[MI150] Tembot
Posted: Sun May 09, 2021 11:37 pm
Il mio commento
traccia di mezzogiorno: il tempo
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All’inizio ho comprato mezz’ora.
Per provare.
Offerta a tempo, ironia della sorte.
Un euro invece che tre.
Mi sono detto: «Perché no?»
Avevo ospiti a cena: amici che non vedevo da mesi. Venuti dalla sveglia Milano a passare qualche giorno nella sonnolenta provincia.
Eravamo nel bel mezzo di una piacevolissima discussione sulla scena indie della musica italiana, quando mi è caduto lo sguardo sull’orologio: tre minuti alla mezzanotte.
Domani devo andare a lavoro, ho pensato.
Per qualche istante mi sono quindi astratto dalle chiacchiere e mi sono limitato ad annuire, mentre mia moglie mi lanciava un’occhiata interrogativa dall’altro capo del tavolo.
«Che succede?» Mi ha scritto su Whatsapp. Santa donna, non le sfugge mai nulla.
«Niente. Mi sono reso conto che si sta facendo tardi» le ho risposto, al culmine dell’amarezza.
«Mi è preso un colpo. Credevo stessi male davvero. Che problema c’è? Riorganizziamo domani, no?» ha risposto.
Prima però che potessi pensare anche lontanamente a una replica, la mia attenzione si è spostata su altro.
Mi è arrivato un messaggio pubblicitario con un testo conciso e inequivocabile: «Hai bisogno di più tempo? Tembot è qui per te.»
Santi algoritmi, non sfugge loro mai nulla.
Ho pigiato su “Sì” senza farmi chissà quali fisime. Tembot aveva fatto la domanda giusta al momento giusto. Con pochi clic ho comprato mezz’ora in più per ognuno dei commensali e la discussione si è riaccesa.
Lì per lì non ho pensato alle implicazioni. Al mio ego è bastato che mi concentrassi solo per un attimo sulla finestra e sulla strada sotto casa: l’orologio al led sopra l’insegna della farmacia all’angolo continuava a scorrere inesorabile, mentre il mio Sector non se ne curava affatto.
Non ero stato truffato e tanto mi bastava.
Potevo tornare a fare dei confronti fra il primissimo Calcutta dei club e quello di Paracetamolo.
Stamattina sono uscito un poco prima. Da quando c’è di nuovo zona gialla preferisco fare colazione fuori: le fette biscottate con il miele non potranno mai competere con i cornetti caldi del bar Tulipano.
«Solito crema al limone, Massimo?» mi chiede Arturo. Urla, per superare l’impedimento della mascherina e del chiacchiericcio degli altri astanti davanti al bancone.
Rispondo di sì, quindi mi sposto vicino al frigo dei gelati. Sopra c’è la classica copia del Messaggero, come sempre aperta alla pagina sportiva. Ogni volta mi domando perché non prenda la Gazzetta, visti i palesi interessi dei suoi clienti. Poi guardo la lavagnetta sopra il bancone con la scritta “Prezzi” e sotto due voci: “Cornetti a un euro” e “I caffè pure” e mi rispondo da solo. Arturo è uno a cui piace la sintesi.
«Massimo, il cornetto è pronto» mi chiama, di nuovo con il vocione costretto nella FFP2.
Lo afferro al volo e torno alla lettura del quotidiano. Una pubblicità enorme occupa quasi metà pagina: “Hai bisogno di più tempo? Tembot è qui per te”.
Non riesco a dormire. Mi giro sul fianco sinistro. Quindi sul destro. Alla fine provo il più classico dei supini, ma niente. Giro la testa verso destra. L’orologio è impietoso. È un’ora che cerco la posizione migliore e tra poco saranno le cinque del mattino. Due ore ancora e poi la sveglia suonerà.
Mi viene già mal di testa a pensare che dovrò affrontare una giornata intera con così poche energie. Quel bicchiere di Coca Cola a cena sarà stato pure fresco e dissetante, ma ora la caffeina chiede dazio.
Prendo lo smartphone dal comodino e cerco qualcosa da leggere. Servirà a ben poco, ma spero fortemente di distrarmi e prendere sonno.
“05:37”.
Un’ora e mezza scarsa alla sveglia e ancora nulla. Ho perso mezz’ora fra le storie di Instagram.
Poi l’illuminazione: posso acquistare le ore perse. Posso prenderne anche qualcuna in più, a dir la verità e affrontare la giornata senza intoppi. Addio mal di testa. Benvenuta freschezza di rose. Compro quattro ore di meraviglioso sonno ristoratore e chiudo gli occhi, beato. Già pregusto la colazione al bar Tulipano.
«Ecco a te il cornetto» urla Arturo. La voce è più impastata rispetto a ieri. Inoltre a fare da cornice superiore alla mascherina stamattina ci sono due occhiaie viola e gonfie. Strano, mi dico, mentre addento la prelibatezza. Di solito Arturo è sempre carichissimo.
«Ma questa è marmellata di visciole, non crema al limone» mi lamento, con un tono di voce alto il giusto per farmi sentire dal bancone.
Non voglio fare scenate, ma non c’è niente che mi faccia più pena della marmellata di visciole.
«Te lo cambio subito, Massimo. Perdonami, colpa mia. Sono un po’…» comincia a dire Arturo.
«Stanco? È successo qualcosa?» completo io.
Lui indica con un cenno del volto un grande fiocco azzurro all’ingresso e sorride.
«È nato mio figlio ieri. Giornata bella intensa.»
Mi scuso mille volte. Non avevo visto la coccarda. Rinnovo ancora gli auguri ed esco dal bar.
Altra notte d’inferno. Questa volta la Coca Cola non c’entra nulla. È il caldo a farla da padrone. Questo maggio maledetto è passato da un giorno all’altro da cenni di timida primavera a spasmi di torrida estate. Che ore saranno? Le 06:34. Mezz’ora alla sveglia e mi giro e rigiro dalle 02:16. Quanto costa una giornata? Venti euro? Ho bisogno di riposare.
Arturo ha i capelli brizzolati stamattina. Forse gli altri giorni li tingeva?
Ci sta mettendo un po’ di più a servirmi, perché la sua attenzione è tutta concentrata su un bambino di quattro, al massimo cinque anni, che corre su e giù per il bar Tulipano.
«Ecco qua. Crema al limone» mi urla dal bancone.
Io afferro il cornetto e lo addento, quindi vengo colto da un giramento di testa e sono costretto a sedermi. Per un attimo mi è sembrato che il bar fosse sottosopra e che Arturo stesse servendo gli altri clienti a testa in giù.
Esco fuori, convinto che un po’ di aria fresca mi farà bene.
«Vorrei che questo weekend non finisse mai.»
Per far venire fuori la vena romantica di mia moglie ci vogliono occasioni speciali. E questi due giorni sull’isola di Ponza sono stati specialissimi. Un mare così blu da far venire dubbi sugli altri blu visti nella vita, una sabbia che resta attaccata su vestiti e pelle e non viene via per nessuna ragione al mondo, quasi a voler sancire un’unione ormai indissolubile, saldata nella salsedine e nel buonumore.
Compro due settimane di tempo in più. A mia moglie sembrerà davvero che questo weekend non finisca mai.
Tornare alla vita normale dopo la vacanza è sempre un trauma. Fortuna che ci sono Arturo e i suoi cornetti.
«Buongiorno, caro! Il solito» esclamo e vado verso il frigo dei gelati, a leggere la pagina sportiva del Messaggero.
«Mi scusi, cosa prende di solito?»
Mi volto, incuriosito. C’è un uomo al bancone, molto somigliante ad Arturo, ma non è lui.
«Arturo?»
Domanda retorica, ma lecita per capire cosa diavolo stia succedendo.
«Arturo era mio padre, signore. È venuto a mancare due anni fa. I debiti lo hanno sfiancato e la malattia gli ha dato il colpo di grazia.»
«Due anni fa? Ma io l’ho visto venerdì!»
Deve essere uno scherzo. Non facevo Arturo capace di simili sciocchezze.
«Venerdì? Ah, capisco. Lei deve essere tra quelli che comprano.»
«Quelli che comprano?»
La mia domanda deve aver innescato qualche strano meccanismo.
Perché il bar comincia a ruotare e dopo qualche istante il presunto figlio di Arturo è a testa in giù.
«Sì, noi siamo quelli che vendono» mi dice dopo un tempo che mi sembra infinito.
«Vendete cosa? Non capisco più nulla.»
«Il tempo, no? Se qualcuno compra, c’è qualcuno che vende. È la legge del mercato. Papà dopo un anno di chiusure aveva i conti in rosso e grazie a Tembot ha potuto tirare avanti. È stato tutto molto veloce e intenso, ma abbiamo avuto i nostri minuti di felicità.»
«Perché sei a testa in giù?» chiedo, ormai incapace di gestire le informazioni che mi arrivano a fiume.
«Qualcuno starà comprando il mio tempo in questo momento: come una clessidra vengo girato e svuotato un poco alla volta.»
«È terribile.»
«Ma no. Col tempo ci si fa l’abitudine. Anzi mi correggo. Con il poco tempo ci si fa l’abitudine prima.»
traccia di mezzogiorno: il tempo
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All’inizio ho comprato mezz’ora.
Per provare.
Offerta a tempo, ironia della sorte.
Un euro invece che tre.
Mi sono detto: «Perché no?»
Avevo ospiti a cena: amici che non vedevo da mesi. Venuti dalla sveglia Milano a passare qualche giorno nella sonnolenta provincia.
Eravamo nel bel mezzo di una piacevolissima discussione sulla scena indie della musica italiana, quando mi è caduto lo sguardo sull’orologio: tre minuti alla mezzanotte.
Domani devo andare a lavoro, ho pensato.
Per qualche istante mi sono quindi astratto dalle chiacchiere e mi sono limitato ad annuire, mentre mia moglie mi lanciava un’occhiata interrogativa dall’altro capo del tavolo.
«Che succede?» Mi ha scritto su Whatsapp. Santa donna, non le sfugge mai nulla.
«Niente. Mi sono reso conto che si sta facendo tardi» le ho risposto, al culmine dell’amarezza.
«Mi è preso un colpo. Credevo stessi male davvero. Che problema c’è? Riorganizziamo domani, no?» ha risposto.
Prima però che potessi pensare anche lontanamente a una replica, la mia attenzione si è spostata su altro.
Mi è arrivato un messaggio pubblicitario con un testo conciso e inequivocabile: «Hai bisogno di più tempo? Tembot è qui per te.»
Santi algoritmi, non sfugge loro mai nulla.
Ho pigiato su “Sì” senza farmi chissà quali fisime. Tembot aveva fatto la domanda giusta al momento giusto. Con pochi clic ho comprato mezz’ora in più per ognuno dei commensali e la discussione si è riaccesa.
Lì per lì non ho pensato alle implicazioni. Al mio ego è bastato che mi concentrassi solo per un attimo sulla finestra e sulla strada sotto casa: l’orologio al led sopra l’insegna della farmacia all’angolo continuava a scorrere inesorabile, mentre il mio Sector non se ne curava affatto.
Non ero stato truffato e tanto mi bastava.
Potevo tornare a fare dei confronti fra il primissimo Calcutta dei club e quello di Paracetamolo.
Stamattina sono uscito un poco prima. Da quando c’è di nuovo zona gialla preferisco fare colazione fuori: le fette biscottate con il miele non potranno mai competere con i cornetti caldi del bar Tulipano.
«Solito crema al limone, Massimo?» mi chiede Arturo. Urla, per superare l’impedimento della mascherina e del chiacchiericcio degli altri astanti davanti al bancone.
Rispondo di sì, quindi mi sposto vicino al frigo dei gelati. Sopra c’è la classica copia del Messaggero, come sempre aperta alla pagina sportiva. Ogni volta mi domando perché non prenda la Gazzetta, visti i palesi interessi dei suoi clienti. Poi guardo la lavagnetta sopra il bancone con la scritta “Prezzi” e sotto due voci: “Cornetti a un euro” e “I caffè pure” e mi rispondo da solo. Arturo è uno a cui piace la sintesi.
«Massimo, il cornetto è pronto» mi chiama, di nuovo con il vocione costretto nella FFP2.
Lo afferro al volo e torno alla lettura del quotidiano. Una pubblicità enorme occupa quasi metà pagina: “Hai bisogno di più tempo? Tembot è qui per te”.
Non riesco a dormire. Mi giro sul fianco sinistro. Quindi sul destro. Alla fine provo il più classico dei supini, ma niente. Giro la testa verso destra. L’orologio è impietoso. È un’ora che cerco la posizione migliore e tra poco saranno le cinque del mattino. Due ore ancora e poi la sveglia suonerà.
Mi viene già mal di testa a pensare che dovrò affrontare una giornata intera con così poche energie. Quel bicchiere di Coca Cola a cena sarà stato pure fresco e dissetante, ma ora la caffeina chiede dazio.
Prendo lo smartphone dal comodino e cerco qualcosa da leggere. Servirà a ben poco, ma spero fortemente di distrarmi e prendere sonno.
“05:37”.
Un’ora e mezza scarsa alla sveglia e ancora nulla. Ho perso mezz’ora fra le storie di Instagram.
Poi l’illuminazione: posso acquistare le ore perse. Posso prenderne anche qualcuna in più, a dir la verità e affrontare la giornata senza intoppi. Addio mal di testa. Benvenuta freschezza di rose. Compro quattro ore di meraviglioso sonno ristoratore e chiudo gli occhi, beato. Già pregusto la colazione al bar Tulipano.
«Ecco a te il cornetto» urla Arturo. La voce è più impastata rispetto a ieri. Inoltre a fare da cornice superiore alla mascherina stamattina ci sono due occhiaie viola e gonfie. Strano, mi dico, mentre addento la prelibatezza. Di solito Arturo è sempre carichissimo.
«Ma questa è marmellata di visciole, non crema al limone» mi lamento, con un tono di voce alto il giusto per farmi sentire dal bancone.
Non voglio fare scenate, ma non c’è niente che mi faccia più pena della marmellata di visciole.
«Te lo cambio subito, Massimo. Perdonami, colpa mia. Sono un po’…» comincia a dire Arturo.
«Stanco? È successo qualcosa?» completo io.
Lui indica con un cenno del volto un grande fiocco azzurro all’ingresso e sorride.
«È nato mio figlio ieri. Giornata bella intensa.»
Mi scuso mille volte. Non avevo visto la coccarda. Rinnovo ancora gli auguri ed esco dal bar.
Altra notte d’inferno. Questa volta la Coca Cola non c’entra nulla. È il caldo a farla da padrone. Questo maggio maledetto è passato da un giorno all’altro da cenni di timida primavera a spasmi di torrida estate. Che ore saranno? Le 06:34. Mezz’ora alla sveglia e mi giro e rigiro dalle 02:16. Quanto costa una giornata? Venti euro? Ho bisogno di riposare.
Arturo ha i capelli brizzolati stamattina. Forse gli altri giorni li tingeva?
Ci sta mettendo un po’ di più a servirmi, perché la sua attenzione è tutta concentrata su un bambino di quattro, al massimo cinque anni, che corre su e giù per il bar Tulipano.
«Ecco qua. Crema al limone» mi urla dal bancone.
Io afferro il cornetto e lo addento, quindi vengo colto da un giramento di testa e sono costretto a sedermi. Per un attimo mi è sembrato che il bar fosse sottosopra e che Arturo stesse servendo gli altri clienti a testa in giù.
Esco fuori, convinto che un po’ di aria fresca mi farà bene.
«Vorrei che questo weekend non finisse mai.»
Per far venire fuori la vena romantica di mia moglie ci vogliono occasioni speciali. E questi due giorni sull’isola di Ponza sono stati specialissimi. Un mare così blu da far venire dubbi sugli altri blu visti nella vita, una sabbia che resta attaccata su vestiti e pelle e non viene via per nessuna ragione al mondo, quasi a voler sancire un’unione ormai indissolubile, saldata nella salsedine e nel buonumore.
Compro due settimane di tempo in più. A mia moglie sembrerà davvero che questo weekend non finisca mai.
Tornare alla vita normale dopo la vacanza è sempre un trauma. Fortuna che ci sono Arturo e i suoi cornetti.
«Buongiorno, caro! Il solito» esclamo e vado verso il frigo dei gelati, a leggere la pagina sportiva del Messaggero.
«Mi scusi, cosa prende di solito?»
Mi volto, incuriosito. C’è un uomo al bancone, molto somigliante ad Arturo, ma non è lui.
«Arturo?»
Domanda retorica, ma lecita per capire cosa diavolo stia succedendo.
«Arturo era mio padre, signore. È venuto a mancare due anni fa. I debiti lo hanno sfiancato e la malattia gli ha dato il colpo di grazia.»
«Due anni fa? Ma io l’ho visto venerdì!»
Deve essere uno scherzo. Non facevo Arturo capace di simili sciocchezze.
«Venerdì? Ah, capisco. Lei deve essere tra quelli che comprano.»
«Quelli che comprano?»
La mia domanda deve aver innescato qualche strano meccanismo.
Perché il bar comincia a ruotare e dopo qualche istante il presunto figlio di Arturo è a testa in giù.
«Sì, noi siamo quelli che vendono» mi dice dopo un tempo che mi sembra infinito.
«Vendete cosa? Non capisco più nulla.»
«Il tempo, no? Se qualcuno compra, c’è qualcuno che vende. È la legge del mercato. Papà dopo un anno di chiusure aveva i conti in rosso e grazie a Tembot ha potuto tirare avanti. È stato tutto molto veloce e intenso, ma abbiamo avuto i nostri minuti di felicità.»
«Perché sei a testa in giù?» chiedo, ormai incapace di gestire le informazioni che mi arrivano a fiume.
«Qualcuno starà comprando il mio tempo in questo momento: come una clessidra vengo girato e svuotato un poco alla volta.»
«È terribile.»
«Ma no. Col tempo ci si fa l’abitudine. Anzi mi correggo. Con il poco tempo ci si fa l’abitudine prima.»