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Re: [Lab9] La legge di Eleonora cap 5 di 5

Ciao @bestseller2020
Naturalmente ho letto tutti i capitoli e cerco di fare un commento finale alla fine di tutti.
Un progetto impegnativo, ambizioso il tuo. Credo di aver capito, già da un po’, che sei dentro le leggi, “dentro” in senso professionale intendo. Mi pare di dedurlo, ma certo potrei sbagliarmi, a volte prendo cantonate colossali, da alcuni particolari ed espressioni molto tecniche che usi, dalla naturalezza con cui le usi, come alcune espressioni della lettera anonima che poi si scopre essere di Martino, il figlio di Tullio Bellisai, che non possono essere le parole di un cliente incazzato, come fai dire ai tuoi personaggi che ne discutono.
 
Mi ha un po’ spiazzato il fatto che Martino, visto il cognome del padre e visti gli studi giuridici che conduce, non abbia mai sentito parlare dei giudicati sardi. Considerata la sua indole forse ne avrebbe dovuto avere cognizione, anche vaga come posso averla io, pur cosciente di aver letto interpretazioni “illuminate”, cioè alla luce della modernità e del senno di poi, dal valore per me aleatorio, che la Carta de Logu se applicata oggi sarebbe una “mostruosità giuridica”. E dopo averla letta la Carta de Logu credo di aver capito il perché: per gli uomini di malaffare e cattive intenzioni verso il prossimo sarebbe impossibile farla franca, a tutti i livelli sociali, se fosse applicata quella Legge. Le conseguenze di qualunque reato, in attesa della palesazione del colpevole, sarebbero pagate dal punto di vista erariale da tutta la comunità in misura sempre maggiore quanto è maggiore la latitanza e l’assenza delle generalità del colpevole. Alla fine, giocoforza, il colpevole sarebbe scovato per amore o per forza e non sempre dalle forze dell’ordine, per quanto multate anche loro per non aver saputo prevenire il reato.
Oggi verrebbe considerata una “mostruosità giuridica”, in quanto viene capito e compatito l’autore di qualunque nefandezza. Questo per sommi capi.
 
Ho trovato interessanti gli “spaccati” del testo dove racconti tratti della vita di Eleonora, del suo carattere, della sua determinazione, fin sulla nave in tempesta che la riporta in Sardegna dalla nativa Spagna, quella Spagna che nel bene e nel male ha da sempre permeato la storia sarda con i suoi 400 anni di regno, molto superiori al periodo sabaudo e poi unitario.
Impresa ardua analizzare in poche righe quale dei due poteri sia stato meglio anche se io, pur consapevole di quasi tutto, propenderei a prendere il meglio degli spagnoli e degli italiani, isolando le loro rispettive nefandezze a tutti i livelli.
 
Confesso che non conoscevo l’episodio delle pecore usate come esca incendiaria contro l’esercito aragonese, mi ha colpito molto al cap. 4. Se è vero come penso, ma anche se fosse leggenda poi romanzata, dimostra come un popolo, pur sprovvisto di risorse ma guidato da persone determinate, possa battere con poco chi vuole sopraffarlo, per quanto si ritenga superiore.
 
Purtroppo non sono mai riuscito, esulando un po’ dal contesto, a mettere Eleonora d’Arborea e Giovanni Maria Angioy, un avvocato pure lui, sullo stesso piano, perché quest’ultimo voleva liberare la Sardegna dal gravame feudale e posso essere d’accordo, ma voleva sostituirlo, tra l’iniziale plauso del popolo inconsapevole, con la libertà della ghigliottina francese, alla quale era devoto. Non so cosa ci sarebbe stato da guadagnare, immagino quanto da soffrire.
 
La mia devozione va a Eleonora d’Arborea.
 
Alla fine mi ha colpito il discorso di Tullio Bellisai con il suo collega Paolo, quando viene a galla che l’autore della lettera anonima è il figlio di Tullio, Martino. Mi ha dato fastidio come Paolo, che lavora nella giustizia come Tullio, consigli di appianare la questione elargendo squallidi doni a Martino, paradisi sessuali per godersi la vita, paradisi costosi presumo, visti i lauti guadagni quando si prende una certa piega in certe professioni lautamente pagate.
Questo denota nel personaggio Paolo una pochezza morale inqualificabile, ma penso che oggi desti più scalpore, in senso negativo ovviamente, chi si tiene fuori da atteggiamenti del genere.
 
Durante il discorso finale e, diciamo così, chiarificatore fra padre e figlio, Martino rivela al padre i motivi per cui ha scritto la lettera anonima. Di inammissibilità procedurali ne ho già sentito parlare dalla mie parti a casa mia, in quanto per una serie di termini del genere in poco tempo la mia famiglia perdette, tutto a rigore e norma di legge, decine di ettari di terreno e diverse case in campagna e giunti sul fondo, mancando di soldi, inutile fare ricorsi e controricorsi anzi: a chiedere giustizia si dava anche fastidio, non avendo più olio per ingrassare i marchingegni…
Da qui talvolta la mia acrimonia che traspare.
 
Martino quando dice al padre che lo denuncerà per le sue malefatte, tra l’altro anche ammesse come regola usuale da quest’ultimo, mica sta a fare la fame con le cause dei poveracci, gli dice che pagherà soltanto per le sue malefatte professionali, rivelandogli che a causa di queste ha distrutto la famiglia della sua ragazza Marcella, che per questo lo ha lasciato.
Cioè gli fa capire, se ho capito bene, che pagherà per entrambe le cose, ma il secondo fatto, per Martino più importante, non comparirà ufficialmente.
 
E qui entra in scena il principio che la legge è sempre davvero uguale per tutti. Teorema predicato da tutti, in realtà non sempre applicato. Ecco perché, a mio parere, Martino si è immerso nello studio della figura di Eleonora d’Arborea, che nella sua rivisitazione della Carta de Logu scritta da suo padre, il giudice Mariano IV d’Arborea, questo principio di massima lo fece applicare e rimase in vigore con poche varianti solo in Sardegna fino alla sua abolizione nel 1827 da parte dei Savoia.
Ho apprezzato il tuo racconto, periodo molto complesso, terribile e affascinante.
Quanto ci sarebbe ancora da scrivere sui risvolti e conseguenze fino ai giorni nostri.
 
 

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