[MI188] Le notti dei desideri
Posted: Thu Oct 16, 2025 2:40 pm
Tracce di mezzanotte 2 Cambiamento
Stava correndo: non importava dove. Superava un angolo dietro l’altro con i polmoni che bruciavano. Neppure nei sogni Marco era al sicuro da quei maledetti bulli. Sempre loro. Solo che quando lo prendevano, e succedeva sempre, lo riempivano di botte. Ogni giorno trovavano un nuovo motivo: i denti storti, le gambe, il suo aspetto. Da quando aveva cercato di ribellarsi, gli avevano già spaccato gli occhiali due volte. A ogni ricreazione lo bloccavano in un angolo per dargli la quotidiana dose di percosse. Anche ora, nel sogno, cercavano di tagliargli le vie di fuga.
Peggio ancora, nessuno faceva mai nulla per aiutarlo. Solo che stavolta si sentì cadere all’improvviso nel vuoto. E quando atterrò, leggero sulla sabbia, si trovò su una spiaggia che non aveva mai visto prima. Qui almeno era solo: i bulli non potevano raggiungerlo. Così strascicò i piedi lungo la fascia del bagnasciuga. Notò che cambiava colore con le onde: quella calma non sarebbe durata. Vide un altro paio di piedi e si fermò, terrorizzato. L’avevano trovato anche lì.
Stava correndo: non importava dove. Superava un angolo dietro l’altro con i polmoni che bruciavano. Neppure nei sogni Marco era al sicuro da quei maledetti bulli. Sempre loro. Solo che quando lo prendevano, e succedeva sempre, lo riempivano di botte. Ogni giorno trovavano un nuovo motivo: i denti storti, le gambe, il suo aspetto. Da quando aveva cercato di ribellarsi, gli avevano già spaccato gli occhiali due volte. A ogni ricreazione lo bloccavano in un angolo per dargli la quotidiana dose di percosse. Anche ora, nel sogno, cercavano di tagliargli le vie di fuga.
Peggio ancora, nessuno faceva mai nulla per aiutarlo. Solo che stavolta si sentì cadere all’improvviso nel vuoto. E quando atterrò, leggero sulla sabbia, si trovò su una spiaggia che non aveva mai visto prima. Qui almeno era solo: i bulli non potevano raggiungerlo. Così strascicò i piedi lungo la fascia del bagnasciuga. Notò che cambiava colore con le onde: quella calma non sarebbe durata. Vide un altro paio di piedi e si fermò, terrorizzato. L’avevano trovato anche lì.
Invece era un ragazzo più o meno della sua età: anche lui alle medie. Ma le cose in comune tra loro finivano lì: al contrario di Marco non era grassoccio e debole, non aveva gli occhiali e nemmeno quell’espressione di chi è sempre convinto di essere un perdente. Era alto, bello, proporzionato: il tipico belloccio. Tutto quello che Marco avrebbe sempre voluto essere. Provò una punta di invidia. Uno così non era una vittima dei bulli come lui. Ma allora perché lo fissava?
“Ciao,” lo salutò l’altro.
“Ciao,” gli rispose. Si guardò attorno, cercando il modo di fuggire.
“Qui non devi più scappare. Cosa vuoi fare ora?” lo anticipò.
Marco ci pensò un istante prima di rispondergli: forse avrebbe voluto sparire, finirla una volta per tutte con il dolore e l’umiliazione. Era stanco di lividi sulle gambe che nessuno, attorno a lui, sembrava mai notare.
“Vorresti essere qualcun altro, vero?” gli propose il ragazzo, con tristezza. In qualche modo capiva.
Marco non rispose subito, nemmeno con un cenno. Non ci aveva mai pensato prima. Forse diventare qualcun altro sarebbe stato meglio che sparire? Che strano accorgersene lì, in un sogno.
Il ragazzo gli sorrise e Marco sentì strisciargli dentro una nuova sensazione. Come se stesse lasciando indietro se stesso, per infilarsi negli occhi e nella faccia dell’altro. E insieme lo indossasse come un vestito che gli calzava a pennello. Erano pelle, ossa, muscoli e nervi, nei quali prendeva posto. Si trovò a fissare un ragazzino sgraziato, con l’espressione spaventata e i capelli spettinati. Era al di fuori del proprio corpo. Chi era lui? La scoperta lo gettò in un sonno senza sogni.
Marco non rispose subito, nemmeno con un cenno. Non ci aveva mai pensato prima. Forse diventare qualcun altro sarebbe stato meglio che sparire? Che strano accorgersene lì, in un sogno.
Il ragazzo gli sorrise e Marco sentì strisciargli dentro una nuova sensazione. Come se stesse lasciando indietro se stesso, per infilarsi negli occhi e nella faccia dell’altro. E insieme lo indossasse come un vestito che gli calzava a pennello. Erano pelle, ossa, muscoli e nervi, nei quali prendeva posto. Si trovò a fissare un ragazzino sgraziato, con l’espressione spaventata e i capelli spettinati. Era al di fuori del proprio corpo. Chi era lui? La scoperta lo gettò in un sonno senza sogni.
Lo squillo penetrante della sveglia lo strappò dall’oscurità.
Scostò le coperte e scese dal letto: corridoio, bagno. Acqua e sapone. Dita affusolate, non più tozze, sfregavano il viso liscio. Le fissò, sorpreso.
“Marco, vieni giù subito, sennò fai tardi!” Era la voce di sua madre dal piano di sotto.
“Marco, vieni giù subito, sennò fai tardi!” Era la voce di sua madre dal piano di sotto.
Si guardò nello specchio, ma non era lui. Era il ragazzo del sogno. Possibile?
Tornò in camera e indossò alla svelta i vestiti: calzavano perfetti, ma non se li ricordava così stretti. Scese le scale con timore, un gradino alla volta. Si immaginava già sua madre, il padre e il cane: urla, spintoni fuori di casa e ringhi.
Nulla di tutto questo: sua madre gli mise il piatto davanti, il padre gli diede un buffetto e il cane si mise al solito posto, in attesa di un boccone passato di soppiatto, sotto il tavolo.
Nulla di tutto questo: sua madre gli mise il piatto davanti, il padre gli diede un buffetto e il cane si mise al solito posto, in attesa di un boccone passato di soppiatto, sotto il tavolo.
Dentro era sempre lui, ma fuori… era qualcos’altro. Solo che nessuno sembrava farci caso. Non l’avevano mai visto veramente? Strofinava le mani sui calzoni, ma al tatto erano reali. Sentiva i suoni, i sapori, gli odori. Non era un sogno.
Si lasciò sballottare fuori casa all’autobus e poi nei corridoi della scuola, in mezzo a compagni di classe che lo avevano sempre ignorato. Era tutto cambiato: gli passavano accanto, con un cenno, qualcuno fermandosi per parlare.
“Ciao Marco, ci vediamo dopo? Ho una cosa proprio figa da farti vedere!” gli disse qualcuno. Si chiamava Matteo? Marco cercò di ricordare: era sicuro che non gli avesse mai rivolto la parola prima. Si girò spaventato, mentre l’altro gli assestava una pacca sulla spalla. Quasi tutti gli altri lo trattavano allo stesso modo: cercavano il suo sguardo, scambiavano una battuta. E se qualcuno avesse capito che quella era solo una maschera? Che non era veramente lui? Gliel’avrebbero fatta pagare? Continuava a muoversi in quella folla, mentre l’angoscia lo stringeva sempre più.
“Ciao Marco, ci vediamo dopo? Ho una cosa proprio figa da farti vedere!” gli disse qualcuno. Si chiamava Matteo? Marco cercò di ricordare: era sicuro che non gli avesse mai rivolto la parola prima. Si girò spaventato, mentre l’altro gli assestava una pacca sulla spalla. Quasi tutti gli altri lo trattavano allo stesso modo: cercavano il suo sguardo, scambiavano una battuta. E se qualcuno avesse capito che quella era solo una maschera? Che non era veramente lui? Gliel’avrebbero fatta pagare? Continuava a muoversi in quella folla, mentre l’angoscia lo stringeva sempre più.
E in quel preciso momento il gruppo dei bulli gli si fece incontro nel corridoio. Giravano sempre assieme. Davanti il ragazzo più grande e più ripetente: Andrea. Naso da maiale ed espressione stupida ma feroce. Lui avrebbe capito subito il suo terrore dietro la maschera.
Andrea lo superò e gli fece solo un cenno. Lo conosceva, ma al tempo stesso lo rispettava. Come poteva essere possibile? Dentro, Marco si era irrigidito. Ma i bulli puntavano su una ragazza mingherlina: capelli scarmigliati biondo cenere e vestiti impolverati di terra e strappati, spalle curve di chi sa di essere una vittima. Marco si ricordava di averla già vista: Marika. Irriconoscibile. Ricordava a stento la ragazzina graziosa che non lo guardava mai nemmeno negli occhi. D’altronde lui era lo sfigato: quello pestato dai bulli. Le era indifferente. Per tutte quelle volte che non aveva mosso un dito o aveva finto di non vederlo, tutto sommato se lo meritava. Marco si sentì crudele, mentre si girava dall’altra parte e provava euforia. Contava soltanto la nuova faccia. Il pianto di Marika non lo riguardava. Però un po’ gli stringeva il cuore: fece finta di non averlo sentito.
Andrea lo superò e gli fece solo un cenno. Lo conosceva, ma al tempo stesso lo rispettava. Come poteva essere possibile? Dentro, Marco si era irrigidito. Ma i bulli puntavano su una ragazza mingherlina: capelli scarmigliati biondo cenere e vestiti impolverati di terra e strappati, spalle curve di chi sa di essere una vittima. Marco si ricordava di averla già vista: Marika. Irriconoscibile. Ricordava a stento la ragazzina graziosa che non lo guardava mai nemmeno negli occhi. D’altronde lui era lo sfigato: quello pestato dai bulli. Le era indifferente. Per tutte quelle volte che non aveva mosso un dito o aveva finto di non vederlo, tutto sommato se lo meritava. Marco si sentì crudele, mentre si girava dall’altra parte e provava euforia. Contava soltanto la nuova faccia. Il pianto di Marika non lo riguardava. Però un po’ gli stringeva il cuore: fece finta di non averlo sentito.
E quella fu la giornata migliore della sua vita. Nessuno voleva fargli del male adesso. Era tutto così naturale da fargli dimenticare di essere una maschera. Dietro, invece, c’era sempre quello che aveva paura di non essere accettato, che scappava. Però la sera, a casa, andò dritto in bagno a guardarsi allo specchio. E lì passò diversi minuti, non credendo a quel colpo di fortuna. Non importava che quello non fosse il suo corpo: gli bastava andare a letto felice.
I problemi però iniziarono nel sonno. Era come se tutti i pensieri della giornata si fossero uniti a presentargli il conto. Non sognò il ragazzo sulla spiaggia, stavolta, ma Marika. Piangeva ancora mentre lui non alzava un dito per difenderla. Aveva odiato l’indifferenza dei compagni davanti ai bulli e adesso si comportava nello stesso modo. Era un vigliacco.
Era giusto che fosse lei a subire?
La sognò mentre scappava: l’avrebbero presa alla fine. Ed era tutta colpa sua: aveva obbligato i bulli a trovare un altro bersaglio. Doveva fare qualcosa: spezzare quel circolo vizioso. Nel sogno prese una decisione tale da disfarlo in un mucchio di fili sfilacciati. Cercò di aggrapparvisi, ma ne scivolò fuori. Cos’aveva desiderato?
Era giusto che fosse lei a subire?
La sognò mentre scappava: l’avrebbero presa alla fine. Ed era tutta colpa sua: aveva obbligato i bulli a trovare un altro bersaglio. Doveva fare qualcosa: spezzare quel circolo vizioso. Nel sogno prese una decisione tale da disfarlo in un mucchio di fili sfilacciati. Cercò di aggrapparvisi, ma ne scivolò fuori. Cos’aveva desiderato?
La mattina dopo la faccia era ancora al suo posto. Eppure Marco provava un leggero fastidio: non meritava quel dono. Allo stesso tempo bruciava dalla necessità di tornare a scuola: cosa sarebbe cambiato questa volta?
Girò a lungo nei corridoi e durante la ricreazione, senza trovare né Marika né Andrea. L’angoscia gli montava dentro. Solo allora realizzò il chiacchiericcio preoccupato nei corridoi. Matteo gli andò incontro.
“Ciao Marco. Hai sentito l’ultima? Da non crederci.” esclamò.
“Ciao Marco. Hai sentito l’ultima? Da non crederci.” esclamò.
“No non so nulla. Sono appena arrivato. Mi dici tu?”
“Ieri pomeriggio Andrea ha seguito Marika fuori dalla scuola, e quella stupida ragazza gli ha fatto del male, proprio tanto.” Matteo si agitò nel dirlo: “È riuscita a buttarlo sotto una macchina che entrava in una via, ti pare? E gli ha spaccato tutte e due le gambe. Anche lei è finita in ospedale. Pensa te. E qualcuno mi ha detto che Andrea vuole vendicarsi.”
“Ieri pomeriggio Andrea ha seguito Marika fuori dalla scuola, e quella stupida ragazza gli ha fatto del male, proprio tanto.” Matteo si agitò nel dirlo: “È riuscita a buttarlo sotto una macchina che entrava in una via, ti pare? E gli ha spaccato tutte e due le gambe. Anche lei è finita in ospedale. Pensa te. E qualcuno mi ha detto che Andrea vuole vendicarsi.”
“Proprio” ammise Marco e la chiuse lì, inorridito. Non aveva risolto nulla. Era stato lui a decidere che Marika si ribellasse nel sogno? Ma lui lo aveva sognato di notte mentre tutto era accaduto ben prima, nel pomeriggio. A meno che… i suoi sogni non cambiassero gli eventi.
Quella notte, prima di andare a dormire, non andò più in bagno. Sapeva cosa avrebbe visto, lo dava per scontato. Ma era capace di far accadere i propri sogni? E perché proprio lui? Prima il suo aspetto, poi Marika, ora Andrea. Doveva fare qualcosa: voleva che nessuno si facesse male. Che so: sarebbe bastato che Andrea avesse frequentato un’altra scuola. Formulò un desiderio simile, appena prima di addormentarsi.
L’indomani mattina il corridoio della scuola era di nuovo tranquillo. Solo che, per quanto si guardasse attorno, Marco non trovò Andrea da nessuna parte. Mentre ancora lo cercava in tutti i corridoi, incontrò Marika. I vestiti non erano più impolverati o stracciati. Era di nuovo splendida, sicura di sé, circondata da un gruppo di amiche. Marco capì subito che qualcosa non andava: sembrava troppo sicura. Aveva semplicemente allontanato Andrea da lì, o aveva fatto in modo che non esistesse? Aveva paura di saperlo.
“Ciao Marika. Hai visto Andrea oggi?” le chiese.
L’indomani mattina il corridoio della scuola era di nuovo tranquillo. Solo che, per quanto si guardasse attorno, Marco non trovò Andrea da nessuna parte. Mentre ancora lo cercava in tutti i corridoi, incontrò Marika. I vestiti non erano più impolverati o stracciati. Era di nuovo splendida, sicura di sé, circondata da un gruppo di amiche. Marco capì subito che qualcosa non andava: sembrava troppo sicura. Aveva semplicemente allontanato Andrea da lì, o aveva fatto in modo che non esistesse? Aveva paura di saperlo.
“Ciao Marika. Hai visto Andrea oggi?” le chiese.
Marika stava parlando con una sua amica. Si interruppe e lo squadrò dall’alto in basso. Era perplessa: l’aveva sorpresa. Non si aspettava che lui le rivolgesse la parola. Glielo si leggeva in faccia. Marco notò solo in quel momento il capannello di ragazzine che si tenevano in disparte. Sussurravano tra loro con aria complice. Era come se Marika fosse la loro ape regina, pensò. Il loro riferimento. Anzi: il bullo del gruppo.
“Ciao splendore. Cosa vuoi da me? Andrea? Chi sarebbe? Mai sentito.” gli rispose, diffidente. Il suo sguardo era duro, calcolatore. Anche le ragazzine lì attorno guardavano Marco senza capire. Per nessuna di loro quel nome aveva più un significato. Marco provò orrore puro: possibile? Andrea poteva essere in un’altra scuola oppure, peggio, non essere mai esistito. E Marika aveva preso il suo posto: il bullo aveva solo cambiato faccia.
“Ciao splendore. Cosa vuoi da me? Andrea? Chi sarebbe? Mai sentito.” gli rispose, diffidente. Il suo sguardo era duro, calcolatore. Anche le ragazzine lì attorno guardavano Marco senza capire. Per nessuna di loro quel nome aveva più un significato. Marco provò orrore puro: possibile? Andrea poteva essere in un’altra scuola oppure, peggio, non essere mai esistito. E Marika aveva preso il suo posto: il bullo aveva solo cambiato faccia.
“Ah, no, niente,” le rispose: ”Solo un amico che aveva chiesto di te. Si vede che non lo conosci, scusa,” si giustificò e scappò via.
Marika lo guardò allontanarsi. La sua espressione era mutata dall’indifferenza alla delusione. Marco non ne intuì subito il motivo. Poi la comprensione lo folgorò: lei aveva sperato che gli piacesse. E quando aveva capito che non era così non era riuscita a nascondere l’amarezza. Marika provava interesse per lui! Faceva fatica a crederci.
Per capirlo, però, aveva cancellato l’esistenza di Andrea in un soffio. Non era giusto: aveva provato a riparare le cose, ma dietro la maschera era ancora un piccolo ragazzino pasticcione. Il solo desiderio di mettere le cose a posto non era sufficiente.
Marika lo guardò allontanarsi. La sua espressione era mutata dall’indifferenza alla delusione. Marco non ne intuì subito il motivo. Poi la comprensione lo folgorò: lei aveva sperato che gli piacesse. E quando aveva capito che non era così non era riuscita a nascondere l’amarezza. Marika provava interesse per lui! Faceva fatica a crederci.
Per capirlo, però, aveva cancellato l’esistenza di Andrea in un soffio. Non era giusto: aveva provato a riparare le cose, ma dietro la maschera era ancora un piccolo ragazzino pasticcione. Il solo desiderio di mettere le cose a posto non era sufficiente.
Forse sarebbe stato veramente il caso che fosse lui a sparire, invece di Andrea. Nessuno si sarebbe accorto della sua assenza. Quella sera tornando a casa evitò qualsiasi specchio: non voleva vedersi. Sentiva il viso come una maschera appiccicata sul suo io. Insostenibile.
Corse direttamente in camera, temendo i sogni che lo attendevano al varco nella notte. Qualsiasi pensiero sbagliato, anche il più piccolo, avrebbe potuto distruggere tutto quanto. Eppure sapeva cosa avrebbe dovuto fare: un ultimo tentativo.
Corse direttamente in camera, temendo i sogni che lo attendevano al varco nella notte. Qualsiasi pensiero sbagliato, anche il più piccolo, avrebbe potuto distruggere tutto quanto. Eppure sapeva cosa avrebbe dovuto fare: un ultimo tentativo.
Per questo, prima di addormentarsi cercò di fissare il proprio pensiero al ragazzo sulla spiaggia. Ci ritornò subito: l’acqua limpida si ritraeva schiumando sul bagnasciuga. Tutto attorno c’era spazio solo per pace e chiarezza.
Solo che questa volta il ragazzo davanti a lui non era bellissimo: aveva la sua faccia, il suo corpo e ancora tutti i suoi difetti fisici. Era esattamente com’era stato prima.
“Ancora qui?” lo canzonò il vecchio sé, con un sorriso accentuato dai denti storti. “Non hai risolto nulla?”
“Ancora qui?” lo canzonò il vecchio sé, con un sorriso accentuato dai denti storti. “Non hai risolto nulla?”
Marco fece spallucce. "Sono un disastro,” gli rispose. “Come potevo pensare che bastasse solo esprimere un desiderio per risolvere tutto? Io non desidero questo potere. Voglio essere quello di prima: voglio che tutto torni a posto.”
Il ragazzo si fece serio: “Non puoi rifiutare che le cose ti accadano, neppure se lo desideri. Però puoi decidere che cosa farci: il potere non ti abbandonerà, che tu lo voglia o meno.”
Il ragazzo si fece serio: “Non puoi rifiutare che le cose ti accadano, neppure se lo desideri. Però puoi decidere che cosa farci: il potere non ti abbandonerà, che tu lo voglia o meno.”
“Perché io?” gli chiese, amareggiato.
“Perché no?” gli rispose l’altro di rimando. “Qualcuno deve pur esserci, no?”
“Perché no?” gli rispose l’altro di rimando. “Qualcuno deve pur esserci, no?”
E gli mise una mano sulla spalla per consolarlo. In quell’istante Marco sentì che in quel contatto passava qualcosa tra loro. E mentre si abbandonava di nuovo all’oscurità, la pelle gli si sfilò di dosso come un guscio secco.
La sveglia, di nuovo. Sua mamma che gli gridava di fare presto per non perdere l’autobus. Non appena aveva messo a terra i piedi fuori dal letto era tornato a essere il ragazzino brutto e grassoccio di sempre. Ovviamente i suoi genitori non avevano fatto commenti: per loro nulla era cambiato in quei giorni.
Marco sbocconcellava a malincuore le fette biscottate: lo stomaco stretto dai crampi, al pensiero di quello che avrebbe potuto trovare a scuola.
Almeno Andrea sarebbe stato là, come sempre. Saperlo gli fece provare sollievo; quello sarebbe stato il primo segno che era tutto tornato al proprio posto.
A scuola gli si parò incontro nel corridoio, seguito dai lacché alle sue spalle, pronti a dargli man forte.
“Ci vediamo dopo, mostro,” lo apostrofò Andrea, minaccioso, parandoglisi davanti.
A Marco venne da ridere, ma si trattenne. Dopo quello che aveva passato la paura era sfumata, però non voleva dargli subito un pretesto. Prima avrebbe girato la schiena e sarebbe scappato via per la paura di essere pestato. Ora no: rimase fermo e sostenne lo sguardo.
“Ti aspetto, sai dove trovarmi,” gli disse.
L’espressione di Andrea cambiò: era sorpreso. Non si aspettava quella risposta. Guardò gli altri dietro di lui, cercando un appiglio, ma quelli ora lo guardavano incerti, senza sapere nemmeno loro cosa dire. Marco si chiese come mai non ci avesse mai pensato prima. Pazienza. Finalmente ci era arrivato.
Continuò a fissarlo: non con paura, ma con decisione.
La sveglia, di nuovo. Sua mamma che gli gridava di fare presto per non perdere l’autobus. Non appena aveva messo a terra i piedi fuori dal letto era tornato a essere il ragazzino brutto e grassoccio di sempre. Ovviamente i suoi genitori non avevano fatto commenti: per loro nulla era cambiato in quei giorni.
Marco sbocconcellava a malincuore le fette biscottate: lo stomaco stretto dai crampi, al pensiero di quello che avrebbe potuto trovare a scuola.
Almeno Andrea sarebbe stato là, come sempre. Saperlo gli fece provare sollievo; quello sarebbe stato il primo segno che era tutto tornato al proprio posto.
A scuola gli si parò incontro nel corridoio, seguito dai lacché alle sue spalle, pronti a dargli man forte.
“Ci vediamo dopo, mostro,” lo apostrofò Andrea, minaccioso, parandoglisi davanti.
A Marco venne da ridere, ma si trattenne. Dopo quello che aveva passato la paura era sfumata, però non voleva dargli subito un pretesto. Prima avrebbe girato la schiena e sarebbe scappato via per la paura di essere pestato. Ora no: rimase fermo e sostenne lo sguardo.
“Ti aspetto, sai dove trovarmi,” gli disse.
L’espressione di Andrea cambiò: era sorpreso. Non si aspettava quella risposta. Guardò gli altri dietro di lui, cercando un appiglio, ma quelli ora lo guardavano incerti, senza sapere nemmeno loro cosa dire. Marco si chiese come mai non ci avesse mai pensato prima. Pazienza. Finalmente ci era arrivato.
Continuò a fissarlo: non con paura, ma con decisione.
E Andrea abbassò il proprio sguardo, mugugnando una risposta frettolosa:
“Dopo ci vediamo, tranquillo,” e rivolgendosi agli altri attorno: “Su, dai. Andiamo via che non ho tempo da perdere con questo imbecille.”
Marco rimase solo e incredulo: era illeso. Dopo, nel giardino, potevano aspettarlo nuovi pericoli. Non aveva senso avere paura, se ne sarebbe preoccupato dopo, se mai ce ne fosse stato ancora il motivo.
“Era ora che qualcuno gli tenesse testa. Bravo. Hai fatto proprio bene,” esclamò una voce dietro di lui: Marika.
Marco la riconobbe subito.
Si girò, non sapendo cosa aspettarsi: era di nuovo quella che lui ricordava, almeno nell’aspetto? Arrossì, perché era di nuovo brutto, sgraziato, non desiderabile. E lei splendida. Anche in questa realtà le piaceva? Perché gli aveva rivolto la parola?
Marco la riconobbe subito.
Si girò, non sapendo cosa aspettarsi: era di nuovo quella che lui ricordava, almeno nell’aspetto? Arrossì, perché era di nuovo brutto, sgraziato, non desiderabile. E lei splendida. Anche in questa realtà le piaceva? Perché gli aveva rivolto la parola?
“Per stavolta, ma si vendicheranno,” le rispose, fingendo noncuranza. Non sembrava che lei badasse al suo aspetto, non più di tanto. Lo guardava con complicità: un’emozione che Marco non avrebbe mai pensato possibile.
Marika annuì: “Lo so, ti rendi conto di quante volte ci hanno provato con me? Sono solo dei vigliacchi. Lasciali perdere.”
“Basterebbe che loro lasciassero perdere me, sai com’è” le rispose, piccato.
Marika annuì: “Lo so, ti rendi conto di quante volte ci hanno provato con me? Sono solo dei vigliacchi. Lasciali perdere.”
“Basterebbe che loro lasciassero perdere me, sai com’è” le rispose, piccato.
Lei rise. Era un buon suono: semplice, vero.
Marco fece una smorfia: si vergognava a mostrare i denti storti.
“Senti, dopo ti unisci a noi a ricreazione?" gli propose Marika. ”Di solito siamo io, Matteo e pochi altri. Potresti stare con noi, ti andrebbe? Magari così ti lascerebbero in pace.”
Marco fece una smorfia: si vergognava a mostrare i denti storti.
“Senti, dopo ti unisci a noi a ricreazione?" gli propose Marika. ”Di solito siamo io, Matteo e pochi altri. Potresti stare con noi, ti andrebbe? Magari così ti lascerebbero in pace.”
Sì, pensò Marco. Quella era proprio una buona idea. Annuì e ottenne un altro sorriso complice. Era tornata la Marika di prima o era cambiata almeno un po’?
“Ci vediamo dopo allora, ci conto” disse lei e corse via, mentre la campana trillava l’inizio delle lezioni.
Marco si chiese cosa avesse ancora cambiato in quella realtà, con il rischio di rovinare tutto.
Marco si chiese cosa avesse ancora cambiato in quella realtà, con il rischio di rovinare tutto.
Si diresse verso la classe e si accorse di aver dimenticato gli occhiali. Quella mattina non c’erano proprio stati sul comodino.
Forse perché adesso ci vedeva benissimo senza.