Ho lavorato sodo, come immagino tutti voi, più o meno fino a 50 anni. Pensare di continuare a farlo come se niente fosse - e solo perché c'è di mezzo la pensione - è pura follia: è spreco...
Dedicherò tutto il tempo che resta a un solo "inutile" obiettivo, utile solo all'eventualità - piuttosto remota - di riuscire a farmi un nome da postumo. Da vivo si può essere sì di successo, ma solo in virtù di un adattamento ai contemporanei che quel successo decretano, ossia pagando il logico prezzo di risultare in linea con esistenze prossime e fatue come le proverbiali fiammelle.
Nella mia testa c'è spazio per un libro, non il tentativo plurimo di provare ad abbozzarne frettolosamente cinque o sei, "tanto poi qualcosa ne caviamo fuori". Tanto più che cercare la via del riscontro immediato, comporta sobbarcarsi l'incarico di apparire a promozione d'un qualcosa che si ritiene, giusto o sbagliato, blasfemo promozionare; promozione che poi finirebbe lei stessa sancita da svilimento.
Sperando dunque che il decadimento fisico e intellettuale mi dia tregua ancora per un po', l'intenzione è quella (dopo il successo di un microscopico saggio pop finito alto in classifica e generosamente premiato dalla munificenza senza limiti dell'editore) è quella dicevo di fottersene del presente (inteso come l'insieme degli attimi fuggenti da qui all'ultimo dei miei respiri) e di pensare a un solo libro come al LIBRO, un po' come è stato per i capolavori postumi di un Williams, di un Kafka, di Fante, Larsson, Bolaño, Tomasi di Lampedusa ecc...
Pensare cioè al MIO libro affezionandomene e curandolo come un figlio unico... destinato a far parlare di sé come pochissimi altri... Altri che magari sul pianeta terra il LORO capolavoro lo hanno già pubblicato (ed uno in Italia c'è di sicuro), ma di cui non farò mai i nomi per non vedermi poi addebitate astruse ascendenze iettatorie.
Un grande libro è potente, mai leggero. E' profondo perché rimesta, non mostra l'effetto ottico e gustativo della schiuma sul cappuccino. Penetra nel profondo di ciò che siamo e svela il modo con cui mandiamo in scena, singolarmente, questo nostro rimestio interiore, che conosciamo bene, ma che soffochiamo montandolo ad arte per darci e dare un'impressione di conforto, sapendo bene che quel conforto allude a ben altro.
E non puoi alludere senza alludere sul serio, o mascherare solo per alludere dietro l'ipocrisia farlocca del travestimento artistico. Qui non si gioca cari miei, si fa sul serio. E io voglio battere forte e chiaro sui destini miei e del mondo e farlo con l'arma più potente che esista. E quest'arma è il romanzo. Tutto il resto sarebbe ripiego: sarebbe funzione dell'incedere quotidiano; sarebbe tentativo di approdare al successo, ossia piacere relativo i cui meriti andrebbero in via esclusiva ai contemporanei che, per definizione, non sono pronti ad essere oggi ciò che saranno domani nel corpo dei loro futuri simili.
E' il romanzo (se grande) a indirizzare la prua sulle Colonne d'Ercole della Storia, a farsi eterno (se grande) su quel crinale temporale di eternità relativa che è la civiltà dell'uomo dalle origini al suo fallimento, all'estinzione che, tra l'altro, non è detto essere poi così alle viste...
Ma in pratica, vi chiedo:
Può, il narratore, in prima o terza persona, dire tutto quello che intimamente pensa, pescando in maniera chiara, diretta e inequivocabile a fatti, circostanze e persone famose, potenti, influenti del nostro tempo? Ossia regolando il suo narrato su qualsiasi registro, senza nessun limite a denunce, offese, invettive, allusioni, insulti ecc... che, sebbene e chiaramente funzionali al plot narrativo, vogliano senza inganno rimandare a un traslato tutto riconducibile agli accadimenti della storia che stiamo vivendo, fatta appunto di fatti e di viventi con un nome e un cognome?
Può, un personaggio, esprimere, attraverso i dialoghi con gli altri personaggi o i suoi pensieri riportati dal narratore, dire tutto quello che vuole, pescando in maniera chiara, diretta e inequivocabile a fatti, circostanze e persone famose, potenti e influenti, senza censure al proprio linguaggio, come accade alle persone al bar che non risparmiano certo offese, invettive, allusioni a persone pubbliche, potenti e famose?
A presto. Spero
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Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
2Direi di sì, Dante Alighieri lo ha già fatto 700 anni fa.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
3@Gatto Economista Visto che ti accingi a impegnarti su un'opera postuma (da divulgarsi tra più di trent'anni, se vivrai per la durata media) puoi scrivere quello che ti pare facendo nomi e cognomi: sia i personaggi che l'autore saranno tutti agli alberi pizzuti, o ci andranno nei lustri e decenni necessari all'iter giudiziario di eventuali querele, ragion per cui il problema non sussiste.
Mario Izzi
Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni (trilogia)
Dea
Non solo racconti
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
4Per quel poco che ne so mi sembra che le conseguenze penali di un reato si estinguano con la morte del caro estinto, ma quelle civili no, quindi se hai eventuali gattini economisti (eredi, insomma) potrebbero essere chiamati a risarcire al tuo posto.
Ma puoi facilmente ovviare, fai testamento e metti una frase tipo: "Il voluminoso plico giallo sigillato che troverete nel terzo cassetto del comò sotto i calzini viola a pallini verdi va aperto solo a cinquanta anni dalla mia morte".
Così dovresti essere a posto, almeno credo, eh, non sono né un giurista, né un avvocato, né un cancelliere, né un usciere, né niente, neanche un misero sottosegretario alla Giustizia.
Ma puoi facilmente ovviare, fai testamento e metti una frase tipo: "Il voluminoso plico giallo sigillato che troverete nel terzo cassetto del comò sotto i calzini viola a pallini verdi va aperto solo a cinquanta anni dalla mia morte".
Così dovresti essere a posto, almeno credo, eh, non sono né un giurista, né un avvocato, né un cancelliere, né un usciere, né niente, neanche un misero sottosegretario alla Giustizia.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
5Ma in topic dice che è disposto ad andare in carcere, quindi non credo che il suo "può" sia giuridico quanto piuttosto etico o forse artistico.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
6I reati si estinguono con la morte. In sede civile è possibile avere condanne di eventuale risarcimento danni in confronto di chi accetta l’eredità (possono accettare con beneficio di inventario, limitando la condanna alla quota ereditaria). Comunque si può sempre dar via tutto prima di morire, risolvendo qualsivoglia problema, a patto che lo si faccia con congruo anticipo.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
7massimopud wrote: Per quel poco che ne so mi sembra che le conseguenze penali di un reato si estinguano con la morte del caro estinto, ma quelle civili no, quindi se hai eventuali gattini economisti (eredi, insomma) potrebbero essere chiamati a risarcire al tuo posto.Non hai letto con attenzione...
Ma puoi facilmente ovviare, fai testamento e metti una frase tipo: "Il voluminoso plico giallo sigillato che troverete nel terzo cassetto del comò sotto i calzini viola a pallini verdi va aperto solo a cinquanta anni dalla mia morte".
Così dovresti essere a posto, almeno credo, eh, non sono né un giurista, né un avvocato, né un cancelliere, né un usciere, né niente, neanche un misero sottosegretario alla Giustizia.

Perché mai il narratore, che non è un tizio che sta vergando una dichiarazione giurata, ma è, appunto, uno che sta mestierando con le parole, dovrebbe rispondere per le allusioni pratiche della sua opera? E perché mai, a maggior ragione, debba farlo se è un suo personaggio a esprimersi senza freni né censure?
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Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
8Gatto Economista wrote: Perché mai il narratore, che non è un tizio che sta vergando una dichiarazione giurata, ma è, appunto, uno che sta mestierando con le parole, dovrebbe rispondere per le allusioni pratiche della sua opera? E perché mai, a maggior ragione, debba farlo se è un suo personaggio a esprimersi senza freni né censure?Ma cosa ti importa, scusa? Dici che tanto sei disponibile al carcere
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
9@Gatto Economista quello che tu proponi io già lo faccio. Ma non accadrà nulla fino a quando non sarò famoso. Certo, adotto delle astuzie per non rischiare nulla. Tanto non vale la pena. Domani esce la nuova ciofeca di Fabio Volo e tu sei già dimenticato. Al mondo non frega nulla del capolavoro, purtroppo. Io ne produco di continuo, ho capito che non possono cambiare le sorti dell'umanità.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
10Gatto Economista wrote: Non hai letto con attenzione...Ah, va be', ma allora è tutto diverso, quindi vuoi pubblicare in vita per avere gloria postuma.Non ho scritto di volere pubblicare post mortem, anzi...
In questo caso tutto dipende dal fatto se sei disposto ad andare in galera (cosa che potrebbe anche darti la gloria già in vita), oppure preferisci usare maggiore prudenza. Il pericolo gabbio (ma soprattutto quello per il portafoglio), è legato a tanti fattori, ad esempio al genere: un'opera satirica di solito è più tollerata in virtù del diritto di satira, ma non è esente da rischi di querele; i riferimenti a persone, sia pure mascherati, se sono chiaramente riconoscibili e vanno sul pesante sono comunque pericolosi, soprattutto se non si hanno ottimi avvocati.
Io ti consiglierei due opzioni:
1) Andare in galera: buona pubblicità e molto tempo libero per scrivere il sequel.
2) Gloria post mortem: appari in sogno a un tuo incaricato e gli detti l'opera dall'aldilà, così eviti ogni possibile grana legale.
Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
11massimopud wrote: Io ti consiglierei due opzioni:
1) Andare in galera: buona pubblicità e molto tempo libero per scrivere il sequel.
2) Gloria post mortem: appari in sogno a un tuo incaricato e gli detti l'opera dall'aldilà, così eviti ogni possibile grana legale.




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Re: Piuttosto vado al gabbio, ma preferisco alludere...
12Ottavio il Savio wrote: @Gatto Economista quello che tu proponi io già lo faccio. Ma non accadrà nulla fino a quando non sarò famoso. Certo, adotto delle astuzie per non rischiare nulla. Tanto non vale la pena. Domani esce la nuova ciofeca di Fabio Volo e tu sei già dimenticato. Al mondo non frega nulla del capolavoro, purtroppo. Io ne produco di continuo, ho capito che non possono cambiare le sorti dell'umanità.Anch'io l'ho fatto, pubblicando una trilogia in cui vengono, tra l'altro, svelati i retroscena di due processi, uno penale, l'altro civile, il cui iter ho a suo tempo seguito come parte lesa (e fottuta). I nomi dei corrotti (una giudice, un'avvocata, una commissione di controllo) sono camuffati, ma in modo che chiunque abbia un minimo di dimestichezza con le cronache possa capire di chi si tratta. Le querele, che speravo di ricevere, non sono mai arrivate, perché a leggermi sono stati in pochi, e i personaggi interessati, quand'anche ne abbiano avuto notizia, non hanno ritenuto di smuovere il fango in cui abitualmente si rotolano. Chi scrive la verità deve temere solo se è noto ai grandi media, altrimenti è protetto dalla nebbia delle mediocrità.
Mario Izzi
Sopravvissuti
(in)giustizia & dintorni (trilogia)
Dea
Non solo racconti
[/De gustibus non est sputazzellam (Antonio de Curtis, in arte Totò)]
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