[MI148] Il coltello e il pestacarne
Posted: Sun Apr 11, 2021 10:12 pm
Traccia di macleobond : il carcere
“Non sei nemmeno capace di non far scuocere la pasta.”
Si era girata dal lavello, dove stava sciacquando il coltello della carne e aveva allungato il braccio. La cucina era talmente piccola che la lama era affondata fino al manico nello sterno. Sotto lo sguardo incredulo di suo marito aveva dovuto ruotare alcune volte il manico per estrarre il coltello. Appena in quel momento lui aveva iniziato a urlare e a venirle incontro. Le era caduto addosso infilzandosi di nuovo e seppellendola sotto al suo peso. Spuntava il manico del pestacarne dal bancone. Nella bolla di terrore era riuscita a prenderlo e continuava a colpirlo alla testa, le sue gambe ancora sotto al busto di lui.
La testa non era più tonda e lui taceva.
Il tempo aveva ripreso la sua velocità normale, non scorreva più al rallentatore. L’odore della bistecca che bruciava e la voce delle bambine la fecero alzare dalla pozza di sangue.
Era tutto rosso denso, strisce sui mobiletti, chiazze a terra, schizzi ovunque.
Camilla aveva raccontato questa storia mille volte.
Era rimasta vedova con tre figlie di 10, 6 e 3 anni. Era giovane e bella e aveva un buon lavoro come insegnante. Nonostante sua mamma le dicesse, che mai più avrebbe trovato marito, lei si era risposata. Lui era un impiegato comunale con un buono stipendio e diceva di amarla, che si sarebbe fatto carico delle bambine. Dopo nemmeno due anni l’amava già di meno, ma passava molto tempo con le bambine. Alice a 14 anni era la sua preferita. Uscivano spesso e tornavano con regalini. Crescendo Alice era diventata taciturna, aveva occhiaie, ma a scuola andava ancora bene. Quando a 16 anni iniziò a uscire con i propri amici, Mauro divenne violento. Non amava più Camilla come una volta, quando facevano l’amore sembrava che la violentasse, la criticava di continuo ed erano volati i primi schiaffi. Camilla non capiva, pensava al lavoro, allo stress, ai soldi che scarseggiavano e faceva del suo meglio per renderlo felice e sereno.
Fatta la maturità Alice se ne andò di casa, aveva trovato lavoro su una nave da crociera. Guadagnava bene e non tornava mai.
A casa erano rimaste lei, Giulia, Sabrina e Mauro.
Per guadagnare qualche soldo in più aveva iniziato a dare ripetizioni di italiano. Andava a casa dei suoi alunni, che Mauro non sopportava le visite e poi non c’era spazio in casa. Usciva la mattina, tornava la sera spossata, cucinava, puliva e stirava.
Mauro sembrava più sereno.
Non chiedeva aiuto alle figlie. Nemmeno a Giulia che a 14 anni qualcosa avrebbe potuto fare. Aveva tali occhiaie che non se la sentiva. Camilla stessa era così stanca che nemmeno si accorgeva che Mauro non la cercava più.
Fino alla sera del coltello e del pestacarne, la sera della liberazione.
Entrata in carcere si era accorta del piacere che le dava il ritmo delle giornate scandite dalle secondine. All’inizio aveva avuto difficoltà, aveva quasi subito violenza. Poi si era offerta di insegnare l’italiano alle extracomunitarie, di aiutare le altre a studiare per ottenere un diploma e si era guadagnata un suo spazio tranquillo.
Le avevano dato trent’anni. Il suo omicidio era stato crudele e per futili motivi: una pasta scotta.
Aveva davanti a sé trent’anni di pace a fare il proprio lavoro senza doversi preoccupare di niente e nessuno. Ci pensava la sua compagna di cella Susi a chiarire la posizione di Camilla con le nuove. Susi si spiegava molto bene e negli anni era diventata il suo angelo custode.
A chi glielo chiedeva, raccontava la sua storia sempre con le stesse parole.
Alcune sottolineavano, che il giudice era stato ingiusto, che lo doveva capire quanto pesante potesse essere un marito, quanto esausta poteva essere una moglie. Altre proprio le chiedevano cosa le fosse venuto in mente. Avrebbe potuto divorziare oppure accontentarsi di accoltellarlo senza infierire col pestacarne. Almeno così sarebbe stato tentato omicidio e con tutte le attenuanti avrebbe passato un periodo più breve in carcere. Altre ancora le chiedevano perché non fosse scappata, perché avesse confessato.
Camilla non rispondeva mai, ripeteva la sua storia con le stesse parole, sempre.
Alice, Giulia e Sabrina le scrivevano con regolarità, le mandavano foto e libri. Erano anche andate a trovarla.
Dopo l’omicidio Alice aveva continuato a viaggiare per mare, Giulia e Sabrina erano state affidate ai servizi sociali e poi a due famiglie diverse. Le assistenti avevano sconsigliato il contatto con la madre assassina e Camilla si era adeguata a patto che loro stessero bene. Sia Giulia che Sabrina avevano dovuto seguire una terapia, soffrivano di incubi di notte, ma ne erano venute fuori.
Grazie ad Alice erano riuscite ad aprire un salone di bellezza, una faceva la parrucchiera e l’altra l’estetista. Non si erano più separate dopo aver lasciato le famiglie affidatarie.
Una o due volte l’anno venivano a trovarla. Si mostravano, le raccontavano poche cose giusto per far sentire la propria voce. Il punto era potersi toccare le mani sopra al tavolo. Camilla le stringeva ed era lei a parlare più di tutte. Raccontava delle sue allieve spacciatrici, prostitute e ladre. Di quelle poche che con lo studio erano riuscite a tirarsene fuori, della maggioranza che nonostante lo studio erano tornate dentro e ne approfittavano per farsi un altro diploma se non addirittura una laurea. Camilla raccontava di Susi, del fatto che aveva finito di scontare la sua pena e che già l'aveva affidata a un'altra veterana che le avrebbe fatto da angelo custode.
Ormai mancavano solo due settimane e Susi sarebbe stata libera.
La sera prima del rilascio di Susi erano sdraiate al buio nella loro cella. Non riuscivano a dormire. Susi era preoccupata per la vita fuori, Camilla avrebbe sentito la sua mancanza.
“Cami, domani esco. Mi racconti ancora una volta la storia del coltello e del pestacarne.”
“Quella sera, quando sono tornata a casa alle otto.”
“Cami, guarda che non inizia così la tua storia. Inizia che lui ti dice della pasta scotta.”
“Quella sera quando sono tornata a casa alle otto, ho visto Sabrina di spalle che colpiva qualcosa con il pestacarne. Colpiva, colpiva e colpiva. Non si fermava più. Sentivo anche la voce di Giulia che le diceva di smettere, che non si muoveva più, che doveva aiutarla a uscire da lì sotto, che dovevano mettere a posto prima che arrivassi io. Ma io ero già lì in mezzo a tutto quel rosso, a fermare una bambina di undici anni che era impegnata a fracassare la testa del suo patrigno. Ero stata cieca, sorda e muta. Non avevo capito niente. Ero stata una pessima madre ed era tutta colpa mia. Non mi ero accorta di Mauro e Alice che subiva sempre in silenzio. Non mi ero accorta di Mauro e Giulia che invece si ribellava alle sue mani che le frugavano il corpo. Non aveva ceduto alle minacce e nemmeno ai regali, non aveva ceduto e basta. Proprio quel giorno Mauro era tornato prima, deciso a prendersi quello che voleva, un po’ con le buone, un po’ con le cattive, poi un po’ troppo con le cattive. Giulia voleva preparare la cena per farmi una sorpresa e lo aveva accoltellato due volte urlando. Sabrina aveva visto la sorella sotto quel corpo agitato e non aveva potuto fare altro che colpirlo con il pestacarne. Era colpa mia, tutto era colpa mia: non sono riuscita a proteggerle. Ho preso in mano il coltello, il pestacarne, mi sono sdraiata sotto il cadavere, ci siamo abbracciate tutte e tre e poi ho chiamato il 113. Mentre aspettavamo, ho detto che loro non avevano fatto niente, che andava bene così, che avrei pagato io, come al supermercato. Loro dovevano solo piangere e dire che mi avevano fermato chiamandomi. Mi hanno portato via, ho confessato subito e la pasta era scotta davvero.”
Nel silenzio Camilla ascoltava il respiro di Susi. Le sarebbe mancata davvero tanto.
“Non sei nemmeno capace di non far scuocere la pasta.”
Si era girata dal lavello, dove stava sciacquando il coltello della carne e aveva allungato il braccio. La cucina era talmente piccola che la lama era affondata fino al manico nello sterno. Sotto lo sguardo incredulo di suo marito aveva dovuto ruotare alcune volte il manico per estrarre il coltello. Appena in quel momento lui aveva iniziato a urlare e a venirle incontro. Le era caduto addosso infilzandosi di nuovo e seppellendola sotto al suo peso. Spuntava il manico del pestacarne dal bancone. Nella bolla di terrore era riuscita a prenderlo e continuava a colpirlo alla testa, le sue gambe ancora sotto al busto di lui.
La testa non era più tonda e lui taceva.
Il tempo aveva ripreso la sua velocità normale, non scorreva più al rallentatore. L’odore della bistecca che bruciava e la voce delle bambine la fecero alzare dalla pozza di sangue.
Era tutto rosso denso, strisce sui mobiletti, chiazze a terra, schizzi ovunque.
Camilla aveva raccontato questa storia mille volte.
Era rimasta vedova con tre figlie di 10, 6 e 3 anni. Era giovane e bella e aveva un buon lavoro come insegnante. Nonostante sua mamma le dicesse, che mai più avrebbe trovato marito, lei si era risposata. Lui era un impiegato comunale con un buono stipendio e diceva di amarla, che si sarebbe fatto carico delle bambine. Dopo nemmeno due anni l’amava già di meno, ma passava molto tempo con le bambine. Alice a 14 anni era la sua preferita. Uscivano spesso e tornavano con regalini. Crescendo Alice era diventata taciturna, aveva occhiaie, ma a scuola andava ancora bene. Quando a 16 anni iniziò a uscire con i propri amici, Mauro divenne violento. Non amava più Camilla come una volta, quando facevano l’amore sembrava che la violentasse, la criticava di continuo ed erano volati i primi schiaffi. Camilla non capiva, pensava al lavoro, allo stress, ai soldi che scarseggiavano e faceva del suo meglio per renderlo felice e sereno.
Fatta la maturità Alice se ne andò di casa, aveva trovato lavoro su una nave da crociera. Guadagnava bene e non tornava mai.
A casa erano rimaste lei, Giulia, Sabrina e Mauro.
Per guadagnare qualche soldo in più aveva iniziato a dare ripetizioni di italiano. Andava a casa dei suoi alunni, che Mauro non sopportava le visite e poi non c’era spazio in casa. Usciva la mattina, tornava la sera spossata, cucinava, puliva e stirava.
Mauro sembrava più sereno.
Non chiedeva aiuto alle figlie. Nemmeno a Giulia che a 14 anni qualcosa avrebbe potuto fare. Aveva tali occhiaie che non se la sentiva. Camilla stessa era così stanca che nemmeno si accorgeva che Mauro non la cercava più.
Fino alla sera del coltello e del pestacarne, la sera della liberazione.
Entrata in carcere si era accorta del piacere che le dava il ritmo delle giornate scandite dalle secondine. All’inizio aveva avuto difficoltà, aveva quasi subito violenza. Poi si era offerta di insegnare l’italiano alle extracomunitarie, di aiutare le altre a studiare per ottenere un diploma e si era guadagnata un suo spazio tranquillo.
Le avevano dato trent’anni. Il suo omicidio era stato crudele e per futili motivi: una pasta scotta.
Aveva davanti a sé trent’anni di pace a fare il proprio lavoro senza doversi preoccupare di niente e nessuno. Ci pensava la sua compagna di cella Susi a chiarire la posizione di Camilla con le nuove. Susi si spiegava molto bene e negli anni era diventata il suo angelo custode.
A chi glielo chiedeva, raccontava la sua storia sempre con le stesse parole.
Alcune sottolineavano, che il giudice era stato ingiusto, che lo doveva capire quanto pesante potesse essere un marito, quanto esausta poteva essere una moglie. Altre proprio le chiedevano cosa le fosse venuto in mente. Avrebbe potuto divorziare oppure accontentarsi di accoltellarlo senza infierire col pestacarne. Almeno così sarebbe stato tentato omicidio e con tutte le attenuanti avrebbe passato un periodo più breve in carcere. Altre ancora le chiedevano perché non fosse scappata, perché avesse confessato.
Camilla non rispondeva mai, ripeteva la sua storia con le stesse parole, sempre.
Alice, Giulia e Sabrina le scrivevano con regolarità, le mandavano foto e libri. Erano anche andate a trovarla.
Dopo l’omicidio Alice aveva continuato a viaggiare per mare, Giulia e Sabrina erano state affidate ai servizi sociali e poi a due famiglie diverse. Le assistenti avevano sconsigliato il contatto con la madre assassina e Camilla si era adeguata a patto che loro stessero bene. Sia Giulia che Sabrina avevano dovuto seguire una terapia, soffrivano di incubi di notte, ma ne erano venute fuori.
Grazie ad Alice erano riuscite ad aprire un salone di bellezza, una faceva la parrucchiera e l’altra l’estetista. Non si erano più separate dopo aver lasciato le famiglie affidatarie.
Una o due volte l’anno venivano a trovarla. Si mostravano, le raccontavano poche cose giusto per far sentire la propria voce. Il punto era potersi toccare le mani sopra al tavolo. Camilla le stringeva ed era lei a parlare più di tutte. Raccontava delle sue allieve spacciatrici, prostitute e ladre. Di quelle poche che con lo studio erano riuscite a tirarsene fuori, della maggioranza che nonostante lo studio erano tornate dentro e ne approfittavano per farsi un altro diploma se non addirittura una laurea. Camilla raccontava di Susi, del fatto che aveva finito di scontare la sua pena e che già l'aveva affidata a un'altra veterana che le avrebbe fatto da angelo custode.
Ormai mancavano solo due settimane e Susi sarebbe stata libera.
La sera prima del rilascio di Susi erano sdraiate al buio nella loro cella. Non riuscivano a dormire. Susi era preoccupata per la vita fuori, Camilla avrebbe sentito la sua mancanza.
“Cami, domani esco. Mi racconti ancora una volta la storia del coltello e del pestacarne.”
“Quella sera, quando sono tornata a casa alle otto.”
“Cami, guarda che non inizia così la tua storia. Inizia che lui ti dice della pasta scotta.”
“Quella sera quando sono tornata a casa alle otto, ho visto Sabrina di spalle che colpiva qualcosa con il pestacarne. Colpiva, colpiva e colpiva. Non si fermava più. Sentivo anche la voce di Giulia che le diceva di smettere, che non si muoveva più, che doveva aiutarla a uscire da lì sotto, che dovevano mettere a posto prima che arrivassi io. Ma io ero già lì in mezzo a tutto quel rosso, a fermare una bambina di undici anni che era impegnata a fracassare la testa del suo patrigno. Ero stata cieca, sorda e muta. Non avevo capito niente. Ero stata una pessima madre ed era tutta colpa mia. Non mi ero accorta di Mauro e Alice che subiva sempre in silenzio. Non mi ero accorta di Mauro e Giulia che invece si ribellava alle sue mani che le frugavano il corpo. Non aveva ceduto alle minacce e nemmeno ai regali, non aveva ceduto e basta. Proprio quel giorno Mauro era tornato prima, deciso a prendersi quello che voleva, un po’ con le buone, un po’ con le cattive, poi un po’ troppo con le cattive. Giulia voleva preparare la cena per farmi una sorpresa e lo aveva accoltellato due volte urlando. Sabrina aveva visto la sorella sotto quel corpo agitato e non aveva potuto fare altro che colpirlo con il pestacarne. Era colpa mia, tutto era colpa mia: non sono riuscita a proteggerle. Ho preso in mano il coltello, il pestacarne, mi sono sdraiata sotto il cadavere, ci siamo abbracciate tutte e tre e poi ho chiamato il 113. Mentre aspettavamo, ho detto che loro non avevano fatto niente, che andava bene così, che avrei pagato io, come al supermercato. Loro dovevano solo piangere e dire che mi avevano fermato chiamandomi. Mi hanno portato via, ho confessato subito e la pasta era scotta davvero.”
Nel silenzio Camilla ascoltava il respiro di Susi. Le sarebbe mancata davvero tanto.