[Lab 17] Il cuore di Siku
Posted: Mon Jun 16, 2025 2:34 pm
La Tana di Nanook mi accoglie col profumo di legno bruciato e buon cibo. Mio fratello, seduto a un tavolino accanto al fuoco, parla di pesca con alcuni turisti: gli piace familiarizzare coi clienti.
Incrocio il suo sguardo di rimprovero mentre appoggio alla parete la lancia. Non vuole che mi eserciti a cacciare da sola.
Salgo nella mia stanza. Sotto al letto tengo una piccola cassetta regalatami da mio padre per il decimo compleanno, l’aveva intagliata per me da un tronco di legno trasportato dal mare; è ruvida come lo erano le sue carezze. Dentro c’è l’amuleto mi regalò: un ciondolo ricavato da un osso di balena.
“La vedi questa spirale? È il simbolo del vento che soffia nelle nostre terre artiche, del legame tra l’uomo e la natura, tra il nostro popolo e la dea Sila. Ti proteggerà quando non potrò più farlo io.”
“Cos’è quello scintillio al centro?”
Appoggiò la fronte sulla mia e sussurrò: “Sono le lacrime di Akkaniq.”
A pensarci oggi, le sue parole sembravano una premonizione. Lo stesso giorno mio padre fu ucciso da Siku, il grande orso bianco che vive laggiù. Stava per sbranare uno dei cercatori d’oro che infestano la zona. L’uomo si salvò, ma mio padre non tornò più da noi. Stringo i pugni ricacciando indietro le lacrime.
Mio fratello è bravo con l’arpione. A volte mi porta a cacciare e a pescare con lui. Il kayak non fa alcun rumore, ma bisogna conoscere bene le correnti. I pesci si lasciano avvicinare. Per catturarli bisogna essere rapidissimi e precisi ma, con gli orsi, è un’altra storia: ci vogliono forza e coraggio. Il coraggio non mi manca… Indosso il costume tradizionale e scendo nella taverna.
Mio fratello mi indica uno straniero seduto al tavolino più appartato della sala. A giudicare dalle bottiglie vuote di fronte a lui, dev’essere un bel po’ di tempo che aspetta. Immagino faccia parte della schiera d’illusi che vengono a cercare fortuna da queste parti: in molti mi chiedono di accompagnarli ad Aqqanik. Si dice ci siano quintali d’oro sotto al permafrost. Nessuno l’ha trovato finora: la grande Sila sa bene come proteggere i propri tesori. Intono una preghiera muta alla dea e mi avvicino al tavolo. L’uomo sembra più alto della media, ha le spalle larghe, il corpo robusto; mi squadra dal basso in alto prima di parlare:
«Come ti chiami?»
«Aputi. Nella nostra lingua significa neve.»
«Io sono Oscar, come il premio» sorride mentre mi stringe la mano con vigore.
Vuole che lo accompagni alla miniera, come supponevo. Contrattiamo la paga per il servizio. Sembra ubriaco fradicio… lo accompagnerò domani.
Il vento ulula tra le rocce riempiendo l’aria di minuscoli cristalli. Noto la barba del mio cliente già congelata e rallento il passo. Ha il respiro corto.
«Quanto ci vuole per raggiungere Akkaniq?» chiede ansimando.
«Camminiamo solo da un’ora e sei già stanco? Guarda laggiù, lo vedi quel riflesso sotto alla parete? Dobbiamo arrivare fino a lì» gli indico un punto lontano.
«Allora muoviamoci, a stare fermi qui mi si congelano anche le ossa.»
Avanziamo ancora accompagnati dal sibilo del vento.
Poco dopo, davanti a noi si apre un’immensa distesa di ghiaccio azzurro solcato da crepe sottili che scintillano sotto i pallidi raggi del sole.
«Tuktuqsiuq Qamaniq, il lago dai ghiacci eterni» gli dico senza attendere la domanda.
«Dobbiamo proprio attraversarlo?»
Annuisco. «Si dice che gli spiriti del ghiaccio veglino su di esso e… sui cacciatori che vi hanno trovato il loro destino. Hai paura?»
Mastica un no non troppo convinto. «Accidenti, Aputi, non sento più le dita. È come se le avessi perse per strada.»
«Cerca di muoverle, stringile a pugno! Se si intorpidiscono troppo, poi è un problema.»
«Facile a dirsi… È come infilare le mani in un secchio di lame acuminate!»
Un rumore sordo riecheggia in lontananza.
«Merda! Cos’è?»
«Un iceberg che si è staccato. I nostri ghiacciai sembrano giganti invincibili, ma sono ammalati.»
«Non sono soltnto vostri i ghiacciai.»
«Ah, no?»
Raggiungiamo Akkaniq dopo altre due ore di cammino.
Arriviamo all’igloo che ho costruito insieme a mio fratello. Nelle ultime settimane la temperatura si è alzata di qualche grado. Prima di entrare controllo la struttura esterna: si iniziano a intravedere piccoli segni di cedimento, ma pare ancora abbastanza solida.
«Ti presento Quannik, fiocco di neve. Entra.»
Oscar deve piegarsi sulle ginocchia per accedere.
«È incredibile… c’è davvero un bel calduccio qui.»
«È la neve che fa da isolante. Accogliente, vero?» Accendo la lampada a olio e la posiziono in un apposito spazio al centro del pavimento rivestito da pelli di animali.«C’è tutto il necessario per sopravvivere qualche giorno. E, naturalmente, gli attrezzi per pescare o cacciare. A proposito… pesce o carne?» gli chiedo.
Ci pensa su qualche istante: «Non hai del gin in quella borraccia?»
Scrollo le spalle e metto a sciogliere della neve su di un pentolino posto vicino alla fiammella della lampada. «Con questo cibo è meglio bere acqua.»
Consumiamo dell’halibut essiccato. Finito di mangiare, mi sdraio e invito il mio cliente a fare altrettanto.
Scuote la testa. «Non voglio perdere altro tempo. Quanto manca alla miniera?»
«Non molto. Ma ora dobbiamo riposare. Tieni, spalmati questo sulle guance.»
Mi guarda con aria interrogativa.
«È nuktic, un rimedio che facciamo col grasso di foca.»
Non posso certo dirgli che lo usiamo come sonnifero. Non impiega molto a crollare.
Mentre dorme, gli apro la zip del giaccone. Ha un cartellino giallo appeso al collo. Leggo: Oscar Riley - White Sentinel Society. Ne ho incontrati altri come lui. Tutti cibo per Siku.»
Spengo la lampada, prendo l’arpione ed esco a esercitarmi un po’. Non passa molto che, da lontano, lo vedo sgattaiolare fuori dall’igloo barcollando.
«Aputi, andiamo! Ti ho pagata per portarmi ad Aqqanik.»
È più resiliente di quanto pensassi.
Raggiunta una piccola fenditura, ci addentriamo per una decina di metri tra le mura possenti del ghiacciaio. È una specie di labirinto qui dentro: per cercare l’oro, hanno scavato decine di tunnel e tutto è molto fragile. Una luce flebile che filtra dall’alto gioca sulle pareti componendo delicati ricami azzurrini. Chiedo mentalmente perdono a Sila prima di parlare: «Dicono che l’oro sia qui sotto.»
«Chi ti dice che io sia venuto qui per scavare?»
«La White Sentinel non ti paga per questo?»
Spalanca gli occhi: «E tu che ne sai?»
Uno scricchiolio improvviso ci fa sobbalzare. Un blocco di ghiaccio si stacca dalla parete sbarrandoci la strada.
«Non possiamo proseguire. Il tuo oro dovrà attendere.»
«Come devo dirtelo? Non sono qui per l’oro.»
«Chi sei allora, Oscar Riley? Cos’è la White Sentinel?»
«Sono uno scienziato, Aputi. Mi occupo di un progetto speciale per proteggere i ghiacciai. E qui ci sono un bel po’ di danni, mi sembra.»
Ora sono io a guardarlo a occhi sbarrati.
«Non mi credi? I ghiacciai conservano i più grandi misteri della vita e tanti tesori che fanno gola… I potenti della Terra fanno di tutto per impossessarsene e noi per evitare che ci riescano.» Cerca il mio sguardo: «E ora, Neve, dimmi cosa è capitato agli altri.»
«Chi? Quali altri?»
«I miei colleghi che sono venuti qui qualche settimana fa.»
Deglutisco a vuoto. «Davvero, non so di chi tu stia parlando.»
Scuote la testa.
Riusciamo con fatica a guadagnare l’uscita. Il vento gelido ci taglia il respiro mentre ci allontaniamo in fretta dal ghiacciaio.
L’igloo ci accoglie come un piccolo paradiso.
Prendo la borraccia e tracanno il liquore d’un fiato. «Paul, Nevill e John… Hai ragione, anche loro sono venuti alla Tana di Nanook. Volevano che li accompagnassi alla miniera. Come tutti. Come te. Come l’uomo per cui mio padre ha perso la vita per salvarlo dall’orso.»
Lui cerca le mie mani. E le trova. «Mi dispiace tanto, Aputi. Te lo chiedo di nuovo. Dove sono finiti i miei colleghi? L’ultima volta che ho parlato con loro mi hanno detto di aver trovato una guida speciale alla Tana di Nanook: una bella ragazza inuit di nome Aputi. Tu.»
Esco senza rispondergli. Mi segue. Allungo lo sguardo e lo individuo in lontananza: Siku, il grande orso è intento a scavare nel ghiaccio in cerca di foche. È una bestia possente e, a suo modo, protegge il ghiacciaio. Ha di sicuro un grande cuore e sono certa che la grande Sila lo ama come un figlio. Ma per lui sono tutti delle prede.
Le parole mi rotolano dalle labbra senza controllo; quasi non riesco a credere di essere proprio io a pronunciarle: «È stato lui, Oscar.» dico indicandoglielo.
Emette un grido soffocato. «Ce l’hai un fucile?»
Scuoto la testa.
Oscar è un uomo alto e forte. Gli porgo l’arpione: «Quando l’orso si volta, devi mirare alla zona morbida dietro la spalla. Pensi di farcela?»
Annuisce.
Avvicino due dita alle labbra ed emetto un fischio che lancina il silenzio.
Siku ci nota. Non traderà ad arrivare, lo so. Trattengo il respiro.
Restiamo acquattati dietro all’igloo fino a quando non è abbastanza vicino.
Oscar lancia l’arpione e lo colpisce. L’orso si alza sulle zampe posteriori, emette un ruglio infuriato e si avventa su di lui. Gli basterebbe una sola zampata per ucciderlo, lo so bene, ma, invece di reagire, barcolla lasciando una scia di sangue sulla neve prima di crollare.
Ci guardiamo increduli.
«Oscar, resta dove sei. Ho anch’io un conto in sospeso con questo animale.»
Mi avvicino con cautela e lo colpisco più e più volte. Non riesco a fermarmi neppure quando vedo la sua lingua penzolare inerte.
Oscar mi sorregge la testa mentre vomito tutto l’odio accumulato.
«Pensi che ci sia un posto per me nella White Sentinel?»
Mi guarda stranito. Non devo essere un bello spettacolo.
«Perché no? Saresti la prima inuit a far parte dell’organizzazione.»
La Tana di Nanook mi accoglie col profumo di legno bruciato e buon cibo. Mio fratello, seduto a un tavolino accanto al fuoco, parla con alcuni turisti.
Salgo nella mia stanza, prendo l’amuleto e lo stringo tra le mani. Penso a mio padre, ai ghiacciai che appartengono al nostro popolo e alla Terra e intono una preghiera per Siku. Sono sicura che la grande Sila lo accoglierà tra le sue braccia.
Incrocio il suo sguardo di rimprovero mentre appoggio alla parete la lancia. Non vuole che mi eserciti a cacciare da sola.
Salgo nella mia stanza. Sotto al letto tengo una piccola cassetta regalatami da mio padre per il decimo compleanno, l’aveva intagliata per me da un tronco di legno trasportato dal mare; è ruvida come lo erano le sue carezze. Dentro c’è l’amuleto mi regalò: un ciondolo ricavato da un osso di balena.
“La vedi questa spirale? È il simbolo del vento che soffia nelle nostre terre artiche, del legame tra l’uomo e la natura, tra il nostro popolo e la dea Sila. Ti proteggerà quando non potrò più farlo io.”
“Cos’è quello scintillio al centro?”
Appoggiò la fronte sulla mia e sussurrò: “Sono le lacrime di Akkaniq.”
A pensarci oggi, le sue parole sembravano una premonizione. Lo stesso giorno mio padre fu ucciso da Siku, il grande orso bianco che vive laggiù. Stava per sbranare uno dei cercatori d’oro che infestano la zona. L’uomo si salvò, ma mio padre non tornò più da noi. Stringo i pugni ricacciando indietro le lacrime.
Mio fratello è bravo con l’arpione. A volte mi porta a cacciare e a pescare con lui. Il kayak non fa alcun rumore, ma bisogna conoscere bene le correnti. I pesci si lasciano avvicinare. Per catturarli bisogna essere rapidissimi e precisi ma, con gli orsi, è un’altra storia: ci vogliono forza e coraggio. Il coraggio non mi manca… Indosso il costume tradizionale e scendo nella taverna.
Mio fratello mi indica uno straniero seduto al tavolino più appartato della sala. A giudicare dalle bottiglie vuote di fronte a lui, dev’essere un bel po’ di tempo che aspetta. Immagino faccia parte della schiera d’illusi che vengono a cercare fortuna da queste parti: in molti mi chiedono di accompagnarli ad Aqqanik. Si dice ci siano quintali d’oro sotto al permafrost. Nessuno l’ha trovato finora: la grande Sila sa bene come proteggere i propri tesori. Intono una preghiera muta alla dea e mi avvicino al tavolo. L’uomo sembra più alto della media, ha le spalle larghe, il corpo robusto; mi squadra dal basso in alto prima di parlare:
«Come ti chiami?»
«Aputi. Nella nostra lingua significa neve.»
«Io sono Oscar, come il premio» sorride mentre mi stringe la mano con vigore.
Vuole che lo accompagni alla miniera, come supponevo. Contrattiamo la paga per il servizio. Sembra ubriaco fradicio… lo accompagnerò domani.
Il vento ulula tra le rocce riempiendo l’aria di minuscoli cristalli. Noto la barba del mio cliente già congelata e rallento il passo. Ha il respiro corto.
«Quanto ci vuole per raggiungere Akkaniq?» chiede ansimando.
«Camminiamo solo da un’ora e sei già stanco? Guarda laggiù, lo vedi quel riflesso sotto alla parete? Dobbiamo arrivare fino a lì» gli indico un punto lontano.
«Allora muoviamoci, a stare fermi qui mi si congelano anche le ossa.»
Avanziamo ancora accompagnati dal sibilo del vento.
Poco dopo, davanti a noi si apre un’immensa distesa di ghiaccio azzurro solcato da crepe sottili che scintillano sotto i pallidi raggi del sole.
«Tuktuqsiuq Qamaniq, il lago dai ghiacci eterni» gli dico senza attendere la domanda.
«Dobbiamo proprio attraversarlo?»
Annuisco. «Si dice che gli spiriti del ghiaccio veglino su di esso e… sui cacciatori che vi hanno trovato il loro destino. Hai paura?»
Mastica un no non troppo convinto. «Accidenti, Aputi, non sento più le dita. È come se le avessi perse per strada.»
«Cerca di muoverle, stringile a pugno! Se si intorpidiscono troppo, poi è un problema.»
«Facile a dirsi… È come infilare le mani in un secchio di lame acuminate!»
Un rumore sordo riecheggia in lontananza.
«Merda! Cos’è?»
«Un iceberg che si è staccato. I nostri ghiacciai sembrano giganti invincibili, ma sono ammalati.»
«Non sono soltnto vostri i ghiacciai.»
«Ah, no?»
Raggiungiamo Akkaniq dopo altre due ore di cammino.
Arriviamo all’igloo che ho costruito insieme a mio fratello. Nelle ultime settimane la temperatura si è alzata di qualche grado. Prima di entrare controllo la struttura esterna: si iniziano a intravedere piccoli segni di cedimento, ma pare ancora abbastanza solida.
«Ti presento Quannik, fiocco di neve. Entra.»
Oscar deve piegarsi sulle ginocchia per accedere.
«È incredibile… c’è davvero un bel calduccio qui.»
«È la neve che fa da isolante. Accogliente, vero?» Accendo la lampada a olio e la posiziono in un apposito spazio al centro del pavimento rivestito da pelli di animali.«C’è tutto il necessario per sopravvivere qualche giorno. E, naturalmente, gli attrezzi per pescare o cacciare. A proposito… pesce o carne?» gli chiedo.
Ci pensa su qualche istante: «Non hai del gin in quella borraccia?»
Scrollo le spalle e metto a sciogliere della neve su di un pentolino posto vicino alla fiammella della lampada. «Con questo cibo è meglio bere acqua.»
Consumiamo dell’halibut essiccato. Finito di mangiare, mi sdraio e invito il mio cliente a fare altrettanto.
Scuote la testa. «Non voglio perdere altro tempo. Quanto manca alla miniera?»
«Non molto. Ma ora dobbiamo riposare. Tieni, spalmati questo sulle guance.»
Mi guarda con aria interrogativa.
«È nuktic, un rimedio che facciamo col grasso di foca.»
Non posso certo dirgli che lo usiamo come sonnifero. Non impiega molto a crollare.
Mentre dorme, gli apro la zip del giaccone. Ha un cartellino giallo appeso al collo. Leggo: Oscar Riley - White Sentinel Society. Ne ho incontrati altri come lui. Tutti cibo per Siku.»
Spengo la lampada, prendo l’arpione ed esco a esercitarmi un po’. Non passa molto che, da lontano, lo vedo sgattaiolare fuori dall’igloo barcollando.
«Aputi, andiamo! Ti ho pagata per portarmi ad Aqqanik.»
È più resiliente di quanto pensassi.
Raggiunta una piccola fenditura, ci addentriamo per una decina di metri tra le mura possenti del ghiacciaio. È una specie di labirinto qui dentro: per cercare l’oro, hanno scavato decine di tunnel e tutto è molto fragile. Una luce flebile che filtra dall’alto gioca sulle pareti componendo delicati ricami azzurrini. Chiedo mentalmente perdono a Sila prima di parlare: «Dicono che l’oro sia qui sotto.»
«Chi ti dice che io sia venuto qui per scavare?»
«La White Sentinel non ti paga per questo?»
Spalanca gli occhi: «E tu che ne sai?»
Uno scricchiolio improvviso ci fa sobbalzare. Un blocco di ghiaccio si stacca dalla parete sbarrandoci la strada.
«Non possiamo proseguire. Il tuo oro dovrà attendere.»
«Come devo dirtelo? Non sono qui per l’oro.»
«Chi sei allora, Oscar Riley? Cos’è la White Sentinel?»
«Sono uno scienziato, Aputi. Mi occupo di un progetto speciale per proteggere i ghiacciai. E qui ci sono un bel po’ di danni, mi sembra.»
Ora sono io a guardarlo a occhi sbarrati.
«Non mi credi? I ghiacciai conservano i più grandi misteri della vita e tanti tesori che fanno gola… I potenti della Terra fanno di tutto per impossessarsene e noi per evitare che ci riescano.» Cerca il mio sguardo: «E ora, Neve, dimmi cosa è capitato agli altri.»
«Chi? Quali altri?»
«I miei colleghi che sono venuti qui qualche settimana fa.»
Deglutisco a vuoto. «Davvero, non so di chi tu stia parlando.»
Scuote la testa.
Riusciamo con fatica a guadagnare l’uscita. Il vento gelido ci taglia il respiro mentre ci allontaniamo in fretta dal ghiacciaio.
L’igloo ci accoglie come un piccolo paradiso.
Prendo la borraccia e tracanno il liquore d’un fiato. «Paul, Nevill e John… Hai ragione, anche loro sono venuti alla Tana di Nanook. Volevano che li accompagnassi alla miniera. Come tutti. Come te. Come l’uomo per cui mio padre ha perso la vita per salvarlo dall’orso.»
Lui cerca le mie mani. E le trova. «Mi dispiace tanto, Aputi. Te lo chiedo di nuovo. Dove sono finiti i miei colleghi? L’ultima volta che ho parlato con loro mi hanno detto di aver trovato una guida speciale alla Tana di Nanook: una bella ragazza inuit di nome Aputi. Tu.»
Esco senza rispondergli. Mi segue. Allungo lo sguardo e lo individuo in lontananza: Siku, il grande orso è intento a scavare nel ghiaccio in cerca di foche. È una bestia possente e, a suo modo, protegge il ghiacciaio. Ha di sicuro un grande cuore e sono certa che la grande Sila lo ama come un figlio. Ma per lui sono tutti delle prede.
Le parole mi rotolano dalle labbra senza controllo; quasi non riesco a credere di essere proprio io a pronunciarle: «È stato lui, Oscar.» dico indicandoglielo.
Emette un grido soffocato. «Ce l’hai un fucile?»
Scuoto la testa.
Oscar è un uomo alto e forte. Gli porgo l’arpione: «Quando l’orso si volta, devi mirare alla zona morbida dietro la spalla. Pensi di farcela?»
Annuisce.
Avvicino due dita alle labbra ed emetto un fischio che lancina il silenzio.
Siku ci nota. Non traderà ad arrivare, lo so. Trattengo il respiro.
Restiamo acquattati dietro all’igloo fino a quando non è abbastanza vicino.
Oscar lancia l’arpione e lo colpisce. L’orso si alza sulle zampe posteriori, emette un ruglio infuriato e si avventa su di lui. Gli basterebbe una sola zampata per ucciderlo, lo so bene, ma, invece di reagire, barcolla lasciando una scia di sangue sulla neve prima di crollare.
Ci guardiamo increduli.
«Oscar, resta dove sei. Ho anch’io un conto in sospeso con questo animale.»
Mi avvicino con cautela e lo colpisco più e più volte. Non riesco a fermarmi neppure quando vedo la sua lingua penzolare inerte.
Oscar mi sorregge la testa mentre vomito tutto l’odio accumulato.
«Pensi che ci sia un posto per me nella White Sentinel?»
Mi guarda stranito. Non devo essere un bello spettacolo.
«Perché no? Saresti la prima inuit a far parte dell’organizzazione.»
La Tana di Nanook mi accoglie col profumo di legno bruciato e buon cibo. Mio fratello, seduto a un tavolino accanto al fuoco, parla con alcuni turisti.
Salgo nella mia stanza, prendo l’amuleto e lo stringo tra le mani. Penso a mio padre, ai ghiacciai che appartengono al nostro popolo e alla Terra e intono una preghiera per Siku. Sono sicura che la grande Sila lo accoglierà tra le sue braccia.