La ricerca ha trovato 2 risultati

Torna a “[Lab 9] La Legge di Eleonora cap 3 di 5”

Re: [Lab 9] La Legge di Eleonora cap 3 di 5

@Mina ciao e grazie
Mina ha scritto: Nella parte iniziale, ti invito a prestare attenzione ai punti di vista: chi è che sta vedendo e sentendo quello che avviene? Mi sembra che la "macchina da presa" sia a metà strada tra Martino e i genitori, e confonde abbastanza.
Sai che non mi ero accorto di questo? A volte vado a naso!... :asd:

[Lab 9] La Legge di Eleonora cap 3 di 5

   
La legge di Eleonora


Capitolo terzo. L’ombra paterna


Martino fu distolto dal rumore della porta di ingresso che sbatté contro lo stipite, annunciando il ritorno del padre, l’avvocato Tullio Bellisai. Poi si sentì il suo nervoso camminare per il corridoio e la voce di una donna che si lamentava.


“Scusami cara, ha sbattuto con forza per la corrente d’aria”.


La moglie, Anna Maria Selce, ribatté “ Non so di quale corrente parli, qui è tutto chiuso”. Poi la donna lo squadrò e gli domandò “ Ma stai bene? Ti vedo strano; ti è successo qualcosa?”


“Niente. Ho avuto una mattina infernale. Martino è già a casa?” chiese.


“Deve essere in camera a studiare” rispose la donna; “Non si è nemmeno accorto quando sono arrivata a casa”.


L’uomo a sua volta andò verso la stanza del figlio e senza bussare aprì con circospezione la porta.
Il giovane si irrigidì e fece finta di nulla.


“Ciao, che fai?” chiese lui.


“Sto cercando spunti per la tesi” rispose senza distogliere lo sguardo dallo schermo.


“Questo lo immaginavo. Mi ha detto qualcosa al telefono Della Monaca e della tua idea. Sinceramente parlando, anch’io la trovo una strada tortuosa. Non capisco perché parlare dell’argomento abuso del processo, invece di revisione di qualche articolo di legge e di procedura.
Comunque fai come credi, sai come funziona il sistema , come tu stesso vedi quando stai da me in studio”.


“Tranquillo papà, vedrai che metterò in pratica quello che mi hai insegnato!” rispose con un tono serio e smarcante che colpì il padre, che a sua volta non mancò di esternare quello che sentiva dentro: “Noi dovremmo parlare. Da un po’ di tempo stai in disparte e non mi rivolgi la parola. Cosa è che hai? Se ti preoccupa questa tesi possiamo comprarne una da gente fidata”.


“La tesi non mi preoccupa. Anzi, la faccio volentieri anche perché avrei qualcosa da lasciare scritto”.


L’uomo notò la determinazione del figlio e l’accento pungente delle sue parole. Immaginò che fossero dettate dal suo spirito giovane e pieno di ideali che lui stesso aveva avuto alla sua età: “Va bene, fai come credi”, disse richiudendo la porta della stanza.


Ritornato solo con i suoi pensieri, Martino riprese a pensare...


                                                                                                                 ******




Eleonora si aspettava la domanda maliziosa fattagli da Lorenzo Torres sulla sorte del marito Brancaleone.


“Lasciamo stare. Le parole sono preziose quando hanno un alto significato. Quando diventano storie orrende, è sempre meglio limitarle. Ma le rispondo volentieri. Mio marito è stato trattenuto alla corte del Re per il motivo che lo si vuole ostaggio sino a ché io non gli manderò mio figlio Federico al posto suo. Il re prepara la strada della successione reale di questa terra, o a chi gli è fedele”.


“Non capisco questa sua paura, mia signora. Lei è fedele alla corona, perché non inviare il giudice Federico come richiesto? Il re lo apprezzerebbe e lo riterrebbe prova della nostra fedeltà”.


“Torres, lei fa finta di non capire. Qui non vi è in discussione chi dovrà governare, ma in che modo lo si farà. Io non ho nessuna intenzione di consegnare la nostra popolazione al torchio della legge dei potenti”.


Ma il re ha il diritto sulla gente; tutto gli appartiene. Credo che lui trovi il carattere legislativo creato da suo padre Mariano e aggiornato da lei, una follia. Il popolo ha bisogno della dura legge e di chi la faccia rispettare”.


“Credo che si sbagli su questo e la realtà ne è la prova. La gente vive pacificamente e prospera ”.


“Mi perdoni, ma l’obbedienza del popolo alla vostra signoria non è usurpare il diritto del re? Ci sono questioni di entrate economiche che sono diventate intollerabili da sostenere”.


“Dovrei spogliare la mia gente con le tasse per far felice la corona Aragonese? E poi usare la dura legge per stroncare le rivolte, perché è più comodo e veloce al posto che governare con giustizia. Il che implica un duro lavoro e il rispetto da parte di chi stesso governa a rispettare per primo la legge? Non credo che io accetterò mai che chi verrà a governare faccia carta straccia del principio di equità”.


“L’equità la stabilisce Dio e il re è il solo esecutore della sua volontà”.


“L’equità caro Torres produce quello che si realizza tra le campagne, tra i rapporti personali, patrimoniali ed economici. Mi spiace per il sovrano, ma anche la pace ha il suo costo, considerato poi cosa si possa pretendere da un territorio del genere. Mandiamo animali e lane in quantità, altro non si può dare”.


“Ci sarebbero le miniere d’argento che non sono sfruttate…”


“A sì? Dovrei trasformare pastori, contadini, artigiani in minatori e farli morire di stenti?”


Lorenzo Torres si fermò; le risposte della donna non gli permettevano di andare oltre. Poi cambiò strategia: “Io credo che tutta questa considerazione del popolo vada oltre ogni ragionevole misura, considerata la stessa natura di tanti…”


“Cosa intende dire?”


Alludo alla legge che lei stessa ha promulgato a riguardo la difesa delle donne. Mi riferisco al taglio del piede per il violentatore che non paga entro quindici giorni il risarcimento.


“Ah! Vedo che confonde la legge come deterrente, dalla legge come punizione. A parte che, chi ha perso il piede, era solo uno che aveva il vizio di abusare delle donne grazie alla sua stessa ricchezza. A forza di pagare violenze fatte, ammogliarsi diverse volte per evitare di pagare, per poi separarsi grazie alle leggi che il santo padre concede volentieri, dopo lauto esborso in favore delle sue casse. Ma noi non riceviamo donazioni in danaro per concedere la remissione dei peccati. Noi governiamo sulla terra e il paradiso non ci interessa. Anche perché, vedo, l’averlo perdonato troppe volte ha fatto che si credesse oramai esente dalla legge”.


“Mi perdoni sovrana. Ma la legge di Dio è superiore a quella degli uomini”.


“Credo che la legge non serva se si vuole usare solo l’autorità. Con questa, ogni legge è inutile, a parte quella del più forte. Dio è infallibile, io no! Per questo alla fine il messere di Bingia Arrubia, tra l’altro suo devoto servitore, ha perso il piede, dato che non aveva più risorse per pagare l’ennesima violenza fatta, questa volta a donna coyada, fatto ancora più orribile”


“Non vedo il perché, mia signora”.


“La questione non è se l’illibatezza abbia più valore o no della dignità di una donna sposata. Vi è un marito offeso, che per poter godere delle grazie della sua donna, l’ha sposata prendendosi in capo il suo sostentamento e tutti i pesanti fardelli della famiglia. Lui non ha niente gratuitamente a differenza di chi pretende l’uso gratuito di ciò che non gli costa niente.
Si fosse rivolto a Dio o a chi per Lui, e se lo avesse graziato, io non mi sarei opposta. Ma evidentemente il re chiedeva un obolo sostanzioso per le sue disastrate finanze... Credo che poi abbia fatto una oculata scelta, preferendo perdere il piede che il membro, causa delle sue perversioni”.


Il vociferare di apprezzamento per le parole della sovrana prese a girare tra i presenti. A questo punto Lorenzo Torres desistette dal proseguire e facendo un ossequioso inchino al trono, lasciò la sala.


Rimasto vuoto lo spazio dalla presenza del Torres, il procuratores Ignazio Puxeddu, facendosi avanti, prese la parola: “Tutti noi le siamo grati per l’uso del nobile spirito d’equità e giustizia con il quale ancora ci vuole favorire, nonostante la corona aragonese tenga in ostaggio il nostro amato e suo stimato consorte. Quale sarà la decisione che vorrà prendere date le ultime richieste del re? Cosa ne sarà della nostra autonomia, e di quello che abbiamo costruito?”


Eleonora non rispose e si unì al silenzio nella sala. L’ansia e la trepida attesa della risposta non rimase a lungo sospesa per l’aria immobile:


“Semplice, mio buon Ignazio. Ci prenderemo il restante dei territori dei giudicati. Imporremo la nostra legge su di questa isola a partire da Calaris sino alla Gallura”


“Ma così sarà la guerra!”


“Sì! Daremo battaglia per imporre la nostra legge. Solleveremo tutti i sardi alla rivolta”.

(continua)

Torna a “[Lab 9] La Legge di Eleonora cap 3 di 5”