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Re: [Lab 9] La legge di Eleonora cap 4 di 5

sefora ha scritto: Trovo, in contrasto con le precedenti "lungaggini", troppo sintetica e accelerata la narrazione. Non sono patita dello show, don't tell,  però qui  sarebbe stato necessario mostrare  al lettore aspetti significativi di questa ben inventata battaglia delle pecore in fiamme! Raccontata  da un personaggio ad hoc riesce  statica e poco emozionante.
ciao @sefora , anche in questo capitolo ho dovuto sintetizzare per stare dentro al limite... Grazie della tua attenta lettura :sss:

Re: [Lab 9] La legge di Eleonora cap 4 di 5

ciao @Poeta Zaza grazie del passaggio <3
Poeta Zaza ha scritto: Ritorno su questi periodi, secondo me scritti frettolosamente, perché mi ha colpito il fatto che tu non menzioni più la figura del marito di Eleonora,
del quale hai detto, in un precedente capitolo, essere prigioniero del re aragonese. Sarebbe meglio un accenno anche alla sua liberazione e al suo ritorno che non ho visto, neanche nel quinto capitolo. 
Avrei avuto bisogno del sesto capitolo per non tagliare in questo modo, su questo hai ragione. La storia di Brancaleone Doria l'ho dovuta escludere in quanto era l'unica parte sacrificabile in quanto Eleonora e Martino si erano presi tutto quello spendibile e indispensabile alla storia. Brancaleone tornò a casa libero quando Eleonora già aveva la vittoria in mano. Certo, anche lui si mosse dall'esterno per ottenerla ma il merito è gran parte suo.
Non lo avevo neanche in mente come personaggio, del resto. Come ha detto @Kasimiro se dovessi farne un romanzo, allora ci sarebbe spazio anche per lui.. grazie Mariangela

[Lab 9] La legge di Eleonora cap 4 di 5

   
La legge di Eleonora


Capitolo quarto. L’esercito di pecore


L’autorità elimina la legge. Una legge senza autorità non serve a niente. Ma una legge che non ha bisogno dell’autorità è destinata a essere rispettata.


Martino pensò che fosse lo spunto ideale su cui costruire il paradigma della sua tesi. Si trattava di rappresentare l’evoluzione del cammino dell’idea della legge al servizio della comunità e non a servizio del potente di turno. Si mise a scrivere e per giorni si barricò nella stanza, uscendone solo per brevi spuntini che la madre gli preparava prima di uscire per andare a lavoro. Ma quella sera, mentre i suoi stavano cenando, un cellulare si mise a suonare.


“Ma Tullio! Anche a quest’ora ti cercano?” sbottò la signora.


L’uomo si alzò di botto, assunse un’aria preoccupata perché aspettava quella telefonata. Si scusò con lei dicendole che era una cosa importante e che andava nel suo studio per stare tranquillo.


“Pronto Paolo!”


“Sì! Ciao Tullio. Senti, la questione non so ancora di quale rilevanza possa essere”.


“Spiegati, non farmi stare sulle spine”.


“Come ben sai la lettera anonima che è arrivata l’altro giorno all’Ordine è stata messa nelle mani della disciplinare. Ne ho una copia tra le mani che sono riuscito a procurarmi da chi ben sai. Se ne deduce che non è stata scritta da un cliente incazzato, ma da uno del nostro campo”.


“Come sarebbe?” esclamò sorpreso, “Se fosse uno di noi che problemi avrebbe a dichiararsi per conto del suo cliente!”


“Questa è la stranezza. Vedi, cita varie cause dove eravamo tutti d’accordo sulla conclusione. Quindi non è possibile che sia il Garbati, il Santelli, il Tosetti o altri del circuito”.


“E se fosse che mi vogliono far fuori dalla causa Ecojoint?”


“Ma non credo! Tu sei il direttore dell’orchestra non puoi essere sostituito; poi da chi? Sanno che se parli tu ci passerebbero anche loro”.


“Ma il distretto cosa pensi che farà? Se non hanno una richiesta firmata dall’esponente dovrebbero archiviare, non credi?”


“Certamente. Ma come ti dicevo prima, lo avrebbero fatto se non fosse che il misterioso denunciante si avvale del principio di autotutela, affermando pure la validità dell’atto per la procedibilità d’ufficio, date le questioni di estrema gravità avanzate..”


“Porca puttana! Questo è uno di noi; siamo nella merda!”


“Stai calmo! Vedrai che in qualche modo si farà sentire per contrattare. Al momento aspettiamo e non facciamoci prendere dal panico”.
                                                                                                                              *******


Eleonora aveva mandato messaggeri sino ai confini dei giudicati che non erano sotto il suo controllo; spiegando le ragioni della sua ribellione e la necessità di mettersi tutti quanti assieme contro l’autorità aragonese. Sapeva che a molti non sarebbe piaciuta l’idea, dato che godevano dei diritti di vassallaggio, con tutti i privilegi concessi dal loro feudatario.
Ma senza scoraggiarsi, decise di giocare d’anticipo, organizzando un esercito di quasi centomila soldati di diversa etnia, estrazione sociale. Una massa imponente che sconfisse nelle varie battaglie le forze aragonesi unite a quelle a loro fedeli . A questo punto il re decise di inviare cospicui rinforzi per ristabilire l’ordine e imprigionare Eleonora auto incoronatasi come giudicessa, al posto del figlio Federico, ancora troppo giovane per potere sedere al governo al posto dell’assassinato zio Ugone, fratello di sua madre.


Faceva già tanto caldo e i campi di grano erano stati già falciati. Anche le piante di fico avevano portato a maturazione i frutti anticipatamente. Le campagne erano aride e già preda dei roghi che sfuggivano al controllo dei pastori. Eleonora aveva radunato l’esercito in Trexenta, e si era accampata nella parte alta della piana. Aspettava l’arrivo della armata aragonese con cui avrebbe dovuto scontrarsi nella risolutiva battaglia per l’autonomia. Come sua abitudine, anche quella mattina, fece la solita passeggiata in sella al suo cavallo. L’accompagnava il fidato Salvatore Orrù, uomo d’armi e grande stratega delle battaglie passate.


I due raggiunsero il picco dell’altura da cui si poteva vedere il futuro campo di battaglia.

La figura di Eleonora, in posizione eretta sul suo cavallo, pareva toccare il cielo azzurro pallido velato dall’afa.


“Qui dovremo confrontarci, Salvatore?” domandò percorrendo con lo sguardo il vasto territorio di scontro.


“Sì mia signora. Abbiamo scelto questo luogo per vari motivi. Vede quelle piccole insenature che girano attorno alla piana? Lì, si nasconderanno gran parte degli armati dei comuni della Ogliastra.
Gente fiera e combattiva. Gli aragonesi arriveranno da sud e non potranno vederli nascosti dove saranno. Noi gli aspetteremo appena scesi da questi pendii e ci faremo ben vedere. Quando vedranno che non abbiamo intenzione di usare gli arcieri per appiccare il fuoco al campo, questi avanzeranno contro di noi”.


“Poi cosa succederà? Senza arcieri abbiamo poche speranze contro la loro cavalleria” notò Eleonora. “Non ci serviranno al momento” rispose lui, “Quando loro si avvicineranno per dare battaglia, non si domanderanno delle pecore che terremo lì a pascolare”.


“Salvatore! Non si domanderanno ma mi creda che si faranno grandi risate. Già li sento sghignazzare, “Le pecore rimpinguano le file con il loro proverbiale coraggio”.


“E noi li lasceremo ridere, perché è quello che vogliamo che facciano. Fa parte del piano che loro si sentano convinti di avere a che fare con un esercito di pecore comandati da…”


Eleonora lo fulminò con lo sguardo.


“Mi perdoni mia signora, era un modo di dire.. Questa è gente rozza abituata a trattare le donne come le loro bestie”.


Eleonora sorrise: “Avevo capito. Ma le pecore?”.


“La piana è arida e con pochi fili d’erba. Ma come potrà notare ci sono vaste zone dove cresceva su mudregu che ora è secco per via degli incendi di questi anni passati. Quell’arbusto prenderà facilmente fuoco e con la forza che nasconde dentro al suo legno, infuocherà la piana nel tratto tra noi e loro e oltre le loro spalle”.


“Conosco il potere magico del cisto e il suo rosso vivo quando diviene brace. Ma senza arcieri come accenderemo il campo? E poi un tiro di arco è poca distanza per intrappolarli: scapperebbero prima che si sviluppi”


“Saranno le pecore a portare il fuoco. Quando loro si posizioneranno in mezzo al campo, noi lasceremo correre le femmine a cui daremo fuoco”.


Gli occhi di Eleonora si spalancarono per l’indignazione.


“Lo so, mia regina, ma dobbiamo sacrificarne cinquemila. Le pecore nere che metteremo in mezzo alle altre saranno cosparse di pece sul manto folto della stagione invernale. Le altre le cospargeremo di olio. Quando le femmine sentiranno il fuoco addosso scapperanno dal terrore correndo verso i maschi per istinto, e in breve raggiungeranno gli aragonesi e tutte le parti del campo. Le pecore si appiccheranno il fuoco tra di loro e quando i nemici si renderanno conto del pericolo, il campo sarà un inferno. Poi il cisto prenderà fuoco e farà imbizzarrire i cavalli, si scatenerà il panico tra i fanti. Il calore li spingerà verso verso i lati dove saranno appostati gli altri, arcieri compresi. Li terremo a bada e li lasceremo sfinire dal calore per tutto il meriggio e, al calar della sesta ora, daremo battaglia”.


Così fu. Dopo due giorni di attesa, l’esercito mandato dal re arrivò in regione Trexenta e si posizionò di fronte alla modesta armata di Eleonora. Le previsioni di Salvatore Orrù si verificarono in ogni parte del piano. Il comandante aragonese Pedro Lumiera scrutò la vallata e vide il folto gregge di pecore pararsi di fronte a lui. Spavaldo e ignaro, diede l’ordine di avanzare. I cavalli presero a indietreggiare nervosamente come se avvertissero il pericolo. I cavalieri premettero gli speroni sui fianchi delle bestie e queste obbedirono all’ordine. Il belare delle pecore si alzò per l’aria e parve un canto di battaglia. Poi si accesero i manti delle martiri e l’esercito di fuoco invase la piana spazzando via gli aragonesi.

(continua)

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