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Re: Quattro centimetri e mezzo (cap. 1)

Vi ringrazio entrambi, @Poeta Zaza, @Bardo96! Innanzitutto, parto con la questione più importante: la lunghezza. Perché sì, questo prologo è effettivamente davvero molto corto: la storia voleva più che altro essere un racconto breve o una raccolta di racconti brevi sulla vita quotidiana della protagonista, quindi i capitoli sarebbero stati abbastanza corti—e di conseguenza il prologo ancor più. E in effetti il primo capitolo (corto, appunto) esiste già... ma purtroppo non trovo il tempo di continuare la storia, quindi penso che non lo metterò qui dal momento che comunque dubito ci sarebbe alcun seguito.

Posso però dire che il primo capitolo risponde a quasi tutte le tue domande, Poeta Zara! La casa è della sua famiglia, la quale è perfettamente consapevole della sua presenza e del fatto che sia nata... inaspettatamente piccola; questo è il motivo per cui vive in un'abitazione effettivamente gigantesca e circondata da oggetti per lei smisurati (dal momento che i suoi genitori e fratelli sono di dimensioni normali), ma questo non rappresenta un problema perché la famiglia comunque si prende cura di lei.

In ogni caso, vi ringrazio entrambi per i complimenti e per le vostre parole gentili! Se mai dovessi scrivere dell'altro, pubblicherò certamente qui!

Quattro centimetri e mezzo (cap. 1)

Commento.

È più un piccolo prologo che un vero e proprio primo capitolo, ma spero che possa comunque catturare la vostra attenzione e suscitare il vostro interesse! È una storia introspettiva che tratta della vita quotidiana di una ragazza, Marina, affetta da... un problema d'altezza non indifferente, la cui natura intuirete immediatamente già leggendo questo prologo. Il racconto è ambientato nell'Italia dei giorni nostri, un mondo che ben conosciamo ma visto da una prospettiva del tutto nuova e inusuale.

        Una musica infernale rimbombava sulle pareti della stanza, risuonando a un numero inaudito di decibel da ogni direzione. Il pavimento tremava a intervalli regolari come colpito da un terremoto a intermittenza, e c'era un forte ronzio che—con la stessa cadenza—non faceva che aggiungersi alla confusione già prodotta dalla musica. Una tale baraonda avrebbe fatto impazzire chiunque: ma si trattava solo di ciò che noi comunemente definiremmo sveglia.
        Marina aprì gli occhi, ancora semiaddormentata ma già visibilmente infastidita. Mise da parte il 'piumone', e giratasi di lato appoggiò i piedi direttamente sul 'pavimento'. Quello che per lei era un piumone è per noi solo un batuffolo quadrato di cotone, e quello che per lei era un pavimento è per noi la superficie fredda e legnosa di una scrivania. Camminò seccata, a passi veloci, in direzione della sorgente di quel frastuono infernale. Quella che si trovava davanti era un'enorme piattaforma rettangolare, giacente a pancia in su, nera ai bordi e dotata di una superficie scura e riflettente nel mezzo; la musica sembrava provenire da una piccola grata su uno dei bordi. In poche parole, era un telefonino.
        Ci salì su facendosi leva con un ginocchio, e quando fu in cima si mise a saltare a più non posso. Non sarebbe mai riuscita a spingere il bottone laterale che avrebbe sbloccato lo schermo, ma sapeva che il saltare su e giù su di esso avrebbe prima o poi fatto capire allo smartphone che era ora di attivarsi. Dopotutto era così che spegneva la sveglia ogni mattina. Ci vollero quasi dieci salti perché il telefono ne captasse due di fila, e li associasse a un doppio tocco per sbloccare il display. Adesso si trattava solo di camminare in punta di piedi (per non attivare nulla involontariamente), e saltare con decisione sul punto esatto del menu per interrompere definitivamente la sveglia. Subito cadde il silenzio nell'ambiente, e anche il terremoto causato dalla vibrazione del cellulare si acquietò.
        «È fatta» si disse Marina piano piano, quasi a far riposare le orecchie, mentre si sedeva a riprendere fiato sul bordo del telefonino, e trascinava i piedi sulla superficie della scrivania sotto di lei. Raggiungere la cucina per la colazione non sarebbe stato uno scherzo, ma la cosa non la preoccupava: l'aveva già fatto sì e no altre settemila volte e più, in fondo.

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