Sherlock Holmes ha un dubbio
Posted: Fri Mar 18, 2022 5:34 pm
Commento al racconto di Kasimiro "Raffaele spacca robe e il mercatino di strane cose"
Premessa: Ho utilizzato un personaggio di un altro scrittore. Credo sia libero dai diritti d'autore. Se però ho violato qualche regola interna o esterna al forum, invito i membri dello staff a eliminare pure la storia.
Sherlock Holmes lasciò la sua casa-studio di Baker Street in una brumosa mattinata londinese di metà novembre. Era diretto alla sartoria di Holborn, dalla quale si riforniva da quando aveva lasciato la tediosa vita di campagna per quella cittadina.
«Signor Holmes» disse la proprietaria, vedendolo entrare. Era una signora sulla quarantina, con una bella zazzera di capelli rossi e grandi occhi neri. Lei stessa possedeva uno spirito acuto. «Deduco che lei ha bisogno di un soprabito nuovo.»
«È tanto frusto?» chiese il consulente investigativo, lisciandosi una manica verdastra.
«Venga sul retro. Le mostro gli ultimi arrivi da Parigi.»
«Parigi? Non abbiamo niente di nazionale?»
«Si fidi di me. Farà un figurone, la prossima volta che sarà invitato dalla regina.»
Holmes aveva interessi tanto profondi, quanto limitati. Il violino. L’anatomia umana. Le qualità di tabacco da fiuto. E naturalmente, il crimine. In fatto di abiti, si era sempre fidato del gusto della signora.
«Suo figlio le dà ancora problemi?»
«Da cosa lo deduce?» chiese la donna, pretendendo una gruccia dal guardaroba.
«Ha dimenticato di abbottonare fino in fondo il colletto. Inoltre, mi perdoni, è leggermente più larga di vita rispetto al nostro ultimo incontro. Poiché so che lei è attenta all’alimentazione (lo deduco dalle riveste che legge incessantemente poco prima che le chiuda per i nostri convenevoli), deduco che si tratta di fame nervosa. Poiché è vedova da cinque anni, e la sua attività è florida, deduco che questo nervosissimo deriva da suo figlio.»
La signora sospirò, mentre aiutava Holmes a indossare il nuovo abito.
«Non ha superato l’esame per diventare barrister. Con tutti i sacrifici che ho fatto perché studiasse.»
«Lo sapevo.»
«Da cosa lo ha dedotto?»
«L’ho letto nel Times di Londra.»
«Con lei non si capisce mai quando scherza o fa sul serio.»
«Scherzo raramente» rispose Holmes, guardandosi nello specchio in quella nuova veste. Il suo pomo d’Adamo fece su e giù lungo il colletto ben inamidato della camicia. Poté vedere, dietro di lui, la signora mordersi il labbro, indecisa se confidarsi o meno.
«Signor Holmes… in tutti questi anni il nostro rapporto è stato strettamente professionale.»
«Sono i rapporti migliori, a mio parere.»
«Però…»
«Pavento il seguito di questa conversazione.»
«Mio figlio è sparito da tre giorni. La prego, lo trovi. E gli metta un po’ di sale in zucca.»
«Trovare le persone rientra fra le mie competenze. I discorsi motivazionali, no.»
«La prego. Lei è una persona autorevole. Il ragazzo è di buon cuore, ma non ha fiducia in se stesso, e, a volte, si perde dietro cattive compagnie.»
Holmes continuò a guardarsi nello specchio, vestito all’ultima moda di Parigi.
A cadenza regolare, due o tre volte ogni anno, qualcuno cercava di ucciderlo. Il detective aveva ancora i riflessi pronti, ma si chiedeva quanto poteva ancora durare. Con una mossa di jujutsu, torse il braccio dell’energumeno e levò il coltello dalla sua mano. Doveva essere uno scagnozzo di Moriarty. Si chiese perché non avesse scelto una pistola. Allora, forse, avrebbe potuto finalmente verificare le sue deduzioni sull’Aldilà.
«Tanto vale che mi uccidi» disse lo sgherro, dopo che Holmes lo ebbe scaraventato in angolo del vicolo dei docks dove si era avventurato in cerca di qualcuno che lo aiutasse col caso del ragazzo scomparso. Fortunata coincidenza.
«La morte» rispose Holmes. «Un comune passaggio di stato della materia. Sembra che gli uomini ne siano ossessionati.»
«Cosa farai di me, detective?»
«Nulla. A meno che tu non decida di tornarmi utile.»
«In che modo?»
«Dobbiamo incoraggiare una persona, e tu hai l’aspetto giusto. Immagino ti abbiano assoldato per questo, anche se i tuoi riflessi un po’ lenti e la tua scarsa intelligenza non costituivano un reale minaccia per me. Mi chiedo quando potrò incontrare Moriarty in persona. Comincio a credere che mi tema.»
Lo scagnozzo sputò per terra.
«Quindi ora lavoro per te?»
Anche senza le sue formidabili doti deduttive, a Holmes non sarebbe risultato difficile trovare il figlio della negoziante d’abiti. Frequentava un pub di Soho molto gettonata dalla scena artistica della Londra di quegli anni.
«Sherlock Holmes in persona! Non sei troppo impegnato con qualche scandalo alla corte di Boemia?» chiese il ragazzo, agitando per aria un bicchiere di liquido verde. Era seduto a un tavolo con poeti di mezza tacca e attricette discinte, sulle quale cercava di far colpo.
«Non perdonerò mai abbastanza il buon dottor Watson per avermi reso una celebrità, con gli imprecisi resoconti delle mie indagini che pubblica sui giornali.»
«Siedi a bere con noi» disse il ragazzo, continuando ad agitare il suo bicchiere. «Ci manca una persona famosa.»
Holmes non si scompose, come al solito.
«Tua madre vorrebbe rivederti. So che non torni a casa da tre giorni.»
Il ragazzo sbiancò. Cominciò a tremare.
«Sono solo una delusione per lei. Perché vorrebbe rivedermi?»
Holmes lo prese per la giacca e lo trascinò fuori dal localaccio. Appena ebbero girato l’angolo, un preciso gancio destro colpì l’investigatore alla mandibola, gettandolo per terra. L’aggressore agitò il solito coltello contro il ragazzo.
«Ora tocca a te.»
Il giovane restò immobile, troppo terrorizzato anche per scappare. Il buzzurro si lanciò contro di lui. Seguì una specie di concitazione. Ci furono degli schiaffi, degli spintoni, e infine il criminale cadde per terra, apparentemente svenuto.
«Lo hai steso» disse Holmes, riprendendo con la solita flemma.
«Io… ti ho salvato la vita?» chiese il ragazzo, indicandosi.
«A quanto pare. Sei più forte di quel che sembra» disse Holmes, dandogli una pacca sulla spalla. I discorsi motivazionali, come detto, non erano il suo forte. «Vieni, andiamo da tua madre, è in ansia.»
«E quello?»
«La strada di occuperà di lui, come ha sempre fatto.»
Tre mesi dopo, Holmes lasciò lo studio-appartamento di Baker Street per andare a comprare una cravatta di cui non aveva un estremo bisogno. Avrebbe mentito a se stesso, e lui non lo faceva mai, se avesse negato che voleva conoscere l’evoluzione del caso del figlio della negoziante d’abiti. Non un caso memorabile, non una vera e propria indagine, di quelle che il dottor Watson amava divulgare, ma la sua vita era anche fatta di quelle piccole cose. La giornata, va da sé, era grigia e piovigginosa.
Sì, ma perché era così interessato a tornare al negozio? Mentre respirava l’aria londinese, fu preso da un dubbio.
«Signor Holmes.»
«Dalla sua ritrovata figura deduco che suo figlio sta studiando di buona lena per il prossimo esame.»
«Un po’ di coraggio. Era proprio quello che gli mancava. È qui per provare delle cravatte?»
«Immagino mi proporrà gli ultimi arrivi da Parigi» disse Holmes, storcendo il naso.
«Farà un figurone, la prossima volta che andrà dalla regina.»
«Non sono così ben accetto a corte come si può pensare.»
«Venga sul retro.»
Holmes cominciò a provare cravatte nello specchio. Non resistette a sbirciare la donna dietro di lui. Ella lo sorprese.
«Sa, dottor Holmes» disse, con un sorrisino «cominciò a credere che il suo interesse nella mia figura non sia del tutto professionale.»
Il grande detective arrossì.
Premessa: Ho utilizzato un personaggio di un altro scrittore. Credo sia libero dai diritti d'autore. Se però ho violato qualche regola interna o esterna al forum, invito i membri dello staff a eliminare pure la storia.
Sherlock Holmes lasciò la sua casa-studio di Baker Street in una brumosa mattinata londinese di metà novembre. Era diretto alla sartoria di Holborn, dalla quale si riforniva da quando aveva lasciato la tediosa vita di campagna per quella cittadina.
«Signor Holmes» disse la proprietaria, vedendolo entrare. Era una signora sulla quarantina, con una bella zazzera di capelli rossi e grandi occhi neri. Lei stessa possedeva uno spirito acuto. «Deduco che lei ha bisogno di un soprabito nuovo.»
«È tanto frusto?» chiese il consulente investigativo, lisciandosi una manica verdastra.
«Venga sul retro. Le mostro gli ultimi arrivi da Parigi.»
«Parigi? Non abbiamo niente di nazionale?»
«Si fidi di me. Farà un figurone, la prossima volta che sarà invitato dalla regina.»
Holmes aveva interessi tanto profondi, quanto limitati. Il violino. L’anatomia umana. Le qualità di tabacco da fiuto. E naturalmente, il crimine. In fatto di abiti, si era sempre fidato del gusto della signora.
«Suo figlio le dà ancora problemi?»
«Da cosa lo deduce?» chiese la donna, pretendendo una gruccia dal guardaroba.
«Ha dimenticato di abbottonare fino in fondo il colletto. Inoltre, mi perdoni, è leggermente più larga di vita rispetto al nostro ultimo incontro. Poiché so che lei è attenta all’alimentazione (lo deduco dalle riveste che legge incessantemente poco prima che le chiuda per i nostri convenevoli), deduco che si tratta di fame nervosa. Poiché è vedova da cinque anni, e la sua attività è florida, deduco che questo nervosissimo deriva da suo figlio.»
La signora sospirò, mentre aiutava Holmes a indossare il nuovo abito.
«Non ha superato l’esame per diventare barrister. Con tutti i sacrifici che ho fatto perché studiasse.»
«Lo sapevo.»
«Da cosa lo ha dedotto?»
«L’ho letto nel Times di Londra.»
«Con lei non si capisce mai quando scherza o fa sul serio.»
«Scherzo raramente» rispose Holmes, guardandosi nello specchio in quella nuova veste. Il suo pomo d’Adamo fece su e giù lungo il colletto ben inamidato della camicia. Poté vedere, dietro di lui, la signora mordersi il labbro, indecisa se confidarsi o meno.
«Signor Holmes… in tutti questi anni il nostro rapporto è stato strettamente professionale.»
«Sono i rapporti migliori, a mio parere.»
«Però…»
«Pavento il seguito di questa conversazione.»
«Mio figlio è sparito da tre giorni. La prego, lo trovi. E gli metta un po’ di sale in zucca.»
«Trovare le persone rientra fra le mie competenze. I discorsi motivazionali, no.»
«La prego. Lei è una persona autorevole. Il ragazzo è di buon cuore, ma non ha fiducia in se stesso, e, a volte, si perde dietro cattive compagnie.»
Holmes continuò a guardarsi nello specchio, vestito all’ultima moda di Parigi.
A cadenza regolare, due o tre volte ogni anno, qualcuno cercava di ucciderlo. Il detective aveva ancora i riflessi pronti, ma si chiedeva quanto poteva ancora durare. Con una mossa di jujutsu, torse il braccio dell’energumeno e levò il coltello dalla sua mano. Doveva essere uno scagnozzo di Moriarty. Si chiese perché non avesse scelto una pistola. Allora, forse, avrebbe potuto finalmente verificare le sue deduzioni sull’Aldilà.
«Tanto vale che mi uccidi» disse lo sgherro, dopo che Holmes lo ebbe scaraventato in angolo del vicolo dei docks dove si era avventurato in cerca di qualcuno che lo aiutasse col caso del ragazzo scomparso. Fortunata coincidenza.
«La morte» rispose Holmes. «Un comune passaggio di stato della materia. Sembra che gli uomini ne siano ossessionati.»
«Cosa farai di me, detective?»
«Nulla. A meno che tu non decida di tornarmi utile.»
«In che modo?»
«Dobbiamo incoraggiare una persona, e tu hai l’aspetto giusto. Immagino ti abbiano assoldato per questo, anche se i tuoi riflessi un po’ lenti e la tua scarsa intelligenza non costituivano un reale minaccia per me. Mi chiedo quando potrò incontrare Moriarty in persona. Comincio a credere che mi tema.»
Lo scagnozzo sputò per terra.
«Quindi ora lavoro per te?»
Anche senza le sue formidabili doti deduttive, a Holmes non sarebbe risultato difficile trovare il figlio della negoziante d’abiti. Frequentava un pub di Soho molto gettonata dalla scena artistica della Londra di quegli anni.
«Sherlock Holmes in persona! Non sei troppo impegnato con qualche scandalo alla corte di Boemia?» chiese il ragazzo, agitando per aria un bicchiere di liquido verde. Era seduto a un tavolo con poeti di mezza tacca e attricette discinte, sulle quale cercava di far colpo.
«Non perdonerò mai abbastanza il buon dottor Watson per avermi reso una celebrità, con gli imprecisi resoconti delle mie indagini che pubblica sui giornali.»
«Siedi a bere con noi» disse il ragazzo, continuando ad agitare il suo bicchiere. «Ci manca una persona famosa.»
Holmes non si scompose, come al solito.
«Tua madre vorrebbe rivederti. So che non torni a casa da tre giorni.»
Il ragazzo sbiancò. Cominciò a tremare.
«Sono solo una delusione per lei. Perché vorrebbe rivedermi?»
Holmes lo prese per la giacca e lo trascinò fuori dal localaccio. Appena ebbero girato l’angolo, un preciso gancio destro colpì l’investigatore alla mandibola, gettandolo per terra. L’aggressore agitò il solito coltello contro il ragazzo.
«Ora tocca a te.»
Il giovane restò immobile, troppo terrorizzato anche per scappare. Il buzzurro si lanciò contro di lui. Seguì una specie di concitazione. Ci furono degli schiaffi, degli spintoni, e infine il criminale cadde per terra, apparentemente svenuto.
«Lo hai steso» disse Holmes, riprendendo con la solita flemma.
«Io… ti ho salvato la vita?» chiese il ragazzo, indicandosi.
«A quanto pare. Sei più forte di quel che sembra» disse Holmes, dandogli una pacca sulla spalla. I discorsi motivazionali, come detto, non erano il suo forte. «Vieni, andiamo da tua madre, è in ansia.»
«E quello?»
«La strada di occuperà di lui, come ha sempre fatto.»
Tre mesi dopo, Holmes lasciò lo studio-appartamento di Baker Street per andare a comprare una cravatta di cui non aveva un estremo bisogno. Avrebbe mentito a se stesso, e lui non lo faceva mai, se avesse negato che voleva conoscere l’evoluzione del caso del figlio della negoziante d’abiti. Non un caso memorabile, non una vera e propria indagine, di quelle che il dottor Watson amava divulgare, ma la sua vita era anche fatta di quelle piccole cose. La giornata, va da sé, era grigia e piovigginosa.
Sì, ma perché era così interessato a tornare al negozio? Mentre respirava l’aria londinese, fu preso da un dubbio.
«Signor Holmes.»
«Dalla sua ritrovata figura deduco che suo figlio sta studiando di buona lena per il prossimo esame.»
«Un po’ di coraggio. Era proprio quello che gli mancava. È qui per provare delle cravatte?»
«Immagino mi proporrà gli ultimi arrivi da Parigi» disse Holmes, storcendo il naso.
«Farà un figurone, la prossima volta che andrà dalla regina.»
«Non sono così ben accetto a corte come si può pensare.»
«Venga sul retro.»
Holmes cominciò a provare cravatte nello specchio. Non resistette a sbirciare la donna dietro di lui. Ella lo sorprese.
«Sa, dottor Holmes» disse, con un sorrisino «cominciò a credere che il suo interesse nella mia figura non sia del tutto professionale.»
Il grande detective arrossì.