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Re: [CDP2] La città dipinta incantata

Grazie a tutti @@Monica, @Poeta Zaz,a @Bef, @Modea72, @ilaris@Alberto Tosciri  per l'apprezzamento. Mi rendo conto che riuscire dare una coerenza a un testo così è un'impresa ardua. Molto pertinenti le segnalazioni che mi avete fatto.
Sono partito da un'idea che neanch'io sapevo come sarebbe continuata e conclusa. Ho giocato con le situazioni lanciando qualche input qua e là.
Il riferimento a Bosh, di cui rimango ogni volta a bocca aperta come un bambino, nell'osservare le sue opere, è venuto in un secondo momento.
Il finale è un po' brusco in effetti, ne avevo pensati anche altri. (Per esempio l'uomo che sparisce, poi si ritrova sporco di arancione nel metrò e anche altri ancora più complicati). 
Il fatto che sia stata una lettura gradevole e  appassionante è un bellissimo complimento.
Grazie.

[CDP2] La città dipinta incantata

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Traccia 1: L'uovo


Seduto, con lo sferragliare delle rotaie come sottofondo, osservava l'espressione di chi gli stava di fronte. I più con il volto in basso a far scorrere schermi, pochi altri con lo sguardo perso, stanco: il rientro da una dura giornata.
La metro, verso sera, era sempre piena. Un miscuglio di etnie lasciava pensare che il tremo avesse fatto fermata a ogni angolo del mondo. C'era chi si distingueva per il vestiario elegante: occhiali e borse raffinate; chi per abiti semplici e usurati, alcuni ancora con le loro tute sporche da lavoro.
Mauro era attratto da piccoli particolari: un anello, la tinta dei capelli, la lunghezza di una barba o i tatuaggi che sbucavano nei tratti di pelle rimasti scoperti. Gli piaceva fantasticare, immaginare come ognuno potesse vivere, come fosse la loro casa, i loro gusti culinari. Poi, l'occhio cadeva sulle scarpe, quasi sempre tutte uguali: sneakers; qualche marchio noto era indossato dalla maggioranza, soprattutto ragazzi. Poi vide i piedi di un signore che aveva i sandali anche se era pieno inverno. Osservandoli bene rimase esterrefatto: le dita che sbucavano erano finte. Il collo del piede con la fascia di cuoio lasciava vedere le falangi, dipinte, come un perfetto trompe l'oil.
All'apertura delle porte, tutti di corsa sotto la luce dei neon. Si ritrovò a fianco, lungo la salita delle scale mobili, la persona dai piedi dipinti.
Decise di seguirlo, tenendosi a debita distanza, per la sola curiosità di sapere dove abitasse. Si diresse a piedi verso la periferia e imboccò una strada tra vecchie fabbriche abbandonate. Lo seguì fino a quando andò a sbattere contro un muro.
“Ma che cavolo è successo?” si domandò toccandosi la fronte dolorante. Non capiva. Continuava a vedere l'uomo allontanarsi ma non poteva seguirlo. Bloccato da un muro, dipinto. Un trompe l'oil che creava l'illusione della strada che continua.
Non si diede pace “Un uomo che entra in un dipinto e poi se ne va al suo interno?”
Il signore in lontananza si girò e agitò la mano in alto in segno di saluto.
Decise di fermarsi e aspettare fino a quando sarebbe tornato fuori.
Verso sera fu invece il freddo a farsi sentire. Si accasciò a terra con le ginocchia al petto e si addormentò. Si svegliò di prima mattina, di soprassalto, con il frastuono del fischio di un treno. Lo osservò e gli sembrò che anch'esso finisse nel murales.
Un senso di inquietudine lo pervase.
Una signora anziana con una borsa carrello per la spesa, lentamente si inoltrò per la stessa via dipinta. Anche gli uccellini entravano ed uscivano dalla parete. Mauro riprovò, resettò pensieri, azioni e tutto quello che era successo fino ad allora e si riavviò. Ma andò a sbattere nuovamente.
Sembrava rimasto fuori dal mondo, chiuso al di là delle mura della vita. Tutto intorno iniziò ad apparire sfocato, inconsistente, vuoto.
“Devo assolutamente andare alla scoperta di questo nuovo mondo!” si disse con uno strabiliante spirito ottimista.
Decise di ripercorrere la strada che lo aveva portato fin là. Già, ma quale strada? Dal punto in cui si trovava ne partivano a raggiera diverse, tutte uguali, senza alcun riferimento intorno.
Imboccò la terza da sinistra. Il tre era il suo numero fortunato e con quel lato aveva più affinità. Ma dopo pochi metri tornò indietro, pervaso da un senso di tormento che non gli permise di fare neanche un passo in più: si sentiva perso nel nulla. Ritornò di corsa verso l'unico riferimento che aveva: il muro. Prese la rincorsa e, deciso, a pugni chiusi, sfrecciò con la volontà di sfondare quella parete maledetta, accettando il rischio di un violento impatto. Un attimo prima di toccare la barriera, sentì come se le sue membra venissero risucchiate da una forza oscura, ma dolce.
Entrò nell'aldilà.
La percezione fu quella di essersi immerso in una dimensione ovattata. Tutto era fermo. Le fabbriche grigie sputavano fumo che non si muoveva e non puzzava. Ritrovò la stessa signora con la borsa della spesa che lo guardava sorridendo: “È già andato dal signor Sincrezio?” gli chiese con garbo.
“No, non so neanche chi sia.”
“Strano, i nuovi arrivi lo incontrano subito.”
“Buongiorno signor Mauro” esordì Sincrezio sbucato dal nulla.
“Ma... come fa a conoscere il mio nome?” Poi osservandolo bene rimase con gli occhi sbarrati. D'improvviso gli parve di essere entrato nella favola di Biancaneve. Lo strano signore aveva le sembianze di uno dei sette nani.
“Perché tutti quelli che entrano rimangono così esterrefatti nel vedermi? Non mi dica che anche lei pensa che assomigli a Gongolo o Brontolo?
“Beh, non saprei su i due, ma...”
“Lo vorrei proprio conoscere questo Disney, e denunciarlo per furto d'identità. Vabbè, lasciamo perdere. Ben arrivato a Mutatia. la città dipinta incantata.”
“Città dipinta incantata?”
“Quale aggettivo migliore. Qui può accadere qualsiasi cosa. Desideri... ma soprattutto pentimenti. Piccoli sacrifici per redimere i peccati e uscirne purificati, se ci si riesce. E tu cosa desideri, c'è qualcosa di cui vuoi liberarti?”
“Io stavo benissimo prima di entrare qui e vorrei andarmene subito.”
“Ti ricordo che sei tu che sei voluto entrare a ogni costo!” lo ammonì dimenticando la forma di cortesia.
Mauro rimase sorpreso. Aveva ragione quello strano signore. Poi, preso come da un senso di sfida disse: “Mi piacerebbe camminare sulle acque.”
“Ah però, ne sei sicuro?”
“Sì” confermò con la speranza di prendere alla sprovvista lo strano nanetto.
“Va bene. Mirkooo!” urlò Sincrezio.
“Eccomi.” Si presentò un altro ometto con un carrello e vari barattolini.
“Prego, il signore vuole camminare sulle acque,” ribadì marcando il desiderio.
Mirko tirò fuori vari pennelli e cominciò a intingerli nei barattoli di colore. Pennellava a grandi gesta sotto i piedi di Mauro, ricavandone un bellissimo mare con acque cristalline. Sembrava vero, anzi lo era. Se lo toccavi ti bagnavi. Mauro sollevò un piede e poi l'altro come se stesse pestando una pozzanghera. E quando Sincrezio lanciò una pietra, questa sprofondò ributtando fuori l'acqua. Mauro aveva ormai abbandonato ogni forma di raziocinio.
Come se fosse una nuvola, la pozza lo seguiva; a ogni pestata di piede se la ritrovava sempre sotto: uno stagno mobile. La gente lo guardava con il sorriso sulle labbra, quasi fosse complice di quell'incredibile sortilegio.
Mentre passeggiava miracolosamente, osservava la città: spruzzi d'oro nel cielo a simulare le stelle, anche se era ancora giorno; corvi veri che mangiavano hamburger su alberi dipinti e alberi dipinti colmi di frutti veri marcescenti grandi come cocomeri. Rospi e pesci volanti in compagnia di missili cavalcati da bambini. Una giostra panoramica con svariati animali scappati da uno zoo, stavano comodamente seduti a godersi il panorama bevendo bibite con la cannuccia: elefanti, alligatori e armadilli; zebre, lemuri e canguri. Tutti sorridenti e compostamente adagiati nei loro posti, al riparo da ogni insidia. Mauro li osservava, esterrefatto, nella loro immobilità e lo fu ancor di più quando con la mano sfiorò un koala, rendendosi conto all'istante che era dipinto. Ma l'inquietudine arrivò subito dopo, quando anche la sua mano risultava dipinta, e per di più bidimensionale. Man mano scoprì che tutto era parzialmente affrescato. Sembrava che anche lui facesse parte del grande quadro. Infine vide una sorta di mostro nero con una bocca gigante e denti aguzzi: inghiottiva cellulari che prendeva da una grande sacca, appollaiato su un possente albero rinsecchito.
Ora, l'unico desiderio di Mauro, era quello di scappare da quell'assurda di situazione. Ma dov'era l'uscita? L'entrata era chiara: un muro dipinto; ma non c'era nessun riferimento per l'uscita. Eppure doveva esserci da qualche parte, li aveva visti fuori: il signore dalle scarpe dipinte e l'anziana col carrello della spesa. Sincrezio certamente gli avrebbe dato delle spiegazioni. Chiese alla gente intorno ma sembravano tutti bloccati, istantanee senza parola, ognuno alle prese con strani riti: chi inginocchiato, chi con le braccia aperte al cielo e altri nella posizione del fiore di loto. Statue umane o sagome, non riusciva neanche lui più a capire.
Dal nulla sbucò fuori un cagnolino che gli saltò in braccio e cominciò a leccarlo da ogni parte facendo fusa e mugolii: “E tu da dove salti fuori?” esordì meravigliato. Uno dei pochi esseri completamente viventi incontrati fino a ora. Neanche lui lo sarebbe più stato. Si guardò attorno in cerca di Sincrezio, ne aveva avuto già abbastanza di tutto. “Scusi, dove posso trovare il signor Sincrezio?” chiese a un passante con un turbante.
“Ah ah ah! Ah ah ah!” fu la risposta.
Con lo sguardo ormai perso nel vuoto, pensando al solo modo di uscire da quell'incubo, gli apparve la sagoma di quell'uomo che all'inizio di questa storia lo salutava. Lo riconobbe: era lo stesso saluto che ricevette quando ancora viveva in un mondo normale, da quel signore con i piedi dipinti. E ora era di nuovo di fronte ai suoi occhi con quella mano a palmo aperto oscillante e quel sorrisino sarcastico. Avrebbe voluto chiedergli il segreto del passaggio dalla parete dipinta ma sparì nel nulla.
Raccolse i pensieri dispersi e pensò che sarebbe stato meglio addormentarsi, con la speranza che al risveglio tutto ciò sarebbe sparito.
Ma così non fu.
Al risveglio il faccione di un nano lo fissava da vicino. Gli tornò la memoria e non volle rimarcare l'antefatto.
“Come si sente?” chiese con fare paterno Sincrezio.
“Voglio uscire da questo posto” si lamentò con voce disperata.
“Non c'è problema, se sei pronto quella è l'uscita” indicò con l'indice l'orizzonte che sembrava infinito.
“Bene, allora vado” si disse convinto.
“Torni a farci visita quando vuole.”
“Spero proprio di no.”
Iniziò la marcia ma si bloccò dopo poco vedendo sotto ai suoi piedi ossa umane e animali che sbucavano dalla terra con diversi teschi in evidenza.
“Forse intendeva dire che si esce solo con lo spirito. A questo punto non importa, voglio andarmene ad ogni costo e in qualsiasi forma e stato” disse sempre più convinto e, proseguendo, dopo pochi passi andò a sbattere contro un muro che sembrava invisibile.
“Ci risiamo!” esclamò. Poi, come se fosse una visione surreale, dall'alto vide apparire un enorme pennello intriso di colore che si avvicinava pericolosamente. Scappò più veloce che poté, ma il pennello lo era di più e sloosh: venne investito su tutto il corpo. Era diventato una palla arancione. Non riusciva più a muoversi. Poi una voce: “Guarda papà, ho fatto un'arancia, ti piace?”
“Bellissima, però ti ho detto tante volte di non dipingere su un quadro su cui sto lavorando. Sul tuo tavolo ci sono tele e cartoncini, puoi sbizzarrirti. Mi hai ricoperto l'uomo che avevo dipinto.”
“Papà, ti giuro, non c'era nessuno, solo un prato.”
“Non credo proprio, guarda...” Prese un panno umido e con delicatezza rimosse con attenzione l'agrume arancione dipinto dal figlio. Ma mentre l'arancione svaniva il verde aumentava, fino a che fu l'unico colore a dominare: un grande prato verde.
“Hai visto che c'era solo il prato” rimarcò il bambino.
“Hai ragione, me lo devo essere immaginato quell'uomo in tutto questo brulicare di esseri. Beviamoci un bel succo d'arancia, forse avevi voglia di quello.”
“Eh sì, è proprio vero” rispose il figlio. “Certo che è proprio strano questo quadro, è un po' buffo ma mi fa anche paura.”
“È un omaggio a un grande pittore di tanti anni fa: Bosch, che voleva in parte trasmettere  proprio quello che hai pensato tu.”
“Che buffo, si chiama come il nostro trapano.”
“Già, proprio così.”

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