[CE24-2] Il mondo - Nonno Aldo
Posted: Sun Sep 01, 2024 9:05 pm
Aldo non si preoccupò neanche di chiudere la porta di casa quando entrò: raggiunse il salotto con tre passi, accese il giradischi e vi sistemò il 45 giri appena comprato. La musica riempì il piccolo appartamento e con essa la risata di Aldo. Delle note lente e una voce calda.
“Senti che musica!” esclamò il giovane percependo la presenza di Nena alle sue spalle.
I capelli raccolti in uno chignon mezzo disfatto, il grembiule che cominciava a starle stretto attorno al pancione e un sorriso che nemmeno le caviglie gonfie e l’afa dell’estate riuscivano a levarle.
Guardava divertita suo marito che faceva finta di cantare.
Oh mondo
Soltanto adesso io ti guardo
Nel tuo silenzio io mi perdo
E sono niente accanto a te
Aldo la indicò con un gesto ampio da palcoscenico e la prese tra le braccia guidandola nella danza. Appena potevano muoversi nel salotto, tra l’armadio e le due poltrone a fiori, ma per loro era tale e quale una pista da ballo. Ed era tutta loro.
Nena gli fece cenno di fermarsi e riprese fiato reggendosi la pancia. “Dove l’hai recuperato questo disco?”
Facendola accomodare su una delle sue poltrone e sedendosi sull’altra, Aldo continuò a canticchiare anche se non sapeva affatto le parole: “Il mondo, lalalala... ed il giorno... lalalala.”
Le prese i piedi in grembo, cominciando a massaggiarglieli. “Al bar del Bezzi.”
Nena divenne seria e rimise i piedi a terra. “Mi avevi detto che non ci saresti tornato.”
La canzone finì e il disco continuò a girare a vuoto.
“L’altra sera sono passato con dei colleghi, solo per un bicchiere dopo il lavoro. Passavano la canzone alla radio e mi è piaciuta. Mi ha fatto pensare a te. Così il Bezzi mi ha detto che poteva recuperarmi il disco e di passare a prenderlo oggi. Tutto qua. Ti sembra un problema?”
La spiegazione non aveva rincuorato Nena, la quale si alzò senza rispondere e tornò nella camera da letto.
Aldo allargò le braccia, guardò al cielo e la seguì. “Nena! Guarda che non mi sono mica fermato a giocare né niente. Ho bevuto un bicchiere con Giovanni e Umberto prima di venire a casa. Quindici minuti siamo stati dentro.”
Nena piegava, o meglio ripiegava, una pila di vestiti ordinatamente impilati sul letto, facendo finta di ignorarlo.
“Va be’, va. Fa’ come ti pare.” Aldo levò il braccio in un gesto eloquente e se ne andò. “Tanto quando ti metti a tenere il muso non ti batte nessuno.”
La giovane donna buttò sgraziatamente una camicia sul copriletto e lo seguì. “Non è per il bar, né per il bicchiere dopo il lavoro. È perché quando si fa una promessa la si mantiene!”
“Eh, la si mantiene... Guarda che mica ci sono andato a giocare. Tra l’altro Giovanni e Umberto sono due che se gli dai le carte in mano sanno solo farsi aria. Ma cosa ne vuoi sapere tu. Mi sembra di essere io quello che ogni santo giorno va al lavoro a farsi un mazzo così per comprarti tutte le cose... e le poltrone a fiori, e il giradischi...”
“Aldo, guarda che dopo l’ultima volta, se non interveniva mio padre a sistemare le cose con l’amico tuo, altro che le poltrone e il giradischi, la casa perdevamo! Andate in un altro bar.”
Aldo girava e rigirava su se stesso nel corridoio, incapace di decidere se andare in cucina o tornare nella camera da letto.
“Ma cosa cambia a te se andiamo in quel bar o in un altro. Un bar è un bar.”
“No, un bar non è un bar!”
Aldo si sentì portato all’esasperazione e, prima di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito, uscì di casa.
Incespicò giù per le scale mentre provava ad accendersi una sigaretta, ma appena fu fuori ed ebbe fatto i primi due tiri, si sentì meglio. Si appoggiò alla facciata del palazzo e si concentrò sui gesti ripetitivi del fumare. Ogni volta che buttava fuori il fumo chiudeva gli occhi.
“Posso rubarle un tiro?”
Ancora prima di riaprire gli occhi, Aldo riconobbe la voce rauca di Marcello, il custode. Cosa custodisse non era ben chiaro, visto che il cancello che dava al cortile, così come il portone principale, erano sempre aperti e poteva andare e venire chi voleva. Tuttavia, quando c’era da fare qualche piccola riparazione, Marcello era sempre a disposizione e stava simpatico ai condomini.
Aldo gli porse la sigaretta.
“Lavoro o famiglia?” chiese l’altro, prendendola tra due dita.
“Famiglia.”
“La signora la fa disperare?”
Aldo si limitò a un cenno del capo.
Fumarono per un po’ in silenzio. Marcello rispettò il desiderio di Aldo di non voler condividere altro dei problemi che lo rendevano così cupo.
Il custode finì la sigaretta e la schiacciò sotto il tacco. “Secondo me, lei ha bisogno di un’ora o due di svago. Vedrà che se lascia alla sua signora il tempo di calmarsi, quando torna il problema si sarà risolto da solo.” Gli fece cenno di seguirlo. “La porto io nel posto giusto.”
Era forse la prima volta che Aldo si fermava ad osservare per davvero l’ippodromo, nonostante ci passasse davanti almeno una volta a settimana. Tuttavia, Marcello non gli lasciò più di qualche secondo, prima di spingerlo dentro, assieme a una piccola folla che si sparpagliò tra le tribune e un piccolo bar, dove si diressero i due uomini.
Dentro, l’ambiente era moderno, quasi interamente bianco. Sulla parete, un grande tabellone mostrava i risultati e una voce trasmessa da altoparlanti annunciava le prossime corse.
Con un atteggiamento di familiarità, Marcello alzò due dita in direzione del barista che annuì.
“Grappa va bene?” chiese indicando ad Aldo uno sgabello dove sedersi. “Che te ne pare?”
Ad Aldo non era sfuggito che erano passati ad un tratto al tu, ma approvò in silenzio. “Non ci ero mai venuto. Non ci capisco nulla di cavalli!”
“Non serve capirci: devi trovare il tuo cavallo fortunato e restargli fedele. Ecco il segreto. Il tuo cavallo fortunato. Aspettami qui per favore.”
Marcello si allontanò e, nell’attesa, Aldo cominciò a sfogliare un libricino trovato sul bancone: conteneva lunghi elenchi di nomi cavalli, uno più strano dell’altro. Ogni tanto si sentivano esclamazioni di gioia o di delusione che gli facevano alzare lo sguardo, ma per lo più si annoiava.
Dopo qualche minuto, Marcello tornò e si sedette accanto a lui. “Trovato qualcosa di interessante?” chiese mentre piegava con cura un foglietto di carta e lo riponeva nella tasca interna della giacca.
Aldo scosse la testa e gli consegnò il libretto, rivolgendo l’attenzione al bicchiere che il barista gli aveva servito.
“Guarda,” riprese il suo nuovo amico. “Questa comincia tra poco.”
Aldo guardò la pagina con poco interesse, ma quasi immediatamente un nome colse la sua attenzione: Filomena. Un cavallo portava il nome della sua Nena. Il giovane sentì un fremito nel petto, la familiare sensazione della sorte che gli sorrideva. Era un segno.
Quando tornò a casa, Aldo trovò la sua cena tenuta al caldo dentro una pentola e Nena che leggeva seduta in cucina.
La giovane donna non mosse un muscolo per salutarlo, ma lui sapeva che non stava leggendo per davvero e che stava solo facendo l’ostinata. Le accarezzò le spalle e la baciò sulla guancia.
“Mi dispiace,” le sussurrò. “Non volevo litigare. Volevo fare una cosa bella, per una volta, per te! Abbiamo preso il giradischi e abbiamo solo due dischi, entrambi di canti di chiesa, che ti ha regalato tua zia. Quaresimali per giunta!” Riuscì a strapparle una risata silenziosa. “E adesso, con il bambino, non si può mica fargli ascoltare canti quaresimali tutti i giorni. Se noi poi cresce triste!”
Uscì dalla cucina e dopo qualche secondo, la voce di Jimmy Fontana tornò a scorrere tra le stanze. Aldo porse una mano a sua moglie che lo guardò per qualche secondo con la fronte aggrottata prima di accettare.
“Sono un vero idiota, Nena,” le sussurrò mentre ballavano nel corridoio. “Ma sono sicuro che nostro figlio prenderà da te e sarà intelligente e responsabile.”
Continuarono a danzare lentamente e abbracciati anche quando la canzone era ormai finita.
“Ti prometto che non torno più dal Bezzi.”
Nena non rispose. Sospirò e appoggiò la guancia alla spalla di Aldo.
“Senti che musica!” esclamò il giovane percependo la presenza di Nena alle sue spalle.
I capelli raccolti in uno chignon mezzo disfatto, il grembiule che cominciava a starle stretto attorno al pancione e un sorriso che nemmeno le caviglie gonfie e l’afa dell’estate riuscivano a levarle.
Guardava divertita suo marito che faceva finta di cantare.
Oh mondo
Soltanto adesso io ti guardo
Nel tuo silenzio io mi perdo
E sono niente accanto a te
Aldo la indicò con un gesto ampio da palcoscenico e la prese tra le braccia guidandola nella danza. Appena potevano muoversi nel salotto, tra l’armadio e le due poltrone a fiori, ma per loro era tale e quale una pista da ballo. Ed era tutta loro.
Nena gli fece cenno di fermarsi e riprese fiato reggendosi la pancia. “Dove l’hai recuperato questo disco?”
Facendola accomodare su una delle sue poltrone e sedendosi sull’altra, Aldo continuò a canticchiare anche se non sapeva affatto le parole: “Il mondo, lalalala... ed il giorno... lalalala.”
Le prese i piedi in grembo, cominciando a massaggiarglieli. “Al bar del Bezzi.”
Nena divenne seria e rimise i piedi a terra. “Mi avevi detto che non ci saresti tornato.”
La canzone finì e il disco continuò a girare a vuoto.
“L’altra sera sono passato con dei colleghi, solo per un bicchiere dopo il lavoro. Passavano la canzone alla radio e mi è piaciuta. Mi ha fatto pensare a te. Così il Bezzi mi ha detto che poteva recuperarmi il disco e di passare a prenderlo oggi. Tutto qua. Ti sembra un problema?”
La spiegazione non aveva rincuorato Nena, la quale si alzò senza rispondere e tornò nella camera da letto.
Aldo allargò le braccia, guardò al cielo e la seguì. “Nena! Guarda che non mi sono mica fermato a giocare né niente. Ho bevuto un bicchiere con Giovanni e Umberto prima di venire a casa. Quindici minuti siamo stati dentro.”
Nena piegava, o meglio ripiegava, una pila di vestiti ordinatamente impilati sul letto, facendo finta di ignorarlo.
“Va be’, va. Fa’ come ti pare.” Aldo levò il braccio in un gesto eloquente e se ne andò. “Tanto quando ti metti a tenere il muso non ti batte nessuno.”
La giovane donna buttò sgraziatamente una camicia sul copriletto e lo seguì. “Non è per il bar, né per il bicchiere dopo il lavoro. È perché quando si fa una promessa la si mantiene!”
“Eh, la si mantiene... Guarda che mica ci sono andato a giocare. Tra l’altro Giovanni e Umberto sono due che se gli dai le carte in mano sanno solo farsi aria. Ma cosa ne vuoi sapere tu. Mi sembra di essere io quello che ogni santo giorno va al lavoro a farsi un mazzo così per comprarti tutte le cose... e le poltrone a fiori, e il giradischi...”
“Aldo, guarda che dopo l’ultima volta, se non interveniva mio padre a sistemare le cose con l’amico tuo, altro che le poltrone e il giradischi, la casa perdevamo! Andate in un altro bar.”
Aldo girava e rigirava su se stesso nel corridoio, incapace di decidere se andare in cucina o tornare nella camera da letto.
“Ma cosa cambia a te se andiamo in quel bar o in un altro. Un bar è un bar.”
“No, un bar non è un bar!”
Aldo si sentì portato all’esasperazione e, prima di dire qualcosa di cui si sarebbe pentito, uscì di casa.
Incespicò giù per le scale mentre provava ad accendersi una sigaretta, ma appena fu fuori ed ebbe fatto i primi due tiri, si sentì meglio. Si appoggiò alla facciata del palazzo e si concentrò sui gesti ripetitivi del fumare. Ogni volta che buttava fuori il fumo chiudeva gli occhi.
“Posso rubarle un tiro?”
Ancora prima di riaprire gli occhi, Aldo riconobbe la voce rauca di Marcello, il custode. Cosa custodisse non era ben chiaro, visto che il cancello che dava al cortile, così come il portone principale, erano sempre aperti e poteva andare e venire chi voleva. Tuttavia, quando c’era da fare qualche piccola riparazione, Marcello era sempre a disposizione e stava simpatico ai condomini.
Aldo gli porse la sigaretta.
“Lavoro o famiglia?” chiese l’altro, prendendola tra due dita.
“Famiglia.”
“La signora la fa disperare?”
Aldo si limitò a un cenno del capo.
Fumarono per un po’ in silenzio. Marcello rispettò il desiderio di Aldo di non voler condividere altro dei problemi che lo rendevano così cupo.
Il custode finì la sigaretta e la schiacciò sotto il tacco. “Secondo me, lei ha bisogno di un’ora o due di svago. Vedrà che se lascia alla sua signora il tempo di calmarsi, quando torna il problema si sarà risolto da solo.” Gli fece cenno di seguirlo. “La porto io nel posto giusto.”
Era forse la prima volta che Aldo si fermava ad osservare per davvero l’ippodromo, nonostante ci passasse davanti almeno una volta a settimana. Tuttavia, Marcello non gli lasciò più di qualche secondo, prima di spingerlo dentro, assieme a una piccola folla che si sparpagliò tra le tribune e un piccolo bar, dove si diressero i due uomini.
Dentro, l’ambiente era moderno, quasi interamente bianco. Sulla parete, un grande tabellone mostrava i risultati e una voce trasmessa da altoparlanti annunciava le prossime corse.
Con un atteggiamento di familiarità, Marcello alzò due dita in direzione del barista che annuì.
“Grappa va bene?” chiese indicando ad Aldo uno sgabello dove sedersi. “Che te ne pare?”
Ad Aldo non era sfuggito che erano passati ad un tratto al tu, ma approvò in silenzio. “Non ci ero mai venuto. Non ci capisco nulla di cavalli!”
“Non serve capirci: devi trovare il tuo cavallo fortunato e restargli fedele. Ecco il segreto. Il tuo cavallo fortunato. Aspettami qui per favore.”
Marcello si allontanò e, nell’attesa, Aldo cominciò a sfogliare un libricino trovato sul bancone: conteneva lunghi elenchi di nomi cavalli, uno più strano dell’altro. Ogni tanto si sentivano esclamazioni di gioia o di delusione che gli facevano alzare lo sguardo, ma per lo più si annoiava.
Dopo qualche minuto, Marcello tornò e si sedette accanto a lui. “Trovato qualcosa di interessante?” chiese mentre piegava con cura un foglietto di carta e lo riponeva nella tasca interna della giacca.
Aldo scosse la testa e gli consegnò il libretto, rivolgendo l’attenzione al bicchiere che il barista gli aveva servito.
“Guarda,” riprese il suo nuovo amico. “Questa comincia tra poco.”
Aldo guardò la pagina con poco interesse, ma quasi immediatamente un nome colse la sua attenzione: Filomena. Un cavallo portava il nome della sua Nena. Il giovane sentì un fremito nel petto, la familiare sensazione della sorte che gli sorrideva. Era un segno.
Quando tornò a casa, Aldo trovò la sua cena tenuta al caldo dentro una pentola e Nena che leggeva seduta in cucina.
La giovane donna non mosse un muscolo per salutarlo, ma lui sapeva che non stava leggendo per davvero e che stava solo facendo l’ostinata. Le accarezzò le spalle e la baciò sulla guancia.
“Mi dispiace,” le sussurrò. “Non volevo litigare. Volevo fare una cosa bella, per una volta, per te! Abbiamo preso il giradischi e abbiamo solo due dischi, entrambi di canti di chiesa, che ti ha regalato tua zia. Quaresimali per giunta!” Riuscì a strapparle una risata silenziosa. “E adesso, con il bambino, non si può mica fargli ascoltare canti quaresimali tutti i giorni. Se noi poi cresce triste!”
Uscì dalla cucina e dopo qualche secondo, la voce di Jimmy Fontana tornò a scorrere tra le stanze. Aldo porse una mano a sua moglie che lo guardò per qualche secondo con la fronte aggrottata prima di accettare.
“Sono un vero idiota, Nena,” le sussurrò mentre ballavano nel corridoio. “Ma sono sicuro che nostro figlio prenderà da te e sarà intelligente e responsabile.”
Continuarono a danzare lentamente e abbracciati anche quando la canzone era ormai finita.
“Ti prometto che non torno più dal Bezzi.”
Nena non rispose. Sospirò e appoggiò la guancia alla spalla di Aldo.