzino, mettendoci tutta l’attenzione che poteva per non inciampare.
Solo che quando arrivò sui gradini che portavano nel magazzino sentì un rumore. Come di qualcosa di grosso e al di fuori della sua vista che le si muovesse attorno ai piedi. A tentoni cercò l’appoggio del gradino.
E il suo piede scivolò mentre quello si muoveva rapido sotto di lei. Non poteva vedere cosa fosse: la zucca era abbastanza grande da non farle vedere dove avesse veramente appoggiato il peso.
Scivolò sulla schiena e cadde giù, mentre le braccia si stringevano su quello che teneva, terrorizzata. Poco le importava del dolore lancinante alla base della schiena quando, cadendo, sbatté a terra su tutti i gradini successivi.
Sentì il rumore della zucca che si rompeva sotto di lei, mentre stringeva i denti per il dolore della caduta e per la disperazione per quello che aveva appena combinato.
L’aveva rotta.
Il bagliore interno che l’illuminava scemò e si spense per sempre.
Leanore si trovò a terra circondata da gusci vuoti, ormai senza luce. 
E ora?
Il ratto la osservò rialzarsi debolmente e scappò allora nel buio del magazzino, infilandosi tra i tavoli verso il fondo.
Il Maestro Artigiano gliel’avrebbe fatta pagare cara quando l’indomani avesse saputo che l’aveva rotta. E il cumulo dei debiti nei suoi confronti sarebbe aumentato. Non solo Leanore gli doveva ancora una discreta somma per l’apprendistato, ma a questa avrebbe aggiunto il valore inestimabile di quella zucca rotta. Quelle con la luce valevano molto, molto di più di quelle normali. In più i ratti là dentro non avrebbero dovuto esserci: era una sua responsabilità. Non avrebbe sentito ragioni.
Leanore ripensò ai suoi modelli in legno di là nel negozio e un’idea folle prese corpo nella testa. Laggiù nel magazzino c’erano ancora delle zucche nuove, pronte per essere intagliate, e là poteva trovare anche tutti gli strumenti di intaglio che le occorrevano.
A quell'ora il Maestro doveva già essere profondamente addormentato.
E lei era sicuramente in grado di copiare l’intaglio. Sapeva già come farlo.
Si mise a un tavolo e cominciò, i cocci rotti come modello davanti a lei. Non pensava all’inizio di poterla veramente ricreare da capo, ma man mano che andava avanti la capacità la inebriò e le mani corsero leggere sulla superficie della zucca, facendole perdere la cognizione del tempo. Gli scalpelli davano vita a una copia esatta. Anzi, avrebbe potuto farla addirittura migliore se avesse voluto.
Si dimenticò di se stessa, del terrore per la somma che avrebbe dovuto rifondere, dei pezzi che avrebbe dovuto nascondere nella notte. L’impeto del creare prese il sopravvento in lei, come ogni volta: lei era nata per questo, per dare voce alla propria capacità, attraverso le mani. Sotto sentiva la scena del racconto prendere forma, dettaglio, corpo.
Quando si fermò aveva in mano una copia esatta della zucca rotta. Nessuno avrebbe potuto notare la differenza, pensò. Anzi, forse i colpi di cesello erano addirittura più delicati, più fini e la scena più realistica dell’originale.
Solo che quella zucca non emanava alcuna luce.
Leanore prese i cocci rotti e se li rigirò tra le mani per l’ennesima volta, nel silenzio ovattato della notte. Come poteva rimediare a quel guaio? Mancava forse qualcosa?
Poi si accorse di quei segni, alla base dell’intaglio. Erano piccoli e non capiva quella scrittura, non del tutto, ma poteva imitarli. Anzi, poteva sicuramente farli identici: forse erano quelli che davano alla zucca la sua luce?
Con delicatezza cominciò a tracciarli e sentì qualcosa accadere sotto le sue mani. Era come se la materia prendesse vita sotto il suo tocco. Possibile? Nel momento in cui li incideva una strana sensazione le si agitava dentro: l’anelito ad andare avanti a creare… Doveva aver capito in qualche modo come si facesse. I segni non solo avevano un loro significato. Erano giusti, puliti.
Solo che quando terminò di copiarne l’ultimo non accadde proprio nulla. Sentì solo la propria energia e la propria agitazione al culmine, poi il nulla. Un’energia incredibile le montava dentro, pronta a esplodere, mentre cercava una via di fuga, un mezzo per esprimersi. Poi all’improvviso si svuotò del tutto e lei si ritrovò sola, esausta dal lavoro appena concluso.
Cos’era appena successo?
Il tempo si fermò e trattenne il fiato. La zucca rimaneva spenta nell’ombra.
La prese in mano, ormai più leggera di prima, e la scosse piano. E fu come se la scena intagliata entrasse dentro di lei e lei dentro la scena. L’energia di prima si sciolse in un’unica direzione, senza che lei potesse fare nulla per opporvisi. Prima le mani, poi le braccia, poi giù tutto il suo corpo divenne pura luce, energia che si riversava dentro l’intaglio. Il suo intero corpo scomparve. La sua mente cessò di esistere. Divenne solo luce.
La zucca, non più tenuta tra le sue mani, ricadde sul tavolo con un tonfo sordo e oscillò senza cadere o rompersi.
All’interno dell’intaglio quella che era stata Leanore si agitò scorrendo in un pallido bagliore, poi divenne fissa, aumentò. Ma lei non era più nella stanza per vederla. Di minuto in minuto si fece più forte, poi divenne accecante, illuminando il magazzino come fosse giorno.
Dal suo nascondiglio il ratto uscì fuori, come una falena attirata da una fiamma. La luce accecante ora illuminava qualsiasi anfratto, piega, nascondiglio. Esattamente alla vibrazione del primo rintocco la zucca si crepò e implose. La stanza piombò di nuovo nella solita semioscurità delle poche candele rimaste accese. Presto si sarebbero spente anche quelle.
Sul tavolo del magazzino deserto rimanevano solo i cocci anneriti e fumanti della zucca intagliata. I simboli su di essa pulsarono debolmente un’ultima volta e poi svanirono del tutto.
Su ordine del Maestro Artigiano il ratto tornò nel proprio nascondiglio e da lì, arrampicandosi sulle travi, proseguì sui piani superiori lontano dal magazzino e da quella puzza di marcio e decomposizione.
Non era la prima volta che gli capitasse di assistere a una scena del genere, pensò il ratto. Tutte le altre volte c’era il suo padrone, intento a intagliare una zucca, con un orfano legato accanto nella stanza. E ogni volta la fine era la stessa: lui all’ultimo si ritraeva e avvicinava la zucca al bambino, o alla bambina, che vi sparivano sempre dentro, mutando in luce nell’intaglio.
Sparendo, dimenticati.
Usati.
La coda del ratto sgusciò in un anfratto e l’eco dei suoi pensieri si spense nella testa del Maestro. Lui sospirò dal proprio punto di osservazione sulle scale: che spreco. Nella notte aveva sentito qualcosa e si era messo lì a spiare, non visto. Che talento buttato quella ragazza.
Leanore aveva sbagliato due cose molto importanti, ma ora non era più viva per imparare dai propri errori.
La prima era che aveva trasferito se stessa dentro l’intaglio, invece di sacrificare un’altra vita. 
La seconda era che si era dimenticata di immergere la zucca intagliata nel liquido alchemico prima di inserirvi la forza vitale: solo in quel modo la zucca avrebbe potuto rimanere integra. Lei sarebbe svanita lo stesso, ma almeno sarebbe servita.
Invece, senza il trattamento si era subito marcita, sprecando quell’energia in una sola inutile vampata.
Il Maestro Artigiano ritornò in camera da letto, cercando di riprendere il sonno perso. L’indomani avrebbe cercato un altro apprendista: l’ennesimo.


C'è un altro racconto in contest con l'onomatopea delle gocce. Questo racconto l'avevo già scritto tutto quando l'ho letto, quindi mi scuso con l'autrice dell'altro, ma la coincidenza non era voluta.
E seconda cosa: se vi è familiare in qualcosa è perché mi sono ispirato all'inizio a un racconto della Mary Robinette Kowal.
Riguardo questo:
Stregone wrote:...non mielose storie di orsetti, gattini, principesse, o bambini infelici e nerd un po’ disadattati...
mi dispiace, a questo turno non orsetti, non gattini, ma solo principesse e bambini infelici. Prossima volta cercherò di impegnarmi di più. Chiedo venia.

Re: [H25] Fuoco Fatuo

3
Haha invece il plic ploc e il ratto hanno creato un misterioso effetto crossover che poteva verificarsi solo durante le notti di Halloween... L'ambientazione è azzeccata, la storia è ben costruita, avrei (ma forse è solo una mia impressione) tentato di mostrare il finale (mi rendo conto che sarebbe stato difficilissimo) invece di spiegarlo. Magari leanore poteva rendersi conto di aver dimenticato un passaggio (il secondo errore) proprio mentre si accorge che qualcosa non sta funzionando; e la storia poteva concludersi con lo stregone che parlando tra sé, svela il primo errore... Sono solo mie idee per dare spunti di riflessione, non è che voglio rivoluzionarti il racconto. In ogni caso l'idea di base è interessante e ben articolata, complimenti.
Hai mai assaggiato le lumache?
Sì, certo
In un ristorante, intendo

Re: [H25] Fuoco Fatuo

4
NanoVetricida wrote: Sun Nov 02, 2025 9:31 am Haha invece il plic ploc e il ratto hanno creato un misterioso effetto crossover che poteva verificarsi solo durante le notti di Halloween... L'ambientazione è azzeccata, la storia è ben costruita, avrei (ma forse è solo una mia impressione) tentato di mostrare il finale (mi rendo conto che sarebbe stato difficilissimo) invece di spiegarlo. Magari leanore poteva rendersi conto di aver dimenticato un passaggio (il secondo errore) proprio mentre si accorge che qualcosa non sta funzionando; e la storia poteva concludersi con lo stregone che parlando tra sé, svela il primo errore... Sono solo mie idee per dare spunti di riflessione, non è che voglio rivoluzionarti il racconto. In ogni caso l'idea di base è interessante e ben articolata, complimenti.
Guarda, secondo me (ma qui apriamo un vaneggiamento mio) qualcosa delle teorie induiste sul campo unificato dev'essere vera e in circostanze analoghe persone che non hanno nulla in comune tra loro tirano fuori le stesse idee. Pensano di averle inventate loro e invece le pescano da chissà dove. Stop vaneggiamento.
Sì hai ragione anche qui, più che un finale spiegato sarebbe stato da elaborare di più: magari il pensiero sull'errore mentre il corpo viene consumato sulla zucca e più immersivo in fondo sul maestro Artigiano, magari correlato con il ratto. Ovvero il ratto pensa la prima parte, dopodiché l'umano conclude con la seconda.
Grazie a te per gli spunti di riflessione e il commento!

Re: [H25] Fuoco Fatuo

5
Ciao,@Strikeiron
è la prima volta che commento un tuo testo, vero? 
Il tuo racconto mi è piaciuto,  riesci a mescolare bene l’atmosfera artigianale con quella magica, e la bottega prende vita grazie ai tanti dettagli concreti. Leanore è un personaggio che funziona: fragile ma determinata, e il finale con il sacrificio ribaltato lascia davvero un senso di ingiustizia che colpisce. 

Ti direi solo di fare un po’ di attenzione alle descrizioni troppo lunghe, perché a volte rallentano il ritmo. 
Mi è sembrata un po'  “spiegata” la rivelazione finale. Nel complesso però hai costruito un horror allegorico che inquieta e fa riflettere, e questo è un bel risultato. 

L’uso del ratto come figura ambigua non l'ho capita molto bene: non è semplicemente un animale, ma una sorta di eco mentale che il Maestro percepisce? Questo dettaglio dà al testo un tono inquietante ma lascia un  dubbio sul loro legame oltre che sull'utilità del ratto nel testo.
Alla prossima lettura.

Re: [H25] Fuoco Fatuo

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Strikeiron wrote: Sun Nov 02, 2025 2:00 amSapeva bene che virgola anche se ora si mostrava di buon umore, il Maestro poteva cambiare atteggiamento da un momento all’altro. Dopo anni passati al suo servizio ne aveva quasi paura. Sapeva di dovergli essere riconoscente, ma d’altra parte… lui approfittava del suo essere donna per sfruttarla e non riconoscere le sue capacità.
per aprire l'innciso.
Ma è l'unico appunto che ti faccio: nessun errore o refuso.
In più. mi piace il tuo stile di scrittura: Bravo!
Strikeiron wrote: Sun Nov 02, 2025 2:00 am
Sul tavolo del magazzino deserto rimanevano solo i cocci anneriti e fumanti della zucca intagliata. I simboli su di essa pulsarono debolmente un’ultima volta e poi svanirono del tutto.
Su ordine del Maestro Artigiano il ratto tornò nel proprio nascondiglio e da lì, arrampicandosi sulle travi, proseguì sui piani superiori lontano dal magazzino e da quella puzza di marcio e decomposizione.
Non era la prima volta che gli capitasse di assistere a una scena del genere, pensò il ratto. Tutte le altre volte c’era il suo padrone, intento a intagliare una zucca, con un orfano legato accanto nella stanza. E ogni volta la fine era la stessa: lui all’ultimo si ritraeva e avvicinava la zucca al bambino, o alla bambina, che vi sparivano sempre dentro, mutando in luce nell’intaglio.
Sparendo, dimenticati.
Usati.
La coda del ratto sgusciò in un anfratto e l’eco dei suoi pensieri si spense nella testa del Maestro. Lui sospirò dal proprio punto di osservazione sulle scale: che spreco. Nella notte aveva sentito qualcosa e si era messo lì a spiare, non visto. Che talento buttato quella ragazza.
Leanore aveva sbagliato due cose molto importanti, ma ora non era più viva per imparare dai propri errori.
La prima era che aveva trasferito se stessa dentro l’intaglio, invece di sacrificare un’altra vita. 
La seconda era che si era dimenticata di immergere la zucca intagliata nel liquido alchemico prima di inserirvi la forza vitale: solo in quel modo la zucca avrebbe potuto rimanere integra. Lei sarebbe svanita lo stesso, ma almeno sarebbe servita.
Invece, senza il trattamento si era subito marcita, sprecando quell’energia in una sola inutile vampata.
Il Maestro Artigiano ritornò in camera da letto, cercando di riprendere il sonno perso. L’indomani avrebbe cercato un altro apprendista: l’ennesimo.
@Strikeiron  bravo!  (y)

Un triste ma riuscito horror. 
Sono contenta che sei tornato nello spazio delle Gare, alla seconda occasione.
Buon Contest!
Di sabbia e catrame è la vita:
o scorre o si lega alle dita.


Poeta con te - Tre spunti di versi

Re: [H25] Fuoco Fatuo

7
@Albascura  wrote: Sun Nov 02, 2025 3:52 pm Ciao,@Strikeiron , 
è la prima volta che commento un tuo testo, vero? 
Il tuo racconto mi è piaciuto,  riesci a mescolare bene l’atmosfera artigianale con quella magica, e la bottega prende vita grazie ai tanti dettagli concreti. Leanore è un personaggio che funziona: fragile ma determinata, e il finale con il sacrificio ribaltato lascia davvero un senso di ingiustizia che colpisce. 

Ti direi solo di fare un po’ di attenzione alle descrizioni troppo lunghe, perché a volte rallentano il ritmo. 
Mi è sembrata un po'  “spiegata” la rivelazione finale. Nel complesso però hai costruito un horror allegorico che inquieta e fa riflettere, e questo è un bel risultato. 

L’uso del ratto come figura ambigua non l'ho capita molto bene: non è semplicemente un animale, ma una sorta di eco mentale che il Maestro percepisce? Questo dettaglio dà al testo un tono inquietante ma lascia un  dubbio sul loro legame oltre che sull'utilità del ratto nel testo.
Alla prossima lettura.
@Albascura hai ragione da vendere. Dovevo costruirlo meglio perché il finale mi  venuto su all'ultimo momento, mannaggia la testaccia mia. Quindi giustamente spiego perché per colpa mia non mi sono fatto capire. Quando il Maestro Artigiano dal negozio rientra in laboratorio a fine giornata decide di tornare su e Leanore ha il dubbio che si sia fermato sulle scale. Difatti è proprio così: il Maestro si è fermato sulle scale per spiarla, ma non direttamente: attraverso il ratto che è il suo famiglio. Per questo c'è una commistione di pensieri tra il Maestro e il Ratto. Il ratto vede e ciò che vede vieneassimilato dal Maestro.
Grazie. A rileggersi!

Re: [H25] Fuoco Fatuo

9
Ciao @Strikeiron, passo velocemente. La storia è buona come favola nera! Se vuoi realizzarla devi essere più parsimonioso: c'è troppa roba da tagliare che non serve. Stai attento ai tempi verbali: sei passato spesso dall'imperfetto al passato prossimo, a volte hai usato il trapassato.. Ciao a presto :)
Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
Io malata in fuga.https://www.facebook.com/raffaele.manca.90/

Re: [H25] Fuoco Fatuo

10
bestseller2020 wrote: Sun Nov 02, 2025 6:03 pm Ciao @Strikeiron, passo velocemente. La storia è buona come favola nera! Se vuoi realizzarla devi essere più parsimonioso: c'è troppa roba da tagliare che non serve. Stai attento ai tempi verbali: sei passato spesso dall'imperfetto al passato prossimo, a volte hai usato il trapassato.. Ciao a presto :)
@bestseller2020 
Ciao grazie. Per tagliare evidentemente hai ragione. Per i tempi dei verbi ho provato a dare un'occhiata, cosa non ti tornava in particolare? Io ne ho beccato uno sbagliato.

Re: [H25] Fuoco Fatuo

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Ciao @Strikeiron
mentre leggevo la tua storia, avevo due pensieri costanti:
Da una parte, bella idea, parte da un grande classico, ma poi inserisce magia, mistero, lato oscuro.
Dall'altra mi chiedevo quanti dettagli superfli potevano essere eliminati, quanto avrei preferito che mi mostrassi la storia, invece dei lunghi spiegoni; specialmente nel finale.

Ti faccio un esempio:
Strikeiron wrote: Sun Nov 02, 2025 2:00 amIl liquido emanava un fetore insopportabile. Mentre Leanore abbassava delicatamente il cestello, con all’interno la zucca intagliata, cercava allo stesso tempo di tenerne lontano il viso, per non respirarne l’odore. E poi doveva pure stare attenta che gli schizzi non le arrivassero sulle mani.
Il Maestro Artigiano non voleva che lei mettesse i guanti, durante l’operazione: tolgono sensibilità alle mani, diceva. Quindi aveva dovuto imparare da sola, ripetendo più e più volte quell’operazione, come non schizzarsi e non farsi del male. Il liquido alchemico serviva a evitare che la zucca intagliata marcisse rapidamente.
Non è detto che lo stile ti piaccia, ovviamente è un parere personale da lettrice, ma secondo me potevi dare una percezione più visiva così:
Era difficile per Leanore porre la massima attenzione a non schizzarsi e nel contempo allontanare il più possibile le narici dall'odore nauseabondo che emanava quel liquido misterioso che non faceva marcire le zucche, trasformate in capolavori artigianali. Il maestro non le permetteva di indossare i guanti nemmeno per questa procedura d'immersione, diceva che tolgono la sensibilità.
Giusto per darti un'alternativa da considerare, io per esempio, da quando scrivo in questo spazio, non uso quasi più il narratore esterno, scrivendo in prima persona mi sembra di poter meglio esprimere le emozioni.

Hai messo molta carne al fuoco senza poi dare risposte, ad esempio da subito parli di liquido alchemico, ma poi non mi dici chi lo produce e da cosa è composto, nonostante anticipo che sia misterioso.
L'idea dei bambini spariti è buona, ci avrei iniziato il racconto, perché nel punto in cui li inserisco, è facile intuire cosa vorresti fare scoprire alla fine.

In sintesi, a mio parere, la storia c'è e merita di essere rivisitata e ampliata, limando tutte le parti che interrompono il flusso di lettura.

Buon contest.
<3

Re: [H25] Fuoco Fatuo

12
Ciao @Strikeiron

@bestseller2020 
Ciao grazie. Per tagliare evidentemente hai ragione. Per i tempi dei verbi ho provato a dare un'occhiata, cosa non ti tornava in particolare? Io ne ho beccato uno sbagliato.


Il liquido emanava un fetore insopportabile. Mentre Leanore abbassava delicatamente il cestello, con all’interno la zucca intagliata, cercava allo stesso tempo di tenerne lontano il viso, per non respirarne l’odore. E poi doveva pure stare attenta che gli schizzi non le arrivassero sulle mani.
Il Maestro Artigiano non voleva che lei mettesse i guanti, durante l’operazione: tolgono sensibilità alle mani, diceva. Quindi aveva dovuto imparare da sola, ripetendo più e più volte quell’operazione, come non schizzarsi e non farsi del male. Il liquido alchemico serviva a evitare che la zucca intagliata marcisse rapidamente. Dopo essere stata immersa in quella soluzione poteva durare intatta anche per dei mesi. Leanore non sapeva cosa fosse: periodicamente un garzone suonava alla porta del magazzino sul retro e recapitava svariate botti di quel liquido. Cosa ci fosse dentro rimaneva un segreto ben custodito della potente gilda dei maghi.
Ora, a fine ottobre, le consegne e le attività si erano fatte febbrili. Mancava pochissimo a Ognissanti e le richieste di zucche intagliate erano improvvisamente schizzate verso l’alto.
Comunicante con il magazzino e con l’accesso diretto dalla strada, il negozio del Maestro Artigiano era strapieno di opere inimitabili. Lui in persona era al banco a vendere a persone facoltose o a semplici turisti, attirati dai fini intagli, come non se ne vedevano altri in città. Alcune di quelle zucche intagliate erano opere che avevano richiesto molte ore di lavoro per essere finite.
Leanore questo lo sapeva bene: alcune di quelle le aveva intagliate lei stessa, con le sue mani. Aveva dimostrato di avere talento fin da piccola, da quando con un semplice coltellino otteneva figure di animali da pezzi di legno. I suoi genitori non avevano potuto provvedere a lei a lungo e l’avevano venduta al Maestro Artigiano quando era ancora piccola, perché imparasse un mestiere. O perché lui la usasse come una sguattera: alla fine le due cose erano sovrapponibili. Lui l’aveva presa immediatamente a servizio: sapeva di poter sfruttare il suo talento.
Le aveva sempre lasciato intagliare le zucche normali, quelle dentro le quali mettere le candele di cera accese. Oppure, se desiderava, poteva intagliarle nel legno, e i suoi lavori erano poi esposti in negozio, sotto gli sguardi meravigliati dei clienti.
Nessuno però aveva mai saputo che fosse lei l’autrice. E di anno in anno il numero dei clienti aumentava, al pari con il lavoro, sempre più gravoso.
Le altre zucche, quelle speciali, quelle che emanavano la luce da dentro, le erano sempre state vietate dal Maestro. Chissà poi per quale motivo? Con il passare degli anni lui non l’aveva mai coinvolta nella loro creazione. Non che fosse cattivo con lei, pensò Leanore, cominciando a sollevare con delicatezza il cestello dal liquido. Piuttosto era molto riservato sull’argomento: la cacciava via, sul far della notte soprattutto, e si sprangava lassù nelle sue stanze private. Per Leanore quella era una festa: in quelle notti non doveva dormire nello scantinato umido, ma lui le dava un po’ di soldi per dormire nella locanda. Su un letto un po’ più soffice e una stanza accogliente e tiepida. Al mattino, quando rientrava in negozio, Leanore giurava che un’altra di quelle zucche speciali fosse stata aggiunta sugli scaffali. No, il Maestro non era cattivo dopotutto: era solo parecchio strano e aveva i propri segreti.
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Ti ho segnato i tempi, molti sono col tempo imperfetto. Questo tempo lo si può usare per brevi premesse. Invece tu lo usi infilandolo dappertutto. La cosa che non va è l'imperfetto si usa per in azioni senza chiusura, ma facendone buon uso. Infatti dalla riga sotto sei passato all'azione conclusa, usando il passato, che poi usi assieme a diverse coniugazioni..
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Sollevò la zucca completamente fuori dall’orlo del liquido e agganciò il cestello in modo che sgocciolasse per bene. Una zaffata del liquido le entrò in gola, provocandole un conato di vomito che riuscì a malapena a trattenere. Si allontanò dal contenitore mentre le gocce ripiombavano giù, indietro, con quel loro suono caratteristico. 
Ploc. Ploc. Interminabile.
Cercò di respirare un po’ d’aria buona, ma era difficile là dentro. Avrebbe dovuto uscire da lì per un istante, sgattaiolando dalla porta del retro. Tanto ora doveva comunque aspettare.
Lo fece, stando ben attenta a non lasciare la porta aperta troppo a lungo. Per non far entrare i ratti, soprattutto. Quelli sentivano subito l’odore delle zucche che, per loro, erano ottime da sgranocchiare.
Fuori era ancora giorno e l’aria, seppur piena di carbone e di odore di legna bruciata, sembrava essere di gran lunga migliore del magazzino. Il vicolo, una laterale della via principale, era deserto. Leanore si arrischiò a dare un’occhiata poco più in là, dove la città fremeva di vita e di disordine: carri di merci e calessi di nobili, cavalli, garzoni che correvano e urlavano, o semplici passanti, indaffarati a tornare a casa. Vite che da lì dove si trovava poteva solo indovinare.
Tutti impegnati nei preparativi dell’imminente festa di Ognissanti.
Lo sguardo le cadde senza volere sul tavolato di fronte all’uscita del magazzino. Qualcuno aveva incollato dei nuovi fogli là sopra. Ancora, pensò. Leanore si avvicinò per leggerli meglio: per fortuna in quegli anni le avevano insegnato a leggere. Anche se sapeva già cosa ci sarebbe stato scritto: erano tutte facce abbozzate a disegno di bambini o ragazzine, alcuni della sua stessa età, altri poco più grandi, ma tutti quanti orfani. 
Tutti scomparsi in zone diverse della città. Nessuno veniva mai ritrovato: scomparivano letteralmente nel nulla. E i manifesti si accumulavano su quella parete, la carta sbiadita che si arricciava sotto il sole e le intemperie, dimenticandoli.
Leanore era fortunata. Lei i genitori li aveva ancora da qualche parte. Ma chissà se la ricordavano ancora? Magari un giorno avrebbe potuto finire il proprio apprendistato. Chissà poi, quando finalmente avrebbe potuto aprire la propria di attività. Ci sarebbero voluti ancora anni. Quanto lo desiderava: ogni giorno di più.
Peccato che in quella città le donne non potessero avere un negozio proprio. Erano tollerate come artisti, trattate come garzoni, ammirate nei circoli dell’alta società come mirabili artiste. Nulla di più. Lei però sapeva di essere brava, più brava di molti altri.
Chissà, magari il suo caso sarebbe stato diverso.
Sospirando Leanore rientrò nel magazzino, sperando che nessuno avesse notato la sua temporanea assenza. La zucca con sopra intagliata la splendida immagine di un folletto era ancora là che l’aspettava, silenziosa e spenta. Aveva finito di sgocciolare. Terminò di prepararla.
Ore dopo, al termine della giornata, Leanore aveva appena finito di disporre le ultime zucche conservate sull’ultima scansia di legno. La porta di comunicazione con il negozio si spalancò: era il Maestro Artigiano. Era soddisfatto di sé: portava le mani al panciotto gonfio, e chissà magari sotto i vestiti nascondeva gli incassi, per paura di lasciarli incustoditi. Canticchiando osservò il risultato del lavoro della giornata di Leanore e annuì, soddisfatto.
Doveva aver venduto molto quel giorno.
Le si avvicinò: “Bene, bene, ragazza mia… anche oggi un lavoro eccellente. Continuiamo così e chissà dove potremo arrivare,” esclamò.
Leanore annuì soltanto in risposta. Sapeva bene che anche se ora si mostrava di buon umore, il Maestro poteva cambiare atteggiamento da un momento all’altro. Dopo anni passati al suo servizio ne aveva quasi paura. Sapeva di dovergli essere riconoscente, ma d’altra parte… lui approfittava del suo essere donna per sfruttarla e non riconoscere le sue capacità.
Avrebbe dovuto provare rabbia per questo, ma in realtà provava solo rassegnazione. Avrebbe dovuto ribellarsi. Nemmeno oggi lo fece. Forse un giorno…
Il Maestro le scoccò un’occhiata in tralice: “Ragazza, fai il tuo dovere. Sistema le zucche intagliate rimaste invendute in negozio qui nel retro. Non vorrei mai che a qualcuno venisse qualche strana idea. Io mi ritiro per oggi.” Si avviò per le scale al piano superiore, facendole scricchiolare sotto il proprio peso.
Leanore sapeva cosa rimaneva da fare e sospirò. Sarebbe stato un lavoro lungo.
Il Maestro era già rientrato nelle sue stanze o si era fermato sulle scale a origliare cosa stesse facendo?
Ogni volta che lei immaginava la rivalsa, ci pensava la triste realtà a metterla al suo posto.
Si avviò nel negozio, reso buio dagli scuri accostati. Ma fuori era già notte fonda da qualche ora: la pendola batteva quietamente i colpi della mezzanotte. 
Era tardi: Ognissanti. 
Là dentro c’era ancora un po’ di luce: una delle zucche, in particolare, brillava di luminosità propria; le venature dall’interno portavano al di fuori i delicati ghirigori di una scena tratta da un’antica leggenda. Una donna appoggiata su un letto raccontava a un uomo una storia. Leanore la conosceva: se quella donna non avesse inventato ogni notte una nuova storia sarebbe stata uccisa. Chiudendo gli occhi poteva quasi immaginare quella scena prendere vita. Quello era uno degli intagli che non aveva fatto lei, ma se ne era occupato personalmente il Maestro. Non l’aveva mai notato prima di allora.
Gli strati intagliati, in trasparenza, aggiungevano dettagli di squisita fattura.
Con cautela Leanore la prese tra le mani e si incamminò nel magazzino, mettendoci tutta l’attenzione che poteva per non inciampare.
Solo che quando arrivò sui gradini che portavano nel magazzino sentì un rumore. Come di qualcosa di grosso e al di fuori della sua vista che le si muovesse attorno ai piedi. A tentoni cercò l’appoggio del gradino.
E il suo piede scivolò mentre quello si muoveva rapido sotto di lei. Non poteva vedere cosa fosse: la zucca era abbastanza grande da non farle vedere dove avesse veramente appoggiato il peso.
Scivolò sulla schiena e cadde giù, mentre le braccia si stringevano su quello che teneva, terrorizzata. Poco le importava del dolore lancinante alla base della schiena quando, cadendo, sbatté a terra su tutti i gradini successivi.
Sentì il rumore della zucca che si rompeva sotto di lei, mentre stringeva i denti per il dolore della caduta e per la disperazione per quello che aveva appena combinato.
L’aveva rotta.
Il bagliore interno che l’illuminava scemò e si spense per sempre.
Leanore si trovò a terra circondata da gusci vuoti, ormai senza luce. 
E ora?
Il ratto la osservò rialzarsi debolmente e scappò allora nel buio del magazzino, infilandosi tra i tavoli verso il fondo.
Il Maestro Artigiano gliel’avrebbe fatta pagare cara quando l’indomani avesse saputo che l’aveva rotta. E il cumulo dei debiti nei suoi confronti sarebbe aumentato. Non solo Leanore gli doveva ancora una discreta somma per l’apprendistato, ma a questa avrebbe aggiunto il valore inestimabile di quella zucca rotta. Quelle con la luce valevano molto, molto di più di quelle normali. In più i ratti là dentro non avrebbero dovuto esserci: era una sua responsabilità. Non avrebbe sentito ragioni.
Leanore ripensò ai suoi modelli in legno di là nel negozio e un’idea folle prese corpo nella testa. Laggiù nel magazzino c’erano ancora delle zucche nuove, pronte per essere intagliate, e là poteva trovare anche tutti gli strumenti di intaglio che le occorrevano.
A quell'ora il Maestro doveva già essere profondamente addormentato.
E lei era sicuramente in grado di copiare l’intaglio. Sapeva già come farlo.
Si mise a un tavolo e cominciò, i cocci rotti come modello davanti a lei. Non pensava all’inizio di poterla veramente ricreare da capo, ma man mano che andava avanti la capacità la inebriò e le mani corsero leggere sulla superficie della zucca, facendole perdere la cognizione del tempo. Gli scalpelli davano vita a una copia esatta. Anzi, avrebbe potuto farla addirittura migliore se avesse voluto.
Si dimenticò di se stessa, del terrore per la somma che avrebbe dovuto rifondere, dei pezzi che avrebbe dovuto nascondere nella notte. L’impeto del creare prese il sopravvento in lei, come ogni volta: lei era nata per questo, per dare voce alla propria capacità, attraverso le mani. Sotto sentiva la scena del racconto prendere forma, dettaglio, corpo.
Quando si fermò aveva in mano una copia esatta della zucca rotta. Nessuno avrebbe potuto notare la differenza, pensò. Anzi, forse i colpi di cesello erano addirittura più delicati, più fini e la scena più realistica dell’originale.
Solo che quella zucca non emanava alcuna luce.
Leanore prese i cocci rotti e se li rigirò tra le mani per l’ennesima volta, nel silenzio ovattato della notte. Come poteva rimediare a quel guaio? Mancava forse qualcosa?
Poi si accorse di quei segni, alla base dell’intaglio. Erano piccoli e non capiva quella scrittura, non del tutto, ma poteva imitarli. Anzi, poteva sicuramente farli identici: forse erano quelli che davano alla zucca la sua luce?
Con delicatezza cominciò a tracciarli e sentì qualcosa accadere sotto le sue mani. Era come se la materia prendesse vita sotto il suo tocco. Possibile? Nel momento in cui li incideva una strana sensazione le si agitava dentro: l’anelito ad andare avanti a creare… Doveva aver capito in qualche modo come si facesse. I segni non solo avevano un loro significato. Erano giusti, puliti.
Solo che quando terminò di copiarne l’ultimo non accadde proprio nulla. Sentì solo la propria energia e la propria agitazione al culmine, poi il nulla. Un’energia incredibile le montava dentro, pronta a esplodere, mentre cercava una via di fuga, un mezzo per esprimersi. Poi all’improvviso si svuotò del tutto e lei si ritrovò sola, esausta dal lavoro appena concluso.
Cos’era appena successo?
Il tempo si fermò e trattenne il fiato. La zucca rimaneva spenta nell’ombra.
La prese in mano, ormai più leggera di prima, e la scosse piano. E fu come se la scena intagliata entrasse dentro di lei e lei dentro la scena. L’energia di prima si sciolse in un’unica direzione, senza che lei potesse fare nulla per opporvisi. Prima le mani, poi le braccia, poi giù tutto il suo corpo divenne pura luce, energia che si riversava dentro l’intaglio. Il suo intero corpo scomparve. La sua mente cessò di esistere. Divenne solo luce.
La zucca, non più tenuta tra le sue mani, ricadde sul tavolo con un tonfo sordo e oscillò senza cadere o rompersi.
All’interno dell’intaglio quella che era stata Leanore si agitò scorrendo in un pallido bagliore, poi divenne fissa, aumentò. Ma lei non era più nella stanza per vederla. Di minuto in minuto si fece più forte, poi divenne accecante, illuminando il magazzino come fosse giorno.
Dal suo nascondiglio il ratto uscì fuori, come una falena attirata da una fiamma. La luce accecante ora illuminava qualsiasi anfratto, piega, nascondiglio. Esattamente alla vibrazione del primo rintocco la zucca si crepò e implose. La stanza piombò di nuovo nella solita semioscurità delle poche candele rimaste accese. Presto si sarebbero spente anche quelle.
Sul tavolo del magazzino deserto rimanevano solo i cocci anneriti e fumanti della zucca intagliata. I simboli su di essa pulsarono debolmente un’ultima volta e poi svanirono del tutto.
Su ordine del Maestro Artigiano il ratto tornò nel proprio nascondiglio e da lì, arrampicandosi sulle travi, proseguì sui piani superiori lontano dal magazzino e da quella puzza di marcio e decomposizione.
Non era la prima volta che gli capitasse di assistere a una scena del genere, pensò il ratto. Tutte le altre volte c’era il suo padrone, intento a intagliare una zucca, con un orfano legato accanto nella stanza. E ogni volta la fine era la stessa: lui all’ultimo si ritraeva e avvicinava la zucca al bambino, o alla bambina, che vi sparivano sempre dentro, mutando in luce nell’intaglio.
Sparendo, dimenticati.
Usati.
La coda del ratto sgusciò in un anfratto e l’eco dei suoi pensieri si spense nella testa del Maestro. Lui sospirò dal proprio punto di osservazione sulle scale: che spreco. Nella notte aveva sentito qualcosa e si era messo lì a spiare, non visto. Che talento buttato quella ragazza.
Leanore aveva sbagliato due cose molto importanti, ma ora non era più viva per imparare dai propri errori.
La prima era che aveva trasferito se stessa dentro l’intaglio, invece di sacrificare un’altra vita. 
La seconda era che si era dimenticata di immergere la zucca intagliata nel liquido alchemico prima di inserirvi la forza vitale: solo in quel modo la zucca avrebbe potuto rimanere integra. Lei sarebbe svanita lo stesso, ma almeno sarebbe servita.
Invece, senza il trattamento si era subito marcita, sprecando quell’energia in una sola inutile vampata.
Il Maestro Artigiano ritornò in camera da letto, cercando di riprendere il sonno perso. L’indomani avrebbe cercato un altro apprendista: l’ennesimo.


Scusami se ti ho segnato i verbi, ma come potrai renderti conto, vi è di tutto. Non dico che sia sbagliato, dico sono che è una questione di organizzazione dei tempi. Ammetto che da "genio illetterato e sgrammaticato" non sono il più titolato in questo campo, ma leggendo il racconto, viene naturale muovere questa osservazione. Io direi di chiedere altri pareri sulla questione, vediamo se c'è qualche amico che ci dà un parere.. Ciao a presto.




Tratti di pioggia sopra Auschwitz. Tra oblio e orgoglio
Io malata in fuga.https://www.facebook.com/raffaele.manca.90/

Re: [H25] Fuoco Fatuo

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bestseller2020 wrote: Tue Nov 04, 2025 7:34 pm Scusami se ti ho segnato i verbi, ma come potrai renderti conto, vi è di tutto. Non dico che sia sbagliato, dico sono che è una questione di organizzazione dei tempi. Ammetto che da "genio illetterato e sgrammaticato" non sono il più titolato in questo campo, ma leggendo il racconto, viene naturale muovere questa osservazione. Io direi di chiedere altri pareri sulla questione, vediamo se c'è qualche amico che ci dà un parere.. Ciao a presto.
@bestseller2020 non preoccuparti, hai fatto bene e mi hai fatto riflettere. In teorial'imperfetto è il verbo delle descrizioni o delle azioni non compiute, mentre il passato è per le azioni definite e compiute. Quindi se Leanore sta pensando a come viene trattatata dal Maestro la descrizione sarebbe all'imperfetto, mentre le azioni compiute sarebbero al passato remoto... del genere "mentre pensava ai fatti suoi abbassò il cestello". E vista con questa prospettiva c'è qualche verbo fuori fase. Hai avuto buon istinto a segnalarmelo. hai ragione, grazie.

@Modea72 ho capito benissimo. Lo stile troppo ampolloso e descrittivo ha tolto respiro al flusso della narrazione. Mi sono fatto troppo prendere dal worldbuilding che ci stava, ma non così esteso. Poi inconsciamente volevo creare un effetto di rallentamento della storia che converge negli eventi di rottura. Non ci sono riuscito evidentemente. Dopodiché ho sbagliato anche lo show don't tell. Per fare un esempio il finale l'ho ripreso, (tanto sono fuori dal contest) e l'ho riscritto così:

Che talento buttato quella ragazza.
Lei sarebbe svanita lo stesso, prima o poi, ma almeno sarebbe servita.
Chissà com’è, continuò a pensare il Maestro, rimanere intrappolati come luce, la tua forza vitale che preme una gabbia che ti marcisce attorno per poi scioglierti in un’ultima inutile vampata. Mai dimenticarsi di immergere la zucca intagliata nel liquido alchemico, prima di infonderle una vita. E quella vita… deve essere di qualcun altro.
Rabbrividì un istante, ma era per l’ora passata al freddo sulle scale. Con calma riprese a salire gli ultimi gradini  verso la camera da letto, dove avrebbe recuperato il sonno perso. 
L’indomani avrebbe cercato un altro apprendista: l’ennesimo.

E così è un'altra cosa. Ha completamente perso il didascalico. Insomma le idee le avevo ma le ho un po' buttate via, o evidentemente dovevo maturarle meglio. Errori dell'essere un principiante.

Re: [H25] Fuoco Fatuo

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Ciao @Strikeiron

Io non sono il tipo da consigliarti sui verbi, perché  sono il primo a lasciarmi andare e fare qualche errore in questo ambito, per non parlare della punteggiatura, che ultimamente sto cercando di curare di più. Ho un buon intuito circa alternanze tra imperfetto e trapassato e talvolta va bene, ma si tratta solo di pratica.
Strikeiron wrote: Sun Nov 02, 2025 2:00 amll liquido emanava un fetore insopportabile.
Apri subito con un’immagine sensoriale forte: ottimo incipit, visivo e olfattivo, che cala il lettore nel laboratorio. La scena iniziale funziona bene perché mescola il quotidiano artigianale al mistero alchemico, preparando il terreno al ribaltamento finale.
Hai un modo di scrivere  attento ai particolari, direi curato, con un ritmo lento e descrittivo che si adatta perfettamente al tono gotico-artigianale del racconto.  Hai un buon controllo del linguaggio e una costruzione coerente della voce narrativa: non ci sono stacchi bruschi, e l’atmosfera cresce in modo progressivo, “invisibile”, fino al momento della rivelazione.
L’uso del punto di vista interno a Leanore funziona: si entra nella  mente della ragazza, nel suo senso di rassegnazione e speranza frustrata. Il personaggio è ben tratteggiato — non idealizzato, ma umano, fragile, e questo rende la sua sorte finale più tragica.
L’elemento horror è introdotto con misura: prima come sospetto (le sparizioni, le notti segrete del Maestro), poi come orrore pieno. Il finale ribalta la prospettiva: la scena del ratto che “pensa” è inquietante e geniale, perché suggerisce che la creatura sia in qualche modo legata al Maestro, amplificando il senso di controllo e sfruttamento.
La chiusura è solida: il ciclo di sacrifici riparte, e il lettore resta con quella sensazione di gelo tipica dei buoni racconti dark.

Mi sono piaciuti i toni fiabeschi oscuri, il simbolismo della zucca “contenitore di luce vitale” è una metafora potente del lavoro creativo, dello sfruttamento artistico e di un inquietante potere diabolico.
Nella descrizione del vicolo e dei manifesti si rallenta un po’ la tensione. Potresti snellire leggermente quella sezione per mantenere viva l’attesa verso la notte di Ognissanti. 
Il Maestro, pur interessante, rimane troppo chiuso in un blocco  monolitico: una piccola sfumatura emotiva (un gesto d’esitazione, una frase più umana) lo renderebbe ancora più inquietante, perché il male ambiguo è più disturbante di quello puramente freddo.
Il momento della trasformazione di Leanore è suggestivo, ma potresti renderlo più percettivo: aggiungere un accenno ai suoni, all’odore, o a un dolore fisico mentre “diventa luce”, per radicare meglio l’orrore nel corpo.

Nell’insieme mi è piaciuto, un racconto gotico ben costruito, si intuisce un mondo intorno, anche se magari in questa occasione non lo hai costruito del tutto nei particolari.
Il finale è disturbante quanto basta. Direi melanconico, nonostante la triste fine di Leanore.

Funziona come allegoria della creazione artistica e dello sfruttamento del talento, e lascia il lettore con la sensazione di aver assistito a qualcosa di inevitabile e rituale.

Ciao, a rileggerti
Si salveranno solo coloro che resisteranno e disobbediranno a oltranza, il resto perirà.
(Apocalisse di S. Giovanni)

Re: [H25] Fuoco Fatuo

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Ciao@ Alberto Tosciri 
sai che sono da poco su questo forum, ma il tuo è uno degli stili di scrittura nel quale mi sono immedesimato di più, leggendo i racconti nei contest. 
Anche per questo motivo, leggendo le tue osservazioni sono particolarmente colpito dalla profondità delle tue analisi. E devo dire anche stupito dai complimenti. Penso che tu sia uno scrittore con tanta, tantissima esperienza.
Le criticità e le pecche che mi evidenzi sono date da un'analisi profonda e ragionata e sono osservazioni ben colte. Leggo e penso: ha capito benissimo, ben oltre quelle che fossero le mie intenzioni un po' grezze o approssimative. Purtroppo non ho mai imparato un metodo di scrittura e quindi mi ritrovo in un limbo dove mi servono ennemila revisioni per raggiungere un risultato sufficiente. Ascolto il mio istinto ma mi manca la cassetta degli attrezzi (data anche dall'esperienza) per avere una corrispondenza tra ciò che penso e ciò che scrivo.
Nello spoiler avevo messo un accenno alla Robinette perché è da un suo racconto che sono partito per la costruzione di questo e ovviamente mi sono dilungato troppo ed è venuto fuori qualcosa di più simile a un iceberg che a un racconto. Di certo non potevo far addormentare tutti (come difatti mi è stato fatto notare!). C'hai preso in pieno sull'allegoria: a un certo punto mi è venuta così, quest'idea di un talento come di un qualcosa che possa rovinarti la vita e diventare un horror. E le altre cose sono seguite... 
Ti ringrazio per il commento.
A rileggersi!

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