[CE24-2] Gioca jouer - Michele
Posted: Thu Aug 29, 2024 10:39 am
Gioca jouer - Michele
Forse Michele aveva bisogno di un viaggio, anche se non sapeva bene che tipo di viaggio e con quali mezzi intraprenderlo, visto che le sue finanze non potevano certo dirsi floride. Era stato licenziato dal suo lavoro, aveva fatto alcuni colloqui per trovarne un altro, ma ancora non aveva ottenuto risposte. Perciò acchiappò al volo quell’occasione e si presentò alla Società Organizzatrice. Aveva una certa apprensione, anche qui doveva sostenere un colloquio. Il suo diploma di infermiere e le sue referenze erano ottime.
─ E come mai è stato licenziato, visto il suo curriculum? ─ gli chiese l’esaminatore leggendo le sue carte.
─ Divergenze con l’amministrazione.
─ Può essere più esplicito?
Michele sospirò. Cominciava ad averne abbastanza di essere esaminato. Ma decise di rispondere.
─ Ho sempre considerato quelli che chiamano “pazienti” come persone, non con i nomi della loro malattia.
─ Niente di male.
─ Considerandoli persone parlavo con loro. Ero l’unico che lo facesse. Faccio anche del volontariato in case di riposo per anziani, in case famiglia con ragazzi che hanno problemi. Non ho studi specifici ma, come dire, mi piace, sento di dover fare qualcosa in più oltre alle flebo. Per qualcuno in ospedale questo qualcosa in più era una perdita di tempo, sforare gli orari. Come in una fabbrica. Timbri il cartellino e basta. Hanno fatto in modo che me ne andassi.
L’esaminatore annuì, ma al contempo sorrise, un sorriso caldo che stupì Michele. Forse, pensò, aveva davanti un essere umano. E così era. Gli dissero che era assunto.
Cosa doveva fare?
Per il momento doveva assistere dei ragazzi con varie problematiche. Si era trovato altre volte in quei frangenti facendo volontariato, perciò non era preoccupato. Michele era contento ancora prima di conoscere i particolari: aiutare qualcuno. Quando era ragazzo avrebbe avuto bisogno anche lui di un aiuto, ma questo non lo disse. Non aveva importanza.
La prima volta che si recò al Centro, un’assistente, Giulia, si presentò e lo accompagnò in una sala illuminata da ampie vetrate dove diversi ragazzi disegnavano su grandi fogli disposti sopra dei tavoli.
Gli indicò Mario, un ragazzo di sedici anni che con impegno stava disegnando qualcosa.
─ Dovrai occuparti di lui ─ gli disse Giulia con un sorriso caldo che subito gliela rese simpatica.
Si avvicinarono. Mario era intento a disegnare grosse balene, ne aveva ritratte diverse, da sole e in gruppo, che nuotavano in enormi oceani. Lo stile era molto naif, ma vivace, genuino, simpatico. In ogni angolo della stanza di Mario c’erano fogli che raffiguravano balene e onde di mare. Nei giorni seguenti Michele si conquistò la simpatia di Mario dimostrandosi interessato alla storia delle balene, non si era mai soffermato a pensarci così tanto e si stupiva di quanto fosse in grado di parlarne, raccontandogli storie che ricordava da libri letti da ragazzo, inventando anche qualcosa, ma con molta fantasia e ingenuità, cosa che affascinava Mario rendendolo sempre più piacevole a Michele, nonostante quest’ultimo fosse più grande di lui. Mario non aveva un buon concetto degli adulti, fin dai tempi in cui lo avevano rinchiuso in quel convento adibito a orfanotrofio. Solo da poco, nel Centro, stava ricominciando a nutrire fiducia nei propri simili, in particolare verso Giulia, anche se talvolta era un po’ troppo apprensiva nei suoi confronti, come preoccupata che non si facesse male o andasse incontro a guai.
Michele gli aveva tra l’altro risolto un problema che sembrava insormontabile se non con l’aiuto di un esperto, a detta di Giulia: appiccicare i disegni delle balene sul soffitto della sua stanza. Michele, con il semplice espediente di appendere i disegni a un bastone e cospargerli di colla da un lato, aveva innalzato i disegni e li aveva appiccicati alla volta. Avevano tappezzato di disegni in quel modo tutto il soffitto, oltre alle pareti che erano già piene e si aveva l’impressione di stare in un grande acquario
Un giorno si prospettò la possibilità per i ragazzi del Centro di una gita al mare.
─ Al mare? ─ chiese stupito Mario. ─ Non sono mai stato al mare.
─ Bé, questa sarà una buona occasione. Ti piacerà ─ rispose Michele.
Mentre percorrevano l’autostrada che dalla Brianza li avrebbe portati alla costa, Michele si godeva il paesaggio, partecipava ai canti che Giulia e altri operatori proponevano, dormicchiava ogni tanto nel sedile accanto a Mario, osservandolo mentre dormiva e ripensando alla sua storia che gli avevano raccontato. Una storia triste. Gli avevano detto che era stato trovato assieme ad altri bambini buttati come stracci sporchi dentro un camion ai confini con la Slovenia. Aveva i tratti fisici slavi infatti, carnagione pallida e capelli biondo chiaro. Aveva trascorso un periodo infelice in orfanotrofio, poi un po’ meglio in casa famiglia, e ora in questo Centro, dove si aiutavano quelli come lui a superare gli innumerevoli traumi che avevano subito.
Bé, Mario non era certo l’unico ad aver subito traumi da bambino pensava Michele cercando di dormire, come a voler scacciare dei ricordi che a occhi chiusi non riusciva a evitare o ignorare. Era capitato anche a lui.
Il mare era bello, una giornata calda e senza vento.
─ Dai vieni! L’acqua è calda, è bellissima! ─ gridava Michele immerso in mare fino al collo, rivolgendosi a Mario che si guardava intorno sbalordito sul bagnasciuga, con le mani incrociate sul petto esile, mentre cercava di schivare le piccole onde che cercavano di agguantarlo ai piedi.
─ Cosa direbbero le tue balene se ti vedessero così? ─ continuò Michele, facendo sorridere timidamente Mario che cominciò esitante a toccare l’acqua con la punta dei piedi. Poi, a poco a poco avanzò, dando il tempo al suo corpo di abituarsi alla temperatura, come per istinto. Arrivò con l’acqua fino al collo e prima che Michele, preoccupato perché sapeva che non aveva mai nuotato in vita sua potesse avvicinarsi, si immerse. Rispuntò fuori felice, sputando l'acqua a zampillo sul viso di Michele e immergendosi di nuovo, in punti dove non toccava con i piedi, per poi riemergere ancora tenendosi a galla, muovendo mani e piedi come se avesse nuotato fin da piccolo.
Tutti erano stupiti che Mario sapesse nuotare e al contempo sputare fuori l’acqua divertendosi, tossendo e ridendo nel vedere gli zampilli. ─ Come fanno le balene! ─ urlava, e non voleva più uscire dall’acqua. Michele gli era vicino, ma a un certo punto cominciò a essere stanco della lunga permanenza in acqua, avvertendo tremore e vedendo i polpastrelli delle dita raggrinzire.
Nella riva qualcuno aveva acceso un grande stereo che attirò l’attenzione di Mario e lo convinse a uscire. Si mise a correre verso lo stereo e un gruppo di ragazzi che erano intorno in fila, accennando passi di danza e muovendo le mani al ritmo della musica. Anche Michele sentì la musica e uscì a sua volta dall'acqua per inseguirlo.
Dormire, salutare, autostop, starnuto
camminare, nuotare, sciare, spray,
macho, clacson, campana, ok...
Era Gioca Jouer: ragazzi e ragazze lo ballavano muovendosi al ritmo, assumendo le varie posizioni che indicava il testo della canzone e divertendosi un mondo.
Mario si unì al loro ballo e alla loro felicità, accolto dai caldi sorrisi di simpatia di alcune ragazze sue coetanee.
Michele si fermò poco davanti a loro, ansimando, cadendo in ginocchio come se avesse ricevuto un pugno allo stomaco, non tanto per la corsa. No, non era per quello. Ma chi lo avrebbe mai detto? Dimenticare? Facile a dirsi, ma non aveva mai dimenticato. Quella canzone non tramontava mai, era quasi sempre il tormentone di ogni anno in alcune spiagge e lui era capitato in una di quelle. Si rivide ragazzino alle scuole medie e poi i primi anni di liceo che tutti la cantavano e la adattavano molto liberamente a tutte le situazioni. E i suoi compagni avevano cambiato le parole appositamente riferendole a lui e agli scherzi con i quali si divertivano a tormentarlo. Non vedeva la lavagna da lontano, non riusciva a leggere e lo consideravano deficiente mentre invece era miope. Ma prima che lo si capisse e mettesse gli occhiali gliene avevano fatte passare di tutti i colori e quella musica… quella musica… Inventavano le parole per lui:
prendere a calci, cecato, sfottere, sputare,
leccare, cioccolata in faccia, ruttare in faccia,
abbassare i pantaloni, timbrare la faccia…
Michele respirava a fatica, la testa sembrava esplodergli, il cuore batteva come un tamburo, gli rintronava nelle tempie, faceva male, aveva la nausea e lo sguardo gli si era offuscato.
Sentiva un dolore spasmodico in tutto il corpo mentre continuava a sentire il ritmo della musica. Vedeva come in un vortice intorno a sé i volti dei suoi compagni di classe, i loro sorrisi crudeli. E le ragazze… Loro non partecipavano direttamente, ma si divertivano a guardare, incitavano i loro compagni, suggerivano nuove parole, nuovi tormenti a quella canzone che per lui era una pena, un dolore continuo. Da allora non aveva mai avuto il coraggio di avvicinarsi a una ragazza per quel motivo: aveva l’impressione che anche chi non lo conosceva avrebbe riso di lui come i suoi compagni di scuola .
Era rimasto con quella paura, con quel blocco di vita per tanti anni. Non aveva più rivisto i suoi compagni. Da adulto aveva studiato come infermiere, un istinto di compensazione forse, preferiva aiutare chi aveva problemi, ma comunque era felice: nonostante il dolore subito nella sua adolescenza non aveva mai pensato di comportarsi allo stesso modo per vendicarsi, per “compensare” accanendosi verso chi era più infelice o disgraziato di lui, non si doveva fare così, lo sentiva nell’intimo. Ma, sempre nel suo intimo, non poteva non pensare a come aveva vissuto la sua infanzia e adolescenza e quella musica era come un caleidoscopio vorticante che gli ricordava, penetrava nella sua sofferenza.
Di solito riusciva ad andare avanti abbastanza bene anche se talvolta, la notte nel suo letto, gli accadeva ancora di piangere ripensando a quei giorni, alla privazione delle gioie della sua vita in quel periodo che cominciava a sbocciare, come per tutti, a quella sorta di limbo al quale sembrava condannato e dal quale, se ne rendeva conto, non si era mai ripreso del tutto.
Qualcuno gli poggiò una mano sulla spalla. Era una ragazza, un poco più giovane di lui ma più anziana dei ragazzi che ballavano intorno allo stereo con Mario. Forse la loro responsabile o accompagnatrice di qualche gita scolastica. Portava dei grandi occhialoni da vista e gli sorrideva.
─ Dai Michele! Vieni a ballare con noi! È bellissimo! ─ Urlava Mario mentre ballava felice al ritmo della musica, mimando con gli altri ragazzi i vari atteggiamenti.
─ È un tuo amico, un parente? ─ chiese la ragazza.
─ No… Io… Lo accompagno in gita. Siamo in quel gruppo ─ disse indicando un punto della spiaggia dov’erano i compagni di Mario.
─ Ah, capito. Guarda: fai attenzione ─ gli disse porgendogli gli occhiali che gli erano caduti.
La ragazza rideva, ma era una risata calda, intensa, non lo prendeva in giro.
─ Sono pieni di sabbia, che fai! Dalli a me che te li pulisco: devi fare attenzione, che le lenti si graffiano.
Gli tolse con delicatezza gli occhiali dalle mani e li pulì dalla sabbia versandovi una bottiglietta d’acqua, poi li deterse delicatamente con un panno che aveva in un borsino di tela grezza ricamata intorno al collo.
Gli mise gli occhiali sul viso. ─ Va meglio? ─ disse con il suo sorriso.
─ Si. Va meglio. Grazie.
─ Vuoi ballare?
─ No. Penso di no. Grazie.
─ Almeno vieni da noi. Abbiamo tanti panini. Hai fame?
─ Si. Forse si.
─ E allora vieni! Dai!
La ragazza gli prese le mani. C’era tanto calore nelle sue mani, tanta luce nel suo sorriso, tanta comprensione, desiderio di parlare nei suoi occhi, nel suo atteggiamento. Era troppo bello per essere vero: che una ragazza si interessasse a lui, gli mostrasse simpatia. Una cosa mai provata, una cosa mai osata per paura di essere sbeffeggiato.
Ma forse era venuto il momento di cambiare, voltare pagina. Si alzò e nel farlo il suo braccio si accostò senza volerlo al braccio della ragazza, sentendo il suo calore. La ragazza non si discostò, lui nemmeno e per la prima volta nella sua vita sentì come un balsamo dolcissimo entrargli in tutto il corpo, farlo stare bene, felice di essere al mondo anche lui. Sorrise. Guardò verso Mario che sorrideva felice incitandoli a venire verso di lui e gli altri che ballavano.
Piccolo grande ragazzo! Pensò Michele alzando una mano per rispondere al suo entusiastico saluto in quella splendida spiaggia.