[Mi183] La pianta vestita
Posted: Wed Sep 25, 2024 8:38 am
Traccia 1 - La terza stagione
Quando il grande acero rosso fuoco iniziava a perdere le foglie, metteva in evidenza i suoi frutti: magliette logore da tempo e altre fresche di giornata appese ai rami.
Sembrava un quadro di Dalì e invece era opera di Gianni. Aspettava l'autunno e ancor più l'inverno per vederne l'effetto. Aveva una predilezione per il verde. Per i mesi rigogliosi di nuovi germogli gli indumenti si confondevano, ma appena sopraggiungeva la terza stagione il contrasto iniziava a percepirsi, per culminare in quella visione surreale.
Gianni, affacciato alla finestra, si godeva lo spettacolo: “Dadidas, meccato dell'usato, copleanno, regalo mamma, zia Laura” diceva indicandole una a una. Non gli sfuggiva nulla, sapeva esattamente la provenienza di tutte le magliette che aveva indossato e poi lanciato, anche se erano passati anni.
La sua postazione preferita di lancio era la finestra della camera da letto. Poi rimaneva a torso nudo con qualunque clima.
Chi di passaggio lo aveva visto in giardino a petto nudo sottozero aveva chiamato l'ambulanza, ma alla descrizione: “C'è un signore che gira a torso nudo.”
“Per caso in via Leandro Alberti?”
“Credo di sì.”
La risposta era sempre la stessa: “Sì, lo sappiamo, grazie dell'avviso.”
Avevano provato a mettere una serratura alla finestra per evitarne i lanci, ma dopo dodici punti di sutura alla fronte per una testata che mandò in frantumi il vetro, optarono per il male minore.
Intanto pioveva. La stagione della caducità delle foglie era iniziata con una pioggia continua e persistente. Il grande acero assomigliava sempre più a una mangrovia.
Mario, con una scala, aveva più volte raccolto i panni con la gioia dell'uomo lanciatore.
Risultato: ritornavano appesi in posizioni diverse in breve tempo. Altri quadri, o meglio, installazioni che avrebbero sicuramente riscosso successo in esposizioni di arte contemporanea.
Il motivo di tale gesto “artistico” nessuno era riuscito a capirlo, nemmeno i più rinomati specialisti, che poi delle cause non dovevano essere così preoccupati: erano interessati soprattutto ad alleviare gli stati ansiosi e ridurre ogni possibile forma di aggressività o di autolesionismo con una manciata di pillole colorate. Scavando nell'infanzia, Mario un'idea se l'era fatta: aveva sempre pensato che le sue gesta dovevano essere state un atto di ribellione nei confronti del padre, al quale non voleva sottomettersi. Arrivava dal profondo sud e la mamma diceva sempre: “Fa kkòudu, chi mali c'è si va nudu?” Mentre il padre lo percuoteva periodicamente fino al giorno in cui gli si fermò il cuore, con sollievo di Gianni, ma ineluttabilmente tardivo.
“Basta!” Giovanni, un altro coinquilino, urlava sempre rivolto a Gianni: “Ma tienitele addosso quelle cazzo di magliette!”
Per Mario non era semplice gestire tutte le “uscite” degli abitanti della casa, ma aveva una buona predisposizione a quel tipo di lavoro.
“Siete proprio tutti scemi, siete proprio tutti scemi, siete proprio tutti scemi” si sentì una voce dall'interno di una stanza, poi aprì di colpo la porta Luisa. “E sono stata fin troppo generalista. Tu!” rivolto a Giovanni “Con quell'aria da commediante e quel neo sul mento che sembra uno spruzzo di caccola di topo: non bisogna avere il quoziente intellettivo di Einstein per capire che questo David coi rotolini di lardo che arriva dalla Calabria saudita potesse avere caldo e aver lanciato le sue magliette sudate e puzzolenti sugli arbusti per farle prendere un po' d'aria. E magari questo gesto era l'unica cosa che gli dava un po' di soddisfazione” richiuse la porta e ritornò nella sua stanza.
“Ah, ah, ah, calbra sodita, calbra sodita...” ripeteva Gianni ridendo come un bambino.
Ottobre era anche il giorno del suo compleanno e in quell'occasione scattava un desiderio speciale: una maglietta. Ma questa volta la indossava per un tempo più prolungato quasi fosse la sua seconda pelle.
“Almeno laviamola, poi te la restituisco, promesso” confidava Mario.
Poi improvvisamente se la toglieva e la lanciava. Punto e a capo.
“E se fosse allergico ai tessuti? Non avete mai pensato a questa opzione? Bradipi dell'intelletto.” Luisa aveva fatto ancora la sua apparizione per poi sparire sbattendo la porta.
“Guarda!” Gianni davanti alla finestra indicava qualcosa con l'indice.
Una sorta di corrente ascensionale vorticosa aveva risucchiato le magliette insieme alle foglie rosse e alcuni rami. Roteavano come in una spirale. Ritagli di luce accecante si facevano spazio tra il nero delle nuvole. Regnava un caldo umido asfissiante. Un ottobre tropicale.
Giunta a una certa altezza, la spirale si allargava in cerchi concentrici fino a distinguere i singoli capi di vestiario, ma prima che potessero cadere per la forza di gravità, un'altra furia li fece riprendere a roteare, questa volta verso il basso: un piccolo tornado si stava sviluppando nel giardino della casa. Gianni incantato rimase davanti alla finestra a guardare, gli sembrava che il vortice stesse portando via anche il suo passato, per un attimo gli era parso di vedere suo padre sulla motozappa, le capre e il grembiule a fiori della mamma.
Iniziò a girare anche lui intorno alla stanza, danzando, imitando il tornado.
“Andiamo tutti di sotto” urlò Mario.
La porta si aprì di nuovo: “Non so voi, ma a me non mi sono ancora spuntate le branchie e non ho voglia di nuotare come un cagnolino o stare a galla reggendomi al tavolo impiastrato di muco di Giovanni.”
Questa volta Luisa aveva ragione. L'acqua stava salendo e una piccola piscina si era creata al piano terreno. Aveva un'intelligenza sopra la norma, solo qualche piccolo disturbo dello spettro autistico e ogni tanto veniva da chiedersi cosa ci facesse in quella casa insieme a Gianni e agli altri coinquilini.
Il vento si era calmato, l'acqua ancora no e aveva lasciato disseminati, come in un campo di battaglia dopo la guerra, di tutto, a parte dei cadaveri umani; al mondo degli insetti invece non aveva lasciato scampo.
Rumori di motori di elicotteri e la voce di un megafono da un canotto: “State bene? Avete bisogno di qualcosa? Ci stiamo organizzando per portarvi via, state tranquilli.”
“Che bello, sembra di stare a Venezia!”
Gianni fece qualcosa che non aveva mai fatto, si lanciò verso Luisa per cercare di sfilarle la maglietta.
“Oddio mi violenta! Vattene via troglodita lanciatore di t shirt. Perché non la proponi come nuova disciplina para olimpica? Saresti un campione. E poi ho delle tettine così piccole che darebbero poca soddisfazione perfino a uno stupratore serial killer rinchiuso da venti anni in isolamento al 41 bis” sentenziò la sagace signora.
Mario insieme a un collega riuscirono a fermare Gianni che rideva e cercava di divincolarsi come un serpente.
Poi un frastuono fortissimo. Un boato come di un crollo. Tutti si precipitarono alla finestra: il grande acero era caduto rovinosamente sulla casa degli attrezzi.
Rimasero ammutoliti, per non parlare di Gianni.
“Oh! Finalmente! Io proporrei la prossima casa nel deserto dei Gobi, sarei curiosa di vedere dove riuscirebbe ad appendere le magliette” sempre Luisa.
Gianni aveva uno sguardo triste ma dopo un attimo rideva; poi di nuovo triste e piangeva, poi rideva ancora e ripiangeva per finire in una risata fragorosa interminabile.
Spuntò una scala che andò ad appoggiarsi al davanzale della finestra.
“Uno a uno tenetevi stretti a questa corda, scendiamo giù sulla barca e vi portiamo al sicuro” dava disposizioni un pompiere.
“Scusate, ma il viaggio in barca è gratis? No, perché ricordo che quand'ero giovane, su una gondola... alla fine del giro ho avuto istinti omicidi.”
Quella donna pelle e ossa, rossa di capelli e piena di lentiggini, era difficile che non risultasse simpatica. A un certo punto si sfilò la maglietta e la pose a Gianni: “Tieni, fanne ciò che vuoi.”
Gianni provò a infilarsela ma gli entrava a fatica, con vistosi strappi alla fine riuscì a indossarla.
“To bene?” chiese.
“Sei un figurino” rispose Mario.
E si allontanarono tra le torbide acque in un silenzio irreale rotto solo da qualche lamento.
Quando il grande acero rosso fuoco iniziava a perdere le foglie, metteva in evidenza i suoi frutti: magliette logore da tempo e altre fresche di giornata appese ai rami.
Sembrava un quadro di Dalì e invece era opera di Gianni. Aspettava l'autunno e ancor più l'inverno per vederne l'effetto. Aveva una predilezione per il verde. Per i mesi rigogliosi di nuovi germogli gli indumenti si confondevano, ma appena sopraggiungeva la terza stagione il contrasto iniziava a percepirsi, per culminare in quella visione surreale.
Gianni, affacciato alla finestra, si godeva lo spettacolo: “Dadidas, meccato dell'usato, copleanno, regalo mamma, zia Laura” diceva indicandole una a una. Non gli sfuggiva nulla, sapeva esattamente la provenienza di tutte le magliette che aveva indossato e poi lanciato, anche se erano passati anni.
La sua postazione preferita di lancio era la finestra della camera da letto. Poi rimaneva a torso nudo con qualunque clima.
Chi di passaggio lo aveva visto in giardino a petto nudo sottozero aveva chiamato l'ambulanza, ma alla descrizione: “C'è un signore che gira a torso nudo.”
“Per caso in via Leandro Alberti?”
“Credo di sì.”
La risposta era sempre la stessa: “Sì, lo sappiamo, grazie dell'avviso.”
Avevano provato a mettere una serratura alla finestra per evitarne i lanci, ma dopo dodici punti di sutura alla fronte per una testata che mandò in frantumi il vetro, optarono per il male minore.
Intanto pioveva. La stagione della caducità delle foglie era iniziata con una pioggia continua e persistente. Il grande acero assomigliava sempre più a una mangrovia.
Mario, con una scala, aveva più volte raccolto i panni con la gioia dell'uomo lanciatore.
Risultato: ritornavano appesi in posizioni diverse in breve tempo. Altri quadri, o meglio, installazioni che avrebbero sicuramente riscosso successo in esposizioni di arte contemporanea.
Il motivo di tale gesto “artistico” nessuno era riuscito a capirlo, nemmeno i più rinomati specialisti, che poi delle cause non dovevano essere così preoccupati: erano interessati soprattutto ad alleviare gli stati ansiosi e ridurre ogni possibile forma di aggressività o di autolesionismo con una manciata di pillole colorate. Scavando nell'infanzia, Mario un'idea se l'era fatta: aveva sempre pensato che le sue gesta dovevano essere state un atto di ribellione nei confronti del padre, al quale non voleva sottomettersi. Arrivava dal profondo sud e la mamma diceva sempre: “Fa kkòudu, chi mali c'è si va nudu?” Mentre il padre lo percuoteva periodicamente fino al giorno in cui gli si fermò il cuore, con sollievo di Gianni, ma ineluttabilmente tardivo.
“Basta!” Giovanni, un altro coinquilino, urlava sempre rivolto a Gianni: “Ma tienitele addosso quelle cazzo di magliette!”
Per Mario non era semplice gestire tutte le “uscite” degli abitanti della casa, ma aveva una buona predisposizione a quel tipo di lavoro.
“Siete proprio tutti scemi, siete proprio tutti scemi, siete proprio tutti scemi” si sentì una voce dall'interno di una stanza, poi aprì di colpo la porta Luisa. “E sono stata fin troppo generalista. Tu!” rivolto a Giovanni “Con quell'aria da commediante e quel neo sul mento che sembra uno spruzzo di caccola di topo: non bisogna avere il quoziente intellettivo di Einstein per capire che questo David coi rotolini di lardo che arriva dalla Calabria saudita potesse avere caldo e aver lanciato le sue magliette sudate e puzzolenti sugli arbusti per farle prendere un po' d'aria. E magari questo gesto era l'unica cosa che gli dava un po' di soddisfazione” richiuse la porta e ritornò nella sua stanza.
“Ah, ah, ah, calbra sodita, calbra sodita...” ripeteva Gianni ridendo come un bambino.
Ottobre era anche il giorno del suo compleanno e in quell'occasione scattava un desiderio speciale: una maglietta. Ma questa volta la indossava per un tempo più prolungato quasi fosse la sua seconda pelle.
“Almeno laviamola, poi te la restituisco, promesso” confidava Mario.
Poi improvvisamente se la toglieva e la lanciava. Punto e a capo.
“E se fosse allergico ai tessuti? Non avete mai pensato a questa opzione? Bradipi dell'intelletto.” Luisa aveva fatto ancora la sua apparizione per poi sparire sbattendo la porta.
“Guarda!” Gianni davanti alla finestra indicava qualcosa con l'indice.
Una sorta di corrente ascensionale vorticosa aveva risucchiato le magliette insieme alle foglie rosse e alcuni rami. Roteavano come in una spirale. Ritagli di luce accecante si facevano spazio tra il nero delle nuvole. Regnava un caldo umido asfissiante. Un ottobre tropicale.
Giunta a una certa altezza, la spirale si allargava in cerchi concentrici fino a distinguere i singoli capi di vestiario, ma prima che potessero cadere per la forza di gravità, un'altra furia li fece riprendere a roteare, questa volta verso il basso: un piccolo tornado si stava sviluppando nel giardino della casa. Gianni incantato rimase davanti alla finestra a guardare, gli sembrava che il vortice stesse portando via anche il suo passato, per un attimo gli era parso di vedere suo padre sulla motozappa, le capre e il grembiule a fiori della mamma.
Iniziò a girare anche lui intorno alla stanza, danzando, imitando il tornado.
“Andiamo tutti di sotto” urlò Mario.
La porta si aprì di nuovo: “Non so voi, ma a me non mi sono ancora spuntate le branchie e non ho voglia di nuotare come un cagnolino o stare a galla reggendomi al tavolo impiastrato di muco di Giovanni.”
Questa volta Luisa aveva ragione. L'acqua stava salendo e una piccola piscina si era creata al piano terreno. Aveva un'intelligenza sopra la norma, solo qualche piccolo disturbo dello spettro autistico e ogni tanto veniva da chiedersi cosa ci facesse in quella casa insieme a Gianni e agli altri coinquilini.
Il vento si era calmato, l'acqua ancora no e aveva lasciato disseminati, come in un campo di battaglia dopo la guerra, di tutto, a parte dei cadaveri umani; al mondo degli insetti invece non aveva lasciato scampo.
Rumori di motori di elicotteri e la voce di un megafono da un canotto: “State bene? Avete bisogno di qualcosa? Ci stiamo organizzando per portarvi via, state tranquilli.”
“Che bello, sembra di stare a Venezia!”
Gianni fece qualcosa che non aveva mai fatto, si lanciò verso Luisa per cercare di sfilarle la maglietta.
“Oddio mi violenta! Vattene via troglodita lanciatore di t shirt. Perché non la proponi come nuova disciplina para olimpica? Saresti un campione. E poi ho delle tettine così piccole che darebbero poca soddisfazione perfino a uno stupratore serial killer rinchiuso da venti anni in isolamento al 41 bis” sentenziò la sagace signora.
Mario insieme a un collega riuscirono a fermare Gianni che rideva e cercava di divincolarsi come un serpente.
Poi un frastuono fortissimo. Un boato come di un crollo. Tutti si precipitarono alla finestra: il grande acero era caduto rovinosamente sulla casa degli attrezzi.
Rimasero ammutoliti, per non parlare di Gianni.
“Oh! Finalmente! Io proporrei la prossima casa nel deserto dei Gobi, sarei curiosa di vedere dove riuscirebbe ad appendere le magliette” sempre Luisa.
Gianni aveva uno sguardo triste ma dopo un attimo rideva; poi di nuovo triste e piangeva, poi rideva ancora e ripiangeva per finire in una risata fragorosa interminabile.
Spuntò una scala che andò ad appoggiarsi al davanzale della finestra.
“Uno a uno tenetevi stretti a questa corda, scendiamo giù sulla barca e vi portiamo al sicuro” dava disposizioni un pompiere.
“Scusate, ma il viaggio in barca è gratis? No, perché ricordo che quand'ero giovane, su una gondola... alla fine del giro ho avuto istinti omicidi.”
Quella donna pelle e ossa, rossa di capelli e piena di lentiggini, era difficile che non risultasse simpatica. A un certo punto si sfilò la maglietta e la pose a Gianni: “Tieni, fanne ciò che vuoi.”
Gianni provò a infilarsela ma gli entrava a fatica, con vistosi strappi alla fine riuscì a indossarla.
“To bene?” chiese.
“Sei un figurino” rispose Mario.
E si allontanarono tra le torbide acque in un silenzio irreale rotto solo da qualche lamento.